Lettera di Jon Sobrino ad Ellacurìa
 

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Chi è Ignacio Ellacuría
Il 16 nomembre 1989  Ignacio Ellacuría, uno dei più grandi teologi della liberazione,fu assassinato insieme  i suoi confratellii Segundo Montes, Ignacio Martín Baró, Amando López, Juan Ramón Moreno, spagnoli, e Joaquín López-López, salvadoregno. Insieme a loro morirono, perché non restassero testimoni, la cuoca Julia Elba Ramos e sua figlia Celina.
 

Caro Ellacu,

undici anni dopo il vostro martirio continuiamo ad aver bisogno di luci che ci diano "una ragione per vivere", come dice il motto della Uca. Questa lettera è, perciò, una specie di preghiera di intercessione. Ognuno saprà cosa chiedervi, ma secondo me di tre cose, tra le altre, abbiamo bisogno oggi per orientare il Paese e la Chiesa: impegno, speranza e serietà di fronte a Dio. Non ce n'è in abbondanza, e, quel che è peggio, non sembriamo preoccuparcene. Voi, sì, le avete vissute, e tu, inoltre, le hai pensate in profondità.

L'impegno serio con le maggioranze. Nell'ambiente di oggi non si respira quell'impegno di alcuni anni fa di quanti volevano sradicare l'ingiustizia, la repressione e la menzogna, e costruire il Regno di Dio. Cause giuste e nobili non mancano: che prosperino la verità, la giustizia, la riconciliazione. Ce ne sono alcune encomiabili, ma non è facile trovare molte persone e istituzioni che lavorino e si sacrifichino per queste cause. E ancora meno che lo facciano senza condizioni e "fino alla fine".

Voi, sì, vi siete impegnati e tu lo hai ben teorizzato. Hai dato valore estremo all'impegno, poiché per essere umani, dicevi, bisogna "farsi carico della realtà" e "assumersene tutto il peso". E lo hai storicizzato con la massima radicalità: non bisogna impegnarsi per qualunque cosa, ma bisogna "rovesciare la storia". Molti non vogliono più ricordarti così, e del personaggio Ellacuría preferiscono ricordare e persino invocare la sua obiettività e il suo realismo - che furono ben tue -, ma non la profezia e l'utopia che hanno guidato il tuo impegno radicale con questo popolo. Nell'impegno per "rovesciare la storia" tu hai impegnato la vita e nell'impegno l'hai perduta.

Questo impegno serio e irremovibile, che non si muove secondo il vento che soffia, è quello di cui oggi abbiamo bisogno. Per quello, non esistono ragioni, in definitiva. Quello che muove sono esempi di lucidità, di audacia e di dedizione fino alla fine. Nel tuo testamento politico, il discorso di Barcellona del 6 novembre 1989, hai parlato, con la lucidità del realismo, della "necessità di creare modelli economici, politici e culturali che rendano possibile una civiltà del lavoro in sostituzione della civiltà del capitale". E hai parlato, con audacia e valore - la parresia paolina -, con parole che non si sentono più molto: "Quello che in altra occasione ho chiamato l'analisi coprostorica, cioè lo studio degli escrementi della nostra civiltà, sembra mostrare che questa civiltà è gravemente malata e che per evitare un esito fatidico e fatale è necessario cercare di cambiarla dal di dentro".

Queste parole hanno oggi piena validità. Senza persone come voi è facile finire - in modo intellettuale e postmoderno, spero che non avvenga in nome di una religione - con l'accontentarci di ciò che ora dicono la Banca Mondiale e il Fondo Monetario, o, peggio ancora, come il sacerdote e il levita della parabola, cambiando strada per non vedere tutto un popolo prostrato, per non lavare le sue ferite e portarlo a un luogo sicuro. Con persone come voi è più facile deciderci per la salvezza di un popolo.

All'impegno univi la speranza. "Solo con l'utopia e la speranza si può credere e avere il coraggio di tentare insieme a tutti i poveri e gli oppressi del mondo di rovesciare la storia, sovvertirla e lanciarla in altra direzione". Bene, non si trova in abbondanza neppure questa speranza che muove al-l'impegno. Aneliti ve ne sono molti; ma speranze, poche, e non mancano ragioni per questo. È che la speranza, in definitiva, non vive di calcoli, ma della forza dell'amore. Ed è questo che - in pubblico e per dare forma alla società - quasi non si vede ai nostri giorni. Le conseguenze sono, da una parte, il disincanto: "non c'è soluzione", "è inutile"; e, dall'altra, la perdita di illusione nella prassi e nella vita: pare che resti solo il "si salvi chi può" o il camminare come trascinandosi lungo la vita.

Recuperare per il Paese la speranza e l'illusione è urgente. Ottenerli, di nuovo, non è questione solo di ragioni. Si ha bisogno di uomini e donne che veramente amino gli oppressi, si mettano dalla loro parte e li difendano, poiché questo è quello che continua a generare speranza anche oggi - altra cosa sono le aspettative, frutto di calcoli -, come l'ha generata Gesù. "Non ogni vita è occasione di speranza, ma lo è la vita di Gesù che, per amore, ha preso su di sé la croce".

Ellacu, voi siete stati persone di speranza e avete dato speranza a molta altra gente. Nel tuo ultimo articolo, "Utopia e profetismo", il tuo testamento teologico, termini citando quegli uomini nuovi che "continuano ad annunciare fermamente, per quanto sempre nell'oscurità, un futuro sempre più grande, perché al di là dei successivi futuri storici si intravede il Dio salvatore, il Dio liberatore". Parole come queste, persone che sappiano dirle e, soprattutto, che sappiano viverle è quello che mantiene la speranza e l'illusione.

Per ultimo, Dio. "Si intravede il Dio liberatore", dici. Semplice, per quanto sempre difficile, e necessaria confessione di Dio. Semplice perché il Dio liberatore è il Dio della Scrittura, il Dio dei poveri. Difficile, perché Dio continua ad essere mistero ineffabile e non manipolabile, incomprensibile anche, di fronte alla presenza dell'aberrazione e della barbarie nella sua creazione. Ed oggi bisogna sottolineare che la confessione non di qualunque Dio, ma di un Dio liberatore, è molto necessaria. Ci troviamo di fronte l'antica civil religion, di società capitaliste, ma anche nelle Chiese: una forte tendenza a trivializzare Dio, a infantilizzare la religiosità e ad evaporare la spiritualità fino a trasformarla in spiritualismo terapeutico, disincarnato e inoffensivo. In mezzo a tanta religiosità televisiva e radiofonica, a tante apparizioni e guarigioni, in mezzo a stadi che si riempiono di canti e applausi, in mezzo a tante processioni e giubilei, cosa resta, Ellacu, nella Chiesa del Dio liberatore? Cosa resta del Dio di Osea e Geremia: "praticare la giustizia, non significa questo conoscermi?". Cosa resta del Dio di Gesù, attivo e potente nella resurrezione, ma anche solidale e silenzioso nella croce, trascendente e diverso da ciò che è di questo mondo, ma anche giudizio per questo mondo? Credo, Ellacu, che bisogna tornare alla serietà di fronte a Dio.

E da questa serietà, sì, possiamo implorare il "mostraci il tuo volto" perché Dio riempia di gioia e di beatitudine anche il cuore umano. La contemplazione del volto di Dio continua ad essere centrale e umanizzante per gli esseri umani, ma tutto dipende dal fatto se lo contempliamo o no con serietà. Seguendo sant'Ignazio, grande guida tua e di tutti i martiri della Uca, hai insistito sul fatto che la contemplazione di Dio avvenga nell'azione: "contemplazione nell'azione". Ma dalla tua incorruttibile onorabilità rispetto al reale e dalla tua incondizionata difesa dell'oppresso, hai insistito nello storicizzare questa intuizione ignaziana con precisione. Bisogna contemplare non in qualunque azione, ma nell'"azione per la giustizia".

Ellacu, oggi l'impegno, l'illusione, la serietà di fronte a Dio non hanno molto vento a favore. E tuttavia è questo ciò di cui abbiamo bisogno nella Chiesa e nel Paese, nella Uca e nella Compagnia, per difendere i poveri di sempre, per costruire la mensa condivisa, per arrivare ad essere famiglia umana e così umanizzare questo mondo. Al di là delle novità di ogni epoca, questa è sempre la volontà di Dio. Facendo questo seguiamo Gesù e - usando le parole del tuo maestro Zubiri - ci deifichiamo un poco, ci facciamo figli e figlie nel Figlio, ci rendiamo simili a Gesù. Vivremo nella fede, che è ciò che indica la serietà di fronte a Dio, nella speranza, che è ciò che indica l'illusione, e nella carità, che è ciò che indica l'impegno.

Per essere e fare tutto ciò non bastano ragioni, argomenti, esegesi di testi. Ma voi sì siete una ragione per vivere, per impegnarci, per conservare l'illusione e perché viviamo di fronte a Dio con serietà e fiducia.

Ellacu, e martiri tutti, grazie e aiutateci.

Jon