Dal "The Guardian" |
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I BULDOZZER NON SI FERMANO
La minaccia dello sfratto incombe su un terzo del milione di baraccati di
Nairobi; il governo ha iniziato a demolire gli slums costruiti durante la
presidenza di Daniel Arap Moi
Da "The Guardian", martedì 20 aprile 2004.
Meshack Onyango era al lavoro quando i buldozzer sono arrivati, ma i suoi
vicini hanno messo in salvo il suo materasso e il suo formello a parafina
prima che la demolizione la sua fatiscente abitazione diventasse un cumulo di
macerie sulla terra rossa dello slum.
Il tetto di lamiera della baracca era stato sottratto dai ladri poco prima che
la demolizione iniziasse, ma lui si ritiene fortunato ad aver recuperato
almeno questi pochi averi.
Più di un terzo del milione di persone che vive nelle baraccopoli intorno alla
capitale del Kenya dovrà ora affrontare la stessa sorte, poichè il governo si
prepara a fare piazza pulita di quelle parti degli insediamenti informali che
si sono espansi fino ai binari della ferrovia e sulla terra riservata alla
costruzione di una strada.
L'abitazione della famiglia Onyango è stata demolita insieme ad altre 400
baracche di fango con il tetto di lamiera perchè sorgeva in mezzo al passaggio
di una tangenziale in progetto, che ritaglierà una striscia larga 60 metri
attraverso Kibera, il più grande slum del Kenya, il
secondo in Africa.
"Sono arrivati alle nove del mattino, mentre io ero al lavoro e mia moglie era
al mercato," ha detto il Sig. Onyango. "I bulldozer erano accompagnati dalla
polizia, così che la gente non potesse fermare le demolizioni, o sarebbe stata
presa a manganellate. Abbiamo dormito in chiesa quella notte, e ora siamo a
casa di mio fratello, perchè non abbiamo il denaro necessario ad affittare una
casa per conto nostro" . Il sig. Onyango, sua moglie e i loro quattro figli
piccoli vivono ora tutti con il suo fratello maggiore in una baracca grande
quanto la serra di un giardino inglese.
Le sole decorazioni sono di carta colorata, e lenzuola appese suddividono lo spazio in soggiorno, angolo cucina e camera da letto. Non c'è un bagno o semplicemente un wc, non ci sono né acqua corrente né elettricità. La maggior parte dei residenti di Kibera si deve lavare fuori dalla sua baracca e centinaia di persone condividono gli stessi servizi igienici.
Il governo del Kenya, in carica dal dicembre 2002, sta affrontando con
decisione i problemi lasciati in eredità dall'ex presidente Arap Moi, sotto il
cui governo grandi spazi di suolo pubblico erano stati sfruttati illegalmente
per interessi privati. I proprietari della terra su cui sorsero poi gli slums
costruirono le baracche su terreni destinati alla costruzione di strade, a
ridosso dei binari della ferrovia e sotto i tralicci dell'alta tensione.
Ma il tentativo di reclamare il suolo pubblico ha colpito nel modo più duro
alcuni tra i poveri più poveri del Kenya. Ondate di sgomberi hanno buttato
fuori molte persone dalle loro case. "Adesso ho paura del governo", dice il
sig. Onyango. "Io sono povero, dove posso andare a protestare?"
Gli sgomberi erano stati interrotti il mese scorso in seguito alle proteste dell'ONU e del Vaticano, ma il ministro Raila Odinga ha insistito la scorsa settimana perchè ogni casa costruita sul suolo riservato alla costruzione di strade o ad altri servizi pubblici fosse demolita. Il governo ha progettato di ripulire una frangia degli slums costruendo un nuovo quartiere nell'area intorno a Kibera. Ma questo progetto è pensato soltanto per un'area della baraccopoli, un fatiscente quartiere chiamato Soweto; non aiuterà certo le centinaia di migliaia di persone che stanno ora affrontando la minaccia della rimozione forzata dal suolo pubblico. "Principalmente è un problema di coordinamento" dice Jack Makau, un portavoce dell'associazione Pamoja trust, che promuove la campagna in favore dei diritti dei baraccati. "Una parte del governo sta cercando di risollevare la situazione degli slums, ma un'altra parte sta rendendo vano questo tentativo sgomberando le persone con la forza". Lo scarto tra ricchi e poveri a Nairobi, una delle città dalle disuguaglianze più eclatanti, è illustrato chiaramente dando un'occhiata ai dintorni. Nel quartiere residenziale di Karen, appena fuori Nairobi, stando al censimento del 1999 ci sono meno di 360 abitanti per chilometro quadrato; in alcune parti di Kibera ne vivono più di 80.000. Negli slums le baracche sono accatastate una a ridosso dell'altra, con strette viuzze in cui i bambini giocano nel fango e le galline razzolano beccando tra i rifiuti. I quasi due terzi della popolazione di Nairobi è stipata in baraccopoli come Kibera, e il sovraffollamento di queste aree è destinato solo ad aumentare dato che i poveri dalle zone rurali continuano a migrare in città in cerca di un lavoro. L'Africa sta subendo un'urbanizzazione più veloce di ogni altro continente, e le sfide che Nairobi si trova ad affrontare diventeranno presto un problema comune in tutta la regione. A Kibera questo futuro urbano sembra pieno di paura e incertezza. Le porte dei negozi e delle case che si stringono intorno alla ferrovia sono ora contrassegnate con una X rossa. L'espandersi di queste croci, che identificano le case da demolire, sembra il marchio di una pestilenza. Ma Grace Nyanyau, al banco del suo negozietto di alimentari, è decisa: "Sono stata qui per 10 anni, e ho intenzione di restarci fino a quando lo butteranno giù", dice. "Non ho un altro posto dove andare".
(Jeevan
Vasagar , da Kibera)
____________________________________________________________ testo originale in Inglese Homelessness threatens a third of a million people as
government moves
"We slept in the church that night, and now we're at my brother's house
because I don't have money to rent my own house." |
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