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Laboratorio
sull'Informazione 2003-04 |
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PROGRAMMA
DEGLI INCONTRI
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martedì
25 novembre:
Informazione:
descrizione o produzione della realtà?
Itinerario
introduttivo per una comprensione critica della
notizia e una riflessione sulla comunicazione.
La notizia è una ricchezza o un bene di
consumo? La quantità di informazione è indice
di libertà e di sviluppo?
con
Sergio Frigo (giornalista de Il
Gazzettino)
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mercoledì
3 dicembre:
Informazione
e potere
Una
mappatura nazionale e internazionale, con
attenzione specifica al potere televisivo e agli
interessi economici che smuove.
con
prof. Voglino (Univ. di PD – teorie e
tecniche linguaggio televisivo)
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martedì
9 dicembre:
Informazione
e mondialità
La
libertà di informazione, le tecniche e le
potenzialità nei paesi del sud del mondo, il
gap tecnologico tra i paesi del nord e del sud
del mondo.
con
Raffaello Zordan (giornalista di
Nigrizia)
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martedì
16 dicembre:
L’informazione
locale e privata
Quali
libertà, quali condizionamenti, quali conflitti
con l’informazione più ampia? Come costruire
informazione dal basso a partire dai mezzi
locali?
con
d. Gabriele (Telechiara) e un
rappresentante di Radio Cooperativa
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martedì
13 gennaio 2004:
L’informazione
alternativa
Ripartire
dal basso e in rete. Internet, NoWar Tv e tutte
le potenzialità del popolo della pace.
con
Carlo Gubitosa (www.peacelink.it
)
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martedì
20 gennaio:
Esercizio
personale interattivo
La
descrizione della realtà a partire dai nostri
diversi punti di vista. Dal laboratorio
all’osservatorio: analisi degli strumenti a
disposizione e progettazione dei passi seguenti.
Febbraio
e mesi seguenti:
Osservatorio
Critico dell’Informazione
Appuntamenti
quindicinali autogestiti.
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CONTENUTI
DEL LABORATORIO '03-'04
1.
Informazione:
descrizione o produzione della realtà?
con
Sergio Frigo (giornalista de "Il
gazzettino" e "Cittadini
Dappertutto")
Inizia il laboratorio sull’informazione
2003/2004, anni difficili accompagnati da vari
avvenimenti che hanno fatto dell’esclusione e
della divisione, colonne portanti di questo
sistema di morte…
L’aria
che avvolge il gruppo è permeata da sfiducia e
da un senso non troppo vago di impotenza, ma
anche da speranza e sogni.
Proprio
un bel tema l’informazione… un compendio
molto sostanziale a qualunque forma di libertà…
una di quelle cose che dovrebbero essere appunto
libere nel più profondo senso del termine.
L’informazione
a detta di molti resta una priorità, ma
maggiormente, da quanto emerge fra noi, la
priorità è liberare l’informazione.
Ecco che, per iniziare questa sfida-cammino,
sorge la necessità quasi spirituale di definire
da quali catene l’informazione sia
trattenuta…
Interviene
per noi e guida le nostre riflessioni il
giornalista Sergio Frigo… un uomo che
all’informazione ha dedicato la sua vita,
passando attraverso tutte quelle strutture e
quei sistemi sociali che ingabbiano
l’informazione e che per fortuna non sono in
grado di ingabbiare anche i sogni degli
uomini… nel suo caso infatti, qualche
compromesso ha preso forza, ma sempre lo ha
accompagnato una fervente volontà di analisi e
di denuncia.
La
sua esperienza lo ha portato a corrispondere per
il Gazzettino, in cui ha dovuto scegliere la
sezione “cultura”, dove dice che può
davvero scrivere quello che pensa e sente…
grande libertà è dunque quella di poter dire
ciò in cui si crede, senza imposizioni capaci
di ispessire il compromesso. Inoltre Sergio
concretizza il suo sogno di libertà fondando un
mensile di relazioni interculturali (Cittadini
dappertutto) e dando un contributo altro
all’informazione… qualche benda per quelle
tante ferite. Ferite che Sergio non dimentica e
che cerca di farci conoscere, perché i nostri
passi non siano mossi su idealità poco
fondanti… la sua analisi è articolata e
complessa, vuole portare luce sui motivi che
portano l’informazione a sanguinare.
Le
prime sue parole si spingono a definire il
giornale di oggi… Sergio lo chiama prodotto
maturo, che
viene però scalzato con grande facilità da
altri mezzi informativi come la televisione.
Questo avviene perché l’ottica che gestisce
il tutto è una spudorata commercializzazione…
anche la notizia è merce che deve essere
venduta!!! Ecco che il modo di guardare alla
notizia risulta distorto all’origine, se una
notizia si deve vendere è “bene” guardare
alle strutture sociali che governano chi si vuol
toccare con la notizia stessa… ecco che
servono cose che catturino l’attenzione degli
utenti, processo non semplice considerando a
quanti input siano questi ultimi sottoposti.
Mille e mille sono infatti le voci, le immagini,
i commenti che dilagano quotidianamente e
continuamente in quella dimensione fruibile dei
singoli pensieri… è come se in un posto dove
c’è tanto rumore si debba urlare più degli
altri per essere ascoltati… sono comparsi
quindi vari artifizi per giungere al fine di
vendere… cose eclatanti, o angosciose,
spettacolarizzate più che spettacolari… ma
soprattutto (se è concesso, e anche no),
DIVERTENTI, LEGGERE.
Le
persone sembrano non volere paternali su come
effettivamente si dovrebbe vivere dopo aver
optato corresponsabilmente per le situazioni del
mondo… non si vuole la verità fino in fondo,
c’è un rifiuto del giornalista pedagogo.
L’urgenza
è creare criticità (attenzione e tensione
critica), Sergio sostiene coraggiosamente che è
possibile dar voce al suono della foresta che
cresce, in contrasto dell’altisonante, ma non
musicale, scricchiolare di rami morti e
secchi… il come lo indica nell’umiltà
dell’ascolto e nella costruttività del
dialogo… con tutti i settori, con tutti i
mezzi mediatici che fanno comunicazione,
prendendosi la corresponsabilità anche del
“nemico” così com’è.
Fare dunque del mondo il nostro pedagogo. Solo da questo ascolto del
presente, si possono ipotizzare informazioni
alternative, effettivamente controinformative e
genuinamente critiche. L’ammalata informazione
sembra, dopo il dialogo con Sergio,
recuperabile. Nonostante ciò, avverte: gli
idealismi e la passione, nel sistema vigente,
non sono precisamente delle doti apprezzate dai
capi… l’esclusione e la limitazione della
libertà sono compagne di chi comincia volendosi
spendere seriamente e umanamente… attenzione
quindi a non demordere o a non farsi
contaminare. Grazie Sergio e prenda una “buena
onda” questo viaggio nell’informazione!
(a
cura di Emiliano)
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2.
Informazione
e potere
Sono
intervenuti all’incontro il professor Bruno
Voglino dell’università di Padova, insegnante
di “Teorie e tecniche del linguaggio
televisivo”, e Cristina Marchesi, giornalista.
L’incontro
è cominciato con una breve scorsa sulla legge
Gasparri, molto dibattuta in questi giorni. Il
prof. Voglino sottolinea il fatto che se Ciampi
firmerà questa legge, il presidente del
consiglio, cav. Silvio Berlusconi, già in
possesso di alcune tra le più seguite reti
televisive, potrà aggiungerne alla sua proprietà
altre, utilizzando quindi i mezzi di
comunicazione di massa, non come diffusori
dell’informazione, bensì come unico canale di
“condizionamento sociale”. La televisione,
governata dal responso Auditel, i cui referenti
sono rappresentanti di RAI e mediaset, è già
quasi completamente controllata da un unico
imprenditore.
Il
potere dell’informazione televisiva è
fondamentale, dal momento che la maggior parte
degli italiani non utilizza altre fonti, come ad
esempio i giornali; questo potere impone una
linea di pensiero unica, che non permette allo
spettatore una comprensione critica personale di
qualsiasi avvenimento. Voglino continua
spiegando come la notizia venga presentata sotto
forma di “strillo”, nel senso che frasi ad
effetto enfatizzano gli eventi senza analizzarli
in profondità; tutto scorre veloce sotto gli
occhi dell’inerme spettatore, senza lasciare
il tempo per una personale interpretazione o un
interessamento agli avvenimenti.
Il
pluralismo è importante, anche e soprattutto
quello televisivo, che interessa milioni di
spettatori, di pensieri e ideologie diversi,
visto che neppure il giornalista più obbiettivo
potrebbe rappresentare tutto il dicibile. Il
servizio pubblico dovrebbe dare più spazio a
diverse voci giornalistiche, non si capisce
quindi perché ottimi giornalisti, quali Enzo
Biagi, Michele Santoro o la satira di Sabina
Guzzanti siano state censurate allo schermo
televisivo, mentre permangono Costanzo e Vespa,
ad allietare le serate degli italiani
televisionari.
Il
prof. Voglino passa la parola a Cristina
Marchesi con quest’ultima affermazione:
“Parlare di televisione suonerà come
un’orazione funebre, perché l’informazione
che già era malata, con la Gasparri è
morta”.
Cristina
apre il suo discorso con la sua opinione sulla
legge Gasparri, spiega come in realtà, se non
per una questione di editori, non esiste una
distinzione tra reti pubbliche e private. Quella
che è la fonte vitale del giornalista
televisivo, la curiosità, è morta. Cristina
spiega come esiste una grande differenza fra i
diversi tipi di giornalisti, il giornalista è
ovunque ed è colui che offre la diffusione del
sapere. I temi che interessano i giornalisti,
non sono solamente quelli che ci vengono
proposti sui giornali o attraverso la
televisione, ma grazie ai nuovi mezzi di
comunicazione, qual ad esempio Internet,
l’informazione riesce a diffondersi molto
velocemente, a macchia d’olio, e ad entrare
nelle case degli utenti interessati a cercarla.
Anche i satelliti e il digitale, che in Italia a
non si sono ancora ampliamente sviluppati, hanno
una grande valenza di informazione, anche se con
l’enorme quantità di canali disponibili non
si riesce a rimanere critici.
Un
intervento del prof. Voglino ci sottolinea come
visti gli elevati
costi dei mezzi digitali, ci sarà una
monopolizzazione anche di chi avrà l’accesso
a questi canali, dividendosi in televisione per
ricchi o per poveri.
In
altri paesi del mondo la televisione ha avuto un
impatto culturale e sociale devastante, poiché
entrando nelle case delle persone ha proposto
modelli e stili di vita propri di una società
occidentale, sviluppata in un clima industriale
e materialista.
Che
impatto ha avuto in Africa o in America Latina
questo modello, dove le culture e i modelli di
vita sono completamente diversi da quelli
occidentali?
L’informazione ci ha mostrato quindi come il tema dell’informazione
sia vasto ed articolato e che cercare un
informazione è possibile, per chi non si ferma
a tutto quello che gli viene proposto, ma trova
in sé la volontà di ricercarla.
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4.
L’informazione
locale e privata
I
relatori del quarto incontro sono stati Danilo,
un rappresentante di Radio Cooperativa e don
Gabriele Pedrina, direttore di Telechiara
(perlomeno fino al 31 dicembre!).
Per
motivi di salute, purtroppo, Danilo non è
potuto essere fisicamente presente, ma abbiamo
potuto ascoltare la sua testimonianza grazie ad
un'intervista fattagli da padre Dario e
registrata su un nastro. E così è come se
avessimo ascoltato un programma fatto
appositamente per noi.
Danilo,
che da quando si è licenziato lavora per Radio
Cooperativa, vive con la moglie Anna, una
persona semplice e discreta, ma ricca di
iniziativa. E’ stata capace anche da sola di condurre la trasmissione del marito, in situazione di
emergenza.
Radio
Cooperativa è una radio locale e un po'
particolare in quanto per principio non fa
pubblicità e si mantiene grazie alla generosità
e alla bontà degli ascoltatori nonché tramite
i ricavati di pranzi e pesche di beneficenza.
Radio
Cooperativa è diventata molto importante per
Danilo, anche adesso, nonostante la malattia gli
permetta di raggiungere la sede solo poche volte
alla settimana. Per lui la radio è compagna,
una scuola di vita, un aiuto per sé e per gli
altri. E in conclusione dell'intervista
sottolinea che la cosa che più gli piacerebbe
fare in radio è essere sincero e poter dire
tutto.
Nella
seconda parte della serata don Gabriele – pur
febbricitante!- ci ha presentato Telechiara.
E’ una televisione locale di ispirazione
religiosa che trasmette nel Veneto (eccetto
Verona) e nel Friuli Venezia Giulia. E' nata
negli anni
‘90, dopo il convegno delle chiese del
Triveneto ad Aquileia, e per sette anni ha
vissuto senza pubblicità, grazie alle offerte
della gente.
Gabriele,
dopo aver studiato Scienze della comunicazione
sociali, è approdato a Telechiara e ne è
diventato direttore. Una delle domande
ricorrenti che da subito si è fatto è che cosa
deve essere raccontato in televisione.
Sicuramente eventi, fatti, non le proprie idee.
E questo deve essere fatto con il linguaggio
adatto. Bisogna avere un'alta capacità
comunicativa. Appunto per questo Gabriele ha
cominciato a guardarsi attorno, ad osservare la
realtà, tutta la realtà. Determinanti per un
canale televisivo sono a suo parere la
CREATIVITA', grazie alla quale si possono
raccontare le storie comuni trasmettendo un
messaggio alla gente e i SOLDI, per poter stare
sul mercato.
I
soldi, sempre loro di mezzo! O c'è chi
sovvenziona o sono guai! Don Gabriele preferisce
alla televisione tematica quella ‘generalista’,
in quanto la prima propone solo un tipo di
programmi e così rischia di essere ‘marcata’,
mentre l’altra propone un po’ di tutto e così
rimane libera da etichette
varie.
La sfida di Telechiara è il localismo,
in quanto nella nostra realtà fortemente
campanilistica nessuno sente Telechiara come la
propria tivù, identificandosi invece con quelle
più strettamente locali ( es: Telearena per i
veronesi).
Dopo
questa sintetica, ma esaustiva e stimolante
introduzione è seguita una valanga di domande.
1)
Come fa Telechiara a individuare il
proprio pubblico?
Grazie
ai dati Auditel che descrivono sesso,
collocazione geografica (piccoli o grandi
centri), capacità di acquisto.
2)
Ma l’Auditel è rappresentativo?
A
livello nazionale sì, poiché rileva gli
ascolti, mentre a livello locale ci sono delle
perplessità.
3)
Qual è l’obiettivo della vostra tivù?
Fare
una tivù guardabile, godibile, che dia voce a
molte persone, che tratti storie strane,
significative e spesso dimenticate e che parli a
tutti.
4)
Per restare sul mercato, oltre alla
pubblicità a cosa vi siete adeguati?
Abbiamo
inserito programmi di sport, cabaret, fiction.
5)
Ha senso che la chiesa spenda nella tivù
oggi?
Sì,
è come fare pastorale in discoteca o in
carcere. Importante è ESSERCI.
6)
Avete notato segni positivi di questo
“esserci” o lavorate per convinzione?
Sì,
ci sono riscontri positivi. Tutti rimangono
colpiti dalla nostra tivù. Le istituzioni
pubbliche ci cercano perché riconoscono in noi
la serietà. Un modo diverso di fare tivù.
7)
Credi che un’agenzia di raccolta
pubblicitaria etica possa aiutare la stampa
alternativa?
Banca
etica sta studiando una pubblicità etica per
media etici, ma alcune mie esperienze
negative mi hanno portato a credere che
non funzioni. Spesso i peggiori detrattori dei
media cattolici sono tra i cattolici in quanto
pensano che non siamo capaci di fare una tivù
commerciale e altrettanto spesso i più
sensibili a certe problematiche non hanno i
mezzi per finanziarle.
8)
Il teleutente ha un modo diverso di
rapportarsi ad un canale locale rispetto ad uno
nazionale?
Purtroppo
no, nonostante dovrebbe essere chiaro che il
locale non ha gli stessi mezzi del nazionale. Ad
esempio, un locale non può proporre i films più
recenti e famosi come Titanic, i cui diritti
sono proprietà di reti nazionali come Mediaset.
9)
Arriveremo ad un punto in cui le
trasmissioni saranno meno scadenti o no?
E’
una domanda difficile, i percorsi della storia
sono imprevedibile. Bisogna operare sui campi
intermedi come l’associazionismo. La tivù ha
grossi limiti, ma alla fine comunica messaggi
positivi. Certi valori restano (ad esempio,
nella fiction quasi sempre le donne vengono
lasciate libere di fronte alla scelta di
abortire o meno, ma decidono poi di non farlo).
D’altra
parte non si può proporre un canale con
soltanto programmi impegnati; è meglio scalare
un po’ la qualità, ma non perdere il contatto
con la gente.
In
conclusione don Gabriele sottolinea che per
cambiare il mondo bisogna lavorare sul concreto
perché cambiare i media che sono solo
rappresentazione e virtualità non aiuta a
modificare la realtà. L’ordine di procedere
deve essere esattamente l’opposto.
Fondamentale è, a suo parere, andare incontro
alla gente, creare eventi che siano
“raccoglibili” dagli altri, che comunichino
qualcosa. E per finire è importante …”saper
vendersi” , per la causa, ma bisogna farlo!
Buon Natale, Chiara
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5.
L’informazione
alternativa
Ci ritroviamo in fase
conclusiva…ultimo incontro guidato da un
relatore… Quest’ultimo intermediario (o
meglio internet-mediario) è il disoccupato
creativo Carlo Gubitosa, ingegnere che non ha
percorso strade di carriera, ma che ha optato
per mettere a frutto le sue conoscenze tecniche
ed informatiche costruendo dal basso ambiti
nuovi, dove i potenti restano fuori.
Carlo ed alcuni amici con
cui divide i sogni, vede Internet come un
contenitore di scatole dove si possono
inscrivere le anime degli uomini per mezzo di
immagini, parole, denunce… dove l’utopia
dell’omnicrazia
suggerita da Aldo Capitini può realizzarsi….
Dove l’informazione può essere altra: sana,
digeribile, utile a crescere e a servire.
Una di queste scatole è Peacelink,
un sito che esiste da molti anni e che da sempre
si è occupato di controinformare e di
denunciare sostenendo molte campagne fra cui
quella contro le modifiche alla legge 185/90
sugli armamenti, o quella sulle banche armate.
Nulla a che fare con i freddi tecnocrati… Peacelink
è un gruppo di persone nonviolento che sfrutta
la tecnologia per fare informazione e
comunicazione.
Carlo ci ringrazia per la
disposizione in circolo delle sedie nella stanza
dove ci incontriamo… dice che non c’è nulla
di meglio per iniziare a concepire la
comunicazione… concetto svuotato di
significato come tanti altri nella nostra epoca
e nella nostra società… la comunicazione
infatti avviene fra soggetti che sostengono la reciprocità,
mettendo in gioco le proprie creatività e non
facendo sconti alla verità.
Guardandosi negli occhi si riesce a credere più
facilmente nell’eventualità di farsi
modificare dall’altro e mettere quindi in atto
processi generativi… ecco perché non è il
caso di credere nella televisione, che non ti
offre lo sguardo delle persone che decidono cosa
trasmettere e cosa far passare come notizie e/o
come messaggi.
La
televisione (così com’è) è un mezzo di
trasmissione di massa ma non di comunicazione!
Inoltre, per comunicare
vanno messe in atto dinamiche nonviolente…
facendo leva sul principio che poche persone,
ben motivate, possono rispondere alla prepotente
leggerezza e alla svilente banalizzazione (cause
generatrici di gravi ingiustizie) sfruttando,
come in una sorta di arte marziale, la forza
offensiva del potere in questione.
Un esempio per tutti… lo
scandalo sull’uranio impoverito è partito
dopo che un ragazzo, su un piccolo giornale
sardo, denunciò le leucemie che colpivano
alcuni soldati rientrati. Questo coraggio, sbancò
il senso di impotenza e nel 2000 molti ripresero
la notizia approfondendola. La diretta
conseguenza fu un considerevole incremento della
coscienza civile su questo argomento, cosa che
permise la nascita di varie commissioni di
indagine e di monitoraggio… ecco come poche
persone che dicono di no, accendono in realtà
micce che possono rovesciare le ottiche ed i
giochi dei potenti.
Carlo passa a descrivere
alcuni punti utili su cui riflettere per intuire
quali spazi in questi ambiti poter abitare
reinterpretando l’informazione.
● Ci suggerisce di
trattare l’informazione come i cibi…
guardare quindi l’etichetta, chi la produce,
gli ingredienti, le provenienze e le
circostanze. Solo così si può avere un
atteggiamento critico e scansare (o quanto meno
riconoscere) le informazioni non etiche. Bisogna
farsi gli anticorpi culturali… senza i quali
una informazione indigesta, può farci davvero
male a livello mentale!
● Ci invita a
considerare la costituzione di TV di
quartiere… che sono un mezzo poco costoso ed
alternativo per la liberazione
dell’informazione, infatti, restano in mano al
popolo e non tendono a dinamiche servilistiche.
Esistono attualmente in Italia circa 100 di
queste nuove televisioni…
Carlo sostiene che se si
raggiungesse il migliaio, esisterebbe un
effettivo polo televisivo alternativo. Il costo
di una Tv di quartiere si aggira sui 2000 € e
la tecnologia necessaria è alla portata di
tutti.
● Altra cosa
interessante sarebbe quella di costituire
“gruppi d’acquisto informativi”. Questa
logica favorisce l’interscambio, il dibattito,
l’approfondimento e la personalizzazione degli
interessi, il tutto votato ad un operazione di
disintossicazione da quelle 3000 informazioni
quasi sempre “avariate” che ci bombardano
quotidianamente senza interpellarci
all’analisi. Altra iniziativa molto bella,
sarebbe quella della “giornata del libro
gratuito”… Si fissa un giorno in cui un
gruppo di persone “semina” libri con
contenuti interessanti in luoghi a caso della
città (sedile di un autobus, treno, banco di
una caffetteria, aula studio ecc.), scrivendo in
prima pagina: “questo libro circola
liberamente e gratuitamente, leggilo e rimettilo
in circolo.”
● Per aggirare le
grandi agenzie di stampa che esercitano un
grande controllo sulle notizie in circolazione,
sarebbe necessario approfondire l’ambito del
“digital
divide”, che ha la potenzialità di dare
voce hai senza voce, connettendo ad esempio
realtà in conflitto (durante la guerra in
Kosovo le parti belligeranti hanno potuto
comunicare fra loro), o realtà mantenute
separate (Nord del mondo povero di informazioni
veritiere e Sud del mondo povero di risorse)
permettendo interscambi completativi.
A livello sperimentale, si
potrebbero fare molte altre cose partendo da ciò
che esiste. La televisione non è del tutto
sostituibile, infatti il 95% degli italiani si
informa facendo riferimento esclusivamente ad
essa, per questo vanno rinnovati i contenuti e
bisogna studiare il modo per farlo mantenendo
forme di linguaggio comprensibili dai molti. In
quest’ottica, ad esempio, risulta una perdita
di tempo demonizzare in toto la pubblicità… essa va recuperata e trasformata in
antipubblicità recuperandone l’eticità e
sfruttandone la potenziale immediatezza
comunicativa. In
sintesi il male sta nei contenuti più che nei
linguaggi e nei mezzi.
Inoltre si deve ragionare
sulla “potabilità” dei linguaggi, infatti
troppo spesso accade che gruppi attivi, conino
linguaggi di nicchia, modi di dire difficilmente
comprensibili per chi sta fuori dal recinto.
L’ultimo monito di Carlo
ci invita a mantenere sempre vivo il ruolo di
interlocutori del sociale che abbiamo come
singoli, mandare una lettera di protesta o
disappunto ad un direttore di un telegiornale
e/o di un giornale, non è mai una cosa da poco
o un azione del tutto inascoltata, perché
l’opinione ha sempre un peso.
Quante cose da far
sedimentare… quante cose da approfondire!!!
Carlo è stato per noi un incontro veramente
pro-vocante, facendo analisi anche tecniche ma
non tradendo mai la fondante fiducia nei
rapporti umani, nella nonviolenza attiva, nel
recupero dell’etica
del potere dei singoli esseri umani.
Dopo un fiume di concetti
straripato e dopo i volti delle persone che ci
hanno guidato nelle riflessioni, sarà il
momento di una liberatrice
sprogrammazione… per far nostre tutte
le provocazioni, i sogni, le speranze e le
possibilità descritteci.
Ricordiamoci amici che siamo noi quelli che possono influenzare il
livello etico del nostro paese, partendo da un
abbraccio e dalla consapevolezza che una goccia
d’acqua non evapora solo se gettata nel
mare!!!
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In
continuità con il Laboratorio
sull'Informazione 2003-04, è
nato l'
Osservatorio
Critico Autogestito
sull'Informazione.
-lavoreremo
tra noi (i partecipanti al
laboratorio, quelli interessati a
continuare), con attenzione a chi
dall'esterno ci ascolta o può
essere provocato
- ci
incontreremo ogni tre settimane,
fino a giugno (poi si vedrà)
-
cerchiamo fin d'ora di mettere in
evidenza i canali già attivi
attraverso i quali possiamo
muoverci e farci sentire (www.giovaniemissione.it,
retelilliput
e sua ML, radio cooperativa, radio
oreb, diradio, i giornali locali -
diocesano, quotidiani,
Cittadini..., i bollettini delle
parrocchie, i fogli universitari, Ormegiovani
su Nigrizia, Giovani S-coinvolti,
le reti di ML, ...)
- ci
poniamo una sequenza di obiettivi
di fondo:
1.
"Ascoltare criticamente in
gruppo l'informazione che la
nostra società riceve";
per fare questo scegliamo di
analizzare i media che preferiamo:
TV, radio, quotidiani, riviste,
internet..., comparando più
sorgenti e le diverse modlità di
comunicare le notizie
2.
"Conservare l'attenzione
sui due piani contemporaneamente
(locale e globale)"; per
fare questo scegliamo di
affrontare di volta in volta temi
che abbiano ripercussione su
entrambi i fronti. Sono emersi i
seguenti temi, tra i quali
sceglieremo un po' alla volta:
Gestione
del traffico e dell'inquinamento
nei grandi centri urbani; la
questione della casa e le sue
contraddizioni; la gestione della
Sanità; la riforma Moratti (tema
solo italiano); la giustizia (tema
molto ampio); l'immigrazione; il
dramma ugandese e la sua risonanza
in Italia; le dipendenze; la
finanza creativa;
3.
"Produrre informazione
critica"; scegliamo cioè,
se necessario e possibile, di
trovare forme creative per forare
la cappa di disinteresse o di
acriticità della gente. Cerchiamo
mezzi alternativi di comunicazione
e possiamo anche unirci ad azioni
di lobbying (lavoro di rete,
pressione sui giornali, lettere o
campagne).
Una
volta sviluppato un tema
(nell'arco di un incontro serale o
di una serie di incontri), vediamo
se è il caso di
diffondere il nostro punto di
vista con denunce, appelli,
campagne, vignette,
provocazioni... (questa tappa è
impegnativa e rimane tutta da
verificare, per ora ci
concentriamo soprattutto sulle
prime due)
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Primo incontro
dell'Osservatorio Autogestito:
"La
mobilità nelle grandi aree
urbane"
Dopo
un ciclo di incontri
sull’informazione, in cui siamo
stato provocati sui mass media, sul
significato e sulle varie modalità
del fare informazione, finalmente è
partito l’atteso osservatorio
autogestito. L’obiettivo è quello
di approfondire alcuni temi, sia nel
contesto globale che in quello
locale, analizzando le informazioni
fornite dalla tv, dalla radio,
internet…
Quindi,
in un passo ancora successivo, dalla
lettura critica dovremmo passare
alla produzione!
Il
primo tema approfondito è quello
del traffico e delle politiche
ambientali, tema che ci tocca da
vicino, visto che il mese scorso il
problema del blocco del traffico
dominava le prime pagine. Poi dopo
la pioggia e la neve, cala
misteriosamente il silenzio, o
quasi…problema risolto? Possiamo
tornare a respirare senza paura
nelle nostre città? Oppure
semplicemente si straparla del
problema quando c’è la crisi, ma
passata quella si continua a
nascondere la sabbia sotto il
tappeto.
La
nostra analisi, basata sul
confronto tra diversi giornali
locali (Il Gazzettino, Il Mattino) e
nazionali (Sole24Ore) e su ricerche
effettuate su internet, ha fatto
emergere alcune considerazioni:
l’assenza nelle amministrazioni
locali di politiche lungimiranti,
l’opzione per un provvedimento
“dell’ultimo momento”,
coerente con le normative europee,
ma che allo stesso tempo non risulti
impopolare. Diciamoci la verità, la
gente non vuole sentirsi dire che
sarebbe meglio lasciare l’auto in
garage, per prendere magari una
bicicletta, per utilizzare i mezzi
pubblici, che spesso, bisogna
ammetterlo, non vengono valorizzati.
Questo
ci porta a un’altra
considerazione: non c’è una vera
educazione al rispetto
dell’ambiente in cui viviamo.
Il
riscaldamento domestico, le
automobili e veicoli per trasporto
di merci sono i principali
responsabili dell’inquinamento
atmosferico nelle aree urbane:
provocano l’aumento di anidride
carbonica, monossido di carbonio,
pm10…nell’aria. Dati di
Legambiente mostrano come le
emissioni di questi gas siano
pericolosamente aumentati, tanto che
Padova risulta tra le città più
inquinate d’Italia e il quartiere
Arcella una delle zone a più alta
concentrazione di pm10.
Quali
le cause di questo pericoloso
aumento?
Rispetto
a qualche decennio fa il commercio
è stato potenziato, e quindi anche
i traffici; è cambiato il sistema
familiare, ora c’è una macchina
per persona; c’è il problema
della qualità dei servizi pubblici;
qualcuno aggiunge addirittura
l’invecchiamento della società,
per cui si guida di più; non
bisogna,infine, dimenticare il peso
della Fiat nella nostra economia.
Quali
le possibili soluzioni?
L’adozione
di veicoli alimentati da
combustibili alternativi e
rinnovabili (metanolo, etanolo, gas
naturali); eliminazione del piombo
addizionato alle benzine; una
drastica revisione dei trasporti
urbani, con incentivazione dei
trasporti pubblici e dell’uso
della bicicletta, parcheggi di
scambio, drastica restrizione della
circolazione delle auto e dei
motocicli nei centri storici…
E
le nostre amministrazioni, in che
direzione si muovono?
Se
da una parte l’amministrazione
comunale di Padova propone il blocco
del traffico nel centro storico,
dall’altra crea un nuovo polo
nella già congestionata Padova est
(per approfondimenti consulta
l’archivio GIM-informazione,
contattandoci).
Nel
2003 il sindaco non accoglie
l’appello di medici e genitori,
preoccupati dall’aumento di asma e
malattie respiratorie fra i bambini,
causate appunto dall’inquinamento
urbano.
Tuttavia
ci sono altri esempi rincuoranti,
che dimostrano come sia possibile
uno sviluppo sostenibile.
Alcune
amministrazioni comunali in
provincia di Venezia si sono unite
per studiare politiche comuni
per contenere l’inquinamento,
utilizzando bus navetta dotati di
parcheggi di scambio…
Un
altro esempio è il comune di
Ferrara, vero modello di sviluppo
sostenibile, in cui ben il 30 %
degli spostamenti si effettuano in
bicicletta. Qui sono state
potenziate le piste ciclabili, i
parcheggi di scambio, in cui la
gente lascia la macchina per
prendere la bicicletta e utilizzarla
per gli spostamenti, le aree chiuse
al traffico…
Questa
politica ha portato alla diminuzione
del traffico e dell’inquinamento
atmosferico e agli incidenti a danno
dei pedoni. Una politica in sintonia
con quella di altre città europee,
come Amsterdam e Copenaghen.
In
conclusione, il problema del
traffico e dell’inquinamento
urbano può essere risolto, a patto
di non limitarsi a provvedimenti
superficiali, adottati nel breve
periodo, solo per alleggerirsi la
coscienza. E’ necessaria una
revisione delle politiche comunali,
ma anche uno sforzo e una maggiore
attenzione da parte di ciascuno.
Quindi,
se oggi dovete uscire, prendete la
bici o l’autobus e lasciate che
l’auto se ne stia almeno per un
po’ in garage!
(a
cura di Laura M.)
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Secondo
incontro
dell'Osservatorio Autogestito:
"Casa
amara casa"
Affrontiamo
in questa seconda tappa del nostro
laboratorio la sfida della casa per
gli immigrati, in Italia e in
particolare in Veneto. Per
approfondimenti, leggete le ricerche
di Alberto e Sandra ("Quante
lingue parla il mattone in
Italia?") e alcune esperienze
positive in Italia di intervento sulla
questione casa ("Buone
pratiche").
Buona
lettura!
Eccoci
qua giovani, siamo noi
dell’Osservatorio
sull’informazione a parlarvi questa
volta di case!
Di
quelle di proprietà e di quelle in
affitto; sia di case fatiscenti come
di quelle vuote; di “casa dolce
casa”, o forse meglio, di “casa
amara casa”; del diritto ad una
abitazione che guerreggia contro il
profitto grazie ad essa.
Osservazione
di tutti: “dove cavolo sono gli
articoli di giornale e non solo,
relativi al problema abitativo?”…
“No, non di quelle pagine vendo
o
affittasi… Anzi, com’è che
sono sempre numerosi gli annunci in
questo settore, ma in molti denunciano
la difficoltà ad incontrare un luogo
dignitoso in cui vivere?”.
Domanda
e offerta non si piacciono, forse?!
Eppure, siamo sicuri, convolerebbero a
giuste e durature nozze… Le più
elementari nozioni in materia ci
insegnano che all’aumentare
dell’offerta i prezzi scendono:
com’è che così non accade quando
si parla di casa?!
E
allora, ha senso parlare di diritto ad
avere una abitazione, soprattutto
quando essa incide, nel budget di una
famiglia italiana media, nella misura
del 23%, mentre in quello una famiglia
di immigrati arriva a toccare quota
54%, a causa delle innumerevoli
caparre e garanzie di cui deve farsi
carico?
Le
case popolari che fine hanno fatto?!
Ha
senso parlare di diritto alla
famiglia, quando è obbligatorio
sborsare fior di quattrini per luoghi
spesso minuscoli o vecchi?
E
poi, perché i molti proprietari di
seconde e terze case, tengono chiusi i
loro appartamenti a fronte della
necessità che incalza?
Quali
paure tormentano i possibili
affittuari?
La precarietà economica di alcuni
migranti e la loro difficoltà ad
accedere ad un mutuo, a causa dei
contratti di lavoro a tempo
determinato e per il permesso di
soggiorno a scadenza? O forse la paura
di mancati pagamenti del canone e la
frequente irreperibilità
dell’inquilino immigrato? (che fare
nel caso di danni all’immobile?). O
forse, molto più semplicemente, è la
paura del diverso e dello sconosciuto
ad impedisce l’offerta della propria
casa, anche se a pagamento? Mah, chissà,
la presenza di un immigrato potrebbe
portare alla svalutazione
dell’immobile stesso?…
Molte domande e poche risposte. Ce ne scusiamo, ma non siamo riusciti a
fare di meglio.
Tanti
degli immigrati non poveri sono mal
alloggiati e i poveri sono spesso
senza casa. Le sistemazioni sono in
gran parte precarie e spesso con un
alto grado di disagio a fronte di un
costo molto più oneroso rispetto a
quelle accessibili agli italiani di
pari reddito. Sono
in tanti a non avere un contratto di
affitto regolare o, nel caso
l’avessero, a pagare un canone
superiore a quello previsto e a non
ottenere le ricevute di pagamento con
la conseguente impossibilità di
provare lo stesso.
La
Caritas, nel 2001, affermava che le
condizioni abitative a cui erano
costretti gli stranieri fossero le
seguenti: per il 69% degli immigrati
era inevitabile la coabitazione,
spesso anche tra persone sconosciute;
il 12% di essi non aveva servizi in
casa, il 33% non aveva acqua calda, il
42% non possedeva impianti di
riscaldamento; il 26% occupava alloggi
che non rispondono a nessuna tipologia
strutturata, nemmeno per usi diversi
dall’abitazione; il 98% vorrebbe
migliorare le caratteristiche fisiche
dell’abitazione.
A
distanza di tre anni non la situazione
non è certo migliorata…
Perché
non c’è nessuna seria politica
abitativa?
Sapete
che le case occupate illegalmente dai
“disobbedienti”, i quali
provvedono ad allacciare acqua e gas e
di cui chiedono il pagamento da dare
al Comune, divengono…legali? O
meglio, il Comune provvede a risanare
una situazione di fatto? Perché
allora non si può evitare l’intero
guazzabuglio e procedere attraverso
modalità che ci azzardiamo a chiamare
normali?
Poche
sono le leggi che si occupano della
questione.
La
legge 943 del 1986 è stata la prima
legge italiana in cui si prevedevano
obblighi per lo Stato e per le
istituzioni circa l’accoglienza di
persone e comunità immigrate (materia
di collocamento e di trattamento dei
lavoratori extracomunitari immigrati).
Aveva fissato all’articolo 1 il
principio generale per cui ai
lavoratori immigrati era garantita
parità di trattamento e piena
uguaglianza dei diritti rispetto ai
lavoratori italiani, compreso il
diritto alla disponibilità
dell’abitazione.
La
legge Martelli (Legge 39/90) cerca di
attribuire agli immigrati regolari gli
stessi diritti civili, economici e
sociali dei cittadini italiani, senza
imporre l’acquisizione della
cittadinanza. Ha definito interventi
che favorissero l’integrazione
sociale e culturale degli immigrati, e
messo a disposizione fondi per il
diritto all’educazione e
all’abitazione. Delle proposte
allora avanzate hanno trovato
attuazione solo quelle legate
all’emergenza, e quelle relative
alle strutture di prima accoglienza:
le soluzioni provvisorie sono
diventate il modo normale di
affrontare la questione. Ha avuto
anche la grave responsabilità di
diffondere l’idea che gli stranieri
potessero vivere in strutture poco
adeguate, “piuttosto che
niente…”.
La
legge regionale del Veneto 9/90 aveva
previsto tre tipi di soluzione al
problema abitativo:
-
l’assegnazione di alloggi erp agli
immigrati residenti da almeno due anni
nel territorio della nostra Regione
(requisiti modificati dalla
L.R.10/96);
-
la realizzazione di accordi fra enti
pubblici e privati (tra cui
cooperative ed associazioni) per il
reperimento di alloggi stabili, anche
mediante la creazione di un fondo di
garanzia e salvaguardia dei diritti
dei locatori;
-
il finanziamento di progetti (opere di
risanamento, ristrutturazione o
recupero di alloggi) finalizzati a
creare strutture di ospitalità
temporanea e per la quale era prevista
la concessione di contributi in conto
capitale.
Il
“Testo Unico delle disposizioni
concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero” (decreto
legislativo 286/98) supportata dalla
logica dell’emergenza, con cui si
era affrontata la questione; intende
disciplinare organicamente ogni
aspetto giuridico della vita dello
straniero immigrato extracomunitario
presente in Italia.
Nella
relazione sono tre gli obiettivi:
la
realizzazione di una più efficace
programmazione dei flussi d’ingresso
per lavoro;
l’aumento
della prevenzione e della repressione
dell’immigrazione illegale;
l’incremento
delle misure di effettiva integrazione
degli stranieri regolarmente
soggiornanti.
In
particolare l’articolo 40 prevede
multiple possibilità d’intervento,
a seconda del percorso migratorio,
mettendo in evidenzia l’operato che
le Regioni, gli enti sia locali sia
del settore no-profit possono
realizzare.
Il
decreto di legge Bossi-Fini peggiora
la situazione perché, inserendosi in
una logica difensiva rispetto
l’arrivo degli immigrati, rende
precaria e difficile la loro
integrazione nella nostra società.
Soluzioni?
Ne abbiamo un po’ per tutti.
Per
il governo: cambiare la politica di
emergenza e assistenziale, creando
organismi di coordinamento nazionale
delle politiche abitative, offrendo
agevolazioni fiscali per i proprietari
che affittano a stranieri; realizzare
politiche di agevolazione
all’acquisto della prima casa e
predisporre incentivi agli enti locali
per l’edilizia di case di popolari.
Per
gli enti pubblici (comuni, province,
regioni): collaborazione tra soggetti
istituzionali e non istituzionali,
promuovere l’integrazione per
abbassare la soglia di conflitto e la
diffidenza, e prevedere la possibilità
di una stipula diretta dei contratti
di locazione assumendosene il rischio
Per
le agenzie immobiliari: consociarsi
con l’edilizia pubblica mettendo in
contatto la domanda e l’offerta,
fungendo da intermediari e cercando di
appoggiarsi il più possibile alle
cooperative sociali;
Per
i datori di lavoro: finanziare
l’edilizia pubblica; cercare e
affittare case ai loro dipendenti
stranieri; farsi garanti dei loro
dipendenti alla stipula del contratto.
E
noi? Continuiamo a monitorare la
situazione, approfondendola per
collaborare con la carovana. Vogliamo molto concretamente produrre
informazione alternativa attraverso:
-
volantini con brevi frasi, dati e
fumetti che colpiscano l'attenzione di
chi legge e mettano in luce le
contraddizioni e le sfide del diritto
alla casa per tutti. Vorremmo farli
circolare alle tappe delle carovane e
distribuirli durante i vari incontri
(soprattutto quelli più legati al
tema dell'immigrazione);
-
messaggi (brevi comunicati stampa o
lettere al direttore) da spedire ai
quotidiani o giornali locali e
nazionali, chiedendo ragione della
scarsissima attenzione riservata al
problema casa, denunciandone così la
gravità ed evidenziandone le
contraddizioni;
-
una sequenza di domande che permettano
ai nodi della carovana di lavorare in
maniera interattiva con la gente del
posto;
-
storie sia di italiani emigrati
all'estero che di stranieri ora in
Italia. L’idea sarebbe di permettere
il confronto circa la fatica e le
peripezie legate alla ricerca di casa
e all'accoglienza. Pensiamo di
intervistare alcuni anziani e di
condensare eventualmente le loro
storie in un testo base, così da
offrirlo ai nodi delle carovane come
materiale di riflessione. Il tutto può
anche essere inserito nel sito,
sezione Carovana 2004.
Tu
hai qualche altra proposta?
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Tutto
il nostro impegno è nato a partire dal laboratorio
sull'informazione offertoci da Raffaello Zordan, del mensile
comboniano Nigrizia.
Offriamo qui sotto i contenuti più significativi del
laboratorio e alcune schede di approfondimento.
Questa
sezione del sito è in elaborazione: ci scusiamo per
la sua incompletezza e chiediamo a chi voglia di
contribuire con noi, scrivendoci.
Grazie e buona lettura! |
|
In
questa pagina potrai trovare progressivamente
tutti i contenuti dell' Osservatorio
sull'informazione:
1. L'informazione
di guerra
2.
SARS e i perchè di questo boom mediatico
(in preparazione)
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Che
cos'è una notizia?
Fonti, processi, tecnologie e
ideologie della fabbrica delle notizie
(25
marzo 2003)
PREFAZIONE:
Primo
di quattro incontri sull’informazione
(tenuti alla sede del G.I.M. di Padova,
presso i Missionari Comboniani),
presieduto da Raffaello Zordan,
giornalista della testata di Nigrizia.
NIGRIZIA:
mensile di dichiarato impegno missionario,
si pone come voce dell'Africa e del mondo
nero per il pubblico di lingua italiana.
Edito dalla Provincia Italiana della
congregazione dei Missionari Comboniani
del Cuore di Gesù (ente ecclesiastico
Collegio Missioni Africane), spende tutte
le sue energie per la promozione degli
africani e in particolare si batte per
l’abolizione della schiavitù,
integrando una continua opera di
sensibilizzazione alla causa dell'Africa
presso la chiesa, presso il mondo
scientifico e la società del tempo.
Scopo del laboratorio è formare le basi
per guardare in modo critico
all’informazione, facendo così capire vincoli
e limiti delle attuali fonti
informative a nostra disposizione.
Che
cos’è una notizia? Fonti, processi,
tecnologie e ideologie della fabbrica
delle notizie.
Fa
notizia ciò che è straordinario, reso
comunque tale dalla norma delle
situazioni quotidiane (ad esempio, tutti
abbiamo un’idea di famiglia in Italia,
se riscontriamo delle violenze al suo
interno abbiamo una notizia).
Fa
notizia ciò che proviene da fonti
conosciute, stimate, sicure (possedere un
ufficio stampa è il modo migliore per
entrare nell’agenda dei
giornalisti, oggi gli uffici stampa
brulicano. Dunque nelle redazioni dei
giornalisti arriva moltissimo materiale,
ma è lo spessore della fonte a
determinare la scelta della notizia).
Fa
notizia ciò che il senso comune
giornalistico e la logica del giornale
ritengono tale. Ad esempio il Mattino di
Padova non fa notizie sul Medio Oriente in
genere, ma se si trovasse una cellula di
Alkaida all’Università di Padova, la
redazione certamente vi si butterebbe:
avrebbe modo di approfondire direttamente,
e potrebbe trattare fatti dell’estero
legandoli a situazioni locali.
La
notizia dunque è determinata dalla
situazione culturale in cui si svolge, e
dalle risorse disponibili alla redazione.
Il
ruolo del giornalista oggi è cambiato:
non va alla ricerca di notizie e non va a
verificare la bontà di quanto giunto in
redazione. Questo compito è commissionato
a collaboratori esterni, che sono in
sostanza i veri giornalisti; all’atto
dell’assunzione al giornale, infatti, il
loro compito si ridimensiona al
trasformare le informazioni ottenute in un
articolo pubblicabile.
Il
giornale tratta di svariati argomenti,
dalla lettera alla fotografia
accattivante, dalla cronaca
all’economia, di turismo, qualcosa di
curioso, qualcosa di emozionante, ma quasi
tutte le testate basano il loro prodotto
su alcuni piloni portanti, tra cui fatti
di cronaca nera e realtà amministrativa.
Questo è prevalentemente legato al “processo
produttivo” adottato, che ha come
unico scopo colpire il maggior numero di
bersagli possibile: il giornale deve
vendere!
L’attenzione
del lettore viene quindi continuamente
richiamata con diversi modi, magari
mescolando informazione ad
intrattenimento, così da coinvolgere vari
aspetti dell’utente; o magari
proponendosi mensilmente invece che
giornalmente, rinunciando alla corsa
dell’ultima notizia, ma offrendo
approfondimenti su determinati fatti
accaduti, proponendo riflessioni, e punti
di vista fuori del coro.
ANSA,
REUTERS, MISNA, queste ed altre importanti
fonti d’informazioni, vendono i loro
servigi a chiunque ne sia interessato; è
da qui che i giornali recuperano gran
parte dei loro articoli. Non sempre si ha
la possibilità, né la convenienza, di
utilizzare i propri giornalisti, meglio
appoggiarsi ad altre fonti quali:
·
Agenzie
·
Corrispondenti
·
Analisti
·
Organizzazioni
non governative
·
Conferenze
episcopali
·
Organismi
ONU
·
Comunicati
governativi ufficiali
Questo
permette di sviluppare approfondimenti
basati su fonti competenti.
Importantissimo per un buon lavoro è la
disponibilità di tecnologia, solo grazie
ad essa è possibile ottenere un buon
risultato in tempi brevi: pensate se le
informazioni viaggiassero nel globo
attraverso la posta normale, potremmo non
venire mai a conoscenza di alcuni fatti.
Abbiamo
già accennato alla necessità di attirare
il lettore, incuriosirlo, e
l’impaginazione determina l’impatto
visivo, il far cadere lo sguardo
sull’articolo: la forma, le immagini, il
carattere, non devono annoiare il lettore.
Reperire le immagini però non è facile,
spesso appunto vengono comprate, ed usate
ad arte, facendo vedere solo quello che
interessa, anche con foto di repertorio
non strettamente legate all’accaduto,
per suscitare specifiche emozioni in
chi le osserva.
Utilizzando le argomentazioni trattate,
analizziamo insieme la testata di NIGRIZIA:
Come
accennato nella prefazione è un mensile,
non competete dunque sulla quotidianità,
ma si impegna nell’approfondimento.
Fonti:
non dispone di ingenti quantità di
denaro, non può quindi permettersi i
cosiddetti “inviati speciali” né
pagare società come REUTERS o ANSA; si
appoggia ad altre fonti, dagli stessi
Comboniani in missione, ai comunicati
ufficiali dei governi locali, all’ONU.
Ha inoltre contatti con agenzie
informative, si serve di analisti e di
corrispondenti locali. Poi quando è
possibile si manda anche un inviato sul
luogo.
Nigrizia,
che già compie un’opera di
evangelizzazione, è anche fonte di
informazione per altre testate, da qui la
responsabilità di cui si fa carico nel
pubblicare i propri articoli dei quali
deve garantire accuratezza e veridicità.
Processi:
si lavora sui pezzi i primi 20 giorni di
ogni mese. Nei restanti 10 giorni si
studia l’impostazione del giornale dei 2
mesi successivi, inoltre si fa l’editing;
cioè si leggono i testi che arrivano in
redazione. Molti pezzi giungono in lingua
originale e devono essere tradotti, si
inseriscono i titoli, occhielli (foglio
che precede il frontespizio di un libro o
ne separa i capitoli, sul quale è
stampato il titolo dell'opera o del
singolo capitolo) (frontespizio:
prima pagina di un libro, in cui sono
stampati il titolo, il nome dell'autore e
dell'editore, e di solito anche il luogo e
la data di stampa) e sommario.
Si
inseriscono delle foto, poiché è
importante mostrare l’Africa oltre che
scriverne. Per questo si è da poco tempo
creato una fototeca da incrementare e
organizzare.
Il
passo successivo è la cura e la gestione
delle rubriche, attraverso una stretta
collaborazione con i redattori delle
stesse.
Infine
è necessario impaginare. La grafica è
importante, poiché è lo stimolo per il
lettore a girare le pagine.
Non
dimentichiamoci di correggere le bozze!
Tecnologie:
si usa la posta elettronica; è un gran
vantaggio, poiché permette di archiviare
direttamente il materiale.
Ideologia
dell’informazione:
come in ogni giornale chi comanda è
l’editore, in questo caso i missionari
Comboniani. Nel 1958 monsignor Bartolucci
ha voluto sviluppare un giornale da quello
che prima si presentava solo come
bollettino interno periodico. L’idea che
lo anima è, come anticipato nella
prefazione, di un’evangelizzazione come
opera di liberazione. Questo si sposa con
la scelta di temi quali la giustizia, il
rapporto con le altre religioni, ecc.
Dal
1990 sono stati inseriti nell’équipe
anche i laici, prima veniva curato solo da
missionari che vi lavoravano peraltro con
buoni risultati.
LA guerra uccide
l’informazione:
Rifacendoci all’attuale conflitto in IRAQ, non dimenticandoci delle 35
guerre attualmente in corso nel resto del
mondo (dato preso da www.warnews.it,
progetto no-profit che si avvale
dell'esclusiva collaborazione di
volontari), è interessante osservare come
è variata la funzione del giornalista in
guerra: ai tempi della guerra del Vietnam,
vennero rese pubbliche argomentazioni che
finirono per sollevare polemiche tra le
masse, consapevoli di ciò, i media oggi
propongono solo quello che può convincere
della validità di tale guerra.
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CHI
COMANDA NEI GIORNALI E NELLE TIVU’?
MAPPA
DEL POTERE E DEI POTERI NEI MASS MEDIA IN
ITALIA
Per capire chi comanda nei giornali è
anzitutto necessario chiarire chi è il
direttore del giornale, che
apparentemente sembra stare al vertice e
dunque avere la responsabilità e
l’iniziativa di quanto viene pubblicato.
Invece, va ricordato che a scegliere il
direttore in un giornale è l’editore ed è proprio quest’ultimo, ci era stato già
anticipato nel primo incontro, che comanda
in un giornale. Sua è infatti,
l’abbiamo visto quando abbiamo esaminato
come funziona un giornale, anche
l’ideologia dell’informazione.
Storicamente, il direttore è l’interfaccia tra
l’editore e il giornale, ma mentre una
volta era il primo dei giornalisti e
dunque anche un bravo giornalista, ai
giorni nostri è l’ultimo dei manager e
dunque ha competenze molto diverse.
Il mercato pubblicitario televisivo si aggira intorno
ai 5000 miliardi di
lire all’anno e praticamente se
lo spartiscono Rai e Mediaset.
La Rai appartiene ai partiti. Il suo
presidente è scelto dai 2 presidenti
della Camera dei Deputati e del Senato, in
piena autonomia. In genere, comunque, di
questa scelta ne rispondono ai partiti di
appartenenza, che incidono fortemente su
di essa.
In Italia oggi dovremmo avere più informazione, che
ci è invece negata, principalmente per il
fatto che non c’è abbastanza mercato,
dunque nemmeno concorrenza. Ci manca la
possibilità di vedere una televisione
diversa e diversificata.
Per riuscirci bisognerebbe privatizzare due canali,
Rai Uno e Rai due, lasciare il terzo come
televisione pubblica sostenuta dal canone
e quindi esente dalla pubblicità e dai
condizionamenti che questa comporta.
Questa ipotesi, una volta attuata,
potrebbe svincolare le televisioni di
stato dai partiti, creare concorrenza e
dunque fornirci almeno un’informazione
diversa con un altro punto di vista, che
stimolerebbe la produzione di una notizia
qualitativamente migliore e di una
informazione più approfondita.
La situazione di oggi è infatti molto statica, nel
senso che la gente indipendentemente dal
tipo e dalla qualità della notizia
continua a guardare lo stesso
telegiornale. La televisione anche nel
fare notizia è diventata intrattenitrice
e quello che interessa oggi è più lo
spettacolo che il contenuto. Ad esempio il
TG5 non ha inviati al fronte in
Iraq, eppure la gente non cerca notizie più
fondate su altri canali, è appagata dalla
faccia di Mentana che commenta e a
rimbalzo si passa la palla con le sue
collaboratrici per fare una chiacchierata
sull’Iraq. Al pubblico interessa più la
faccia di Mentana che la notizia.
Esemplare è anche il caso di Fede, che
pure, nonostante palesemente curi più
l’aspetto estetico e spettacolare della
notizia che la sua veridicità e profondità,
fa oltre 1.200.000 spettatori ogni giorno.
Stimolante
sarebbe stata la nascita di LA7,
che, per come era concepita, avrebbe
sicuramente innescato concorrenza.
Purtroppo il progetto è stato fatto
naufragare ed essa non è riuscita a
sortire gli effetti sperati, né ad
incidere nella divisione del mercato
pubblicitario.
Un caso simile è capitato anche ad un giornale di
Trento che si era allargato nel territorio
di Verona facendo concorrenza all’Arena.
Fra editori sono giunti ad un accordo e
nonostante l’editore trentino vendesse
bene nel territorio veronese si è
ritirato nella città del Concilio in
cambio di un adeguata fetta di pubblicità.
Il
panorama delle testate, dunque, non è
molto diverso da quello televisivo.
Passiamo in rassegna alcuni dei principali
quotidiani ed esaminiamo le vendite, i
costi, i ricavi e soprattutto gli editori.
Giornali e cifre:
Il
Corriere della Sera
Fondato 1876. Vendite medie febbraio 2003: 686.079.
Proprietà: 100% Rizzoli Corriere della Sera Editori,
a sua volta di proprietà al 100% di
Hdp, Holding di partecipazioni
industriali. Chi compone l'Hdp? Tra
gli altri: Fiat, Mediobanca, Gemina,
Pesenti, Generali, Pirelli. Questi e
altri hanno fatto un patto di
sindacato e hanno in mano il 46,36%
dell'Hdp. (Controllano di fatto
il giornale, ne scelgono il
direttore, le strategie,
l’orientamento).
Ricavi/costi 1999. Corriere + Gazzetta dello Sport in
miliardi di lire
Ricavi vendite 440
Ricavi pubblicità 841
Ricavi diversi 208
Costi operativi e diversi 986
Costo del lavoro 349
Giornalisti 500 circa. Impiegati 1254. Operai 781.
Dirigenti 73.
La
Repubblica
Fondato 1976. Vendite medie febbraio 2003: 615.000
Proprietà: Gruppo editoriale l'Espresso (cui
appartengono diversi giornali
locali, Radio Capitol e Radio Deejay).
Per il 50% in mano a Carlo De
Benedetti, 8% Carlo Caracciolo, 2,34
Giulia maria Crespi.
Ricavi/costi 2000 in miliardi di lire
Ricavi vendite 277
Ricavi pubblicità 613
Costi operativi e diversi 566
Costo del lavoro 136
Giornalisti 424. Impiegati 261. Dirigenti 17.
(Non ha operai fra i dipendenti perché si fa
stampare il giornale da terzi)
Il
Sole 24 Ore
Fondato 1965. Vendite medie febbraio 2003: 405.000
Proprietà: Editrice il Sole 24 Ore, al 90% in mano a
Confindustria e al 10% a Il Sole 24
Ore Spa.
Ricavi/costi 1999 in miliardi di lire
Ricavi vendite 318
Ricavi pubblicità 327
Ricavi diversi 111
Costi operativi e diversi 415
Costo del lavoro 172
Giornalisti 267. Impiegati 778. Operai 122. Dirigenti
58.
La
Stampa
Fondato 1867. Vendite medie febbraio 2003: 318.000
Proprietà: 100% Fiat Spa. (E’ di fatto il
giornale della famiglia Agnelli)
Ricavi/costi 1999 in miliardi di lire
Ricavi vendite 143
Ricavi pubblicità 186
Costi operativi e diversi 211
Costo del lavoro 103
Giornalisti 318. Impiegati 229. Operai 109. Dirigenti
12.
E’un
giornale fortemente regionale per
quanto riguarda la diffusione. Si
vende moltissimo in Piemonte e zone
limitrofe, ma assai meno nel resto
d’Italia.
Avvenire
Fondato 1897. Vendite medie febbraio 2003: 97.000
Proprietà: 100% Nuova editoriale italiana, che
appartiene al 75% alla Cei
attraverso la Fondazione S.
Francesco d'Assisi;
soci di minoranza sono Luigi
Abete, Vittorio Merloni e altri.
Ricavi/costi 1998 in miliardi di lire
Costi di gestione 26,2
Contributo dello stato 12,2
Perdite 3,2
Nigrizia (che ricordiamo è un mensile)
Fondata 1883. Vendite medie mensili 2002: oltre
20.000
Proprietà: 100% Collegio Missioni Africane dei
Missionari Comboniani
Ricavi/ Costi 2001 in milioni di lire
Ricavi 746
Costi 836
Giornalisti 3. Impiegati 4. Operai 1. (il direttore e
l'amministratore sono comboniani)
|
Va tenuto presente che si vendono al giorno circa
6.000.000 di copie di giornali.
La televisione, invece,
“cattura” 30 milioni di persone al
giorno.
Analizzando questi dati muoviamo comunque una
riflessione sul rapporto tra fonti e
giornali. E’ evidente, infatti che una
rivista come Nigrizia non ha i mezzi per
approfondire tutti gli argomenti che si
prefigge. Ad esempio Raffaello
(giornalista di Nigrizia) sottolineava che
ha dovuto rinunciare a scrivere un pezzo
per un amico di un giornale sindacale che
voleva un approfondimento sul lavoro (da
un punto di vista contrattuale) in Africa,
perché se la scrittura in sé non
richiedeva molto tempo, non gli era
comunque possibile fare ricerche, e
trovare due o tre giorni per cercare
materiale.
Il Corriere della sera, che ha invece quasi 500
giornalisti, ha effettivamente a sua
disposizione tutto il personale per
potersi permettere di inviare qualcuno
dove serve, a verificare, approfondire,
capire. Lo fa? Non sempre. Questo perché
ormai non c’è la necessità di farlo,
non c’è lo stimolo, la volontà di
produrre una notizia più qualificata.
Ormai il mercato pubblicitario è ben
spartito. Essere più qualificati non
modificherebbe i guadagni e, anzi,
sollevare certe questioni procurerebbe
eventuali ritorsioni anche penali e
notevoli problemi con l’editore stesso.
Scrivere certi articoli per un giornalista
può comportare il rischio di finire a
fare pezzi di cronaca regionale.
Che ruolo ha il giornalista in tutto questo? Ha lo
spazio per fare un lavoro qualificato? Per
come è strutturata la carriera del
giornalista, un giornale ha tutto il tempo
di capire se un giornalista fa o non fa
per lui. Infatti per diverso tempo, prima
di essere assunti direttamente, i
giornalisti lavorano come collaboratori
esterni. (Va ricordato, come dicevamo al
primo incontro che i veri giornalisti sono
proprio i collaboratori, poiché nel
momento in cui un giornalista viene
assunto smette di fare ricerche,
“conquista” una scrivania e comincia a
pensare a scegliere le notizie fra le
tante che arrivano in redazione, alla
veste esterna da darle, a come
presentarla, più che a verificarla ed
approfondirla. L’assunzione non passa
tramite concorso, ma attraverso il
direttore che non necessariamente valuta
la bravura del giornalista. Anzi sembra
che gli agganci politici e le conoscenze
facilitino molto l’assunzione.
Chiaramente il fatto di non fare più un
grande lavoro di ricerca e di restare
spesso lontani dalle fonti ostacola la
qualità della notizia per il lettore, e
in ogni caso continuano a mancare lo
stimolo e la necessità di puntare ad
essa.
Il peso dell’editore è bilanciato in parte dal
comitato di redazione che può discutere
eventuali scelte con il direttore. Si
tratta di un organo interno al giornale
stesso, di cui fanno parte alcuni
giornalisti e che può avanzare lamentele
o chiedere spiegazioni se una notizia è
tacitata, trascurata ecc.
Come possiamo noi discernere se una notizia è buona
oppure no? Da dove dobbiamo partire per
diventare consumatori critici
dell’informazione?
Anzitutto si parte dalla propria realtà, locale o di
interessi. Bisogna allenarsi a
riflettere su quanto viene raccontato,
poiché la notizia è comunque sempre
manipolata, si tratta dunque di capire
come, di prenderne coscienza, di pesarla
per quello che vale. Il fatto di
diventare consumatori
critici dell’informazione è
fortemente connesso al tipo di cittadini
che vogliamo essere. E’ ovvio che
bisogna spenderci tempo, impegnarsi a
leggere, magari non solo un quotidiano, a
confrontare.
Consumare
criticamente l’informazione vuol anche
dire interagire con essa e dunque
segnalare, laddove siamo coinvolti
direttamente, eventuali errori o
incomprensioni dei fatti da parte dei
giornalisti che hanno curato i pezzi.
Basta una semplice lettera al giornale.
Questa ha infatti il suo peso nel lavoro
del giornalista che si vede contestato il
suo operato apertamente, soprattutto nel
caso in cui l’episodio sia frequente.
Inoltre permette di correggere
l’archivio dove quella notizia è
depositata, e siccome per tutti i pezzi
successivi relativi allo stesso argomento,
l’archivio è un punto di partenza e di
riferimento evitiamo così, che nel tempo
la deformazione o l’errore
“degeneri”, continuando a produrre
cattiva informazione.
Vale la pena di comprare e leggere il giornale? Per i
soldi che costa un quotidiano, è
sufficiente trovare un articolo utile ed
interessante per essere ripagati della
spesa e solitamente uno c’è in tutti i
giornali.
Chiudo con un contributo personale che mi sembra in
tema con gli spunti offerti da Raffaello a
proposito della notizia come bene di
consumo, dell’informazione che diventa
intrattenimento e delle mappe del potere.
Vi giro una riflessione che ha condiviso
con me un amico a cui avevo raccontato di
questo laboratorio:
“Bellissimo,
qui negli Stati Uniti ho imparato
tantissimo sull'informazione. Qui sono
bravissimi: l'arte di fare credere quello
che si vuole!!!Ti ho raccontato del mio
servizio civile in Italia? Sono stato per
una settimana alla RAI a Roma e ti devo
dire che non ho respirato aria tanto
diversa da quella degli Stati Uniti.
L'informazione si divide in due categorie:
1) quella che tu paghi (per sentirti dire
quello che vuoi)
2) quella che ti viene data gratis (per
farti cambiare idea)
Immagino che non sarai in sintonia con la
mia visione (lo spero vivamente).
Informazione = Marketing? Sigh...
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Mercoledì,
09-04-03
Sono
intervenuti alla serata Raffaello Zordan
giornalista di Nigrizia, i Missionari
Comboniani e circa venti ragazzi.
La
televisione, nel bene e nel male,
rappresenta, che lo si voglia o meno, il
punto di riferimento essenziale per lo
studioso, per il sociologo, per lo storico
del domani e infine (e più importante)
per il venditore di pubblicità porta a
porta.
L’argomento
che ho sentito trattare mercoledì 9
aprile 2003 mi ha molto interessata e
quindi è con facilità che ricordo i
punti trattati.
L’auditel,
questo mostro che sembra dettare la linea
giornalistica e anche politica di
qualunque cosa venga detta e fatta in
televisione.
Dietro
al mostro sappiamo esserci interessi di
migliaia di miliardi, comunque interessi
così grandi che coinvolgono individui e
multinazionali, e condizionano le nostre
scelte toccando persino il nostro
sub-limite.
Gli
argomenti che abbiamo trattato
riguardavano appunto la televisione, l’auditel,
i TG, Murdoch, i vestitini in pelle delle
croniste, la parlantina di Mentana, la
strafottenza di Fede, il valore assoluto
dei principi di pubblicità.
Si
è parlato della costruzione dei TG
prendendo in esame il TG1, il TG2 e il
TG5.
Ognuno
è fatto secondo una linea editoriale ben
precisa, da cui il conduttore o i
conduttori non si distaccano che
raramente.
Il
lettore del TG1 seduto come i suoi
predecessori, deve trasmettere ottimismo,
spirito critico ma non troppo, e deve
attenersi sempre e comunque, sia per la
scaletta, sia per il tono, a quello che
viene stabilito nel comitato di redazione;
questo comitato impagina il suo giornale,
il TG, dovendo barcamenarsi fra le
richieste, i quasi ordini, le suppliche a
seconda del clima politico vigente, dei
partiti politici e talvolta dei gruppi di
pressione.
Il
TG5 si avvale specialmente, in
considerazione del fatto che è di
proprietà privata e che il suo conduttore
è in qualche modo condizionato da questa
proprietà, di un modo di porgere le
notizie solo in apparenza sbrigativo e
sicuro (per distinguersi dagli altri TG).
Il
TG2 interviene da ultimo con il suo
cambiamento di scenografia e i titoli
delle notizie che scorrono e che secondo
me distraggono l’ascoltatore, e tenta di
avvincere una parte dello share con
l’annuncio di notizie parzialmente
omesse o trascurate dagli altri due TG più
paludati.
La
vicenda Murdoch è legata agli amori e
agli interessi del cavalier Silvio Banana,
come lo chiamano in alcuni ambienti
giornalistici.
Il
Ty-coon australiano, con il genio (!)
degli affari, è politicamente schierato
nell’ultra destra ed è accolto in pompa
magna a Palazzo Chigi; metterebbe le mani
su Stream e probabilmente su La7, a patto
che si avvalga della pubblicità fornita
da Publitalia: con tutti i danni indotti
per il Paese, strozzato fra un cavaliere
sempre più avido e un miliardario
straniero alieno dalle nostre misure e dai
nostri ricordi storici.
La
serata si è conclusa con la lettura,
l’analisi e la correzione di due
articoli giornalistici sulla conferenza di Mons. Martino scritti da
alcuni dei ragazzi presenti.
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Riflettevo.
Si parla tanto di libertà di stampa.
Sono scettica al
riguardo.
L’informazione è
sempre guidata.
Chi tenta di fornire
notizie oneste fra virgolette fa sempre un
buco nell’acqua.
Non ci può essere
vera libertà di stampa.
Il segno dei nostri
tempi è la manipolazione.
Sbirciando i titoli
sulle prime pagine dei quotidiani ci si
accorge che sono più o meno tutti uguali.
Io so, per le mie
abitudini di lettrice, per la mia curiosità
intellettuale, che tutti quei quotidiani,
compreso quello che leggo di solito, sono
divisi in schieramenti e che sotto i
titoli ci sono interpretazioni dei fatti
spesso opposte, che gli editorialisti non
sempre scrivono tutto ciò che pensano, ma
spesso cercano di “attivare” i buoni
motivi dei lettori.
Chi volesse fare
stampa alternativa distinta da quella così
detta ufficiale, corrente, distribuita sul
territorio, si trova di fronte a ostacoli
sì previsti, e n ella realtà
insormontabili.
Il Manifesto, è
stato più volte costretto a ricorrere ad
aiuti straordinari dei suoi stessi lettori
e di chi volontariamente offriva un obolo
per il mantenimento in vita di un giornale
sì “nemico”, ma allo stesso tempo
importante per la vita democratica = una
voce fuori dal coro.
Molti giornalisti ora
famosi collaboratori delle famose testate
nazionali, si sono fatti le ossa nelle
redazioni di piccolissimi quotidiani, o
settimanali, o di giornali che uscivano un
giorno sì e l’altro no.
L’uscita di un
quotidiano è legato specialmente alla
quantità di denaro che si riesce a
reperire.
Molti degli attuali
piccoli quotidiani ideologicamente
schierati, hanno bisogno del sostegno
dello stato.
In queste
redazioni-cucina-camera da
letto-salecollegamenti con le agenzie di
stampa, sono cresciuti fior di
giornalisti.
Gad Lerner, Paolo
Liguori, Giuliano Ferrara, Gianni Riotta
ed altri ancora, portavano le pezze ai
pantaloni prima che l’età, la fine
delle illusioni giovanili, l’avvicinarsi
di un’epoca della vita che pretende
altri e più remunerati “colori”, li
convincesse ad abbandonare le officine
sperimentali di un giornalismo, che dava
lustro anzitutto a loro stessi, e quindi a
chi li leggeva.
La contrapposizione
feroce fra opposti interessi ha cancellato
la libertà dei media.
Forse alcune voci
sono rimaste libere.
Ma si dà il caso che
il grido di dolore lanciato sulle prime
pagine del Corriere da uno scrittore
famoso contro la guerra in Iraq,venga
soverchiata, quasi annullata da uno
stillicidio di notizie di natura
esattamente opposte.
Per chiudere il
lettore va alla ricerca di articoli che lo
convincano nelle idee preconcette, e
cancella dentro di sé, mette
nell’angolo quelle che sono in
antinomia.
i buoni motivi dei lettori.
che
pensano, ma spesso cercano di "nterpretazioni
dei fatti spesso opposte, che gli
editorialisti
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Laboratorio
sull’informazione
Revisione finale
(22.04.03)
Dopo quattro
incontri condotti dal brillante Raffaello
Zordan, ci ritroviamo solo tra noi a mo’
di revisione, per individuare eventuali
prospettive d’azione.
Emergono alcuni
commenti sul laboratorio appena concluso;
ecco i punti che sono risultati più
interessanti:
·
l’informazione deve
sapersi confrontare con il ‘senso
comune’: ci provoca la necessità di
dialogare e incontrare tutti, anche i più
diversi nel loro pensiero.
·
È importante riconoscere
che ogni opinione ha il suo punto di vista
e che non esiste un unico luogo di
osservazione. L’attenzione alla
sfumature è un esercizio difficile ma
essenziale, per evitare stereotipi o
fondamentalismi anche in buona fede.
Accettare le differenze, insomma.
La verità è un insieme di sguardi. Per questo è essenziale
l’accesso alla pluralità delle fonti:
più che parlare di informazione
alternativa, si può parlare di ‘persone
alternative’, che non si fissano cioè
sempre e solo su di un unico punto di
riferimento.
·
Un punto chiave del corso è
stata la riflessione sul ‘consumo
dell’informazione’, comprendendo che
la notizia è un bene da vendere. E’ il
marketing che guida le logiche dei media,
nulla più. I dati concreti forniti da
Raffaello in questo sono stati
emblematici.
In questo senso, però, la legge del mercato e della concorrenza non ha
provocato una differenziazione dei
prodotti e una competizione qualitativa:
al contrario, ha fruttato un
appiattimento, un’uniformità, un
conformismo socialmente accettati. Forse
le troppe fonti provocano l’abbandono
impotente e cieco di chi si vede costretto
a fidarsi di una di esse.
L’esercizio della criticità per noi è faticoso ma essenziale.
Ci sono alcuni punti che avremmo potuto trattare di più
(proposte per un prossimo laboratorio?) e
alcuni aspetti da curare meglio:
-
una riflessione sulle
multinazionali dell’informazione a
livello mondiale
-
la storia dell’informazione e il
processo che ci ha portato fin qui
-
la logica della pubblicità:
marketing e psicologia
-
elaborazione delle immagini e
montaggio
-
gli effetti della tivù in questi
anni: che tipo di popolo ha prodotto la
tivù?
ü
la proposta nei suoi
contenuti avrebbe potuto essere più sotto
forma di vero ‘laboratorio’,
interattivo, con contributi concreti dei
partecipanti (bella l’iniziativa
dell’articolo e della discussione in
comune). Certo, per questo tipo di
interazione occorre del tempo: si possono
organizzare gli incontri di tre ore: una
per introdurre i contenuti, una per lavori
di gruppo e una per mettere tutto in
comune
ü
con più tempo a
disposizione, si sarebbe potuta dividere
meglio l’analisi della carta stampata da
quella della tivù
Fatta
questa revisione, notiamo delle domande
che ci provocano in vista del futuro:
Se dobbiamo
accettare le sfumature e i diversi punti
di vista, arriveremo a relativizzare
tutto? Esiste un punto di vista comune da
cui partire? Ci siamo detti che il nostro
corso prende spunto da una comunità
missionaria e da questa passione condivisa
da tutti noi. Questo è il nostro punto di
vista comune: quello di chi guarda al
mondo con gli occhi della gente
(soprattutto in Africa o in America
Latina) e dei più esclusi.
A
partire da questo punto di vista, chi
vogliamo raggiungere e come? Quali fonti
andiamo a cercare? Con chi ci
confrontiamo? C’è del materiale
sistematizzato che possiamo offrire agli
altri?
Notiamo
che occorre curare sempre due dimensioni,
una interna e l’altra esterna. E’
importante cioè rafforzarci noi, con
criticità e capacità di comunicazione.
E’ importante però non perdere mai di
vista l’obbiettivo di raggiungere altri
e offrire a più gente possibile la nostra
lettura della realtà.
Fatte
queste premesse, nascono varie proposte
(tra cui aggiungo in archivio alcune mie);
scegliamo di impegnarci su quelle
riportate in grassetto:
v
curare una sezione del
sito specifica sull’informazione: si
comincerà con i contributi dei quattro
incontri di Raffaello
ü
realizzare un altro
laboratorio, una tappa di approfondimento
ü
collaborare con altri gruppi
che richiedano il nostro contributo di
riflessione (cf. il manifesto preparato
per la conferenza stampa in Piazza della
Pace)
ü
diffondere le proposte dei
comboniani (campi, carovana, attività…)
ü
realizzare un forum di
discussione (potrebbe essere in futuro
quello di www.giovaniemissione.it
)
ü
collaborare di più con
Radio Cooperativa e la trasmissione Caffè
Macondo
ü
entrare nel mondo della
scuola o far passare anche là i nostri
materiali
v
creare un ‘salotto
dell’informazione’, un osservatorio
critico dell’informazione, un luogo in
cui continuare ad incontrarsi affrontando
temi legati all’informazione: è la
proposta che appassiona di più e che
scegliamo come continuità effettiva del
Laboratorio sull’informazione.
Presentiamo meglio sotto le
caratteristiche.
v
valorizzare di più il
Centro Documentazione Paulo Freire:
l’occasione dell’osservatorio sui
media ci permetterà di farlo.
L’Osservatorio
sull’Informazione (il nostro ‘Media
Watch’) si propone una lettura
collettiva, approfondita e critica della
notizia. Ci incontreremo ogni due
settimane, al martedì sera, presso i
missionari comboniani a Padova, per
condividere ciò che nelle due settimane
abbiamo letto, visto, ascoltato.
Costruiremo insieme informazione, mettendo
a confronto le nostre fonti e
analizzandone i contenuti e i metodi. Ogni
volta ci proporremo un tema diverso su cui
focalizzare la nostra lettura (per la
prossima volta, martedì 6/5 ore 19.30, il
tema sarà l’Informazione di Guerra).
Incontrarsi ci permette di costruire dinamiche comunitarie di confronto
anche sulla nostra esperienza di vita. Per
ogni incontro ci sarà un coordinatore
diverso, a turno, per coinvolgerci tutti,
e un segretario a turno che si occuperà
di raccogliere i contributi di tutti per
metterli a disposizione di altri nel sito:
si potranno creare così dei piccoli
dossier di informazione critica a servizio
di tutti.
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Osservatorio
sull'informazione
L’Osservatorio
sull’Informazione (il nostro ‘Media Watch’) si propone una
lettura
collettiva, approfondita e critica della notizia.
Ci
incontreremo ogni due settimane, al martedì sera,
presso i missionari comboniani a Padova, per
condividere ciò che nelle due settimane abbiamo
letto, visto, ascoltato.
Costruiremo
insieme informazione, mettendo a confronto le
nostre fonti e analizzandone i contenuti e i
metodi. Ogni volta ci proporremo un tema diverso su
cui focalizzare la nostra lettura (qui
sotto i temi finora trattati).
Incontrarsi
ci permette di costruire dinamiche comunitarie di
confronto anche sulla nostra esperienza di vita. Per
ogni incontro ci sarà un coordinatore diverso, a
turno, per coinvolgerci tutti, e un segretario a turno
che si occuperà di raccogliere i contributi di tutti
per metterli a disposizione di altri nel sito: si
potranno creare così dei piccoli dossier di
informazione critica a servizio di tutti.
Primo
incontro: L'informazione di Guerra
(6
maggio 2003)
Abbiamo
visto, per iniziare a trattare l’argomento, un
cortometraggio realizzato dal regista Amos Gitai,
tratto dal film “11 settembre 2001”. Gli 11 minuti
di video ci hanno suggerito alcuni spunti di
riflessione:
·
Nessuno dei protagonisti sulla scena
ascolta gli altri provocando l’annullamento della
comunicazione;
·
La notizia è ciò che decide il
giornalista e dunque rischia di diventare non fine ma
strumento per realizzare uno scoop.
·
L’informazione diventa morbosa ed
intralcia i tentativi di soccorso.
·
Il testimone cerca di imporsi al centro
dell’attenzione facendo venir meno l’importanza
della notizia.
I
giornalisti che si impegnano a raccontare una guerra,
come quella in Iraq, non sono preparati a seguire
l’esercito. Non hanno le competenze necessarie per
giudicare con realismo un contesto di guerra e tendono
ad esasperare qualsiasi situazione di tensione stiano
vivendo. Il risultato sono notizie piene di emotività,
in cui si assolutezza un solo piccolo punto di vista.
All’emotività
si aggiunge la frenesia: c’è sempre bisogno di
notizie fresche per soddisfare un pubblico che in
occasione dell’evento si fa improvvisamente più
esigente. Accade, così, che molti giornalisti
prendono dei granchi e le notizie debbano essere
puntualmente ratificate. I giornalisti al fronte sono
molti ma, quasi tutti, sono talmente legati agli
eserciti anglo-americani, da non poter svolgere
indagini a tutto campo su ciò che accade.
L’informazione risulta perciò parziale: giornali e
telegiornali sono i megafoni dei comunicati stampa
degli ufficiali. Lo scoop si piega spesso e volentieri
alla propaganda (vedi il salvataggio della giovane
studentessa soldato).
Rispetto
a dieci anni fa si registrano alcuni fatti nuovi:
·
La CNN non ha più il monopolio delle
immagini di guerra, soffre la concorrenza interna (FOX,
NBL) e soprattutto quella dei canali in lingua araba (ALJAZEIRA)
·
Internet crea spazi nuovi dove possono
nascere fonti di informazione alternative:
- i BLOG, diari a cui tutti possono accedere e
che offrono punti di vista inconsueti ma che molto
spesso vanno ripuliti attraverso una lettura
complessiva – interessanti siti internet quali Peace
Link e Articolo21liberidi.
Abbiamo
rivelato come l’eccesso d’informazione diventi
deleterio per la memoria in quanto non è più
possibile focalizzare i fatti veramente importanti.
L’informazione
conferma ancora di più la sua parzialità quando
accentra l’attenzione su una guerra solo perché
coinvolge l’occidente, dimenticandosi degli oltre 40
conflitti in corso.
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Approfondimenti/1
TV,
NON M'INGANNI PIU'
Non e' semplice cambiare il modo d'agire dei grandi
gruppi di comunicazione. La chiave della
trasformazione, o almeno della resistenza,è' oggi
nelle mani dei cittadini in grado di fare una lettura
critica dei media. Da qui nasce l'importanza di
un'Educazione ai media, che Volontari per lo Sviluppo
sta rilanciando attraverso corsi per adulti e seminari
nelle scuole. Uno strumento per scoprire i segreti del
prestigiatore. E formare cittadini democratici.
Dieci i punti principali da cui si puo' partire per
lavorare:
1) I media costruiscono la nostra cultura.
La nostra percezione della realta' e' modellata dai
mezzi che usiamo per comunicare. Ma gli stralci di
realta' presentati dai media non sono la verita' nella
sua completezza. Cosi', per avere un quadro ampio dei
diversi avvenimenti occorre conoscere almeno: chi
emette cosa? Con quale scopo? Perche' un'informazione
viene data in un determinato momento piuttosto che in
un altro? E ancora: perche' sono stati scelti quei
particolari dettagli della storia? Le cifre che
offrono hanno un significato? Che cosa puo' esser
stato nascosto? Questo servizio e' davvero piu'
importante degli altri?
2) I media contengono messaggi ideologici e di valore.
Osservare i valori che ci sono dietro ogni storia
permette di trasformarci da consumatori passivi a
cittadini attivi, in grado di contrastare le logiche
che oggi reggono la produzione di informazione,
cultura e comunicazione, ad esempio: la vita e' solo
per i vincenti, bisogna primeggiare in tutti i campi,
la felicita' consiste nel "possedere", tutto
facile e si puo' ottenere velocemente, il prestigio e'
dato dall'ostentazione di un prodotto, per vincere non
serve altro che "apparire".
3) I media usano tecniche identificabili.
Avvicinandosi alle logiche di funzionamento dei media,
si possono cogliere fenomeni come quello dell'autoreferenzialita'
mediatica. Questo significa che i mezzi di
comunicazione pubblicizzano notizie magari non
importanti di per se', ma che diventano tali nel
momento in cui sono state (o stanno per essere)
pubblicate da un altro media. Un esempio: il
matrimonio di un calciatore. Se una testata che
appartiene allo stesso proprietario della squadra
considera importante quel fatto, cosi' da pubblicarlo,
molto probabilmente altri media faranno eco alla
notizia. E poiche' i media spesso hanno rapporti anche
con case editrici, discografiche o cinematografiche, o
con ditte di telecomunicazioni o informatica la
suddetta autoreferenzialita' diventa una spirale
infinita. Saper interpretare la logica mediatica e' un
altro fattore importante che ci permette di capire
come mai la stessa notizia che un giorno apre i
telegiornali e le prime pagine dei quotidiani, il
giorno seguente cade nell'oblio, con la rapidita' con
cui la schiuma sale e scende in un boccale di birra.
La mucca pazza, il divieto di caccia alle balene,
l'inquinamento dei mari, il buco nell'ozono, sono
esempi tipici. Ma e' l'Aids la miglior
rappresentazione di questo modo di agire dei media.
Solo quando la malattia ha colpito personaggi famosi
se n'e' parlato. Ora che non si percepisce come un
grave problema sanitario nel Nord del pianeta, il tema
e' passato nel dimenticatoio e pochi si ricordano dei
1.600 bambini che muoiono ogni giorno a causa della
malattia o dei 32 milioni di persone affette dal
virus.
4) Ogni persona interpreta diversamente i messaggi.
Se e' vero che i media trasformano i concetti
tradizionali di spazio (sembra che gli avvenimenti
accadano nel proprio quartiere) e di tempo (utilizzo
di un presente continuo con pochi riferimenti al
passato o al futuro, e una prevalenza dell'effimero),
e' altrettanto vero che spesso ogni persona costruisce
i propri significati, le proprie opinioni, proprio a
partire dai media.
5) Le immagini si leggono in modo diverso rispetto ai
testi.
Le immagini offrono un tipo di conoscenza
caratterizzato dalla velocita', dalla fluidita' e dal
decentramento, che ci fanno vedere il mondo in modo
molto diverso da quello rappresentato
tipograficamente. Le tecnologie basate sulle immagini e sull'interattivita'
fanno si' che l'intelligenza sequenziale, che finora
ha caratterizzato l'Occidente nella costruzione delle
proprie conoscenze, ceda ogni giorno di piu' il passo
all'intelligenza simultanea.
6) I media sono piu' potenti quando toccano le
emozioni.
La sostituzione di caratteristiche quali importanza e
attualita' di una notizia con quelle di interesse,
novita' e verosimiglianza, fa si' che i media facciano
piu' spesso richiamo alle emozioni.
7) La maggior parte dei media sono controllati da
interessi commerciali.
Nessun mezzo e' gratuito, per cui conoscere i
proprietari dei media e le loro logiche commerciali ci
permette di "digerire" le informazioni che
consumiamo (vedi box).
8) I media costruiscono mondi di fantasia.
I media non solo riproducono la realta', spesso la
creano, originando cosi' un mondo diverso da quello
quotidiano e "reale" delle persone. Ad
esempio, i tempi utilizzati sono molto diversi da
quelli reali, una persona puo' nascere, diventare
adulta e morire in due ore.
9) I messaggi dei media possono essere decodificati.
Nei media esiste una retorica della esattezza dei
dati, che opera illustrando cifre e risultati, cosi'
da dare una parvenza di obiettivita' ai messaggi
offerti e produrre consenso. Anche l'adulazione, la
ripetizione, il timore, l'umore, le parole potenti e
le immagini sessuali sono tecniche particolarmente
comuni ed efficaci ai fini della persuasione. Un
metodo per decodificare i messaggi nasce a partire da
cinque domande: Come sappiamo quello che sappiamo? Chi
parla? Che cosa causa un avvenimento, un fatto? In che
modo i fatti avrebbero potuto essere presentati in
modo diverso? Chi ha determinato cos'e' rilevante?
10) Diventare "consumatori attivi e
consapevoli" dei media.
Confrontare le prime pagine di piu' quotidiani di
diverso indirizzo (anche su Internet) e' un semplice
trucco per guardare gli eventi da piu' punti di vista
e cercare di farsene un'idea propria. Incrociare mezzi
di informazione diversi sulla stessa notizia (tv,
giornali, agenzie in rete).
Astenersi dalle trasmissioni di puro intrattenimento
che contengono in se',di fatto, una potente forza di
modellamento ideologico e di valore (punto 2). Seguire
anche qualche media slegato dai grandi gruppi (tv
locali, giornali indipendenti, siti di diversa
natura). Sono piccoli passi. Ma che possono aiutare ad
acquisire capacita' di osservazione e interpretazione
critica delle cose che si vedono o leggono. Senza
demonizzare i mezzi di informazione che, se ben usati,
ci aprono la strada per trasformare in conoscenza
l'enorme quantita' di dati oggi disponibili,
l'Educazione ai media cerca di formare persone caute.
O, per dirla con Ambrose Bierce nel suo Dizionario del
diavolo, persone "prudenti": "quelle
che credono alla meta' di quanto vedono, a un quarto
di quanto ascoltano e a una quinta parte di quanto
sentono con l'olfatto o toccano con il tatto".
[] Bibliografia minima:
AA.VV., Media activism, Derive Approdi, 2002.
C. Ottaviano, Media, scuola e societa', Carocci, 2001.
P.C. Rivoltella, Media education, Carocci, 2001.
M. Tricarico, Insegnare i media, GS Editrice,
1999.
M. Morcellini, La tv fa bene ai bambini, Meltemi,
2001.
J. Gonnet, Educazione, formazione e media, Armando,
2001.
[] Siti web da non perdere:
http://www.medmediaeducation.it/
(Associazione Italiana per l'educazione ai
media e alla comunicazione)
http://www.formedianet.it/
(Gruppo di professionisti della formazione e dei
media che fanno Em)
http://www.zaffiria.it/
(Centro permanente per la formazione ai mass media)
http://www.osservatorio.it/index.php
(Tutela il pluralismo sociale,
culturale e politico nei mezzi di comunicazione)
http://www.medialit.org/
(Center for Media Literacy).
http://www.mediaed.org.uk/
(Sito inglese sull'Em)
[] BOX 1
Informazione e conflitti: nove tecniche di
manipolazione
IL REPORTER VA ALLA GUERRA
Gioco di ruoli. Per fare una guerra e poter contare
sul consenso dell'opinione pubblica deve crearsi un
gioco di ruoli: ci deve essere un Cattivo, contro il
quale dobbiamo combattere, una vittima da difendere, e
i Buoni che annienteranno il cattivo per portare pace,
democrazia e giustizia. Il Cattivo se non e' cosi'
chiaro va costruito, in modo che lo diventi in modo
inequivocabile. Per farlo si possono usare diversi
mezzi, tra cui la denominazione, l'uso di immagini
choc che scatenino rabbia, odio e forte indignazione
dell'opinione pubblica, la riscrizione della sua
storia in modo parziale e univoco senza mai citare
legami e contesti.
L'inganno puo' avvenire per occultamento, inondazione
di dati, sottrazione di vittime e moltiplicazione di
danni. Un esempio del "gioco" e' stato
l'Afghanistan. C'erano i cattivi (i talebani), i buoni
(gli americani) e le vittime da difendere
(l'Occidente, la democrazia, le donne).
Denominazione. Il modo di chiamare cose e persone in
una strategia della manipolazione e' fondamentale.
Milosevic si chiama Slobodan, e' "il
presidente" della Serbia ai tempi della guerra in
Serbia, il presidente della Yugoslavia ai tempi del
conflitto Nato-Kosovo. Nel 1994, ricorda Ennio
Remondino, inviato della Rai, alla cerimonia di Parigi
per la firma degli accordi di pace sulla Bosnia a
Dayton, Bill Clinton si rivolse ai suoi interlocutori:
"Mister president Milosevic, mister president
Tudjman, Mister president Izetbegovic". Dopo il
suo arresto gli aggettivi cambieranno da
"dittatore" (quando fu eletto
democraticamente) alla "belva dei Balcani".
E il presidente croato Tudjman, famoso per i suoi
massacri in Bosnia, morira' nel silenzio generale
senza alcuna accusa infamante, con il beneplacito di
tutta la comunita' internazionale.
Effetto dissolvenza. Quanto piu' un fatto viene
"urlato" tanto piu' in fretta scivolera'
via. In generale, in caso di conflitti e' sempre bene
che la guerra duri il minor tempo possibile, per non
spaventare la gente e soprattutto perche' non si
cominci a dubitare della "giusta causa"
dell'intervento.
Effetto panna montata. È definita cosi', da
Remondino, la notizia - vera o falsa - talmente
montata che nella sua esagerazione diventa realta'
(vedi il Mullah Omar, cieco da un occhio, che si alza
la sottana e fugge in motocicletta).
Effetto Zoom. È quello che si usa raccontando un
piccolissimo segmento dei fatti e slegandolo da
qualunque contesto storico, sociale, geografico,
economico, politico, passato e futuro. Quali erano i
legami di Osama bin Laden con George Bush? Chi l'ha
messo al potere? Chi vende le armi a Saddam Hussein?
Un esempio eccellente e' la recente copertina di Time
dedicata alle tre donne dell'anno, una e' colei che ha
denunciato l'Fbi per non aver saputo (o voluto)
gestire le numerose segnalazioni e informazioni che
preannunciavano l'attentato dell'11 settembre. Non una
parola, pero', ne' dei media italiani ne' di quelli
americani sul significato di questo premio all'interno
dell'indagine sulle responsabilita' dell'Fbi e del
governo americano.
Cifre impazzite. Quello delle cifre e' davvero un dato
difficile da verificare. Soprattutto quando i fatti
sono lontani. Il comando Nato alla fine della guerra
contro Milosevic espose il bilancio del suo bottino:
120 tank, 220 blindati e 450 cannoni distrutti.
Qualche settimana dopo, Newsweek pubblico' il bilancio
segreto dell'Us Air Force sui bersagli veramente
colpiti: in 78 giorni di bombardamenti ininterrotti
l'Alleanza Atlantica aveva distrutto 14 tank, 18
blindati e 20 pezzi d'artiglieria. Nel 1989, durante
la rivoluzione rumena, si denuncio' il
"massacro" di Timisoara con 4.362 morti
mutilati e torturati. I morti erano un sentito dire.
In realta' c'erano solo 13 cadaveri di senza dimora
che erano stati sottoposti, una volta deceduti,
all'autopsia obbligatoria per legge. Per Ignacio
Ramonet questo fu "il piu' grande inganno
mondiale dopo l'invenzione della televisione".
Guerra e pace mai! Bandita la parola
"guerra" che potrebbe suggerire comunque
immagini di vittime, morti, magari anche innocenti,
case distrutte e sfollati. Meglio usare sinonimi piu'
soft: campagna, missione umanitaria,
operazione antiterrorismo, operazione di polizia, al
massimo conflitto, intervento militare, azione armata.
Le invenzioni piu' geniali sono state quella di bin
Laden con la "guerra santa" e l'italianissima
"guerra umanitaria". Allo stesso modo, la
pace non e' quasi mai "pace", ma un
"cessate il fuoco" o un
"armistizio".
Opzione zero. Cosi' definita da Mimmo Ca'ndito,
inviato de La Stampa; e' il nuovo teorema del campo di
battaglia: per mantenere il consenso e il sostegno
dell'opinione pubblica, non ci devono essere morti tra
gli our
brave boys (i nostri ragazzi coraggiosi). Un esempio
storico e' la guerra nel Golfo, con soli 146 morti (35
dei quali colpiti dagli "amici"). Dei pochi
americani morti e dei piu' numerosi iracheni, nemmeno
una foto. E nemmeno degli afgani morti nelle caverne
per le microatomiche termobariche.
Ground Rules. Furono quelle imposte ai giornalisti
accreditati durante la guerra del Golfo dal generale
Schwarzkopf. Tra le chicche: obbligo di essere
accompagnati da una scorta militare, divieto di
fotografare e/o filmare soldati morti o feriti,
divieto di pubblicazione dei risultati conseguiti
dalle operazioni militari, divieto di interviste non
concordate. Non solo. Ca'ndito ricorda la creazione di
un "pool di combattimento" di 192
giornalisti (tutti americani, tranne due inglesi) che
avrebbe dovuto seguire le azioni militari con i
marines, e poi inviare al centro stampa dove si
trovavano i giornalisti. Ovviamente i reportage
venivano "ripuliti" dai comandanti di unita',
rendendoli pura aria.
Tiziana Montaldo
[] Per approfondire:
Ennio Remondino, La tv va in guerra, Sperling &
Kupfer Editori 2002
Mimmo Candito, I reporter di guerra, Baldini &
Castoldi 2002
Carlo Gubitosa, L'informazione alternativa, Emi 2002
AA.VV., L'informazione deviata, Zelig 2002
FRASE:
Nel 1989 in Romania si denuncio' il
"massacro" di Timisoara con 4.362 morti
mutilati e torturati. Su questo si costrui' la guerra.
In seguito si seppe
che erano 13 cadaveri di senza dimora sottoposti a
regolare autopsia.
[] Box 2
Il mensile Volontari per lo Sviluppo ha organizzato un
corso di educazione ai media per le scuole superiori:
tre gli incontri previsti dedicati ognuno ad aspetti
diversi della comunicazione. Il primo basato sulla
percezione della notizia e sulle sensazioni che
vengono suscitate e stimolate da colori e immagini; il
secondo tentera' di approfondire con i ragazzi il modo
in cui sono descritti da statistiche e giornali e sul
come loro si vedono davvero; il terzo infine
analizzera' i media attreverso alcuni esercizi per
imparare a conoscere le varie parti di un quotidiano o
di un tg e scoprirene i "trucchi". Le scuole
interessate a questa iniziativa possono chiamare allo
011/8993823. A maggio inoltre si svolgera' a Torino un
ciclo di incontri per adulti sui media al Centro
sperimentale per il protagonismo giovanile El Barrio
in strada Cuorgne' 81 in cui parteciperanno
giornalisti ed esperti. L'iniziativa potra' essere
ripetuta in altre citta' che desiderino organizzare
nella propria citta' gli incontri. Informazioni:
011/2625526
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Ecco
un elenco di film utili per approfondire il tema
dell'informazione:
Sulla stampa: Quarto potere,Orson Welles,1941
Sulla televisione: Totò, lascia o raddoppia,Camillo Mastrocinque,1956 -
Un italiano in America,Alberto Sordi,1976 - Ginger e Fred,Federico Fellini,1985
Un volto nella folla,1957,Elia Kazan - Oltre il giardino,Hal Ashby,1979
La morte in diretta,1980,Tavernier - Re per una notte,Martin scorsese,1982
Tootsie,1982,Sidney Pollack - Bolle di sapone,1991,Michael Hoffman
Videodrome,1983,David Cronenmberg - Kika,1994,Pedro Almodovar
Quiz show,1994,Robert Redford - Assassini nati,1994,Oliver Stone
Sul cinema: Viale del tramonto,1950,Billy Wilder
I protagonisti,1992,Robert Altman - Gli ultimi fuochi,1976,Elia Kazan
Sulla pubblicità: La bionda esplosiva 1957 Frank Tashlin
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Un
laboratorio simile al nostro (si realizzerà a
Brescia, vedi depliant)
L’INFORMAZIONE
E LE SUE CATENE: può esistere una informazione
davvero “libera”?
Lo
scorso anno ci eravamo chiesti se esistesse una “
informazione non manipolata”, o se questa fosse una
mera illusione. Eravamo, però, solo all’inizio del
nostro viaggio nel mondo dell’informazione.
Ryszard
Kapushinski scrive:“La vera informazione è quella
intenzionale, vale a dire quella che si dà uno scopo
e che mira a produrre una qualche forma di
cambiamento”.
Affermazione
vera, ma che può generare l’impressione che
esistano informazioni neutre, non intenzionali. Noi
crediamo che non sia così, che ogni informazione sia
sempre ‘intenzionale’, che non
venga diffusa obbedendo semplicemente alla
legge del ‘far conoscere la notizia’.
Anche
l’informazione che vuole mantenere lo status quo è
pur sempre intenzionale, come lo è la eventuale
voglia di non-cambiamento che ne risulta (anche se,
in realtà, ogni società e cultura conosce
forme di trasformazione, pena l’implosione e la sua
stessa fine.
Non
si tratta, perciò, di negare l’intenzionalità o
meno dell’informazione, ma di
saperla leggere e gestire.
Non
si può, poi, disgiungere il tema dell’intenzionalità
dell’informazione dalla sua ‘libertà’ di venire
alla luce - che
ne è poi un diritto-dovere sociale.
Tenendo
presente i legami dei vari mezzi di informazione con i
loro editori, le pressioni che possono emergere su chi
deve venire a patti con necessità
e condizionamenti di natura economica e
politica (nel senso più ampio del termine) che
l’accompagnano, è legittimo chiedersi se e in che
misura si può parlare oggi di reale ‘libertà’ di
informazione. Chiedendoci secondo quali criteri la
possiamo concretamente definire e riscontrare.
Quali
spazi possono esistere per informazioni scomode o,
peggio, economicamente dannose a chi controlla
l’informazione, o lesive ai suoi “alleati” e
amici?
Ne
sono testimonianza alcune storie sepolte di casa
nostra, come quella della vicenda Caffaro, o del
denunciato inquinamento ambientale da massiccio
incenerimento di rifiuti;
oppure
raccontate in maniera parziale e viscerale, come
quelle della produzione delle
armi cosiddette “leggere”, la possibilità
di riconversione della produzione armiera con i dati
della sua effettiva incidenza occupazionale
e le ricorrenti polemiche su Exa.
Ci
chiediamo non solo se e in che misura tali
informazioni scomode o ‘alternative’
agli equilibri di convenienza attuali possano
emergere, ma anche a quale prezzo.
I
cambiamenti profondi, quando ci sono, non sono mai
indolori e ben difficilmente sono “spontanei”.
Ma
vorremo anche sapere di più sui cambiamenti che
informazioni ‘vere’ hanno saputo provocare o
favorire, e quale sia la strada da imboccare con
coraggio e profezia.
Per
non correre il rischio di cadere nella rassegnazione o
in un cupo pessimismo (“tanto non cambia
nulla..”), reazioni
sempre di grande
convenienza per chi vuole mantenere uno status
quo di dominio e di potere di parte. |
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