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DOSSIER
SULLA GUERRA n. 2 27.9.2001
Associazione PeaceLink
casella postale 2009 74100 Taranto
Quella
attuale può essere definita una guerra?
Queste sono le principali definizioni
di guerra:
- "Lotta armata tra due popoli o fra due o più Stati divisi in campi
opposti" (Enciclopedia De Agostini)
- "Contesa armata tra due o più Stati".(Dizionario Pittano)
- "La lotta armata tra due o più Stati o tra fazioni di uno stesso
Stato" (Dizionario Garzanti)
- "Lotta tra due stati o all'interno di uno stato, condotta con le armi,
con o senza l'osservanza del diritto internazionale in materia" (Dizionario
DISC)
Bush sostiene che l'orrenda serie di attentati negli Usa siano un "atto di
guerra". Tuttavia la parola "guerra" si applica ad una contesa
armata fra stati o all'interno di uno stato fra fazioni armate opposte (guerra
civile). Fra "azione terroristica" e "azione di guerra" vi
è una distinzione che si rileva dalle definizioni sopra riportate. Un atto di
terrorismo non è un atto di guerra a meno che non sia messo in atto o sostenuto
da uno Stato contro un altro Stato.
Perché, nonostante ciò, viene usata la parola "guerra"?
La ragione è che un terrorista si deve arrestare e processare, un nemico lo
si può eliminare fisicamente senza bisogno di processo. Ad esempio al tempo
delle Brigate Rosse in Italia vi fu un partito che invocò l'esercito e
l'attuazione dello stato di guerra per sconfiggere i brigatisti, invocando la
pena di morte.
Cosa ha detto il Papa degli attentati dell'11 settembre?
Giovanni Paolo II il giorno dopo (12/9/2001) ha detto: "Non posso
iniziare questa Udienza senza esprimere profondo dolore per gli attacchi
terroristici che nella giornata di ieri hanno insanguinato l'America, causando
migliaia di vittime e numerosissimi feriti (...) Con partecipe affetto, mi
rivolgo all'amato popolo degli Stati Uniti in quest'ora di angoscia e di
sgomento, in cui viene messo a dura prova il coraggio di tanti uomini e donne di
buona volontà. (...) Imploriamo il Signore perché non prevalga la spirale
dell'odio e della violenza. La Vergine Santissima, Madre di misericordia,
susciti nei cuori di tutti pensieri di saggezza e propositi di
pace".(Fonte: sito Internet del Vaticano www.vatican.va)
In seguito il Papa ha invocato l'America a non cedere alla guerra invitandola
"a non cedere alla tentazione dell'odio e della violenza, ma ad impegnarsi
al servizio della giustizia e della pace". (RAI Televideo 16/9/2001)
Sulla guerra la posizione vaticana è stata meglio specificata il 27 settembre:
"Nessun via libera ai bombardamenti. Lo ha detto oggi il portavoce Navarro,
incontrando i giornalisti. "Si è fatta una semplificazione ingiustificata,
nessuno ha mai detto "fate come vi pare" perché esiste una precisa
etica cristiana sulla legittima difesa, che tiene conto della proporzionalità e
impone che non venga versato il sangue di vittime innocenti". (RAI
Televideo 27/9/01)
Dentro il mondo cattolico vi sono differenti posizioni in merito?
Esiste un dibattito in cui Gianni Baget Bozzo accusa “la volontà islamica
di voler sostituire con violenza il cristianesimo: la guerra di religione è
entrata nella Storia”; il cardinale Biffi ha pregato “perché la
cristianità trovi la strada giusta per la propria sopravvivenza” (Corriere
della Sera 15/9/2001); Giulio Andreotti sostiene: "Quello attuale è un
momento che rischia di diventare "muscolare". A maggior ragione
occorre che si faccia appello alle virtuose risorse della moderazione e del
diritto come fondamento anche della vita internazionale. A differenza della
prepotente massima degli antichi romani, io credo che chi vuole la pace debba
lavorare per la pace".
(editoriale intitolato "La miglior vendetta? Lavorare per la pace",
Corriere del Giorno 13/9/2001)
Perché non si fa ricorso all'Onu per affrontare questa crisi internazionale?
"Chi sostiene che l'articolo 5 della Nato va interpretato e che
comunque qualsiasi decisione va rimessa all'Onu, punta in realtà a mettere i
bastoni tra le ruote agli americani. Lo sanno tutti infatti che all'interno
dell'Onu gli Usa non hanno la maggioranza...", sostiene Gianfranco
Pasquino, politologo ed ex parlamentare DS (Corriere della Sera 15/9/2001)
Cosa detto Amnesty International?
Amnesty International appellandosi ai capi di tutti i governi, il 14/9/2001
ha ricordato che "la solidarietà internazionale alle vittime non può
essere dimostrata cercando vendette ma cooperando all'interno delle regole
imposte dalle leggi, per arrestare i responsabili. Criminalizzare intere comunità
non porta a nulla". (Fonte: www.amnesty.org)
Cosa sostiene il governo americano?
"Gli Stati Uniti non hanno dubbi sulla responsabilità di Osama bin
Laden negli attentati di martedì scorso, ma ci vorranno anni per avere la
meglio. Lo ha detto il vicepresidente Cheney, nella sua prima intervista
pubblica dagli attacchi a New York e Washington". (RAI Televideo 16/9/2001)
Sul Corriere della Sera del 16/9/2001 è riportata una dichiarazione di
Madeleine Albright, ex segretario di Stato americano: "Non è ancora chiaro
che si tratti davvero dell'opera di Osama Bin Laden. Ma è certo che questo
terrorista sta ricevendo aiuti in Afghanistan. E' importante per noi e i nostri
alleati ritenere responsabili per quello che sta succedendo coloro che offrono
rifugio ai terroristi. E' giunto il momento di prendere posizione".
Bin Laden ha rivendicato gli attentati dell'11 settembre negli Stati Uniti?
"Il miliardario saudita Osama bin Laden ha smentito di essere implicato
negli attentati a New York e a Washington. "Gli Stati Uniti puntano il dito
contro di me, ma affermo categoricamente che non sono stato io", ha detto
bin Laden in un comunicato all'Aip, l'agenzia di stampa dei Taleban con sede in
Pakistan. I leader religiosi hanno richiesto agli Stati Uniti le prove del
coinvolgimento di bin Laden". (RAI Televideo 16/9/2001)
Qual è la posizione del governo afghano?
L'ambasciatore afghano in Pakistan, Abdul Salam Zaeef, ha escluso qualsiasi
responsabilità di Bin Laden mostrando però disponibilità verso una sua
eventuale estradizione: "Solo però - ha affermato - in presenza di prove
certe che dimostrino il suo coinvolgimento. Prove che studieremo per poi
prendere una decisione alla luce delle evidenze disponibili". (Fonte:
Corriere del Giorno 13/9/2001)
Qual è la posizione del leader palestinese Arafat?
"Arafat ha espresso le proprie condoglianze, anche donando sangue a
favore delle vittime". (Fonte: Corriere della Sera 16/9/2001)
Cosa hanno rilevato i sondaggi di opinione?
"L'85% degli americani è favorevole ad azioni militari e di essi il
75% ritiene che le ritorsioni vadano intraprese anche se implicano vittime
innocenti. E' quanto emerso da un sondaggio d'opinione compiuto negli Usa da cui
risulta che gran parte degli americani appoggia in pieno la politica di Bush e
tra i sacrifici mette anche la rinuncia alla privacy e alla segretezza delle
conversazioni telefoniche." (RAI Televideo 16/9/2001)
Un sondaggio pubblicato il 27/9/01 da Il Messaggero riporta che il 45% degli
italiani è contro la guerra e il restante è a favore di un'azione militare.
Ci sono prove contro Bin Laden?
Fino al 2 ottobre non sono mai state esibite le prove contro Bin Laden. Il 2
ottobre le prove sono state "dichiarate" alla stampa ma non mostrate.
Ecco cosa riporta l'Ansa: "Chiare e schiaccianti . Così il segretario
generale della Nato ha definito le prove fornite dagli Usa sulla responsabilità
di Osama Bin Laden negli attacchi dell'11 settembre . Le informazioni sono
coperte dal segreto e non possono essere divulgate , ha precisato Robertson, ma
sulla base di queste è stato deciso che l'attacco contro gli Usa ha avuto
un'origine esterna e sarà quindi considerato come un'azione coperta
dall'articolo 5 del trattato di Washington che definisce un attacco contro uno o
piu' alleati della Nato come un attacco a tutta l'alleanza. Intanto da
Washington Bush ha affermato che ''Sceglieremo noi il momento d'agire: non c'è
calendario, non c'è scadenza, non c'è negoziato con i Taleban''. Ricevendo un
gruppo di giornalisti, e parlando in diretta televisiva, dopo avere incontrato i
leaders del Congresso, Bush ha anche ribadito che i Taleban devono onorare
subito le richieste: consegnare Osama bin Laden e smantellare i campi
d'addestramento dei terroristi". (ANSA 02/10/2001 15:35)
Il primo a poter vedere le "prove" - con due giorni di anticipo
rispetto al segretario genarale della Nato - è stato Tony Blair: "Sui
legami fra Osama bin Laden e gli attentati negli Stati Uniti esistono
"prove incontestabili". Lo ha dichiarato il premier britannico Blair,
aggiungendo di non poterle rendere pubbliche". (RAI Televideo 30/9/01)
Tali prove non sono tuttavia rese note al Pakistan, nazione che è chiamata a
collaborare nella lotta al terrorismo: "Il presidente pakistano Musharraf,
ribadendo che l'esercito del suo paese non parteciperà ad alcuna azione
militare, ha aggiunto che finora da Washington non sono arrivate prove sulla
colpevolezza di bin Laden". (RAI Televideo 30/9/01)
Come faranno i parlamentari a deliberare lo stato di guerra se le prove sono
segrete?
Il problema della segretezza delle prove pone una questione di democrazia:
in base all'articolo 78 della Costituzione il Parlamento Italiano conferisce al
Governo i poteri per fare la guerra, ma i parlamentari allo stato attuale delle
cose possono - se consultati - esprimersi in base solo ad un rapporto di
fiducia o di diffidenza verso le dichiarazioni dei vertici Usa e Nato ma non
sulla base di una documentazione loro fornita comprovante il coinvolgimento
dell'Afghanistan negli attentati terroristici dell'11 settembre.
La Nato può intervenire a sostegno di un'azione militare contro l'Afganistan?
La Nato deve rispettare l'articolo 1 che sancisce per le "parti"
(ossia le nazioni aderenti alla Nato) quanto segue: "Le Parti si
impegnano, in ottemperanza alla Carta delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi
pacifici qualsiasi controversia internazionale nella quale possano essere
implicate, in modo da non mettere in pericolo la pace, la sicurezza e la
giustizia internazionali, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal
ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza in modo incompatibile con gli
scopi delle Nazioni Unite". Quindi il ricorso all'articolo 5 della Nato (l'autotutela
collettiva) è vincolato alla dimostrazione che l'Afganistan è implicato negli
attentati dell'11 settembre negli Usa. Altrimenti tutto rientra nella
definizione di "controversia" da "comporre con mezzi
pacifici".
Chi ha addestrato i guerriglieri di Bin Laden?
I primi campi di addestramento dei guerriglieri di bin Laden sono stati due
campi scozzesi, rispettivamente nei pressi di Criffel, nel Dumfries e nella
remota penisola di Applecross nella Scozia occidentale. La fonte di queste
informazioni è "Il Giornale" del 17/9/01 nel quale la corrispondente
Erica Orsini da Londra annota: "Soldati impeccabili, con un debole per i
western di John Wayne. Così erano i mujaheddin, l'"esercito" segreto
di Osama Bin Laden, che fu addestrato ad uccidere nei campi militari britannici,
tra le colline ricoperte d'erica della selvaggia Scozia. A rivelarlo ieri, in
un'intervista pubblicata sul quotidiano 'Sunday Mail' è stato proprio uno degli
"insegnanti" dei guerriglieri afghani che negli anni Ottanta
combatterono i russi supportati dagli americani e dagli inglesi. Ken Connor,
eroe dei corpi speciali inglesi fu incaricato di organizzare i vari campi di
addestramento e per farlo senza il coinvolgimento dell'esercito nazionale
dovette perfino rassegnare le dimissioni da quest'ultimo". Ma vediamo
cos'altro ha rivelato Ken Connor al Sunday Mail: "Gran parte dell'infinita
ricchezza dei Bin Laden - afferma - è stata costituita da finanziamenti della
Cia stanziati per la costituzione di un governo "amico" afghano che
combattesse la guerra per conto degli Stati Uniti". I guerriglieri di Bin
Laden vennero addestrati molto bene. "Alcuni di loro furono addestrati
anche alla guida di elicotteri e all'attacco dei campi d'aviazione".
"Oggi il presidente Bush - osserva Ken Connor - forse si starà chiedendo
quanto è costato veramente all'America l'addestramento dei futuri soldati di
Bin Laden".
Cosa ne pensava Bush dei Taleban?
"Cosa ne pensa dei Taleban?" Intervistato da "Galmour"
un anno fa, George W. Bush - allora candidato alla Casa Bianca - fece scena
muta. Poi si illuminò: "Sono per caso un complesso rock?..." (Fonte:
Il Giornale, 21/9/2001)
C'è il rischio di una guerra atomica?
"Gli Usa non escludono uso di armi nucleari. Il segretario alla Difesa
americano, Donald Rumsfeld, non ha escluso il ricorso alle armi nucleari nel
conflitto contro i terroristi. L'affermazione è stata fatta da Rumsfeld durante
un'intervista televisiva. Rispondendo ad una domanda, il ministro ha detto che
quest'opzione non è stata esclusa. (23/09/01 RAI Televideo)
Lo scudo spaziale può difenderci meglio?
Non tutti sono d'accordo sui benefici dello scudo spaziale. "Missili
nucleari lanciati sugli Stati Uniti e intercettati dallo scudo antimissile
progettato dal Pentagono potrebbero cadere sull'Europa o in
qualche altra parte del mondo. Lo affermano alcuni ricercatori del prestigioso
Massachusetts Institute of Tecnology (Mit) di Boston. Il programma di scudo
spaziale, per il quale sono già iniziati i primi esperimenti, ha come obiettivo
la deviazione dei missili dalla loro traiettoria ma non quello di distruggere le
testate nucleari, che nel caso l'intercettazione abbia successo potrebbero
cadere in qualsiasi parte della superficie terrestre, secondo i fisici del Mit.
L'opzione del Pentagono è quella di prendere di mira il missile nemico durante
la fase di propulsione, nel corso della quale è più facilmente avvistabile:
comportandosi come un piccolo razzo, esso emette calore, il che consente di
localizzarlo. In seguito, in orbita bassa, il missile è più freddo e molto più
difficile da intercettare. "Anzitutto l'intercettazione in fase di
propulsione deve funzionare, il che è da dimostrare", spiega George Lewis,
fisico del Mit specializzato nei sistemi di difesa antimissile. "Ma se
questo funziona, la domanda successiva è: dove andrà a cadere la testata
nucleare?". Secondo l'equipe di tre scienziati del Mit che da anni lavorano
sulla questione, con la tecnologia disponibile attualmente o negli anni a venire
non esiste alcuna possibilità di intercettare un missile controllandone allo
stesso tempo il punto di caduta. Che si tratti di missili intercettori o di
laser giganti su aerei o navi, non c'è alcuna possibilità che la testata
nucleare sia distrutta, assicurano i fisici di Boston".
(Fonte: Il Giornale 8/9/2001, titolo dell'articolo: "Scudo, i missili
intercettati possono cadere
sull'Europa")
Vi sono analogie fra la prima guerra mondiale e questa guerra annunciata?
Sì, in quanto la prima guerra mondiale nacque da un atto di terrorismo che
venne attribuito dall'Austria alla Serbia. Vediamo come si svolsero i fatti.
"Il 28 giugno 1914 nella città di Sarajevo, capitale della Bosnia (la
regione che l'Austria-Ungheria aveva annesso nel 1908), uno studente
nazionalista impugnò la pistola e sparò contro l'erede al trono
austro-ungarico, l'arciduca francesco Ferdinando, che restò ucciso insieme con
la moglie (...) Il governo austro-ungarico attribuì immediatamente la
responsabilità dell'attentato alla Serbia e cercò di sfruttare il tragico
avvenimento per infliggerle un colpo definitivo. La Serbia era la maggiore
indiziata perché aveva sempre condannato l'annessione della Bosnia da parte
dell'Impero austro-ungarico e manifestava nei confronti di questo un'ostilità
irriducibile. Oggi noi sappiamo che il governo serbo non aveva responsabilità
dirette nell'attentato: era al corrente che un gruppo di terroristi stava
preparandolo, ma non riuscì ad impedirlo. Il governo austro-ungarico ritenne
tuttavia che gli indizi fossero sufficianti e lanciò un ultimatum: entro due
giorni la Serbia avrebbe dovuto sciogliere tutte le formazioni antiaustriache e
consentire a funzionari austriaci di compiere ispezioni sul suo territorio per
accertare le responsabilità dell'attentato. La Serbia accettò il primo punto ,
ma rifiutò le ispezioni, ordinando contemporaneamente la mobilitazione generale
(cioè la chiamata alle armi della popolazione). Era la guerra: quando il 28
luglio la capitale della Serbia, Belgrado, fu bombardata dai cannoni austriaci,
si scatenò una reazione a catena che trascinò nel conflitto, una dopo l'altra,
tutte le grandi potenze europee". (Fonte: Calvani Vittoria e Giardina
Andrea, "La storia dall'Illuminismo ai giorni nostri", Arnoldo
Mondadori)
Sommario:
-
"Ecco come darei la caccia a Bin Laden"
-
Pensieri sulla guerra
-
Storia dei pensieri sulla guerra
-
"La vendetta? Non in nome di nostro figlio"
-
Il rischio dell'intolleranza religiosa
ECCO COME DAREI LA CACCIA A BIN LADEN!
NEWSLETTER DIPIETRO2001
28 settembre 2001
Come fermare Osama Bin Laden e la sua rete terroristica internazionale?
E' la domanda che ci assilla tutti. Combattendolo su più fronti ovviamente,
come ha di recente ammonito il Presidente americano Bush: quello giudiziario,
militare, politico, culturale, religioso,
economico, finanziario. Ecco, vorrei soffermarmi su quest'ultimo aspetto che è
poi, a mio avviso, un punto nodale per la lotta al terrorismo.
Solo prosciugando le fonti di approvvigionamento e interrompendo i
finanziamenti, si possono sterilizzare le azioni dei terroristi.
Bin Laden ha potuto agire grazie a ai suoi soldi. Soldi che non tiene certo a
Kabul o nascosti nelle montagne o nelle grotte afgane. Li tiene - depositati o
investiti - nelle banche dei soliti paradisi fiscali: Cipro, Panama Isole Cayman
ma soprattutto a Vaduz nel Liechtestein, a Nassau nelle Bahamas ed a Riad in
Arabia Saudita.
Si pensi a quanto denaro è stato necessario per realizzare gli attentati
dell'11 settembre negli Usa: decine, forse centinaia di terroristi e
fiancheggiatori da mantenere per mesi, e forse per anni, nel territorio
americano, piloti da addestrare, famiglie da accudire (anche dopo la morte dei
kamikaze), spionaggio e coperture da attivare, coordinamento logistico da
sincronizzare e così via.
IL TERRORISMO COSTA
Insomma anche il terrorismo costa. Siccome a pagare sembra che ci pensi (e nel
caso di New York ci abbia pensato) Bin Laden, bisogna scovare, sequestrare e
bloccare le sue risorse finanziarie per renderlo impotente. Come fare? Indagando
su di lui, ovviamente e su chi gli è stato e gli sta più vicino. Bisogna
ricostruire la sua vita, individuare i suoi legami, ripercorrere i luoghi che ha
frequentato, individuare i suoi amici, analizzare le sue attività. Sembrano
cose scontate ma spesso è
proprio su queste bucce di banane che inciampano gli investigatori ed il guaio
è che ci inciampano non tanto per difetto (di investigazione, intendo dire)
quanto per eccesso, immaginando, prima di averne le prove, soluzioni
fantascientifiche e poi perdendo tempo e risorse per dimostrare l'indimostrabile
(per rendercene conto basti pensare alla tragedia del mostro di Firenze
trasformata in una telenovela o al sequestro di Aldo Moro che secondo alcuni
bisognava scoprire ricorrendo alla cartomante).
Ecco, cominciamo allora con il "ripulire" la storia personale di Bin
Laden dal "romanzo" che se ne è fatto. Egli non è figlio del
demonio, con possibilità infinite di replicarsi e di farsi gioco di tutte le
polizie del mondo. Se ha scelto l'America ed alcuni paesi europei come suoi
principali obiettivi è perché li conosce bene per averci vissuto e lavorato e
per aver intrecciato in quei paesi pericolose relazioni di connivenza e
collaborazione. Negli anni ottanta, infatti, egli è stato un alleato degli USA
che di lui e dei suoi uomini si sono serviti, anche armando le loro mani e
insegnando loro a fare la guerra, per fermare i sovietici in Afghanistan.
LA FAMIGLIA E GLI AMICI IN ARABIA SAUDITA
Di più. L'intera famiglia Bin Laden ha fatto fortuna proprio in America (ironia
della sorte in alcuni casi proprio facendo affari con la famiglia Bush). In
particolare, il fratello Salem ha fondato nel '73 ad Austin, nel Texas, la
compagnia aerea Bin Laden Aviation ed il suo miglior amico Kheld Bin Manfuz è
stato l'uomo chiave dell' affaire BCCI (uno scandalo americano di proporzioni
enormi riguardanti finanziamenti occulti e iregolari a formazioni guerrigliere
in America Latina ed in Medio Oriente con denaro anche proveniente dalla droga).
Bin Laden viene comunemente descritto come un miliardario ma in realtà sulla
sua reale posizione patrimoniale si hanno poche notizie.
Certamente viene da una ricca famiglia molto ben introdotta in Arabia Saudita. I
suoi parenti (ha quattro mogli, diversi figli, circa 50 tra fratelli e sorelle)
sono titolari di un vero e proprio impero economico, il Saudi Bin Ladin Group (SBG)
con interessi petroliferi e nelle costruzioni. Molti di essi lo hanno rinnegato
e Osama Bin Laden è pure stato scacciato dal suo paese per aver criticato la
monarchia saudita allorché questa fece entrare nel suo territorio truppe
statunitensi ("gli infedeli") per pianificare la Guerra del Golfo
contro Saddam Hussein. Egli però sicuramente può contare ancora sui parenti e
amici più stretti. Da questi e su questi bisogna allora cominciare le indagini
bancarie e finanziarie, per trovare il patrimonio di Bin Laden e non tanto su
lui personalmente (egli sapendo di essere ricercato da anni dalle migliori
polizie internazionali, si sarà guardato
bene dall'agire con il proprio nome). Insomma, appunterei le prime indagini -
cosa che sicuramente gli 007 statunitensi, inglesi e israeliani stanno facendo -
proprio in Arabia Saudita. E' questo un paese davvero strano, con potentati
finanziari e governanti reali che vanno a braccetto con gli Stati Uniti ma con
l'integralismo islamico nel cuore.
Probabilmente è proprio da lì oltre che dall'Iraq di Saddam Hussein - che
partono i finanziamenti più cospicui e più occulti a favore dei terroristi,
magari sotto forma di donazioni ed elargizioni umanitarie e di beneficenza. In
Arabia Saudita, la maggior parte del denaro proveniente dall'aumento del prezzo
del petrolio (da 4 mila a 8 mila miliardi di dollari sostengono gli analisti) si
è letteralmente volatilizzato andando ad alimentare l'extrabudget e soprattutto
la corruzione.
L'APERTURA DEI FORZIERI NEI PARADISI FISCALI
Purtroppo manca una qualsiasi normativa in materia di controllo dei flussi di
miliardi che entrano ed escono da quel paese. Non esiste, come in quasi tutti i
paesi del Medio Oriente peraltro, una legge contro il riciclaggio. Eppure le
connessioni saudite tribali e familiari di Bin Laden sono l'inizio della catena
dell'indagine da cui non si può prescindere.
Anche a costo di imporre con la forza della persuasione (politica, diplomatica,
economica e militare) ai regnanti sauditi di rivedere e rendere più trasparente
la propria legislazione societaria, bancaria e finanziaria interna. Cosa questa
che solo gli Stati Uniti hanno la forza e la possibilità di fare.
Il canale terminale della rete finanziaria di Bin Laden va invece ricercato in
alcuni specifici paradisi fiscali, in particolare delle Bahamas e del
Liectesthein, ove vanno cercati i suoi collegamenti con
esponenti della mafia russa (già proprio di quella Russia tanto odiata e
combattuta da Osama). A Vaduz ed a Nassau ancora oggi esistono e prolificano
alcuni studi legali e fiduciari di comodo conosciuti e conoscibilissimi per chi
è del mestiere e conosce un po' la storia delle transazioni finanziarie
internazionali (anch'io ho avuto modo di individuarli ai tempi di Mani Pulite)
che fanno da schermo impenetrabile alle più smaccate operazioni di riciclaggio
del denaro provenente dalla droga e destinato al commercio delle armi. Perché
bisognerebbe indagare su costoro? Ma perché Bin Laden deve tutti i giorni
comprare armi e munizioni ed in Afganistan l'unica cosa che ha
a disposizione per farvi fronte è l'oppio e l'eroina. E perché la mafia russa?
Perché è l'unica organizzazione "vicina" territorialmente all'Afganistan
in grado di fornire ogni tipo di armi a Bin Laden (più dell'Iraq, più del
Sudan che pure sono suoi abituali fornitori ma le cui operazioni sono sotto il
costante controllo degli USA). Che fare allora, in concreto? Bisogna setacciare
ed acquisire ogni documentazione esistente presso gli studi legali e finanziari
sospetti con sede nei predetti paradisi fiscali, con operazioni non giudiziarie
ma dei servizi segreti. Non è possibile, infatti, ricorrere alla Magistratura
di quei paesi per avere regolari mandati perché è troppo ingessata da una
legislazione di favore e di copertura, dovuta al fatto che quei paradisi fiscali
si mantengono e ingrassano proprio e solo per questo particolare tipo di
economia.
Lo so, i "puristi" del diritto inorridiranno di fronte a questa
proposta ed anche a me, da ex magistrato, ripugna ma, come ha detto il
Presidente degli Stati Uniti, siamo in guerra e questa guerra va combattuta
anche con "armi non convenzionali". Tra queste può e deve rientrarci
l'apertura anche forzata ed occulta dei forzieri e dei documenti
depositati nei paradisi fiscali, al di la' e al di fuori dei conniventi vincoli
di legge di quei paesi. Non a caso, d'altronde, il Governo statunitense, pochi
giorni dopo l'attentato alle Torri Gemelle ha istituito un apposito organismo
investigativo, il Foreign Terrorist Asset Tracking Center (FTATC), alle
dipendenze del Ministero del Tesoro ( ed anche questo la dice lunga) con lo
specifico scopo di dirigere e coordinare il lavoro di intelligence nazionale ed
internazionale per rintracciare banche, finanziarie e fiduciari che in
qualche modo forniscono sostegno ai criminali. Probabilmente questo organismo
dovrà "saltare" le procedure delle "rogatorie" se vuole che
il suo lavoro abbia successo ma, d'altronde, trattasi per stessa
ammissione di Bush di una "guerra sporca" e individuare e sequestrare
la contabilità occulta degli "gnomi" (così vengono chiamati in gergo
i fiduciari che operano nei paradisi fiscali) è un atto
necessitato per tagliare le vie di rifornimento economico ai terroristi.
I RAPPORTI CON GLI STATI "CANAGLIA"
Un altro cordone ombelicale che consente a Bin Laden ed ai suoi seguaci di
armarsi e guerreggiare è il rapporto di sangue che lo lega ad alcuni rais e
dittatori che ancora spadroneggiano in Medio Oriente (Saddam Hussein in
particolare). Insomma ci sono in Medio Oriente nazioni, produttori di petrolio,
che sponsorizzano e foraggiano il terrorismo. Sono i cosiddetti "Stati
canaglia" (ad esempio Iran, Iraq, Libia, Siria, Sudan) che aggirano gli
embarghi e le sanzioni dell'ONU con triangolazioni di comodo al fine di fare
soldi e di destinarne una parte a favore di quei terroristi disponibili ad
azioni criminali nei confronti di quei paesi occidentali che hanno decretato
l'embargo.
Come avvengono le triangolazioni illegali ? Ad esempio, in Iraq, l'ONU ha
autorizzato Baghdad ad esportare 90 mila barili di greggio al giorno in
Giordania in cambio di cibo e medicine. Nell'oleodotto che collega i due paesi,
però transitano oltre 150 mila barili al giorno di petrolio ed allora Damasco
tiene per sé il petrolio iracheno ed esporta il proprio. C'è da scommettere
che Saddam utilizzi il maggior denaro incassato per attività del tutto diverse
da quelle umanitarie.
Ecco, l'Occidente deve smetterla di tollerare simili furbizie e richiamare Stati
amici e moderati come la Giordania a non fare i "furbi, a non fare il
"doppio gioco". Certo per farlo, molti paesi
occidentali (Italia compresa) devono darsi una "regolata" anche loro e
non fare i furbi a propria volta. Che senso ha, ad esempio, decretare l'embargo
del petrolio dall'Iraq e poi acconsentire e incentivare la presenza in quel
paese di primarie compagnie petrolifere come l'Elf, l'Agip, la Mobil per
estrarre maggior petrolio? E che dire delle laute commesse per infrastrutture
che vengono commissionate e realizzate da multinazionali occidentali proprio
negli "Stati canaglia"?
L'IPOCRISIA DELL'OCCIDENTE
Insomma, fino ad oggi vi è stata, in Occidente, anche tanta ipocrisia nella
lotta ai paesi finanziatori del terrorismo: a parole molte condanne, nei fatti
parecchi affari. Ed allora ritorna il dilemma di
sempre: ma chi comanda nei paesi occidentali? Il Governo reale corrisponde al
governo reale? Non è che nella realtà le lobby economiche e finanziarie
condizionano le attività e le decisioni
politiche? Ma questa è un'altra storia ed è bene tornare alla nostra virtuale
caccia al tesoro di Bin Laden. Per esempio, con una indagine mirata sulla
compravendita in borsa di alcuni titoli a rischio nei giorni a cavallo della
strage di New York (azioni di compagnie aeree e di società assicurative). Si sa
che qualcuno ha speculato su questi titoli con il sistema dei
"future", vale a dire "vendendo oggi quel che si paga al prezzo
di domani". Ad esempio comprando un'azione delle United Airlanes (la
compagnia aerea proprietaria dei velivoli abbattuti) che il giorno prima della
strage poteva valere (mettiamo) 1000, il giorno dopo valeva 100. Ciò vuol dire
che solo chi conosceva in anticipo cosa sarebbe successo di lì a poco poteva
arrischiarsi a commerciare in simili tipi di "future", speculando in
borsa. Cose queste che potevano sapere solo i fiancheggiatori, i finanziatori e
i mandanti dei terroristi che hanno agito. Un'indagine mirata su queste
speculazioni potrebbe portare a scoprire il "terzo livello"
dell'organizzazione ( e magari ed è probabile che così sia individuando
insospettabili magnati dell'odiato Occidente in combutta con i fondamentalisti
islamici di Bin Laden).
Come si può notare, i filoni di indagine da coltivare possono essere tanti e
quelli descritti sono solo alcuni. E nemmeno i più sofisticati. Ma lasciamo ai
specialisti fare il loro mestiere e non anticipiamo i tempi, anche per non
disperdere il vantaggio del "fattore sorpresa".
Antonio Di Pietro
SCHEDA: PAROLE SULLA GUERRA
"E' stato un atto di guerra, non solo di terrorismo. Un nuovo tipo di
guerra, per la quale noi chiameremo gli altri paesi ad unirsi a noi: ci è stata
dichiarata guerra e noi guideremo il mondo alla vittoria".
"Sarà una battaglia lunga. Ma non abbiate dubbi: la vinceremo. Questa sarà
una gigantesca lotta del bene contro il male, ma il bene prevarrà.
"Non ci sara' nessuna distinzione fra i terroristi che hanno compiuto
l'attacco e gli Stati che li fiancheggiano".
George W. Bush, Presidente degli Stati Uniti
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"Abbiamo bisogno di giustizia, non di guerra. [...] Dobbiamo proteggere la
nostra sicurezza, ma non distruggere Kabul: che vuol dire la politica di Bush?
Vogliamo cancellare l'Afghanistan dalla carta geografica? Le risposte che sono
necessarie sono politiche, chiudere il gap tra ricchi e poveri, tra bianchi e
neri, tra nord e sud del mondo".
Cora Weiss, presidente dell'International Peace Bureau
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"E' certo l'inizio di una guerra globale, diversa da tutte quelle che
abbiamo conosciuto, e con la particolarità che non ci sono soluzioni militari a
questo conflitto. Eppure i leader occidentali hanno reagito subito in termini
militari e il rischio e' che questa finisca per essere davvero una guerra tra
civiltà, con conseguenze ben ancora più gravi e drammatiche di quelle che
hanno avuto gli attacchi a New York e Washington. Ci potrebbe essere un dilagare
della violenza a scala planetaria che non ha precedenti".
"I nuovi movimenti globali devono continuare a chiedere che che siano
affrontati i problemi del pianeta, le sofferenze degli oppressi, le
diseguaglianze, che le decisioni a scala globale siano prese in modo più
democratico e rappresentativo. Se no la violenza, in un modo o nell'altro, sarà
destinata a restare con noi".
Richard Falk, docente universitario a Princeton
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"Spiacevoli ma accettabili eventuali vittime civili in atti di
rappresaglia, visto le perdite subite dai nostri".
Bill Bennett, senatore Usa
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"Non si possono sacrificare vittime innocenti per soddisfare la sete di
potere dei governi imperiali e dei conflitti di coloro che si considerano
padroni del mondo e pretendono di ripartire il pianeta come se fossero fette di
una torta appetitosa. Gli attentati dell'11 settembre dimostrano che non c'è
scienza e tecnologia capace di proteggere persone o nazioni. Inutile che gli Usa
abbiano speso 400
miliardi di dollari quest'anno per la difesa. Sarebbe stato meglio che questa
fortuna fosse stata destinata alla pace mondiale, che solo arriverà il giorno
in cui sarà figlia della giustizia".
Frei Betto, sociologo e scrittore brasiliano
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"Questo dibattito è importante perché siamo di fronte a un attacco di
proporzioni epocali. Non solo contro gli Stati uniti, ma anche contro i valore
democratici in cui noi tutti crediamo cosi' appassionatamente. E' un attacco
contro il mondo civilizzato".
Tony Blair, primo ministro inglese
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[Dissento da chi] "pensa che mostrare i muscoli e andare a colpire donne,
bambini, vittime innocenti, cioé gli stessi obiettivi dei terroristi, sia la
soluzione a questo problema. Il pericolo e' quello di una generazione in Irak e
Medio oriente che sta crescendo nell'odio più assoluto degli Stati Uniti.
Questo è il problema da affrontare e non con i bombardamenti visti nel
passato".
Tam Dalylell, deputato più anziano della Camera dei Comuni inglese
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"Questi attentati richiedono una lotta senza quartiere contro il
terrorismo. Sappiamo di difendere in questo modo i valori che sono alla base
della civiltà e della pacifica convivenza fra i popoli. I popoli
liberi debbono essere uniti e compatti nella risposta a questo atto di guerra
contro il mondo civile".
Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica Italiana
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"C'è dietro l'idea che la civiltà sia unica, con la 'c' maiuscola, e
tutto quello che è diverso da noi, sia alieno e barbarico. Questo ragionamento
è antropologicamente inaccettabile; trovo gli stereotipi
di questo genere dal punto di vista culturale e politico, molto pericolosi.
Nessuno pensa che i terroristi siano delle brave persone, ma sta di fatto che il
terrorismo e' sempre un fatto politico, viene da una crisi, una mancanza, un
fallimento della politica. La civiltà non c'entra".
Fabrizio Tonello, docente all'università di Padova
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"Questo è il copione dello scontro di civiltà, l'idea sviluppata qualche
anno fa da Samuel Huntington, secondo cui gli Stati uniti devono scontrarsi con
le civiltà del pianeta che hanno valori e orizzonti diversi da quelli
occidentali, soprattutto con il mondo islamico. Una visione pericolosa che
aggrava i problemi e le tensioni esistenti, a partire da quelli in Medio
oriente, dove la politica degli Stati uniti ha aggravato il conflitto, con il
sostegno incondizionato a Israele e nessun attenzione per i diritti e le
sofferenze dei palestinesi".
Marcus Raskin, politologo, docente alla George Washington University, un tempo
consigliere di John Kennedy alla Casa Bianca, fondatore dell'Institute for
policy studies di Washington
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"Il risultato di questi attacchi e' che Israele si ritrova un mandato in
bianco per trattare a modo suo con i palestinesi, crea una situazione in cui
tutti i governi repressivi hanno via libera nei confronti di
qualunque sfida possano subire, aumenta insomma la legittimità di politiche di
repressione. Il governo Usa è ora più forte nei confronti della propria società
civile, i cittadini saranno pronti ad accettare limitazioni della libertà, a
dare più poteri discrezionali alla polizia nei confronti dell'opposizione.
Tutto questo rafforza quello che abbiamo visto con le maniere usate dal governo
italiano nei confronti della protesta contro il G8 di Genova del luglio
scorso".
Cora Weiss, presidente dell'International Peace Bureau
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"Ci stanno uccidendo lentamente giorno dopo giorno - sostiene Abed,
palestinese, venti anni occhialetti da intellettuale in un buon inglese - e
ormai il numero di giovani senza speranza cresce sempre di più".
"Tutti sono in bilico tra l'emigrazione, se ci riescono e se si hanno i
soldi per farlo - sostiene dopo averci invitato nella sua casa dalle pareti e
dal soffitto ammuffiti dove in due stanze vive con i suoi sei fratelli e sorelle
e la madre malata - e il sacrificare la propria vita per il nostro paese. Non e'
fanatismo ma disperazione. Loro hanno armi potentissime, noi i nostri corpi. La
politica degli Usa e di Israele, non sta lasciando a milioni di palestinesi, di
arabi e di musulmani altra alternativa che una lotta senza quartiere. Di fare,
in parte e su scala assai piu' ridotta, quel che loro in realta' hanno sempre
fatto".
"Quello che ha buttato l'aereo contro le torri gemelle - sostiene poco dopo
uno dei suoi fratelli, laureato in ingegneria ma costretto a vendere polli in un
girarrosto ambulante - non è certo più colpevole dei piloti americani che
hanno sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki o di Sharon che è
arrivato a bruciare vivi con le bombe al fosforo tanti abitanti dei campi o di
Beirut. Purtroppo il giudizio morale sulle bombe sembra dipendere solo dal fatto
se uno ci sta sotto o
sopra. Non se debbano essere usate o meno come dovrebbe essere. Questo è il
mondo che hanno voluto gli Usa e che hanno ottenuto. E per capirlo bisogna
guardarlo anche dalla parte dei poveri polli, non solo da quella
dell'oste".
(da: Il Manifesto, servizio da Beirut)
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"Ogni attacco armato sul territorio di alleati, proveniente da qualsiasi
direzione, dara' luogo all'applicazione degli articoli 5 e 6 del trattato di
Washington. La sicurezza dell'alleanza deve comunque tener conto anche del
contesto globale. L'interesse alla sicurezza dell'alleanza può essere toccato
da altri rischi di più ampia natura, compresi atti di terrorismo, sabotaggio,
crimine organizzato, e dalla interruzione del flusso di risorse vitali. Anche il
movimento incontrollato di un grande numero di persone, in particolare quale
conseguenza di conflitti armati, può porre problemi per la sicurezza e la
stabilità dell'alleanza. All'interno dell'alleanza esistono intese finalizzate
alla consultazione fra gli alleati e al coordinamento dei loro sforzi, incluse
le loro risposte a rischi di questo tipo>>
Dal "Nuovo concetto strategico della Nato", sottoscritto dai paesi
membri nell'aprile '99 durante la guerra del Kosovo, firmato per l'Italia da
Massimo D'Alema e mai sottoposto a ratifica del Parlamento Italiano
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"Noi siamo pronti a pagare qualsiasi prezzo per difenderci, e a utilizzare
tutti i mezzi per prenderci la rivincita".
Mohammad Omar, guida spirituale dei taleban, mullah della moschea Kandahar,
Afghanistan
"Musulmani di tutto il mondo, dobbiamo unirci se gli Usa ci
attaccano", un imam della moschea di Kabul
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"I mujahedin che proteggono Osama bin Laden e fanno attentati per suo
conto? Li abbiamo addestrati noi in Scozia".
"I mujahedin erano buoni soldati ma non avevano grandi abilita' tattiche e
di progettazione. [...] il risultato piu' grande che abbiamo ottenuto è stato
quello di trasformare un gruppo di buoni soldati, ma disorganizzati, in una
organizzatissima unità combattente>>
Ken Connor, ex membro delle SAS, le teste di cuoio inglesi
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"E' questo il risultato di una politica perseguita dagli Stati uniti da
Reagan, George Bush Senior, Clinton. Il contesto cambia, ma di poco. Gli
americani, in Afganistan, in Algeria, in Arabia saudita, Egitto hanno negli
ultimi dieci o quindici anni reclutato, addestrato e finanziato le persone
sbagliate: la Cia, in Afganistan, ha condotto una operazione in funzione
antisovietica, finanziando i Mujahiddin con 6 milioni di dollari. Venne
considerata dai servizi segreti un vero successo. Mezze
figure del fanatismo islamico vennero incoraggiate e
"appaltate"".
Gabriel Kolko, Professor Emeritus alla York University di Toronto
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"Il dominio sul mondo ha come prezzo il venire in conflitto con tipi come
bin Laden i quali, lungi dall'essere "fuori della civilta'" sono un
puro prodotto della politica estera americana di appena 15 anni or sono. Era di
Reagan e di Bush padre, per quelli che hanno memoria".
Fabrizio Tonello, docente all'università di Padova
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"Il fondamentalismo islamico [...] ha i suoi inconfutabili alibi: mezzo
secolo di guerre americane in Medio-oriente e no (talune con l'avvallo dei
governi italiani, oltre a quello di tutte le altre nazioni del Patto, e sul
quale ho trovato inutile sia dissentire che consentire) sono un alibi
sacrosanto".
[Noi che] "proviamo sconcerto e pena e solidarieta' per le vittime dei
terroristi kamikaze e che tuttavia non dimentichiamo lo sconcerto e la pena, e
un senso di solidarieta' per quanto frustrata dal sistema, per i popoli
affamati, calpesatati, sfruttati (e dai loro stessi capi e dall'accidente tutto)
del Medio Oriente e dell' Africa e del Sud America: soltanto ci permettiamo, e
non ci stancheremo di permetterci, di dire che il nostro non e' il Regno del
Bene e il loro non e' l'Impero
del Male".
Aldo Busi, scrittore
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"Su come reagire abbiamo la possibilità di una scelta. Possiamo esprimere
un orrore giustificato; possiamo tentare di capire cosa può aver portato al
gesto criminale, e ciò significa fare uno sforzo per entrare nella mente dei
possibili autori dell'attentato. Se scegliamo questa seconda strada, non
possiamo fare di meglio, credo, che ascoltare le parole di Robert Fisk, la cui
diretta conoscenza e familiarità con gli affari interni della regione è
incomparabile dopo tanti anni di studio. Descrivendo la "malvagità e la
spaventosa crudeltà di un popolo oppresso e umiliato", egli scrive che
"non è la guerra della democrazia contro il terrore che al mondo verrà
chiesta di combattere nei giorni a venire. Ma si tratta anche dei missili
americani che distruggono le case dei palestinesi, degli elicotteri Usa che
centrano un'ambulanza libanese, e di bombe americane che esplodono su un paese
di nome Qana, e ancora della milizia libanese - pagata e attrezzata dall'alleato
israeliano dell'America - che rapisce, stupra e uccide nei campi profughi".
E ancora molto di più. Di nuovo, abbiamo la scelta: possiamo tentare di capire,
o rifiutarci di farlo, contribuendo al concretizzarsi dell'ipotesi che il peggio
sia ancora davanti a noi".
Noam Chomsky, linguista, docente al MIT di Boston, nonché autorevole
intellettuale radical americano
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"Le politiche economiche che gli Stati uniti e gli altri paesi ricchi hanno
imposto al mondo hanno provocato disastri sociali. Negli USA e in molti paesi
europei c'è prosperità, mentre nel resto del mondo è solo povertà, guerra,
fame, malattie. Quando gli Stati Uniti si sono interessati a qualche problema
nel mondo, hanno seguito due strade: o hanno puntato ad un controllo militare
dell'area interessata dalla loro azione, o hanno imposto misure economiche che
hanno spesso fatto
aumentare la miseria e la povertà".
"Pensiamo ai biglietti lasciati a Manhattan dove si può leggere "peace,
not war", "no more killing". Oppure al senso di solidarietà
comune che c'è nelle vegli di preghiera. Sono semplici messaggi e
pratiche che sono contro l'escalation della guerra. [...] Sono messaggi scritti
da giovani e meno giovani, persone che vogliono immaginare una vita buona da
vivere. Sono uomini donne che non vogliono la guerra. Posso sbagliare, ma spero
di no, ma questi sono sentimenti fortemente presenti nell'opinione pubblica
americani e che possono diventare il germe di un nuovo movimento contro
l'escalation militare".
Saskia Sassen, economista, autrice del libro "Global City"
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"Dallo stesso senso di vulnerabilità di questi giorni può nascere un
altro percorso. Se il mondo e' entrato in casa nostra con gli squarci nelle
torri gemelle di New York, possiamo iniziare a vedere i problemi che ci sono nel
mondo, possiamo metterci nei panni degli altri, smettere con l'amnesia per le
conseguenze delle nostre azioni, pensare a un sistema commerciale piu' equo, ad
uno sviluppo sostenibile, a un disarmo radicale, al divario crescente tra ricchi
e poveri del pianeta. Ma per
questo occorre un cambiamento profondo del nostro modo di pensare. Dovremmo
abbandonare un modo di vivere basato sul principio che noi sappiamo fare meglio
di chiunque altro, che dobbiamo essere i primi per forza. Dovremmo smetterla di
imporre al resto del mondo le nostre idee e
le nostre politiche. E' un percorso che si deve fare fuori dalla politica, dalle
strategie del governo, ma che deve svilupparsi nella società civile, nelle reti
transnazionali, per arrivare in sedi come le
Nazioni Unite e da qui fare pressione sulla politica americana".
Marcus Raskin, politologo, docente alla George Washington University, un tempo
consigliere di John Kennedy alla Casa Bianca, fondatore dell'Institute for
policy studies di Washington
Tutte le citazioni di questa scheda "parole sulla guerra" sono
state tratte da interviste pubblicate su http://www.ilmanifesto.it/
eccetto: le dichiarazioni di Bush (http://www.repubblica.it/
), le riflessioni di Tonello sulla civiltà (trascrizione dell'intervista di
http://www.radiopopolare.it/ ), il pezzo di
Chomsky (disponibile ormai su molti siti web). La scheda è a cura di franxe@katamail.com
STORIA DELLE PAROLE
SULLA GUERRA
"Disprezzo
profondamente chi è felice di marciare nei ranghi e nelle formazioni militari
al seguito di una musica: costui solo per errore ha ricevuto un cervello; un
midollo spinale gli sarebbe più che sufficiente".
Albert Einstein
"Una sola cosa non ha sviluppato l'uomo: la caserma".
Joseph Ernest Renan (1823-1892), scrittore francese
"E' con i poveri che i ricchi si fanno la guerra".
Luis Blanc (1811-1882), uomo politico francese
"Una guerra perduta come pure una guerra vittoriosa porta un aumento delle
banche e delle industrie".
Max Weber(1864-1920), sociologo tedesco
"L'uomo deve essere educato a far la guerra e la donna costituirà il
passatempo del guerriero; tutto il resto è follia".
Friedrich Nietzsche (1844-1900), filosofo tedesco
"Chi vede come noi uomini siamo fattie pensa che la guerra è bellao che
valga più della paceè storpio di mente".
Cartesio
"I vantagi della guerra, se ce n'è qualcuno, sono solo per i potenti della
nazione vincente. Gli svantaggi ricadono sulla povera gente".
Bertrand Russel
"Le guerre si fanno per creare debiti. La guerra è il sabotaggio più
atroce".
Ezra Pound
"Combattere e vincere cento battaglie non è prova di suprema eccellenza;
la suprema bravura consiste nel piegare la resistenza del nemico senza
combattere".
Sun Tzu
"Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno rimarrebbe nelle mie
file".
Federico II Hohenzollern, re di Prussia (1712-1786)
Elogio della guerra. "E' la salute etica dei popoli (...) è come il
movimento dei venti per le acque del mare: evita che queste si
putrefacciano".
Hegel
"Abbiamo bisogni di cadaveri per lastricare le strade di tutti i
trionfi".
Giovanni Papini (1881-1956), scrittore interventista
Il trucco della guerra. "La guerra non è altro che una comoda elusione dei
compiti della pace. In quanto sostituisce l'avventura esterna al lavoro e al
miglioramento interno, essa è moralmente così screditata che si può ben
pensare non sia mai stata altro che un mezzo di oppressione interna e di
assoggettamento dei popoli, il grande mezzo ingannatore per indurli a gridare 'evvive'
alla propria sconfitta di fronte al governo vittorioso".
Thomas Mann (1875-1955), scrittore tedesco
Esaltarsi alla guerra. "Quando ascontando vecchie canzoni o addirittura
marce militari sento un brivido che comincia a serpeggiarmi per le vene, mi
oppongo alla tentazione dicendomi che anche gli scimpanzé, per prepararsi o
istigarsi alla lotta, emettono rumori ritmici".
Konrad Lorenz (1903-1989), etologo austriaco14
Spietatezza bellica. "E' questione di umanità far la guerra in
maniera feroce affinché finisca bprima".
F. von Bernhardi
"Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva,
contro di essa è ovvio ricorrere all'antagonista di questa pulsione: l'Eros.
Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la
guerra (...) La psicoanalisi non ha bisogno di vergognarsi se qui si parla
d'amore, perché la religione dice la stessa cosa: "Ama il prossimo tuo
come te stesso". Ora, questo è un precetto facile da esigere, ma difficile
da attuare. L'altro tipo di legame emotivo è quello per identificazione. Tutto
ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti
comuni di questo genere, le identificazioni. Su di esse riposa in buona parte
l'assetto della società umana".
Sigmund Freud, 1932, lettera ad Einstein
"Vi è una possibilità di dirigere l'evoluzione psichica degli uomini in
modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell'odio e della
distruzione? Non penso qui affatto solo alle cosiddette masse incolte.
L'esperienza prova che piuttosto la cosiddetta "intellighenzia" cede
per prima a queste rovinose suggestioni collettive, poiché l'intellettuale non
ha contatto diretto con la rozza realtà, ma la vive attraverso la sua forma
riassuntiva più facile, quella della pagina stampata".
Albert Einstein, 1932, lettera a Sigmund Freud
"Facciamo la guerra per poter vivere in pace".
Aristotele
"La razza umana è diventata forte nella lotta perpetua, e non potà che
perire in una perpetua pace". Adolf Hitler
"Tutti i popoli sono per la pace, nessun governo lo è".
Paul Leautaud
"La sola garanzia di una lunga pace tra due stati è l'impotenza reciproca
di nuocersi".
Duca di Lévis
"Fate mostra di essere pronti alla guerra e avrete la pace".
Tito Livio ("Ab urbe condita")
"La pace è più importante di ogni giustizia; e la pace non fu fatta per
amore della giustizia, ma la giustizia per amor della pace".
Martin Lutero
"La pace ha le sue vittorie non meno celebri di quelle della guerra".
Milton
"Dove fanno il deserto, quello chiamano pace".
Tacito
"Il famoso "si vis pacem para bellum" non è che un giuoco di
parole da oracolo di Delfo. Torniamo, signori, al senso comune, che dice: si vis
pacem para pacem".
Filippo Turati, discorso parlamentare del 12 giugno 1909
"Essere preparati alla guerra è uno dei mezzi più efficaci per preservare
la pace".
George Washington
"La grande illusione". Titolo del libro di Norman Angel in cui si
dimostra che la guerra non porta vantaggio neanche al vincitore.
"La guerra rassomiglia al camaleonte perché cambia natura in ogni caso
concreto".
Clausewitz
"Ai soldati italiani che romanamente devoti all'onore della Patria a Dogali
e a Sahaiti caddero da eroi".
Lapide del 1887 ancora affissa sul Municipio di Locorotondo (Bari)
"LA VENDETTA? NON IN NOME DI NOSTRO FIGLIO"
--- Copia della lettera inviata al New York Times
Nostro figlio Greg è tra i tanti dispersi dell'attentato al World Trade Center.
Da quando abbiamo avuto la notizia, abbiamo condiviso momenti di dolore, di
conforto, di speranza, di disperazione, e i bei ricordi, con sua moglie, con le
nostre famiglie di origine, con i nostri amici, con i vicini, con i suoi
affettuosi colleghi del Cantor Fitzgerald/ Espeed, e con tutte le famiglie in
lutto che giornalmente si incontrano al Pierre Hotel. Vediamo la nostra ferita e
la nostra rabbia riflesse in tutte le persone che incontriamo. Non riusciamo a
prestare attenzione al quotidiano fiume di
notizie su questo disastro, ma ne leggiamo abbastanza per renderci conto che il
nostro governo va nella direzione della vendetta violenta, e la prospettiva è
che altri figli, figlie, genitori, amici, andranno in terre lontane a morire,
soffrire e finiranno per portare rancore contro di noi.
Non è questo che si deve fare. Questo non vendicherà la morte di nostro
figlio. Non si farà in nome di nostro figlio.
Morendo, nostro figlio è diventato una vittima dell'ideologia umana. Le nostre
azioni non devono seguire lo stesso scopo.
Uniamoci nel lutto. Riflettiamo e preghiamo. Pensiamo ad una risposta razionale
che porti vera pace e giustizia nel nostro mondo. Ma non contribuiamo, come
nazione, alla disumanità dei nostri tempi.
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Greg, figlio di Phyllis e Orlando Rodriguez, è una delle vittime del World
Trade Center.
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Copia della lettera alla Casa Bianca:
Egregio Presidente Bush,
Nostro figlio è una delle vittime dell'attacco di martedì scorso al World
Trade Center. Abbiamo letto della Sua reazione negli scorsi giorni e della
risoluzione, sottoscritta da entrambe le Camere, che Le conferisce poteri
illimitati per rispondere agli attentati terroristici.
La Sua reazione a questo attacco, però, non ci fa sentire meglio davanti alla
morte di nostro figlio. Anzi, ci fa sentire peggio. Ci fa sentire come se il
Governo stesse usando la memoria di nostro figlio come giustificazione per
arrecare sofferenze ad altri figli e genitori in altri paesi.
Non è la prima volta che una persona, nelle Sue condizioni, ha ricevuto poteri
illimitati e poi se ne è pentita. Non è il momento per gesti vuoti di
significato per farci sentire meglio. Non è il momento di agire da prepotenti.
La invitiamo a pensare a come potrebbe il nostro Governo trovare soluzioni
pacifiche e razionali al terrorismo, soluzioni che non ci facciano sprofondare
allo stesso disumano livello dei terroristi.
Con osservanza,
Phyllis e Orlando Rodriguez
IL RISCHIO DELL'INTOLLERANZA RELIGIOSA
"Trattate con rispetto gli arabi di origine americana e i musulmani.
Non sfogate su di loro la vostra rabbia", aveva detto qualche giorno fa il
presidente George Bush.
Parole preoccupate, già consapevoli della nuova emergenza. In molti erano stati
facili profeti, ieri il dramma. Ora ha un nome e un volto anche la prima vittima
della caccia all'arabo, di quell'insensata corsa alla giustizia sommaria che
ricorda tanto gli episodi più brutti dell'epopea del Far West. E così un altro
morto si aggiunge ai tanti, troppi cadaveri di quel terrificante martedì. Anche
lui è un innocente, anche lui non c'entrava nulla. Balbir Singh Sodhi aveva 49
anni, era proprietario di una pompa di benzina a Phoenix in Arizona e per tutta
la settimana era stato minacciato da qualcuno che parlava di vendetta, di
giustizia.
Balbir era di religione sikh. Nulla a che vedere con i musulmani, con gli arabi,
con gli attentatori delle Torri gemelle. A condannarlo a morte il turbante e la
barba. "Molti non comprendono - spiega il fratello - che i sikh portano la
barba e il turbante e quindi assomigliano a Osama Bin Laden, ma non solo non
hanno nulla a che vedere con il miliardario saudita, non sono nemmeno
musulmani". Non lo sapeva chi è entrato in macchina a tutta velocità
nella piccola stazione di servizio e ha sparato contro di lui aggiungendo morte
a morte, dolore a dolore. Ora la polizia interroga un uomo, gravemente indiziato
e indaga su altri episodi successi nei dintorni. Pochi minuti dopo, infatti,
sembra che il presunto assassino abbia sparato, questa volta fortunatamente
senza conseguenze, contro altre due stazioni di servizio, una delle quali
gestita da un cittadino americano di origine libanese.
Un episodio terribile come quello capitato sempre ieri nel New Jersey dove un
imam è stato aggredito da un invasato che urlava frasi senza senso. Il
religioso è stato salvato da una donna incinta che passava di lì. Una donna
come la pakistana inseguita nel parcheggio di un centro commerciale da un
ubriaco che la voleva investire e il quale si è così giustificato: "Sta
distruggendo il mio paese".
Tratti somatici, barbe, capelli e vestiti che ricordino i presunti kamikaze di
New York e Wahington sono diventati, quindi, terribili marchi d'infamia. Le
scuole coraniche sono vuote, nelle tante moschee poche voci recitano le
preghiere. Inevitabile, dopo gli attacchi ai luoghi di culto islamici. Qualcuno
ha scagliato una bomba incendiaria contro la moschea di Denton, in Texas. La
polizia ha arrestato un uomo che cercava di dare fuoco a quella di Seattle.
Sconosciuti a Lynnwood, nello stato di Washington, hanno deturpato con vernice
nera il muro di un tempio musulmano. A Evansville, in Indiana, un uomo è andato
a sbattere con la sua auto contro un centro culturale islamico. E' sceso dalla
vettura e ha rotto i vetri dell'edificio a pugni. A Bridgeview, sobborgo di
Chicago, la polizia è intervenuta per respingere una folla di trecento persone
che, infuriate, marciavano verso una moschea. Altro qualcuno ha scagliato
sacchetti pieni di sangue di maiale. Nel sobborgo di Palos High un uomo è stato
arrestato per aver attaccato a colpi di machete un benzinaio marocchino. A Los
Angeles sono stati denunciati almeno undici episodi di intolleranza anti-araba,
molti dei quali con uso di armi da fuoco.
"La nostra non è una guerra contro l'Islam, né contro il popolo arabo -
ha stigmatizzato il vicepresidente Dick Cheney in un'intervista -, la violenza
che vogliamo combattere è frutto di una perversione di questo credo religioso
da parte di un gruppo estremista".
Non basterà a fermare la caccia all'arabo, ma è comunque una posizione chiara
e ferma".
Giannino Della Frattina ("Il Giornale", 17/9/01)
"I quotidiani regalano poster a doppia pagina del nemico numero uno. "Wanted
dead or alive" è stampatoi sulle t-shirt in vendita per dieci dollari
all'angolo della Sesta avenue e 34' street, un mirino incornicia il terrorista
miliardario mentre si accarezza la lunga barba. Alla fine tanto battere
sull'odio ha scatenato la cieca violenza dell'America esasperata. Prime vittime
sono stati gli indiani sikh che, da una settimana a questa parte, stanno
cercando inutilmente di spiegare all'opinione pubblica che, nonostante barba e
turbanti, non hanno nulla a spartire con l'Islam e talebani. Il fatto più grave
risalke a sabato scorso: il tranquillo cittadino Frank S. Rocque è arrivato in
pick up a una stazione di rifornimento Chevron a Mesa, in Arizona, e ne ha
ucciso il proprietario. Perché? Semplicemente perché il signor Balbir Singh
Sodhi, un sikh di 49 anni, portava in testa un turbante e aveva la pelle un po'
troppo scura. Non soddisfatto della "missione", ha poi sparato a un
musulmano e ha aperto il fuoco irrompendo in casa di una famiglia afghana,
fortunatamente senza ammazzare più nessuno. Ma a fare riflettere è soprattutto
la giustificazione che Rocque ha dato al suo gesto: "Sono un patriota, sono
un dannato americano. Voi poliziotti mi arrestate e lasciate che i terroristi
siano liberi di compiere stragi quando e come vogliono".
Dal tragico 11 settembre di New York, Washinghton e Pittsburgh, molte persone
che sono o semplicemente assomigliano a mediorientali e indiani sono state
picchiate, insultate, inseguite e per l'appunto assassinate. L'Fbi sta indagando
su altri 2 omicidi che sono sicuramente riconducibili all'ondata di razzismo che
si è impadronita di un paese civile.
Il primo è quello di Adel Karas, un egiziano cristiano copto di 48 anni,
freddato nel suo negozietto di droghiere a San Gabriel in California. Il figlio
che era nel retrobottega ha sentito una voce gridare: "Sporco arabo
terrorista" e quindi l'esplosione di due colpi di revolver. Il secondo è
invece quello di un pakistano musulmano, Waquar Pasan, 46 anni, che è stato
trovato riverso sul pavimento con una pallottola in fronte nel suo piccolo
supermercato nel quartiere Pleasant Grove di Dallas. Gli investigatori escludono
la rapina: "Nella cassa c'erano tremila dollari e nessuno li ha toccati,
inoltre non ci risulta che la vittima avesse nemici. Il movente sembra essere
l'odio razziale".
In giro per gli States si contano poi cinque moschee bruciate e innumerevoli
molotov lanciate contro aziende ed esercizi commerciali che appartengono ad
arabi. Ma sono soprattutto i pacifici sikh a essere presi di mira perché più
degli altri assomigliano al presunto mandante delle stragi, Bin Laden. Ieri
pomeriggio erano 250 i sikh che hanno denunciato di aver subito violenze da
parte di americani, ben 120 hanno dovuto fare ricorso alle cure degli ospedali e
10 sono in condizioni serie. Per esempio Guardshan Singh, un sacerdote sikh a
Rockville nel Maryland, che stava andando a donare il sangue per i feriti del
World Trade Center quando due uomini lo hanno aggredito a sprangate spaccandogli
una gamba: "Che devo dire? Capisco la rabbia, so che c'è ignoranza sulla
nostra religione ma la gente dovrebbe usare la testa e non solo gli occhi".
Una donna, Shari Mitchell, è stata arrestata a Eugene nell'Oregon perché
armata di coltello ha strappato dalla testa di due indiani che stavano
passeggiando i loro turbanti all'urlo "estremisti assassini". E ancora
a Cleveland e West Sacramento bande di vandali hanno distrutto con mazze da
baseball i loro templi, a San Matteo, in California, ignoti hanno lanciato una
bottiglia incendiaria nella casa di una famiglia sikh colpendo alla tempia un
bambino di tre anni. Solo per caso la bomba non è esplosa. "Non odio gli
americani, perché mi considero americano anch'io - dice Lakhwindet Singh,
fratello dell'indiano ucciso a Mesa - dico solo che avevamo chiesto ai media di
chiarire immediatamente che non siamo musulmani, nessuno ha nosso un dito ed
ecco il risultato".
Sia a Chicago sia a New York i tassisti indiani, che sono la maggioranza,
tengono sbarrato il vetro che divide il posto di guida dai passeggeri, ed erano
anni che non si vedevano simili misure di sicurezza. La situazione è talmente
grave che il primo ministro indiano Atal Bihari Vajpayee ha dovuto telefonare al
presidente Bush chiedendo i proteggere i suoi connazionali. Se il mezzo milione
di sikh che vivono negli Usa accettassero di rinunciare al turbante, il problema
sarebbe forse risolto, ma la loro religione non lo consente. "Potete anche
strapparmi anche lo scalpo - dice combattivo Prabhjot Singh, 22 anni, consulente
tecnologico di Manhattan - ma per togliermi il turbante prima dovete
uccidermi"."
Carlo Piano, inviato a New York de "Il Giornale" (20/9/01)
"Ali Abu Shwaima punta il dito sul Corano: "Chiunque uccida un uomo è
come se uccidesse tutta l'umanità, mentre chi salva una vita è come se la
salvasse a tutta l'umanità". E chi pensa di trovare nel presidente del
centro islamico della Lombardia almeno una lontanissima giustificazione
dell'ecatombe americana, rimane deluso: "Condanno il gesto, i suoi autori,
esprimo sgomento per questa immensa tragedia che sconvolge l'umanità. Qui non
c'è neppure l'ombra di Allah". Cosa ne pensa della vita come sacrificio al
Misericordioso, al Clementissimo? Quella vita cioè che i kamikaze delle Torri
genelle e del Pentagono hanno perso in nome del loro Dio? "Nulla di tutto
questo fa parte dell'Islam che dà valore prioritario alla vita. No al suicidio,
no all'omicidio. Pensi solo che la nostra religione considera musulmani tutti i
bambini fino all'età della reagione. Anche quelli cattolici. Mai e poi mai può
essere tollerato l'assassinio, soprattutto di giovani vite, come è successo a
New York".
Cosa pensa di questi kamikaze? "Penso che si tratti di persone disperate,
di gente ridotta all'ultimo stadio esistenziale, di uomini depressi o malati o
sconvolti. Gente che non ha più nulla da perdere, da chiedere, e che quindi fa
un ragionamento di questo tipo: tu mi hai tolto tutto, mi hai annientato,
distrutto, umiliato, tu mi stai uccidendo e io mi uccido da solo e porto anche
te, mio nemico, nella stessa tomba". In questo senso, riesce dunque ad
accettare l'eliminazione fisica? "No, mai. Nulla può giustificarla".
E' risoluto e impenetrabile. Shwaima fa dunque l'americano? "Nient'affatto.
Per me la verità non è quella di Bush - graffia - Siamo proprio sicuri che il
responsabile della strage sia Osama Bin Laden? I manuali di guerra e di
criminologia non insegnano forse di puntare il dito su chi ottiene i maggiori
benefici da un certo crimine? E vi sembra forse che Bin Laden ne esca bene da
una simile, gigantesca, operazione di guerra? No, io penso che dietro a tutto
questo ci sia la mano di un grande regista". Ma qui, a Milano, come va?
"Per il momento non abbiamo avuto problemi, anche se qualche lettera di
minaccia l'ho ricevuta". E scuote la testa: "Purtroppo voi non
conoscete il nostro mondo".
Andrea Pasqualetto, "Il Giornale", cronaca di Milano, 17/9/01
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Il presente dossier è curato e aggiornato da Alessandro Marescotti. Si
ringrazia il CIPAX (Centro Interconfessionale per la Pace) di Roma per la
riproduzione e diffusione a mezzo stampa.
http://www.peacelink.it/webgate/pcknews/msg01050.html
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