Costruire la pace a partire
dall’incontro, dallo scambio di esperienze, dando voce alle
sfide e alle risorse locali. Nella tappa di Trento del Giubileo
degli Oppressi i testimoni hanno incontrato nel pomeriggio diversi
gruppi, affrontando temi specifici.
Si è unito alla carovana don
Luigi Ciotti, che ha seguito in modo particolare il tema del
carcere. Don Luigi è entrato nel carcere di Rovereto, insieme ad
un gruppo di volontari e al direttore, per incontrare i detenuti e
far risuonare la loro voce nel passaggio del Giubileo. Più tardi
l’incontro con le associazioni della Vallagarina, per uno
scambio a partire dall’esperienza del gruppo Abele, che vede in
Ciotti il suo punto di riferimento.
L’obiettivo di un’azione
che nasce dalla società civile non può essere solo la solidarietà,
ma soprattutto la ricerca della giustizia. Per questo non possiamo
non lasciarci interpellare dalla situazione del carcere.
Il numero di detenuti in
Italia non è mai stato così alto, ricorda scandalizzato Ciotti,
e l’indice di recidiva è il più alto d’Europa. La
maggioranza dei detenuti deve compiere pene al di sotto di 3 anni,
che per legge possono essere assolte attraverso percorsi
alternativi al carcere, attualmente quasi del tutto assenti per
mancanza di operatori.
In base alla riforma Grosso
(progetto del settembre 2000), il carcere dovrebbe porsi come extrema
ratio; inoltre esistono già esperienze che dimostrano come
l’indice di recidiva possa crollare (Ciotti ha citato una
cooperativa del Gruppo Abele che raccoglie rifiuti, occupando
persone uscite dal carcere e offrendo loro lavoro e
accompagnamento personale, per reinserirsi nella società:
nell’accompagnare 420 persone, solo 7 di loro sono state di
nuovo arrestate).
Don Luigi ha poi sottolineato
l’importanza delle motivazioni per chi svolge un lavoro in
carcere, spronando i tanti che si limitano al “funzionarismo”
ed interpellando personalmente gli operatori carcerari durante la
sua visita.
E’ necessario insistere
–ha poi concluso- che non si costruisce giustizia senza verità,
riferendosi in primo luogo alla stessa classe politica, che
attualmente gode di troppi privilegi e difende in modo molto
evidente i suoi vantaggi e la sua impunità (Ciotti non ha evitato
di citare le ultime leggi sul rientro di capitali dall’estero,
sulle rogatorie internazionali, sul reato di falso in bilancio e
sul legittimo sospetto).
In chiave costruttiva, don
Luigi ha lanciato una provocazione alla comunità locale, partendo
dall’indicazione che la stessa mafia ci sottopone. Da
intercettazioni e testimonianze di pentiti, si scopre che sono
quattro le cose che la mafia teme di più: il carcere duro, la
confisca dei beni, la scuola (cioè l’attività educativa e di
coscientizzazione che si può svolgervi, richiamando ciascuno ad
appropriarsi della sua cittadinanza) e la società civile (si sono
citate le 1.054 associazioni aderenti alla rete Libera). In questo
senso, se vogliamo costruire giustizia, possiamo fare molto a
partire dai nostri contesti locali.
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