CREARE PRIMAVERA DI PACE

Convivenza GIM  di fine anno a  FAENZA

28 dicembre 2002 -1° gennaio 2003

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                    CONVIVENZA GIM DI FINE ANNO AD ARZERGRANDE

 

Faenza, 01/01/03

 

Noi giovani, circa 40 provenienti un po’ da vari luoghi d’Italia, come gruppo che conosce e frequenta i missionari comboniani, siamo venuti a trovarvi per qualche giorno nella vostra comunità per sperimentare la vostra accoglienza e per prepararci assieme a vivere la marcia per la Pace di oggi pomeriggio 1° gennaio 2003.

Per chi non ha ancora avuto la fortuna di vederci (!) nelle vostre case dal 28 dicembre ad oggi, o qui in parrocchia o sbadatamente per strada, proviamo ora, in due parole, a riassumervi che cosa è stata per noi l’esperienza di convivenza qui a Faenza:

Tutti noi abbiamo invaso le vostre case, almeno per un pasto e sappiamo di aver lasciato un segno (o meglio un vuoto nelle vostre dispense) o addirittura siamo stati ospitati per la notte. Siamo passati per le vostre case nella speranza di incontrarvi e di portarvi un augurio e un segno tangibile di Pace, abbiamo così sperimentato l’accoglienza e anche la non-accoglienza. Davanti alla fatica e alla frustrazione della porta chiusa abbiamo scoperto ancora una volta la gratuità del dono offerto e ricevuto, che non chiede e non si aspetta nulla in cambio. Anche questo è stato per noi (e speriamo anche per voi) segno di Pace che scardina la logica del “dare per ricevere”, del fatto che tutto, anche il nostro tempo, abbia un prezzo.

 

Un giorno in piazza alcuni di noi si sono trovati a discutere a lungo con un gruppo di anziani che la pensava in modo diverso sulla Pace, solidarietà, sud del mondo… E’ stato importante in quel dialogo non riprodurre una mentalità conflittuale, come alzare la voce e arrabbiarsi, interrompere l’altro mentre parla… e questo più di tante parole è forse fare Pace e vivere in Pace.

Anche vivere a stretto contatto (pure troppo per chi dormiva in asilo) senza essersi per la maggior parte mai visti prima è stata per noi una prova di accoglienza dell’estraneo.

Abbiamo avuto anche momenti di formazione e “massicce” occasioni di riflessione come una mattinata di laboratorio con un giornalista di Nigrizia sul tema dell’informazione e l’incontro con i volontari di Mani Tese di Faenza e la serata al cinema Europa sulla “Pacem in terris” che ha visto la vostra attiva partecipazione.

Infine abbiamo concluso ieri sera con una veglia di preghiera dal titolo “Occhi nuovi per il futuro:  l’impegno permanente per la Pace” per iniziare l’anno nuovo in un modo diverso. Citando una ben nota lettera: “…mentre il mondo capitalista e consumista si vendeva alle proposte di sperpero […] ci siamo voluti impegnare a vivere questo tempo di fine anno con una logica di ringraziamento e di condivisione”.

 

Per riassumere il senso di questa notte, della nostra convivenza e del nostro impegno nell’anno passato e speriamo sempre più forte nell’anno che viene, vogliamo richiamarci all’immagine che c’era ieri vicino all’altare: l’icona della Trinità con le tre persone sedute attorno alla tavola e un posto vuoto aperto verso chi guarda.

Diceva don Tonino Bello, un vero testimone della Pace: “Se la Pace è, come si dice, convivialità delle differenze (…) dobbiamo concludere che la Pace è la definizione più vera del mistero della nostra fede (…).

Di qui il nostro compito storico di saper stare insieme a tavola. Non basta mangiare: Pace vuol dire mangiare con gli altri. Di qui il nostro compito storico di far sedere all’unica tavola i differenti commensali, senza pianificarli, senza uniformizzarli, senza schedarli, senza omologarli. Grazie.

(Carla e Alessandro)

 

veglia di fine anno -  Faenza, 31 dicembre 2002

 

I giovani farebbero meglio…

faranno meglio? (H. Camara)

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NOI PROPONIAMO

“L’impegno permanente per la pace”

 

“Il mondo di domani sarà di chi lo ama: siate degli innamorati,

dei profeti dello speranza, con la forza dell’amore…

(don Paolo)

 

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·  Saluto e benvenuto.  Nel nome del Padre…

· Canto iniziale

·        Introduzione          

            La meta di ogni credente che attraversa la storia con l’animo del pellegrino, è costruire la Pace. Dal suo Signore il credente ha ricevuto la Pace, il Bene, doni che chiedono di essere tradotti in progetti e assunti come stili di vita. Doni, però che pongono il credente in dialettica con la logica della violenza, del dominio del più forte, dell’affermazione di sé. Il mondo ama la pace, ma una pace fondata sulle armi, sulle stragi, sulle disuguaglianze, ovvero una pace che ha in sé il sapore della morte. La Pace vera ama la vita ed è inseparabile dalla giustizia. Per questo il cammino del credente è faticoso e irto di difficoltà, ostacolato da mille resistenze.

Il cammino verso la Pace si sostiene con la preghiera che si fa contemplazione della storia e preghiera che si fa diaconia-servizio. Il pellegrino orante è capace di stare nelle contraddizioni e nelle notti oscure della storia, proclamando con la sua vita e con i suoi gesti l’utopia evangelica della pace. E stando in mezzo alle contraddizioni degli uomini e delle donne a volte può esigere anche la testimonianza del martirio… sono tanti i profeti e i martiri della non-violenza che ci ricordano dove conduce la pace vissuta a caro prezzo.

 

IL CERO DI DON TONINO

da Alessano (LE)

 

FARE MEMORIA

Tre segni, tre parole…

passato, presente, futuro

 

Passato: Superare la logica della guerra e del nemico

                              

“Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci.

Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo.

Non si eserciteranno più nell’arte della guerra”(Is 2,4)

 

“Oggi, nella notte del mondo e nell’attesa della Buona Notizia,

io affermo con coraggio la mia fede nel futuro dell’umanità…”

(M.L.KING)

 

·      Segno: MANI per GESTI di PACE nella Verità e Libertà

 

·      Mottetto di Taizè

 

·      Testimone: don Primo Mazzolari

 

Nel 1955 uscì, anonimo, Tu non uccidere, quasi un trattato del pacifismo radicale cristiano: un pacifismo che non concede alcuno spazio ad alcuna forma di violenza: “Cadono, quindi, le distinzioni tra guerre giuste e guerre ingiuste, difensive e preventive, reazionarie e rivoluzionarie. Ogni guerra é fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo (...). Per questo noi testimonieremo, finché avremo voce, per la pace cristiana. E quando non avremo più voce, testimonierà il nostro silenzio o la nostra morte, poiché noi cristiani crediamo in una rivoluzione che preferisce il morire al far morire”.

“Se siamo un mondo senza pace, al colpa non è di questi e di quelli, ma di tutti. Se dopo venti secoli di Vangelo siamo un mondo senza pace, i cristiani devono avere la loro parte di colpa. Se la colpa di un mondo senza pace è di tutti, e dei cristiani in modo particolare, l’opera della pace non può essere che un’opera comune, nella quale i cristiani devono avere un compito principale, come precipua è la loro responsabilità”.

“Il vero senso della pace è il riconoscimento che c’è un prossimo, cui dobbiamo voler bene, e che se non gli volgiamo bene l’abbiamo già ucciso dentro di noi. “Chi non ama è nella morte… Chiunque odia il suo fratello è omicida”. Ma “chi è il mio prossimo?”

 

·      Mottetto di Taizè

 

·     Preghiera comunitaria

 Si cerca per la Chiesa l’uomo e la donna del 2000

 

* Si cerca per la chiesa del duemila un uomo capace di rinascere nello spirito ogni giorno.

Si cerca per la chiesa del duemila un uomo senza paura del domani, senza paura dell’oggi, senza complessi del passato.

* Si cerca per la chiesa del duemila un uomo che non abbia paura di cambiare, che non cambi per cambiare, che non parli per parlare.

Si cerca per la chiesa del duemila un uomo senza risposte prefabbricate, senza domande puramente retoriche, senza parole vuote, senza la falsa sicurezza dei bugiardi.

* Si cerca per la chiesa del duemila un uomo capace di vivere insieme agli altri, di lavorare insieme, di piangere insieme, di ridere insieme, di amare insieme, di sognare insieme.

Si cerca per la chiesa del duemila un uomo capace di perdere senza sentirsi distrutto, di vivere senza sentirsi  onnipotente, di mettersi in dubbio senza perdere la fede, di domandare dove c’è una risposta, di rispondere dove c’è una domanda, di portare la pace dove c’è  inquietudine e inquietudine dove c’è pace.

* Si cerca per la chiesa del duemila un uomo che sappia usare le mani per benedire, indicare la strada da seguire, accusare se necessario, se necessario accarezzare, portare gli altri dal forse del passato al si dell’oggi di Dio.

Si cerca per la chiesa del duemila un uomo senza molti mezzi, ma con molto da fare, un uomo che nella crisi non cerchi altro lavoro, ma come meglio lavorare, un uomo che viva nellastruttura, ma non per la struttura, non della struttura.

* Si cerca per  la chiesa del duemila un uomo che trovi la sua libertà nel vivere e nel sentire e non nel fare quello che vuole.

Si cerca per la chiesa del duemila un uomo che abbia nostalgia di Dio, nostalgia della storia, nostalgia della chiesa, nostalgia della gente, nostalgia della povertà di Gesù, nostalgia della purezza di Gesù, nostalgia dell’obbedienza di Gesù.

* Si cerca per la chiesa del duemila un uomo che non confonda la preghiera con le parole dette per abitudine, la spiritualità con il sentimentalismo, la chiamata con l’interesse, l’impegno con l’abitudine, il servizio con la sistemazione, il personalismo con l’efficienza.

Si cerca per la chiesa del duemila un uomo che sappia cos’è l’apostolato e lo viva in pieno nel vangelo. Si cerca per la chiesa del duemila un uomo capace di morire per Lui, ma ancora più capace di vivere per la chiesa, un uomo capace di diventare ministro di Cristo, profeta di Dio, un uomo che parli con la sua vita…                                                                                                                                                                      (p. Zezinho)

 

·      Canto: MANI

 

Presente: Recuperare il senso della comunità: pensare globalmente e agire localmente

 

“Erano assidui nell’ascoltare

l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna,

nella frazione del pane e nelle preghiere (…)

(…) tenevano ogni cosa in comune” (At 2,42-44)

 

“Per essere uniti bisogna amarsi, per amarsi bisogna conoscersi, per conoscersi bisogna incontrarsi, per incontrarsi bisogna cercarsi…”

“Il mondo si muove se noi ci muoviamo, si fa nuovo se qualcuno si sforza di essere nuovo. E ricordate: le vette più alte sono le più colpite dai fulmini e l’amore nasce con il primo sogno…” (don Paolo)

 

·      Segno: PANE e fame di GIUSTIZIA

 

·      Mottetto di Taizè

 

·      Testimone: don Tonino Bello

 

“Se la pace é, come si dice, convivialità delle differenze (...) dobbiamo concludere che la pace é la definizione più vera del mistero della nostra fede (...).

Di qui, il nostro compito storico di saper stare insieme a tavola. Non basta mangiare: pace vuol dire mangiare con gli altri. Di qui, il nostro compito storico di far sedere all’unica tavola i differenti commensali, senza pianificarli, senza uniformizzarli, senza schedarli, senza omologarli. (...) Che cosa ci manca: la convivialità o la differenza? (...) L’essere solidali attorno a un progetto comune o la fantasia di quegli originali percorsi alternativi che nascono dall’amore? Consumiamo pasti prelibati ma chiusi nei nostri bunker, o mangiamo, seppure attorno a un’unica tavola, ogni giorno pietanze uniformi e senza sapore? Ci stringiamo a tavola perché gli altri stiano più comodi? O ci infastidisce ogni arrivo fuori orario? (...) Spezziamo il pane di grano della comunione e mesciamo il vino della letizia, o serviamo le erbe amare del tradimento, con l’aceto del disprezzo e la mirra dell’indifferenza? (...) Forse ancora preghiamo poco.

Forse non diamo lunghi spazi alla vita interiore. Forse non sappiamo andare all’essenziale”.

(dal brano “Perché il grano della pace diventi pane”)

·      Mottetto di Taizè

 

·      Preghiera comunitaria

 

Per la nostra complicità nella guerra

 

Dio della pace perdonaci!

Siamo solo capaci di sganciare bombe

E di goderne lo spettacolo,

Pieni di ebrezza, come fossero fuochi d’artificio.

 

Fumo nero copre la terra, il fuoco ottenebra la vista

E fa trattenere il respiro.

La Madre Terra è stata squarciata,

Il deserto ha perso il suo silenzio, la Creazione è ritornata al caos.

 

Dio, fino a quando? Ci fanno credere che al guerra moderna

È intelligente, programmata, calcolata, fa poche vittime…

E’ poi vero?

Ma noi, cristiani del XXI° secolo siamo stati uccisi dentro,

Svuotati della nostra Speranza di Pace, di Fraternità universale.

Un macigno opprime la nostra coscienza e il nostro cuore.

 

Dio della Pace, perdonaci!

Illumina la tua Chiesa, tutte le Chiese, prima che sia troppo tardi.

Fermate l’olocausto, ora, subito,

Tutte unite gridate e pregate in un grande coro ecumenico.

Se tacete, grideranno le pietre,

Grideranno le generazioni future,

Grideranno i martiri di tutti i tempi.

 

Libera il tuo popolo, Signore,

Che si credeva civile, progredito,

 

Ed invece ha solo sete di egemonia, di potere, di petrolio.

Aiutaci, Signore a ritrovare il cammino della Speranza, del dialogo, dell’accordo, dell’intesa fraterna.

Madre della Misericordia, intercedi per noi.

                                                                                                (A.M. Melini)

 

Canto: No es con palabras

 

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SILENZIO CONDIVISIONE spontanea

 

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3° Momento: Prendersi cura = COSTRUIRE AMORE

 

“Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi,

e io vi ristorerò” (Mt 11,28)

 

“Dobbiamo promuovere crisi in comunità assonnate; non dobbiamo cercare il consenso degli altri, ma di Cristo”.

(don Paolo)

 

Segno: FILI COLORATI -  L’arcobaleno della pace

 

·      Mottetto di Taizè

 

“Ti darò un talismano.

Ogni volta che sei nel dubbio o quando il tuo io ti sovrasta,

fa’ questa prova:

richiama il viso dell’uomo più povero e più debole

che puoi aver visto

e domandati se il passo che hai in mente di fare

sarà di qualche utilità per lui.

Ne otterrà qualcosa?

Gli restituirà il controllo sulla sua vita e sul suo destino?

In altre parole, condurrà all’autogoverno

milioni di persone affamate nel corpo e nello Spirito?

Allora vedrai i tuoi dubbi e il tuo io dissolversi…”

 

( Gandhi )

 

·      Testimone: don Tonino Bello

 

“Pace é giustizia, libertà, dialogo, crescita, uguaglianza.

Pace é riconoscimento reciproco della dignità umana, rispetto, accettazione dell’alterità come dono.

Pace é rifiuto di quelle posizioni filosofiche di catastrofismo degli ultimi anni, secondo cui «l’uomo non é più di moda» e va disormeggiato con tutta la sua storia.

Pace é temperie di solidarietà: solidarietà che, non é più uno dei tanti imperativi morali; ma é l’unico imperativo morale che noi credenti chiamiamo anche comunione.

Pace é il frutto di quella che oggi viene indicata come «etica del volto»: un volto da riscoprire, da contemplare, da provocare con la parola, da accarezzare.

Pace é vivere radicalmente il «faccia a faccia» con l’altro. Non il teschio a teschio. Vivere il «faccia a faccia», non con gli occhi iniettati di sangue, ma con l’atteggiamento del «disinteresse» (...)

Pace, perciò, é «deporre l’io dalla sua sovranità», far posto all’altro e al suo indistruttibile volto, instaurare relazioni di parola, comunicazione, insegnamento”.

(da “Che cosa é pace?”)

 

·      Mottetto di Taizè

IMPEGNO - AZIONE

 

·      Canto finale

 

 

 

Quando si parla con il cuore non sappiamo da dove vengono le parole, le idee, la struttura stessa del discorso. Adesso che mi chiedono di scrivere quello che ho detto a Faenza, non mi resta altro che "ri-cordare", cioè fare passare per il cuore gli elementi che mi vengono in mente in tal modo che attraverso questo scritto la forza dello Spirito che quei giorni ci si ha comunicato possa anche comunicarsi tramite un pezzo di carta, o meglio, tramite lo schermo di un computer.

            A Faenza ho fatto un discorso nato da figure indigene, immagini mute che i giovani lasciavano vedere nel silenzio del rumore che facevano, icone del Vangelo richiamate dalle circostanze, e dalle esperienze vissute. Allora l'unica cosa che faccio è "ri-cordare" questo, e mentre "ri-cordo" scrivo. Così che ci saranno alcuni elementi nuovi e alcuni assenti, perchè lo Spirito è sempre nuovo, e fa sempre nuove tutte le cose.

 

 

1.      Quello che mi ha fatto cambiare discorso.

Icona del Vangelo che mi è venuta in mente: Gv 19, 28. Gesù crocifisso che ha sete.

 

Sino da bambino ho imparato che prima di parlare bisogna ascoltare il silenzio della realtà a cui si vuole parlare. Per questo sono arrivato prima del tempo indicato per il mio intervento, e per questo sono rimasto il resto del tempo con i giovani.

Il parlare con il silenzio di quei giovani radunati, cioè con i loro gesti, i loro sguardi, le loro frasi, le loro domande... mi ha riportato quel Gesù nella croce che ha sete. "ho sete", è stata la Parola che ho sentito in mezzo alla festa, all'attività, la conversazione, dietro il sorriso di ognuno. Era per me come leggere la prima pagina di un libro intitolato "ho sete di pace". C'èra il sorriso, il rumore, il lavoro per la Pace... ma non c'èra la Pace.

C'èra l'attività  come grida della disperanza, della rassegnazione, della delusione... No, non c'èrano lì giovani per ascoltare una persona sconosciuta, erano lì perchè cervano risposte alle domande profonde che il buio della violenza e l'ombra della guerra hanno lasciato  nel loro cuore. E ho sentito le domande profonde di questo silenzio che parlava al mio cuore: cosa significa la mia paura? Cosa significa la mia disperanza? La mia delusione? A chè serve il mio impegno per la Pace se è evidente che la violenza è più forte? A chè serve il mio sforzo? A chè serve soffrire l'incomprensione da parte degli amici e pure della famiglia? A chè serve stare qui? Perchè sono qui?

Ognuno di loro è diventato un discorso silenzioso, una pagina di uno stesso libro pieno di domande profonde senza risposte chiare. Così ho capito che quel discorso sulla Pacem in Terris non serviva per questi giovani, non andava bene lì. Non era giusto parlare delle parole scritte da me a partire delle parole di un Papa santo. Era necessario parlare a partire delle parole viventi dei giovani, forse non "santi" ma pieni d'amore per la vita.

Così prima di cominciare a parlare, la presenza stessa dei giovani, il suo mangiare insieme, il fare festa insieme, il suo atteggiamento di ascolto, la sua disponibilità per l'azione... ha cominciato ad essere per me risposta alle domande di senso e di significato che scaturivano dalle parole non parlate che noi chiamiamo silenzio.

Cosa significa la paura, la delusione, la disperanza davanti alla violenza generalizzata? E la risposta era lì: significa che questo giovane non è d'accordo con la violenza, che soffre perchè la violenza sembra guadagnare terreno nei cuori degli esseri umani, significa che ama la vita e per questo crede nella Pace, significa che ha un cuore grande capace di amare e di risparmiare la propria vita per il bene di tutti. E io mi chiedevo: ma non è questo un cuore santo? Non è proprio questo il cuore del Signore? Ma forse loro non sanno che hanno il cuore del grande Fratello dell'umanità (Gesù). Sì, sono andato a Faenza a parlare della Pace, ma mi sono trovato con il Cuore trafito del buon Pastore che soffre perchè la Pace non è una realtà ma soltanto un anelito profondo di tutti. Un cuore collettivo giovanile che palpita per la vita e per questo impegnato per la giustizia e la pace.

Diciamo che questo è stato lo sfondo del discorso che ho fatto con le persone a Faenza. Di questo non ho parlato, soltanto l'ho vissuto come dialogo profondo con il Signore che parlava al mio cuore. E da qui ha cominciato il discorso sulla Pace con i giovani e con la gente che era presente.

 

 

2.      La sera nel teatro della parrochia.

a). Esperienza vissuta: accompagnamento dei giovani delle bande urbane a Bogotà, dialogo con giovani guerriglieri, sicari...(Colombia)

 

Ricordare questi giovani con cui ho mangiato, parlato... è fare passare ad ognuno di loro un altra volta per il mio cuore. Rivisitare "cordialmente" le sue angoscie, le sue paure, le sue speranze, la sua gioia, i loro sogni... rivedere i loro sguardi, il loro sorriso, le loro lacrime, il suo sangue... mi fa pensare che amare la vita, il non essere d'accordo con la violenza, l'anelito della pace nel profondo del cuore, credere nella pace... non significa che non sei violento ma neanche significa che sei cattivo.

Quando ascoltavo da questi giovani - che non avevano più di 18 anni (15-18) - come un ritornello questa frase: "vivi di corsa e muori in fretta", pensavo: non è che sono giovani che non amano la vita, tutt'altro, e si vedeva nel fatto che molti di loro a quest'età avevano già un figlio o addirittura due. Come mai? questo non è promiscuità? Vita sessuale sfrenata? No, è la paura di perdere la vita e non averla vissuta, e non avere tempo di esperimentare l'amore, cioè amare ed essere amati. Perchè oggi si vive, domani non si sa. E la violenza diventa l'unico strumento conosciuto per sopravvivere il più possibile. Sono giovani che diffendono la vita come leoni feriti dalla povertà, l'esclusione, la mancanza di opportunità... nella foresta periferica della "civiltà" urbana, spesso costretti ad uccidere persone che non odiano per guadagnare un po' di soldi. La vita, sì, cercare di vivere, di sopravvivere, di difendere la vita con l'unico mezzo che hanno imparato o che la società li lascia usare: la violenza. L'ombra della morte li accompagna ogni giorno, è come la loro ombra

Ridono, ballano, anche loro vanno in chiesa, ma non c'è la Pace. Non c'è tempo per pensare, per la fantasia, per sognare...  perchè bisogna vivere il più possibile. E nel profondo una frase che è anche come un ritornello: "che finisca la violenza, a qualunque prezzo, ma che finisca."  Questo lo dicono tutti. Ed entrano in azione le "squadre della morte", la polizia, l'esercito, i paramilitari, la guerriglia... e la società spesso aplaude l'uccisione della sua primavera.

Ho visto questi giovani armati con il viso freddo, che sembra sfidare la morte, ma quando iniziava il dialogo, la conversazione... veniva fuori il pianto, la tenerezza, il sogno di pace, l'amore per la vita concretizzata nella ragazza, nei figli... nelle sue lettere d'amore... l'angoscia di trovarsi un giorno con un familiare, forse un fratello di sangue nel bando contrario ed essere costretto ad ucciderlo senza odiarlo. Ho visto il pianto di madri che pregano Dio perchè questo non succeda. Cuori spezzati per la violenza che si presenta come la garante della vita. Una bugia, una grande bugia che è diventata un grande mercato che usa la mancanza di strumenti diversi alle armi nella coscienza della gente, come supporto del suo essistere. Non è giusto, non è giusto, non è cristiano...

Cosa voglio dire con questo? Che nessun uomo vuole la violenza, ma la vive, la usa... e noi dobbiamo chiederci il perchè. Nessun uomo è creato cattivo da Dio.

      b). Figura indigena: Una tartaruga legata al sole.

 

      Certo che ormai la gente è tentata di credere sempre meno alla non-violenza e a confidare invece nell'uso della violenza come via per risolvere tutto. Questo per noi può essere la caduta di ogni speranza di Pace vera.

Mercato, angoscia, paura, ignoranza... sono fedeli alleate della violenza odierna. Cosa fare nel buio, nelle turbolenze, nell'incertezze che ci avvolge oggi? Ritirarsi dallo scenario sociale? Tacere perchè ormai la maggioranza crede che la Pace non sia possibile senza la violenza? No, noi non possiamo essere la presenza di un silenzio muto, ma forse sì un silenzio che parla. Che si converte in parole vissute, cioè una incarnazione individuale e collettiva della Pace. Un silenzio che educa all'amore, elimina pregiudizi, che fa scoprire spazi di bontà in ogni essere umano... capace di creare uno stile di vita. Un silenzio "politico" nel senso che si vive nel quotidiano cercando di costruire il bene di tutti.  Cioè entrare nella coscienza che l'impegno non è un discorso ma una vita parlata in uno stile di vita.

Una cosa è lavorare per la Pace, ma un altra è essere Pace. A questo punto credo, sia necessario fare un passaggio dal essere lavoratori di pace, operatori di pace ad essere fonti di pace. Il che vuol dire essere noi stessi Pace. Ma questo significa cambiamento di mentalità, significa perdere la paura di essere parte di una minoranza che ha il coraggio di distinguersi chiaramente dall'opinione prevalente (maggioritaria). Voglio dire con questo, che in questa situazione attuale, è necessario uscire dalla mentalità di massa e non avere paura di essere identificato con una "idea minoritaria" di Pace, di essere considerati diversi. Significa avere il coraggio di esprimere pubblicamente le nostre convinzioni vivendo noi stessi queste convinzioni.

Ma tutto questo significa "processo", cammino cosciente e chiaro, significa analisi, riflessione, cioè un silenzio strategico non ingenuo. Voglio ricordare a questo rispetto un racconto dei miei noni, nel che si parla di una ragazza preoccupata dalla rapidità con la quale il sole viaggiava nel cielo e facendo così, la luce del giorno spariva presto in tal modo che le genti vivevano sempre nel buio, non c'èra tempo per vedere bene le cose, per analizzarle, per goderle, per capirle... allora ha chiesto consiglio al suo nono, cosa fare perchè la luce del sole possa durare a lungo e la gente possa vedere bene le cose. Allora il nono li ha detto di aspettare il sole in montagna e nel momento in cui comincia ad alzarsi legare una tartaruga al sole. E così fece, e da quel momento il giorno comincio ad esistere e il buio nel tempo e nella vita degli esseri viventi diminui. Cioè la gente poteva vedere bene tutto, analizzarle, capirle...

Voglio dire con questo che è necessario "legare una tartaruga al nostro cammino di costruzione della Pace", in tal modo che ci sia il tempo di pensare bene, di riflettere, di analizzare, di fare strategie... di camminare lentamente, con passi sicuri, ma camminare senza fermarsi... cercando le cause, le radici e non fermarsi agli efetti della violenza. Io credo veramente che un pochino di vera non-violenza vissuta, incarnata da uomini e donne che si possono identificare con nome e cognome, agisce in modo silenzioso, sottile, forse "invisibile" ma diventa lievito in un contesto violento.

Una tartaruga legata ai diversi processi di organizzazione, alle diverse iniziative per la costruzione di un mondo più giusto e fraterno (Pace), vuol dire capire e acettare che le persone non si trasformano da cattivi a buoni dalla notte al mattino, che bisogna avere pazienza e il coraggio di ricominciare sempre d'accapo. Vuol dire che gli incontri che si tengono non sono per "piangere" su ieri ed oggi, ma perchè siamo guardiani della vita e ci troviamo per riunire energia e coraggio, per continuare a camminare, anche se i risultati non sono così evidenti. Significa camminare domandando, un camminare che diventa una domanda costante anche se non trova risposte.

Una tartaruga legata al sole, vuol dire fare tutto sotto la luce e non nel buio, cioè nella chiareza delle cose e non nella confusione.

 

c). Icona biblica: Un agnello che è come il serpente e la colomba (Mt 10, 16).

 

La mia esperienza di vita in contesti violenti mi dice che colui che vuole essere un uomo di pace deve essere un uomo di convinzioni non di "conformità", di nobiltà morale e non di "rispettabilità sociale". Cioè gli uomini e donne che lavoriamo e crediamo nella Pace, non siamo persone "rispettabili" nella società, anzi siamo degli "inadattati", perchè non siamo dei semplici registratori dell'opinione maggioritaria, cioè, non siamo come dei "termometri" che trascrivono e registrano la "temperatura" dell'opinione della maggioranza, ma "termostati" che trasformano e regolano la temperatura sociale.

Nel nostro cammino di Pace ci troviamo con persone con il cuore indurito, freddi, arroganti... per diverse cause. Uomini e donne che non sono capaci di condividere la gioia e il dolore degli altri, che non vedono mai le persone come persone, ma che le valorano in base alla loro utilità, persone che sembrano non sapere amare. Uomini e donne che creano e organizzano ideologie per escludere e dominare, che creano tutto un sistema che produce persone che non vedono altro che due alternative: quella della violenza o della sottomissione, quella della mano armata o della mano legata.

Da un altro lato, ci troviamo uomini e donne che sognano giustizia, verità, libertà, che la loro dignità è rispettata, che le loro aspirazioni sono soddisfatte, cioè un ordine giusto nel quale ognuno di loro possono realizzarsi come persone. Il nostro cammino di Pace non è ingenuo, sa di sofferenza, di esclusione e di emarginazione. Senza dubbio che il dolore dei nostro fratelli più deboli causa indignazione in ognuno di noi, ma il motore del nostro cammino non è l'indignazione o la collera, ma la coscienza che dove c'è sofferenza c'è speranza, e noi camminiamo con la speranza non con la sofferenza. Noi sappiamo che tutte le denuncie sociali, così come il dolore fisico, sono sintomi e allarmi della vita, solo un cadavere non si lamenta. Voglio dire con questo che la speranza ci fa vedere in ogni grida di dolore, non una rivolta, ma una speranza.

Esistono speranze in un mondo sottomesso, spaventato ed opresso? Noi diciamo di sì, peche ci sono tante gride sociali che si fanno sentire, c'è sofferenza, certo, ma precissamente per questo che noi abbiamo speranza, perchè questo significa per noi un tempo propizio per cambiare rotta, ma abbiamo bisogno di decisione e di strumenti diversi alla violenza. Ci troviamo tra il caos e la soluzione, basta scegliere.

A questo punto mi viene in mente un'immagine un po' strana che fa Gesù dei suoi discepoli, cioè come Gesù vuole che siano gli uomini che credono nella giustizia e la fraternità: "ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi, siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe".  Luther King parlava di queste caratteristiche come l'acutezza di mente (serpente) e la tenerezza di cuore (colomba). Gesù aspetta che ognuno di noi sappia conniugare queste due caratteristiche nel quotidiano. Cioè essere capace di discernimento, di giudicare criticamente e discernere il vero del falso. Essere capaci di scoprire le mezze-verità, i pregiudizzi, i falsi fatti; ma allo stesso tempo essere capaci di amare, di vivere la amicizia, di condividere la gioia, il dolore degli altri... per lavorare per la Pace come fratelli e non come semplici lavoratori sociali.

Siamo diversi, di questo dobbiamo essere convinti. Siamo agnelli, ma che nel suo interno convivono il serpente e la colomba, che muovono ogni nostra azione per la Pace. Il cammino della Pace ha bisogno di unire l'acutezza di mente e la tenerezza di cuore, soltanto così si evita l'ottusità mentale che crea la violenza.

 

d). Figura indigena: il vento e l'albero (il canto e la resitenza).

 

            In un contesto così dove la violenza è diventata il "credo" ormai generalizzato, quello che ci resta è la resitenza. Resistere è la luce che brilla nel buio che crea la violenza oggi. Per un indio l'albero è il maestro della resistenza. Lui sempre si mantiene in piedi, il clima può cambiare ma lui è sempre lì guardando in cielo ma con le radici nel profondo della terra. Può non cambiare nulla, ma è lì in piedi, e muore in piedi, resistendo.

            L'albero è anche per noi, il maestro dell'ascolto. Sembra ascoltare il vento, parlare con lui, anzi si muove a seconda il vento vada, ma non lascia mai il suo posto. Ascolta tutti i venti. Per noi esistono quattro venti che simbolizzano le voci (esperienze) di tutti i popoli della terra, quelli del nord, quelli del sud, dell'oriente, dell'occidente... ogni vento porta un canto che suona a ritmi diversi (del tamburo, della quena, della chitarra...) e si devono ascoltare, perchè tutti i venti seguono la strada che il Grande Spirito gli ha indicato (Dio). Per un indio, il vento soffia e respira libertà e soltanto un uccello dalle ali spezzate si rassegna a non volare. Con il vento le nostre parole sono intrecciate con le parole degli altri popoli, diventando così voce della terra.

            Per un indio il vento porta le parole, la memoria e i sogni di ognuno, del nostro popolo e degli altri popoli, e quando si leva e cammina verso gli altri, porta il sogno di molti, e sa che molti hanno lo stesso sogno e va a cercarli. Il vento viaggia soltanto per svegliare a coloro che dormono.

            Con questo voglio dire che abbiamo bisogno di condividere i nostri sogni resistendo, fare della Pace il grande sogno no di persone che dormono ma che sono svegli ascoltando e lavorando a partire delle diverse esperienze del passato e del presente di tanti popoli e culture, perchè tutti hanno qualcosa da dire sulla Pace e tutte ne siamo risponsabili. Bisogna riportare alla memoria gli antenati del cammino della Pace: Gandhi, Luter King... una utopia? No, un sogno indio, che è un proggetto che cammina già, perchè io ho cominciato a sognare, e da quando ho cominciato a sognare, non sono più lo stesso. Sogno Pace, quindi comincio ad essere pace, la pace non è più un anelito, è già una realtà perchè io sono qui sognando pace.

 

            e). Icona biblica: la comunità cristiana primitiva (pentecoste).

 

            Tornare ad essere comunità è necessario per noi uomini e donne che crediamo e lavoriamo nella Pace, ma una comunità con spirito, non una comunità sociologica (un club, una organizzazione qualunque...). Cioè una comunità fatta di persone con spirito, quel Spirito di Gesù che gli spinge a cercare modi diversi per sostituire la spada con l'aratro, e fare in modo che anche quando risuonano le spade, gri aratri lavorino la terra.

            Una comunità di uomini e donne con uno Spirito di fortezza, di ricerca della Verità, uno spirito di fedeltà, di resistenza... è facile indicare persone concrete o gruppi che possiedono lo Spirito di Gesù, perchè sono Parola , Memoria e Sogno fatti vita quotidiana. Queste persone ci dicono meglio di tanti discorsi cosa significa vivere il quotidiano con spirito.

            Voglio dire con tutto questo che non abbiamo bisogno di creatività perchè abbiamo abbastanza; abbiamo bisogno di una spiritualità capace di mantenerci in piedi in mezzo a questo contesto avverso, per non stancarci, per no perdere la speranza... dobbiamo tornare ad essere comunità, ad essere cristiani veri per poter essere una luce nel buio, per poter essere un luogo dove esiste la speranza. Abbiamo bisogno dello Spirito di Gesù, perchè noi che crediamo nella Pace e viviamo nella speranza di un mondo più giusto e fraterno, non abbiamo diritto a scoraggiarci, non abbiamo diritto alla "pace" come la pensano gli altri, la mia esperienza mi dice che una persona che cerca di costruire questo sogno, non è mai in "pace", e penso che anche voi lo sapete bene.

Bisogna essere forti e la fortezza la può dare soltanto lo Spirito che ha mantenuto in piedi Gesù anche se è rimasto da solo credendo nel profondo che gli uomini non erano cattivi, ma semplicemente degli ignoranti che "non sapevano quello che facevano": ecco il grido nella croce: "Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno". I violenti, i passivi, gli espettatori... non sanno quello che fanno, e il nostro lavoro è farli sapere quello che fanno, farli coscienti delle conseguenze per tutti, farli coscienti del suo essere dalla parte della morte.

            Certo, questo significa perdere molte cose come la comprensione di parte della famiglia, dagli amici, possiamo perdere il posto anche nella "religione", nella società "normale", e tante volte il premio può essere la solitudine e addirittura la perdita della vita stessa. Ma è qui in questi momenti che l'uomo e la donna che crede in un mondo più umano, quando ascolta le parole del Signore: "non temete: io ho vinto il mondo". E questa diventa la ragione della nostra speranza.

            Riconquistare lo splendore evangelico dei cristiani primitivi, che erano non conformisti, che rifiutavano di adattare la loro testimonianza agli schemi sociali, diventa per noi un dovere per il bene dell'umanità. Essere disposti a sacrificare fama, averi e la vita stessa in difesa di una causa che sapevano giusta, questi erano i primi cristiani, e ci sono ancora avunque, piccoli quantitativamente ma grandi in senso qualitativo. La pace vera è in mano a quelli che sono costruttivamente inadattati, e noi siamo inadattati che abbiamo lo Spirito di Gesù. Crediamo in Cristo, vero? Allora non avere paura di essere cristiani. È questa la garanzia per avere la Pace vera.

 

            f). Figura indigena: La mamma Terra, la casa comune a tutti gli esseri viventi.

 

            I miei antenati dicevano: "Quando la terra fu creata con tutti i suoi esseri viventi, l'intenzione del Creatore non era di renderla vivibile solo agli uomini. Siamo stati messi al mondo insieme ai nostri fratelli e sorelle, con quelli che hanno quattro zampe, con quelli che volano e con quelli che nuotano. Tutte queste forme di vita, anche il più piccolo filo d'erba e il più grosso degli alberi, formano con noi una grande famiglia. Tutti noi siamo fratelli e ugualmente importanti su questa terra."

            Io non riuscivo a capire il perchè San Francesco di Assisi era considerato santo per la Chiesa, e l'indio che aveva lo stesso Spirito di fraternità e forse ancora con più profondità, era visto come "pagano", io penso che nella nostra Chiesa, c'è qualcosa che non va, che non è giusto, e questo porta anche a non vivere la Pace anche dentro della Chiesa stessa. Ma comunque non è questo l'argomento di cui parliamo.

            Oggigiorno non c'è bisogno di molta scienza per capire che dietro ogni violenza sociale si nasconde la degradazione ecologica, cioè non è difficile capire che un problema umano in una determinata zona del pianeta sia originato in un altra zona lontana a causa di tanti proggetti di "sviluppo", e purtroppo le conseguenze colpiscono sempre i più svantaggiati.

            Voglio dire con questo che bisogna vedere al di là dei fatti, e vedere che la violenza verso la Terra e la Natura è collegata direttamente alle ingiustizie socioeconomiche, politiche, culturali, ai problemi demografici, la povertà, le malattie, l'esclusione, la miseria e la morte di molti.

            Tante volte camminando per le strade di Roma penso alla violenza che genera l'incoscienza. Per esempio: il vedere una sola persona in ogni machina, mi fa pensare al grande risparmio di bensina, io so che in questi posti la macchina simbolizza grandi valori individuali come l'autonomia, la libertà... ed è bello, ed è una mostra di un grande sviluppo tecnico, che non sempre si può paragonare ad uno sviluppo umano. 

Ma mi fa pensare soprattutto ai popoli indigeni della foresta lacandona in Chiapas, o ai popoli indigeni della Colombia, che dovuto a questi valori individuali di occidente vengono spogliati della sua terra, uccisi, ingannati, sfruttati... Lo so, voi non sapete che i vostri valori, i loro desideri o bisogni di una macchina, sono anche collegati alla morte di molti poveri che l'unico peccato che hanno fatto è quello di vivere in zone dove c'è il petrolio, e di credere que quel pezzo di terra è suo e sono disposti anche a perdere la vita prima di vendere o permettere che li sia tolta la sua mamma terra.

            Il prendere coscienza, il conoscere le conseguenze delle nostre azioni che non sono pensate con l'intenzione di fare male a nessuno, ma soltanto per soddisfare una "necessità" personale o collettiva, o forse nazionale, ci fa ad ognuno capaci di cominciare un "modo ecologico di vivere", e così la Pace comincia a camminare nella concretezza della quotidianità. Ma bisogna entrare nella coscienza che la Terra è la nostra casa comune, e che tutti abbiamo il diritto a vivere con dignità, che non siamo da soli in questa terra, che tutti siamo fratelli e sorelle.

 

            g). Immagine ecclesiale e sociale: "da pecora a pastore" (custodire e coltivare)  

            Il clima di pace si crea per contagio, con il dialogo, con il nostro impegno personale, mettendo insieme cuori e volontà nella ricerca della Pace. Ognuno di noi dobbiamo avere chiaro che se vogliamo la Pace bisogna lavorare per la giustizia nell'orizzonte di un uomo libero e fraterno con tutti e con tutto.

Quando le ideologie si organizzano per escludere, dominare e distruggere, a noi come cristiani non resta altro che impegnarci nella difesa della vita in tutte le loro espressioni, e invece di lasciarci prendere dal panico, dalla disperanza, dobbiamo levare le nostre voci tramite tutti gli spazi e canali possibili. Non è il momento di incrociare le braccia ma di scuotere l'indifferenza e l'inerzia di molti. Sappiamo che non tutti possiamo essere forti e coraggiosi per prendere decisioni radicali in favore della Pace, ma tutti possiamo essere decisi nel prendere parte di un cammino, di un processo che difende la vita, che cerca la Pace...

Come cristiani abbiamo il compito di creare le condizioni per una Pace vera, e se non facciamo così semplicemente non siamo cristiani, perchè nessun cristiano vive in "pace" fino a quando qualcuno soffre ingiustamente.  È necessario che esistano messaggeri di Pace, bisogna parlare continuamente di Pace, educare ad ogni cuore umano ad amare la Pace, a costruirla, a difenderla...Oggi più che mai la nostra presenza deve essere la prova che il cristiano fa sue le sofferenze e le angosce di tutti e non può dormire tranquillo mentre un suo fratello da qualche parte viene massacrato. Un cristiano vero non si da il diritto ad essere insensibile.

Il cristiano non è nato per essere "pecora" che aspetta a che altri si prendano cura di lui, ma è per natura "pastore", cioè colui che si prende cura dei più deboli. Bisogna cambiare mentalità per non aspettare un leader che venga ad spingere la nostra responsabilità di costruttori di Pace, la stessa coscienza di essere custodi e coltivatori nel giardino nel quale Dio ci ha posto, ci deve spingere ad essere guardiani della Vita. Voglio dire con questo che bisogna lasciare di essere pecora, cioè semplici persone che si lamentano o aspettano una soluzione senza involucrarsi di persona nella speranza attiva, non più semplici spettatori ma Pastori come il Signore.

 

Conclusione:

            Cosa significa per un cristiano l'azione per la Pace? Significa che crede e vive Gesù. Significa che ha capito che non bastano dottrine o ideologie, ma che occorre vivere con un determinato spirito per essere fonte di speranza anzichè di disperazione o rassegnazione, per essere forza che incoraggia ad una prassi trasformatrice anzichè alla passività o all'egoismo. In questo nostro contesto di violenza non abbiamo bisogno di una grande personalità, ma piuttosto di uno spirito forte capace di mantenere la nostra speranza e la nostra azione per la pace. Abbiamo bisogno di una vita spirituale, cioè di una vita con spirito, più concretamente con lo Spirito di Gesù. L'azione per la Pace non è altro che la esplicitazione dello spirito con cui si vive.

fr. Joel

 

Pace, Shalom, Paz.

Queste le parole che echeggiano ancora per le strade di Faenza. La convivenza di quei giorni ha portato un segno molto forte. La mia permanenza è stata solo di due giorni a cavallo tra il 2002 ed il 2003, ma sono bastati per constatare che la condivisa forte esigenza di pace fermenta ancora nel cuore di molti giovani. Soprattutto questo tempo ha reso evidente che la pace prima di tutto si costruisce dalle nostre città. La pace non è utopia, non è ideale per sognatori, non è per alternativi contro tutte le guerre del mondo. Semplicemente nasce dai nostri cuori e si erge a partire dalle nostre strade, cominciando con un gesto che ora più che mai sembra richiedere uno sforzo disumano: aprire la porta. Aprire la porta di una parrocchia per ospitare un gruppo dei giovani, ed in particolare aprire la porta della propria casa, per accogliere questi giovani desiderosi di portare un messaggio di augurio e di pace per il nuovo anno. Giovani con la voglia di guardarsi in faccia, di passare di casa in casa per dire: “la pace è veramente nelle nostre mani!”. Si realizza così quel momento così prezioso della nostra vita: l’incontro. Da una parte si esperisce l’emozione di essere accolti e di poter comunicare un messaggio, dall’altra lo stupore per qualcosa di nuovo, qualcosa di imprevisto che diventerà la gioia di ricevere e di trasmettere ciò che si è ricevuto. E’ così che nelle nostre città si comincia a concretizzare un sogno.

Quelle città che oggi sembrano dei mostri, e che a volte possono sembrare dei deserti in cui l’amore fa fatica a crescere. Vi parlo delle città in cui, anche nei paesi ricchi, la percentuale di povertà sta crescendo. Solo che è più invisibile, non è presente nei nostri borghesi vicoli, non appare sui telegiornali se non per qualche fatto di scabrosa cronaca nera o nel giorno di Natale per mostrare che qualcuno, almeno un giorno all’anno, è buono. Si tratta di poveri, anziani soli, tossicodipendenti, senza dimora, giovani immigrati. E’ una povertà silenziosa e difficile da individuare, da capire da estirpare. Non è solo frutto del sistema economico emarginante, ne di problemi di giustizia o di equità. E’ molto più silenziosa questa povertà, quasi viscida, che si insinua lentamente tra le persone. La mancanza, nei nostri paesi del centro-nord dell’Italia non dipende dal lavoro, dai soldi, ma da qualcosa di più difficile da colmare e ripristinare: il senso della vita. Non si sa a chi si appartiene, si smarrisce il gusto del vivere.

Alla Veglia e alla Messa in rito congolese ho visto persone in lacrime uscire dalla Chiesa: perché forse per un attimo erano riuscite a trovare un piccolo gesto d’amore. Forse una stretta di mano, un sorriso, una preghiera, un canto, un forte condivisione, un sincero amore per i fratelli che nasceva in quella culla, di quel presepe di fronte a tutti. Amore e Passione possono far davvero nascere la pace nelle nostre vie. E quando questo accadrà/sta accadendo/accade, potremo sperare che i potenti, che le istituzioni, i guerrafondai, i popoli incitati alla guerra, potranno cogliere questo desiderio, che nasce dal poco, dal basso, ma come un fiore germoglia nel mondo.

Facciamo tesoro di questi momenti, non per conservarli nell’album della collezione, ma per riprendere ancora con forza e con gioia il cammino che ci aspetta. Sarà faticoso, incerto, a volte senza senso? Certamente, ma c’è sempre qualcuno che cammina vicino e con noi.

Grazie di cuore davvero per tutto ciò che state facendo

Buon Anno di Pace

Tobias 

 


CIAO!!!
 
Sono Laura e insieme a mio marito Giorgio e ai nostri due figli, Gabriele (6 anni) e Luca (5 anni), vorremmo ringraziarvi tutti ...DI CUORE!!!
 
Abbiamo avuto il piacere di essere famiglia ospitante nei giorni 28/12/02 - 01/01/03 e vorrei condividere con voi la sensazione di una bella ventata entrata in casa nostra di entusiasmo, voglia di rinnovamento, di coraggio e lotta per un mondo migliore.
Ovviamente il nostro impegno come genitori e come famiglia non può più avere, come una volta, la stessa grinta ed energia di un gimmino, ma ben volentieri cediamo serenamente il passo a ragazzi come quella banda di 40 elementi arrivati qua!!
 
Abbiamo ospitato in casa nostra, nel tipico silenzio (????) familiare alcuni di questi "sovversivi" e ne siamo stati felici...perchè, pur credendo fermamente che il Signore ci ha chiamato al matrimonio, vivere questa vocazione isola in parte dalle problematiche mondiali ma la vostra semplicità e umiltà vissuta nel sorriso, ci avete rinfrescato l'idea che Pace può essere vissuto anche da famiglie sempre "in corsa" come noi.
 
 
Allora...un abbraccio pieno di gratitudine da Faenza!!!
 
Laura

 

Faenza, cinque giorni dopo

Giampaolo (GIM Roma)

 

A ben riflettere sembra inadeguato e paradossale trattare di pace in questi giorni di guerre promesse; gustare l’esperienza unica dell’accoglienza dopo il clamore sollevato dalle celeberrime politiche per (o contro?) l’immigrazione; sperimentare la pienezza della gratuità in epoca di time is money; cullarsi ed emozionarsi al semplice suono di una chitarra, a volte scordata, quando anche la suprema arte musicale è stretta nel morso delle imprese commerciali discografiche; andar fieri dell’essenzialità della propria condizione materiale pur essendo scrutati dalla gente normale come strani esseri di un altro pianeta. È irragionevole. Eppure è proprio nel paradosso che si insinua la possibilità di uscirne fuori. Il conflitto e la crisi aprono sicuramente a nuove potenzialità, i cui germi si destano e prolificano, covati da lungo tempo nel tepore della regolarità quotidiana, ove tutto, infondo, è soddisfacente così com’è.

Osare allora un certo tipo d’esperienza non può inequivocabilmente lasciare immutati i sentimenti di chi, come noi ribattezzati GIMmini, ha riposto le proprie speranze di pace e di giustizia in un epilogo d’anno di tale portata. Qualcosa si è smosso in tutti noi e in chi ci ha aperto le porte della sua abitazione. La casa, si sa da sempre, è il sinonimo della famiglia, del focolare domestico. Quando si è ben disposti a condividere e a disperdere gratuitamente ciò che di più intimo si possiede, il calore del focolare, non si può non essere portatori di pace. In molti ci hanno accolto, altri ci hanno fatto i complimenti come fossimo gli ultimi eroi martiri rimasti sulla Terra, altri ancora ci hanno offerto soldi o ciò (per lo più vino) che le loro dispense proponevano, altri infine ci hanno ascoltati, seriamente coinvolti nella nostra testimonianza. Sono gli stessi che il Primo giorno del nuovo anno erano lì in strada, con delle strane bandiere colorate intorno al collo e con il loro silenzio di sempre, silenzio attivo che anche l’indio italiano ha dimostrato conoscere.

            Le potenzialità per costruire la pace esistono e i parrocchiani di S. Antonino lo hanno saputo testimoniare, senza clamore e inutili sfoggi d’abilità rocambolesche. Forse la Romagna non può essere assurta ad emblema del Bel Paese in toto, forse sarà difficile incontrare gente essenziale e allo stesso tempo vigorosa come Don Germano e i suoi parrocchiani, eppure credo che questi germi di pace siano presenti, sparsi qui e lì, un po’ ovunque. Basta destare, ravvivare, rendere consapevole delle proprie possibilità, responsabilizzare chiunque rappresenti una minaccia concreta ad un’esistenza vuota e assopita, priva di quella vitalità che sola può nascere dal confronto con la Parola di Dio. Il costante e continuo impegno a costruire la pace sgorga dalla vita di tutti i giorni, magari appendendo semplicemente una di quelle strane bandiere al proprio balcone, o vivendo la propria quotidianità con occhi e cuore nuovi. La pace deve essere innanzi tutto un desiderio profondo e poi una missione creduta con fede in Dio e fiducia nell’uomo. Non servono decaloghi o corsi di specializzazione… E se la conoscenza del male annichilisce, la speranza nel bene attiva.

            Il Sud è un luogo reale e simbolico, rappresentazione – geograficamente riconducibile a tutto ciò che non è America settentrionale, Europa, Australia e Giappone – dei mali che affliggono il pianeta: povertà, diseguaglianza, guerra, malattia, rischio ambientale. Il Sud è anche lo stile di vita con il quale abbiamo cercato di proporci alla comunità locale di Faenza, pubblicamente per mezzo della messa congolese del primo gennaio e più semplicemente tra di noi, con lo spirito di essenzialità e limpidezza che abbiamo percepito nelle relazioni instaurate sin dal primo giorno. È la capacità di generare molta vita con poche risorse. È questa ventata di Sud, così fresca e gravosa, che ha conquistato Faenza.

            In chiusura ritengo necessario riassumere tutto il succo di quei cinque giorni in una parola: GRAZIE. A Don Germano e i parrocchiani che ci hanno ospitati, a chi ci ha dato quest’opportunità e la gioia di riconciliarci in serenità, agli oltre quaranta partecipanti cui mai dimenticheremo volti, sorrisi e abbracci (il linguaggio della pace) … al Signore che incessantemente ci guida sulla via della vita…

 

GRAZIE!