Tappa di Verona

Diario della Piccola Comunità Itinerante di Resistenza

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Partire è anzitutto uscire da sé. Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro IO. Partire è smetterla di girare intorno a noi, come se fossimo al centro del mondo e della vita. Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui apparteniamo: qualunque sia l’importanza di questo mondo, l’umanità è più grande ed è essa che dobbiamo servire. Partire non è divorare chilometri, attraverso i mari, volare a velocità supersoniche.

 

Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farsi loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore. Felice chi comprende e vive questo pensiero: “Se non sei d’accordo con me, tu mi fai più ricco”. Aver vicino a sé un uomo che è sempre d’accordo, già prima che glielo chieda incondizionatamente, non è avere un compagno, ma un’ombra.

 

È possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni.

Beato chi si sente eternamente in viaggio e in ogni prossimo vede un compagno desiderato.

Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi. Intuisce il momento in cui cominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta. Con intelligenza e delicatezza, soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino. Andare avanti solo per andare avanti, non è vero camminare. Camminare è andare verso qualche cosa; è prevedere l’arrivo, lo sbarco.

Ma c’è cammino e cammino. Per le minoranze abraminiche, è mettersi in marcia e  aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia per costruire un mondo più giusto e umano.

Dom Helder Camara

 

 

 

Verona, 4/9/2002

 

Che cos’è questa “convivialità delle differenze” di cui parlava don Tonino Bello?

Noi vogliamo provare a dirlo: dei missionari, un giornalista, una donna sudafricana e una brasiliana che consumano la loro vita  e la loro professionalità come una fiamma consuma la cera, un impiegato comunale, un operaio, degli attuali-disoccupati, degli studenti e delle studentesse, un postulante comboniano, una “venditrice che non vuole vendere libri ma offrire opportunità di crescita”, tutti uniti intorno ad un tavolo, a pregare.

 

Così è iniziato il cammino della Carovana della Pace di questo Giubileo.

Apocalisse 14, 1-5. Questa è l’icona che dipinge il senso di questo viaggio per l’Italia.

La nostra scommessa è far con-vivere queste differenze nell’unico cammino di costruzione del Regno, un Regno di Pace e di Giustizia.

Vogliamo con-vivere come i cristiani dell’Apocalisse, piccole comunità di resistenza, nate dentro l’Impero, che resistono “ritti” (“In piedi, costruttori di Pace!”) e provano a guardare oltre, a guardare in profondità per cercare e mantenere in vita quei semi di Pace e di Giustizia che ci permettano di guardare con speranza e fiducia al futuro.

Semi che troviamo nei nostri Vegliardi, quelli che prima di noi hanno aperto strade difficili e in salita: don Milani, p. Balducci, don Mazzolari, p. Turoldo, fr. Alfredo, don Tonino, Falcone e Borsellino e le vittime delle mafie, tutte le  persone “perseguitate a causa della giustizia” a San Paolo, a Johannesburg e in tutti i “sud-del-mondo”.

L’ “impero” nasconde la “moltitudine immensa” (Ap. 7,9) delle persone che nelle varie comunità di base lavorano quotidianamente, ognuno con la sua specificità, per la Giustizia  la Pace.

 

Sarà nostra responsabilità dare voce a queste comunità, raccogliere e portare a Bologna il 15 settembre le provocazioni che ci verranno affidate in ogni città.

 

Un semplice segno ci accompagnerà: ogni carovaniere ha ricevuto una sciarpa delle comunità indigene ecuadoriane. Il doppio arcobaleno di cui è tessuta, è segno dell’alleanza di tutte le comunità di resistenza. Riceverla in dono comporta la condivisione della lotta.