Faenza, 01/01/03
Noi
giovani, circa 40 provenienti un po’ da vari luoghi d’Italia,
come gruppo che conosce e frequenta i missionari comboniani, siamo
venuti a trovarvi per qualche giorno nella vostra comunità per
sperimentare la vostra accoglienza e per prepararci assieme a vivere
la marcia per la Pace di oggi pomeriggio 1° gennaio 2003.
Per
chi non ha ancora avuto la fortuna di vederci (!) nelle vostre case
dal 28 dicembre ad oggi, o qui in parrocchia o sbadatamente per
strada, proviamo ora, in due parole, a riassumervi che cosa è stata
per noi l’esperienza di convivenza qui a Faenza:
Tutti
noi abbiamo invaso le vostre case, almeno per un pasto e sappiamo di
aver lasciato un segno (o meglio un vuoto nelle vostre dispense) o
addirittura siamo stati ospitati per la notte. Siamo passati per le
vostre case nella speranza di incontrarvi e di portarvi un augurio e
un segno tangibile di Pace, abbiamo così sperimentato
l’accoglienza e anche la non-accoglienza. Davanti alla fatica e
alla frustrazione della porta chiusa abbiamo scoperto ancora una
volta la gratuità del dono offerto e ricevuto, che non chiede e non
si aspetta nulla in cambio. Anche questo è stato per noi (e
speriamo anche per voi) segno di Pace che scardina la logica del
“dare per ricevere”, del fatto che tutto, anche il nostro tempo,
abbia un prezzo.
Un
giorno in piazza alcuni di noi si sono trovati a discutere a lungo
con un gruppo di anziani che la pensava in modo diverso sulla Pace,
solidarietà, sud del mondo… E’ stato importante in quel dialogo
non riprodurre una mentalità conflittuale, come alzare la voce e
arrabbiarsi, interrompere l’altro mentre parla… e questo più di
tante parole è forse fare Pace e vivere in Pace.
Anche
vivere a stretto contatto (pure troppo per chi dormiva in asilo)
senza essersi per la maggior parte mai visti prima è stata per noi
una prova di accoglienza dell’estraneo.
Abbiamo
avuto anche momenti di formazione e “massicce” occasioni di
riflessione come una mattinata di laboratorio con un giornalista di
Nigrizia sul tema dell’informazione e l’incontro con i volontari
di Mani Tese di Faenza e la serata al cinema Europa sulla “Pacem
in terris” che ha visto la vostra attiva partecipazione.
Infine
abbiamo concluso ieri sera con una veglia di preghiera dal titolo “Occhi
nuovi per il futuro: l’impegno
permanente per la Pace” per iniziare l’anno nuovo in un modo
diverso. Citando una ben nota lettera: “…mentre
il mondo capitalista e consumista si vendeva alle proposte di
sperpero […] ci siamo voluti impegnare a vivere questo tempo di
fine anno con una logica di ringraziamento e di condivisione”.
Per
riassumere il senso di questa notte, della nostra convivenza e del
nostro impegno nell’anno passato e speriamo sempre più forte
nell’anno che viene, vogliamo richiamarci all’immagine che
c’era ieri vicino all’altare: l’icona della Trinità con le
tre persone sedute attorno alla tavola e un posto vuoto aperto verso
chi guarda.
Diceva
don Tonino Bello, un vero testimone della Pace: “Se
la Pace è, come si dice, convivialità delle differenze (…)
dobbiamo concludere che la Pace è la definizione più vera del
mistero della nostra fede (…).
Di
qui il nostro compito storico di saper stare insieme a tavola. Non
basta mangiare: Pace vuol dire mangiare con gli altri. Di qui il
nostro compito storico di far sedere all’unica tavola i differenti
commensali, senza pianificarli, senza uniformizzarli, senza
schedarli, senza omologarli. Grazie.
(Carla e Alessandro)
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veglia
di fine anno - Faenza, 31 dicembre 2002
I
giovani farebbero meglio…
faranno
meglio? (H. Camara)
**************
NOI
PROPONIAMO
“L’impegno
permanente per la pace”
“Il
mondo di domani sarà di chi lo ama: siate degli innamorati,
dei
profeti dello speranza, con la forza dell’amore…”
(don
Paolo)
**************
·
Saluto e benvenuto. Nel nome del Padre…
·
Canto iniziale
· Introduzione
La meta di ogni credente che attraversa la storia con
l’animo del pellegrino, è costruire la Pace. Dal suo Signore il
credente ha ricevuto la Pace, il Bene, doni che chiedono di essere
tradotti in progetti e assunti come stili di vita. Doni, però che
pongono il credente in dialettica con la logica della violenza, del
dominio del più forte, dell’affermazione di sé. Il mondo ama la
pace, ma una pace fondata sulle armi, sulle stragi, sulle
disuguaglianze, ovvero una pace che ha in sé il sapore della morte.
La Pace vera ama la vita ed è inseparabile dalla giustizia. Per
questo il cammino del credente è faticoso e irto di difficoltà,
ostacolato da mille resistenze.
Il
cammino verso la Pace si sostiene con la preghiera che si fa
contemplazione della storia e preghiera che si fa diaconia-servizio.
Il pellegrino orante è capace di stare nelle contraddizioni e nelle
notti oscure della storia, proclamando con la sua vita e con
i suoi gesti l’utopia evangelica della pace. E stando in mezzo
alle contraddizioni degli uomini e delle donne a volte può esigere
anche la testimonianza del martirio… sono tanti i profeti e i
martiri della non-violenza che ci ricordano dove conduce la pace
vissuta a caro prezzo.
IL
CERO DI DON TONINO
da
Alessano (LE)
FARE
MEMORIA
Tre segni, tre parole…
passato,
presente, futuro
Passato:
Superare
la logica della guerra e del nemico
“Forgeranno
le loro spade in vomeri, le loro lance in falci.
Un
popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo.
Non
si eserciteranno più nell’arte della guerra”(Is 2,4)
“Oggi,
nella notte del mondo e nell’attesa della Buona Notizia,
io
affermo con coraggio la mia fede nel futuro dell’umanità…”
(M.L.KING)
·
Segno:
MANI per GESTI di PACE nella Verità e Libertà
·
Mottetto di
Taizè
·
Testimone:
don Primo Mazzolari
Nel
1955 uscì, anonimo, Tu non uccidere, quasi un trattato del
pacifismo radicale cristiano: un pacifismo che non concede alcuno
spazio ad alcuna forma di violenza: “Cadono, quindi, le
distinzioni tra guerre giuste e guerre ingiuste, difensive e
preventive, reazionarie e rivoluzionarie. Ogni guerra é
fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo (...). Per questo noi
testimonieremo, finché avremo voce, per la pace cristiana. E quando
non avremo più voce, testimonierà il nostro silenzio o la nostra
morte, poiché noi cristiani crediamo in una rivoluzione che
preferisce il morire al far morire”.
“Se
siamo un mondo senza pace, al colpa non è di questi e di quelli, ma
di tutti. Se dopo venti secoli di Vangelo siamo un mondo senza pace,
i cristiani devono avere la loro parte di colpa. Se la colpa di un
mondo senza pace è di tutti, e dei cristiani in modo particolare,
l’opera della pace non può essere che un’opera comune, nella
quale i cristiani devono avere un compito principale, come
precipua è la loro responsabilità”.
“Il
vero senso della pace è il riconoscimento che c’è un prossimo,
cui dobbiamo voler bene, e che se non gli volgiamo bene l’abbiamo
già ucciso dentro di noi. “Chi non ama è nella morte… Chiunque
odia il suo fratello è omicida”. Ma “chi è il mio prossimo?”
·
Mottetto di Taizè
·
Preghiera
comunitaria
Si
cerca per la Chiesa l’uomo e la donna del 2000
*
Si cerca per la chiesa del duemila un uomo capace di rinascere nello
spirito ogni giorno.
Si
cerca per la chiesa del duemila un uomo senza paura del domani,
senza paura dell’oggi, senza complessi del passato.
*
Si cerca per la chiesa del duemila un uomo che non abbia paura di
cambiare, che non cambi per cambiare, che non parli per parlare.
Si
cerca per la chiesa del duemila un uomo senza risposte
prefabbricate, senza domande puramente retoriche, senza parole
vuote, senza la falsa sicurezza dei bugiardi.
*
Si cerca per la chiesa del duemila un uomo capace di vivere insieme
agli altri, di lavorare insieme, di piangere insieme, di ridere
insieme, di amare insieme, di sognare insieme.
Si
cerca per la chiesa del duemila un uomo capace di perdere senza
sentirsi distrutto, di vivere senza sentirsi
onnipotente, di mettersi in dubbio senza perdere la fede, di
domandare dove c’è una risposta, di rispondere dove c’è una
domanda, di portare la pace dove c’è
inquietudine e inquietudine dove c’è pace.
*
Si cerca per la chiesa del duemila un uomo che sappia usare le mani
per benedire, indicare la strada da seguire, accusare se necessario,
se necessario accarezzare, portare gli altri dal forse del passato
al si dell’oggi di Dio.
Si
cerca per la chiesa del duemila un uomo senza molti mezzi, ma con
molto da fare, un uomo che nella crisi non cerchi altro lavoro, ma
come meglio lavorare, un uomo che viva nellastruttura, ma non per la
struttura, non della struttura.
*
Si cerca per la chiesa
del duemila un uomo che trovi la sua libertà nel vivere e nel
sentire e non nel fare quello che vuole.
Si
cerca per la chiesa del duemila un uomo che abbia nostalgia di Dio,
nostalgia della storia, nostalgia della chiesa, nostalgia della
gente, nostalgia della povertà di Gesù, nostalgia della purezza di
Gesù, nostalgia dell’obbedienza di Gesù.
*
Si cerca per la chiesa del duemila un uomo che non confonda la
preghiera con le parole dette per abitudine, la spiritualità con il
sentimentalismo, la chiamata con l’interesse, l’impegno con
l’abitudine, il servizio con la sistemazione, il personalismo con
l’efficienza.
Si
cerca per la chiesa del duemila un uomo che sappia cos’è
l’apostolato e lo viva in pieno nel vangelo. Si cerca per la
chiesa del duemila un uomo capace di morire per Lui, ma ancora più
capace di vivere per la chiesa, un uomo capace di diventare ministro
di Cristo, profeta di Dio, un uomo che parli con la sua vita…
(p.
Zezinho)
·
Canto: MANI
Presente:
Recuperare
il senso della comunità: pensare globalmente e agire localmente
“Erano
assidui nell’ascoltare
l’insegnamento
degli apostoli e nell’unione fraterna,
nella
frazione del pane e nelle preghiere (…)
(…)
tenevano ogni cosa in comune” (At 2,42-44)
“Per
essere uniti bisogna amarsi, per amarsi bisogna conoscersi, per
conoscersi bisogna incontrarsi, per incontrarsi bisogna
cercarsi…”
“Il
mondo si muove se noi ci muoviamo, si fa nuovo se qualcuno si sforza
di essere nuovo. E ricordate: le vette più alte sono le più
colpite dai fulmini e l’amore nasce con il primo sogno…” (don
Paolo)
·
Segno: PANE e fame di GIUSTIZIA
·
Mottetto di Taizè
·
Testimone:
don Tonino Bello
“Se
la pace é, come si dice, convivialità delle differenze
(...) dobbiamo concludere che la pace é la definizione più
vera del mistero della nostra fede (...).
Di
qui, il nostro compito storico di saper stare insieme a tavola. Non
basta mangiare: pace vuol dire mangiare con gli altri. Di qui, il
nostro compito storico di far sedere all’unica tavola i differenti
commensali, senza pianificarli, senza uniformizzarli, senza
schedarli, senza omologarli. (...) Che cosa ci manca: la convivialità
o la differenza? (...) L’essere solidali attorno a un progetto
comune o la fantasia di quegli originali percorsi alternativi che
nascono dall’amore? Consumiamo pasti prelibati ma chiusi nei
nostri bunker, o mangiamo, seppure attorno a un’unica tavola, ogni
giorno pietanze uniformi e senza sapore? Ci stringiamo a tavola
perché gli altri stiano più comodi? O ci infastidisce ogni arrivo
fuori orario? (...) Spezziamo il pane di grano della comunione e
mesciamo il vino della letizia, o serviamo le erbe amare del
tradimento, con l’aceto del disprezzo e la mirra
dell’indifferenza? (...) Forse ancora preghiamo poco.
Forse
non diamo lunghi spazi alla vita interiore. Forse non sappiamo
andare all’essenziale”.
(dal
brano “Perché il grano della pace diventi pane”)
·
Mottetto di Taizè
·
Preghiera comunitaria
Per
la nostra complicità nella guerra
Dio
della pace perdonaci!
Siamo
solo capaci di sganciare bombe
E
di goderne lo spettacolo,
Pieni
di ebrezza, come fossero fuochi d’artificio.
Fumo
nero copre la terra, il fuoco ottenebra la vista
E
fa trattenere il respiro.
La
Madre Terra è stata squarciata,
Il
deserto ha perso il suo silenzio, la Creazione è ritornata al caos.
Dio,
fino a quando? Ci fanno credere che al guerra moderna
È
intelligente, programmata, calcolata, fa poche vittime…
E’
poi vero?
Ma
noi, cristiani del XXI° secolo siamo stati uccisi dentro,
Svuotati
della nostra Speranza di Pace, di Fraternità universale.
Un
macigno opprime la nostra coscienza e il nostro cuore.
Dio
della Pace, perdonaci!
Illumina
la tua Chiesa, tutte le Chiese, prima che sia troppo tardi.
Fermate
l’olocausto, ora, subito,
Tutte
unite gridate e pregate in un grande coro ecumenico.
Se
tacete, grideranno le pietre,
Grideranno
le generazioni future,
Grideranno
i martiri di tutti i tempi.
Libera
il tuo popolo, Signore,
Che
si credeva civile, progredito,
Ed
invece ha solo sete di egemonia, di potere, di petrolio.
Aiutaci,
Signore a ritrovare il cammino della Speranza, del dialogo,
dell’accordo, dell’intesa fraterna.
Madre
della Misericordia, intercedi per noi.
(A.M. Melini)
Canto:
No es con palabras
********
SILENZIO
– CONDIVISIONE spontanea
********
3°
Momento: Prendersi cura = COSTRUIRE AMORE
“Venite
a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi,
e
io vi ristorerò” (Mt 11,28)
“Dobbiamo
promuovere crisi in comunità assonnate; non dobbiamo cercare il
consenso degli altri, ma di Cristo”.
(don
Paolo)
Segno:
FILI COLORATI - L’arcobaleno
della pace
·
Mottetto di
Taizè
“Ti
darò un talismano.
Ogni
volta che sei nel dubbio o quando il tuo io ti sovrasta,
fa’
questa prova:
richiama
il viso dell’uomo più povero e più debole
che
puoi aver visto
e
domandati se il passo che hai in mente di fare
sarà
di qualche utilità per lui.
Ne
otterrà qualcosa?
Gli
restituirà il controllo sulla sua vita e sul suo destino?
In
altre parole, condurrà all’autogoverno
milioni
di persone affamate nel corpo e nello Spirito?
Allora
vedrai i tuoi dubbi e il tuo io dissolversi…”
(
Gandhi )
·
Testimone:
don Tonino Bello
“Pace
é giustizia, libertà, dialogo, crescita, uguaglianza.
Pace
é riconoscimento reciproco della dignità umana, rispetto,
accettazione dell’alterità come dono.
Pace
é rifiuto di quelle posizioni filosofiche di catastrofismo degli
ultimi anni, secondo cui «l’uomo non é più di moda» e va
disormeggiato con tutta la sua storia.
Pace
é temperie di solidarietà: solidarietà che, non é più uno dei
tanti imperativi morali; ma é l’unico imperativo morale che noi
credenti chiamiamo anche comunione.
Pace
é il frutto di quella che oggi viene indicata come «etica del
volto»: un volto da riscoprire, da contemplare, da provocare con la
parola, da accarezzare.
Pace
é vivere radicalmente il «faccia a faccia» con l’altro. Non il
teschio a teschio. Vivere il «faccia a faccia», non con gli occhi
iniettati di sangue, ma con l’atteggiamento del «disinteresse»
(...)
Pace,
perciò, é «deporre l’io dalla sua sovranità», far posto
all’altro e al suo indistruttibile volto, instaurare relazioni di
parola, comunicazione, insegnamento”.
(da
“Che cosa é pace?”)
·
Mottetto di Taizè
IMPEGNO
- AZIONE
·
Canto finale
|
Quando si parla con
il cuore non sappiamo da dove vengono le parole, le idee, la
struttura stessa del discorso. Adesso che mi chiedono di scrivere
quello che ho detto a Faenza, non mi resta altro che
"ri-cordare", cioè fare passare per il cuore gli elementi
che mi vengono in mente in tal modo che attraverso questo scritto la
forza dello Spirito che quei giorni ci si ha comunicato possa anche
comunicarsi tramite un pezzo di carta, o meglio, tramite lo schermo
di un computer.
A Faenza ho fatto un discorso nato da figure indigene,
immagini mute che i giovani lasciavano vedere nel silenzio del
rumore che facevano, icone del Vangelo richiamate dalle circostanze,
e dalle esperienze vissute. Allora l'unica cosa che faccio è
"ri-cordare" questo, e mentre "ri-cordo" scrivo.
Così che ci saranno alcuni elementi nuovi e alcuni assenti, perchè
lo Spirito è sempre nuovo, e fa sempre nuove tutte le cose.
1.
Quello che mi ha fatto cambiare discorso.
Icona del Vangelo che mi è venuta in mente: Gv 19, 28. Gesù crocifisso
che ha sete.
Sino
da bambino ho imparato che prima di parlare bisogna ascoltare il
silenzio della realtà a cui si vuole parlare. Per questo sono
arrivato prima del tempo indicato per il mio intervento, e per
questo sono rimasto il resto del tempo con i giovani.
Il
parlare con il silenzio di quei giovani radunati, cioè con i loro
gesti, i loro sguardi, le loro frasi, le loro domande... mi ha
riportato quel Gesù nella croce che ha sete. "ho
sete", è stata la Parola che ho sentito in mezzo alla
festa, all'attività, la conversazione, dietro il sorriso di ognuno.
Era per me come leggere la prima pagina di un libro intitolato "ho
sete di pace". C'èra il sorriso, il rumore, il lavoro per
la Pace... ma non c'èra la Pace.
C'èra
l'attività come grida
della disperanza, della rassegnazione, della delusione... No, non c'èrano
lì giovani per ascoltare una persona sconosciuta, erano lì perchè
cervano risposte alle domande profonde che il buio della violenza e
l'ombra della guerra hanno lasciato
nel loro cuore. E ho sentito le domande profonde di questo
silenzio che parlava al mio cuore: cosa significa la mia paura? Cosa
significa la mia disperanza? La mia delusione? A chè serve il mio
impegno per la Pace se è evidente che la violenza è più forte? A
chè serve il mio sforzo? A chè serve soffrire l'incomprensione da
parte degli amici e pure della famiglia? A chè serve stare qui?
Perchè sono qui?
Ognuno
di loro è diventato un discorso silenzioso, una pagina di uno
stesso libro pieno di domande profonde senza risposte chiare. Così
ho capito che quel discorso sulla Pacem in Terris non serviva per
questi giovani, non andava bene lì. Non era giusto parlare delle
parole scritte da me a partire delle parole di un Papa santo. Era
necessario parlare a partire delle parole viventi dei giovani, forse
non "santi" ma pieni d'amore per la vita.
Così
prima di cominciare a parlare, la presenza stessa dei giovani, il
suo mangiare insieme, il fare festa insieme, il suo atteggiamento di
ascolto, la sua disponibilità per l'azione... ha cominciato ad
essere per me risposta alle domande di senso e di significato che
scaturivano dalle parole non parlate che noi chiamiamo silenzio.
Cosa
significa la paura, la delusione, la disperanza davanti alla
violenza generalizzata? E la risposta era lì: significa che questo
giovane non è d'accordo con la violenza, che soffre perchè la
violenza sembra guadagnare terreno nei cuori degli esseri umani,
significa che ama la vita e per questo crede nella Pace, significa
che ha un cuore grande capace di amare e di risparmiare la propria
vita per il bene di tutti. E io mi chiedevo: ma non è questo un
cuore santo? Non è proprio questo il cuore del Signore? Ma forse
loro non sanno che hanno il cuore del grande Fratello dell'umanità
(Gesù). Sì, sono andato a Faenza a parlare della Pace, ma mi sono
trovato con il Cuore trafito del buon Pastore che soffre perchè la
Pace non è una realtà ma soltanto un anelito profondo di tutti. Un
cuore collettivo giovanile che palpita per la vita e per questo
impegnato per la giustizia e la pace.
Diciamo
che questo è stato lo sfondo del discorso che ho fatto con le
persone a Faenza. Di questo non ho parlato, soltanto l'ho vissuto
come dialogo profondo con il Signore che parlava al mio cuore. E da
qui ha cominciato il discorso sulla Pace con i giovani e con la
gente che era presente.
2.
La sera nel teatro della parrochia.
a). Esperienza vissuta: accompagnamento dei giovani delle bande urbane a
Bogotà, dialogo con giovani guerriglieri, sicari...(Colombia)
Ricordare
questi giovani con cui ho mangiato, parlato... è fare passare ad
ognuno di loro un altra volta per il mio cuore. Rivisitare
"cordialmente" le sue angoscie, le sue paure, le sue
speranze, la sua gioia, i loro sogni... rivedere i loro sguardi, il
loro sorriso, le loro lacrime, il suo sangue... mi fa pensare che
amare la vita, il non essere d'accordo con la violenza, l'anelito
della pace nel profondo del cuore, credere nella pace... non
significa che non sei violento ma neanche significa che sei cattivo.
Quando
ascoltavo da questi giovani - che non avevano più di 18 anni
(15-18) - come un ritornello questa frase: "vivi
di corsa e muori in fretta", pensavo: non è che sono
giovani che non amano la vita, tutt'altro, e si vedeva nel fatto che
molti di loro a quest'età avevano già un figlio o addirittura due.
Come mai? questo non è promiscuità? Vita sessuale sfrenata? No, è
la paura di perdere la vita e non averla vissuta, e non avere tempo
di esperimentare l'amore, cioè amare ed essere amati. Perchè oggi
si vive, domani non si sa. E la violenza diventa l'unico strumento
conosciuto per sopravvivere il più possibile. Sono giovani che
diffendono la vita come leoni feriti dalla povertà, l'esclusione,
la mancanza di opportunità... nella foresta periferica della
"civiltà" urbana, spesso costretti ad uccidere persone
che non odiano per guadagnare un po' di soldi. La vita, sì, cercare
di vivere, di sopravvivere, di difendere la vita con l'unico mezzo
che hanno imparato o che la società li lascia usare: la violenza.
L'ombra della morte li accompagna ogni giorno, è come la loro ombra
Ridono,
ballano, anche loro vanno in chiesa, ma non c'è la Pace. Non c'è
tempo per pensare, per la fantasia, per sognare...
perchè bisogna vivere il più possibile. E nel profondo una
frase che è anche come un ritornello: "che
finisca la violenza, a qualunque prezzo, ma che finisca."
Questo lo dicono tutti. Ed entrano in azione le "squadre
della morte", la polizia, l'esercito, i paramilitari, la
guerriglia... e la società spesso aplaude l'uccisione della sua
primavera.
Ho
visto questi giovani armati con il viso freddo, che sembra sfidare
la morte, ma quando iniziava il dialogo, la conversazione... veniva
fuori il pianto, la tenerezza, il sogno di pace, l'amore per la vita
concretizzata nella ragazza, nei figli... nelle sue lettere
d'amore... l'angoscia di trovarsi un giorno con un familiare, forse
un fratello di sangue nel bando contrario ed essere costretto ad
ucciderlo senza odiarlo. Ho visto il pianto di madri che pregano Dio
perchè questo non succeda. Cuori spezzati per la violenza che si
presenta come la garante della vita. Una bugia, una grande bugia che
è diventata un grande mercato che usa la mancanza di strumenti
diversi alle armi nella coscienza della gente, come supporto del suo
essistere. Non è giusto, non è giusto, non è cristiano...
Cosa
voglio dire con questo? Che nessun uomo vuole la violenza, ma la
vive, la usa... e noi dobbiamo chiederci il perchè. Nessun uomo è
creato cattivo da Dio.
b). Figura indigena: Una tartaruga legata al sole.
Certo che ormai la gente è tentata di credere sempre meno
alla non-violenza e a confidare invece nell'uso della violenza come
via per risolvere tutto. Questo per noi può essere la caduta di
ogni speranza di Pace vera.
Mercato,
angoscia, paura, ignoranza... sono fedeli alleate della violenza
odierna. Cosa fare nel buio, nelle turbolenze, nell'incertezze che
ci avvolge oggi? Ritirarsi dallo scenario sociale? Tacere perchè
ormai la maggioranza crede che la Pace non sia possibile senza la
violenza? No, noi non possiamo essere la presenza di un silenzio
muto, ma forse sì un silenzio che parla. Che si converte in parole
vissute, cioè una incarnazione individuale e collettiva della Pace.
Un silenzio che educa all'amore, elimina pregiudizi, che fa scoprire
spazi di bontà in ogni essere umano... capace di creare uno stile
di vita. Un silenzio "politico" nel senso che si vive nel
quotidiano cercando di costruire il bene di tutti.
Cioè entrare nella coscienza che l'impegno non è un
discorso ma una vita parlata in uno stile di vita.
Una
cosa è lavorare per la Pace, ma un altra è essere Pace. A questo
punto credo, sia necessario fare un passaggio dal essere lavoratori
di pace, operatori di pace ad essere fonti di pace. Il che vuol dire
essere noi stessi Pace. Ma questo significa cambiamento di mentalità,
significa perdere la paura di essere parte di una minoranza che ha
il coraggio di distinguersi chiaramente dall'opinione prevalente
(maggioritaria). Voglio dire con questo, che in questa situazione
attuale, è necessario uscire dalla mentalità di massa e non avere
paura di essere identificato con una "idea minoritaria" di
Pace, di essere considerati diversi. Significa avere il coraggio di
esprimere pubblicamente le nostre convinzioni vivendo noi stessi
queste convinzioni.
Ma
tutto questo significa "processo", cammino cosciente e
chiaro, significa analisi, riflessione, cioè un silenzio strategico
non ingenuo. Voglio ricordare a questo rispetto un racconto dei miei
noni, nel che si parla di una
ragazza preoccupata dalla rapidità con la quale il sole viaggiava
nel cielo e facendo così, la luce del giorno spariva presto in tal
modo che le genti vivevano sempre nel buio, non c'èra tempo per
vedere bene le cose, per analizzarle, per goderle, per capirle...
allora ha chiesto consiglio al suo nono, cosa fare perchè la luce
del sole possa durare a lungo e la gente possa vedere bene le cose.
Allora il nono li ha detto di aspettare il sole in montagna e nel
momento in cui comincia ad alzarsi legare una tartaruga al sole. E
così fece, e da quel momento il giorno comincio ad esistere e il
buio nel tempo e nella vita degli esseri viventi diminui. Cioè la
gente poteva vedere bene tutto, analizzarle, capirle...
Voglio
dire con questo che è necessario "legare
una tartaruga al nostro cammino di costruzione della Pace",
in tal modo che ci sia il tempo di pensare bene, di riflettere, di
analizzare, di fare strategie... di camminare lentamente, con passi
sicuri, ma camminare senza fermarsi... cercando le cause, le radici
e non fermarsi agli efetti della violenza. Io credo veramente che un
pochino di vera non-violenza vissuta, incarnata da uomini e donne
che si possono identificare con nome e cognome, agisce in modo
silenzioso, sottile, forse "invisibile" ma diventa lievito
in un contesto violento.
Una
tartaruga legata ai diversi processi di organizzazione, alle diverse
iniziative per la costruzione di un mondo più giusto e fraterno
(Pace), vuol dire capire e acettare che le persone non si
trasformano da cattivi a buoni dalla notte al mattino, che bisogna
avere pazienza e il coraggio di ricominciare sempre d'accapo. Vuol
dire che gli incontri che si tengono non sono per
"piangere" su ieri ed oggi, ma perchè siamo guardiani
della vita e ci troviamo per riunire energia e coraggio, per
continuare a camminare, anche se i risultati non sono così
evidenti. Significa camminare domandando, un camminare che diventa
una domanda costante anche se non trova risposte.
Una
tartaruga legata al sole, vuol dire fare tutto sotto la luce e non
nel buio, cioè nella chiareza delle cose e non nella confusione.
c).
Icona biblica: Un agnello che è come il serpente e la colomba (Mt
10, 16).
La
mia esperienza di vita in contesti violenti mi dice che colui che
vuole essere un uomo di pace deve essere un uomo di convinzioni non
di "conformità", di nobiltà morale e non di
"rispettabilità sociale". Cioè gli uomini e donne che
lavoriamo e crediamo nella Pace, non siamo persone
"rispettabili" nella società, anzi siamo degli "inadattati",
perchè non siamo dei semplici registratori dell'opinione
maggioritaria, cioè, non siamo come dei "termometri"
che trascrivono e registrano la "temperatura"
dell'opinione della maggioranza, ma "termostati"
che trasformano e regolano la temperatura sociale.
Nel
nostro cammino di Pace ci troviamo con persone con il cuore
indurito, freddi, arroganti... per diverse cause. Uomini e donne che
non sono capaci di condividere la gioia e il dolore degli altri, che
non vedono mai le persone come persone, ma che le valorano in base
alla loro utilità, persone che sembrano non sapere amare. Uomini e
donne che creano e organizzano ideologie per escludere e dominare,
che creano tutto un sistema che produce persone che non vedono altro
che due alternative: quella della violenza o della sottomissione,
quella della mano armata o della mano legata.
Da
un altro lato, ci troviamo uomini e donne che sognano giustizia,
verità, libertà, che la loro dignità è rispettata, che le loro
aspirazioni sono soddisfatte, cioè un ordine giusto nel quale
ognuno di loro possono realizzarsi come persone. Il nostro cammino
di Pace non è ingenuo, sa di sofferenza, di esclusione e di
emarginazione. Senza dubbio che il dolore dei nostro fratelli più
deboli causa indignazione in ognuno di noi, ma il motore del nostro
cammino non è l'indignazione o la collera, ma la coscienza che dove
c'è sofferenza c'è speranza, e noi camminiamo con la speranza non
con la sofferenza. Noi sappiamo che tutte le denuncie sociali, così
come il dolore fisico, sono sintomi e allarmi della vita, solo un
cadavere non si lamenta. Voglio dire con questo che la speranza ci
fa vedere in ogni grida di dolore, non una rivolta, ma una speranza.
Esistono
speranze in un mondo sottomesso, spaventato ed opresso? Noi diciamo
di sì, peche ci sono tante gride sociali che si fanno sentire, c'è
sofferenza, certo, ma precissamente per questo che noi abbiamo
speranza, perchè questo significa per noi un tempo propizio per
cambiare rotta, ma abbiamo bisogno di decisione e di strumenti
diversi alla violenza. Ci troviamo tra il caos e la soluzione, basta
scegliere.
A
questo punto mi viene in mente un'immagine un po' strana che fa Gesù
dei suoi discepoli, cioè come Gesù vuole che siano gli uomini che
credono nella giustizia e la fraternità: "ecco,
io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi, siate dunque prudenti
come serpenti e semplici come colombe".
Luther King parlava di queste caratteristiche come l'acutezza
di mente (serpente) e la tenerezza di cuore (colomba). Gesù aspetta
che ognuno di noi sappia conniugare queste due caratteristiche nel
quotidiano. Cioè essere capace di discernimento, di giudicare
criticamente e discernere il vero del falso. Essere capaci di
scoprire le mezze-verità, i pregiudizzi, i falsi fatti; ma allo
stesso tempo essere capaci di amare, di vivere la amicizia, di
condividere la gioia, il dolore degli altri... per lavorare per la
Pace come fratelli e non come semplici lavoratori sociali.
Siamo
diversi, di questo dobbiamo essere convinti. Siamo agnelli, ma che
nel suo interno convivono il serpente e la colomba, che muovono ogni
nostra azione per la Pace. Il cammino della Pace ha bisogno di unire
l'acutezza di mente e la tenerezza di cuore, soltanto così si evita
l'ottusità mentale che crea la violenza.
d).
Figura indigena: il vento e l'albero (il canto e la resitenza).
In un contesto così dove la violenza è diventata il
"credo" ormai generalizzato, quello che ci resta è la
resitenza. Resistere è la luce che brilla nel buio che crea la
violenza oggi. Per un indio l'albero è il maestro della resistenza.
Lui sempre si mantiene in piedi, il clima può cambiare ma lui è
sempre lì guardando in cielo ma con le radici nel profondo della
terra. Può non cambiare nulla, ma è lì in piedi, e muore in
piedi, resistendo.
L'albero è anche per noi, il maestro dell'ascolto. Sembra
ascoltare il vento, parlare con lui, anzi si muove a seconda il
vento vada, ma non lascia mai il suo posto. Ascolta tutti i venti.
Per noi esistono quattro venti che simbolizzano le voci (esperienze)
di tutti i popoli della terra, quelli del nord, quelli del sud,
dell'oriente, dell'occidente... ogni vento porta un canto che suona
a ritmi diversi (del tamburo, della quena, della chitarra...) e si
devono ascoltare, perchè tutti i venti seguono la strada che il
Grande Spirito gli ha indicato (Dio). Per un indio, il vento soffia
e respira libertà e soltanto un uccello dalle ali spezzate si
rassegna a non volare. Con il vento le nostre parole sono
intrecciate con le parole degli altri popoli, diventando così voce
della terra.
Per un indio il vento porta le parole, la memoria e i sogni
di ognuno, del nostro popolo e degli altri popoli, e quando si leva
e cammina verso gli altri, porta il sogno di molti, e sa che molti
hanno lo stesso sogno e va a cercarli. Il vento viaggia soltanto per
svegliare a coloro che dormono.
Con questo voglio dire che abbiamo bisogno di condividere i
nostri sogni resistendo, fare della Pace il
grande sogno no di persone che dormono ma che sono svegli
ascoltando e lavorando a partire delle diverse esperienze del
passato e del presente di tanti popoli e culture, perchè tutti
hanno qualcosa da dire sulla Pace e tutte ne siamo risponsabili.
Bisogna riportare alla memoria gli antenati del cammino della Pace:
Gandhi, Luter King... una utopia? No, un sogno indio, che è un
proggetto che cammina già, perchè io ho cominciato a sognare, e da
quando ho cominciato a sognare, non sono più lo stesso. Sogno Pace,
quindi comincio ad essere pace, la pace non è più un anelito, è
già una realtà perchè io sono qui sognando pace.
e). Icona biblica: la comunità cristiana primitiva
(pentecoste).
Tornare ad essere comunità è necessario per noi uomini e
donne che crediamo e lavoriamo nella Pace, ma una comunità con
spirito, non una comunità sociologica (un club, una organizzazione
qualunque...). Cioè una comunità fatta di persone con spirito,
quel Spirito di Gesù che gli spinge a cercare modi diversi per
sostituire la spada con l'aratro, e fare in modo che anche quando
risuonano le spade, gri aratri lavorino la terra.
Una comunità di uomini e donne con uno Spirito di fortezza,
di ricerca della Verità, uno spirito di fedeltà, di resistenza...
è facile indicare persone concrete o gruppi che possiedono lo
Spirito di Gesù, perchè sono Parola , Memoria e Sogno fatti vita
quotidiana. Queste persone ci dicono meglio di tanti discorsi cosa
significa vivere il quotidiano con spirito.
Voglio dire con tutto questo che non abbiamo bisogno di
creatività perchè abbiamo abbastanza; abbiamo bisogno di una
spiritualità capace di mantenerci in piedi in mezzo a questo
contesto avverso, per non stancarci, per no perdere la speranza...
dobbiamo tornare ad essere comunità, ad essere cristiani veri per
poter essere una luce nel buio, per poter essere un luogo dove
esiste la speranza. Abbiamo bisogno dello Spirito di Gesù, perchè
noi che crediamo nella Pace e viviamo nella speranza di un mondo più
giusto e fraterno, non abbiamo diritto a scoraggiarci, non abbiamo
diritto alla "pace" come la pensano gli altri, la mia
esperienza mi dice che una persona che cerca di costruire questo
sogno, non è mai in "pace", e penso che anche voi lo
sapete bene.
Bisogna
essere forti e la fortezza la può dare soltanto lo Spirito che ha
mantenuto in piedi Gesù anche se è rimasto da solo credendo nel
profondo che gli uomini non erano cattivi, ma semplicemente degli
ignoranti che "non sapevano quello che facevano": ecco il
grido nella croce: "Padre,
perdona loro perchè non sanno quello che fanno". I
violenti, i passivi, gli espettatori... non sanno quello che fanno,
e il nostro lavoro è farli sapere quello che fanno, farli coscienti
delle conseguenze per tutti, farli coscienti del suo essere dalla
parte della morte.
Certo, questo significa perdere molte cose come la
comprensione di parte della famiglia, dagli amici, possiamo perdere
il posto anche nella "religione", nella società
"normale", e tante volte il premio può essere la
solitudine e addirittura la perdita della vita stessa. Ma è qui in
questi momenti che l'uomo e la donna che crede in un mondo più
umano, quando ascolta le parole del Signore: "non
temete: io ho vinto il mondo". E questa diventa la
ragione della nostra speranza.
Riconquistare lo splendore evangelico dei cristiani
primitivi, che erano non conformisti, che rifiutavano di adattare la
loro testimonianza agli schemi sociali, diventa per noi un dovere
per il bene dell'umanità. Essere disposti a sacrificare fama, averi
e la vita stessa in difesa di una causa che sapevano giusta, questi
erano i primi cristiani, e ci sono ancora avunque, piccoli
quantitativamente ma grandi in senso qualitativo. La pace vera è in
mano a quelli che sono costruttivamente inadattati, e noi siamo
inadattati che abbiamo lo Spirito di Gesù. Crediamo in Cristo,
vero? Allora non avere paura di essere cristiani. È questa la
garanzia per avere la Pace vera.
f). Figura indigena: La mamma Terra, la casa comune a tutti
gli esseri viventi.
I miei antenati dicevano: "Quando
la terra fu creata con tutti i suoi esseri viventi, l'intenzione del
Creatore non era di renderla vivibile solo agli uomini. Siamo stati
messi al mondo insieme ai nostri fratelli e sorelle, con quelli che
hanno quattro zampe, con quelli che volano e con quelli che nuotano.
Tutte queste forme di vita, anche il più piccolo filo d'erba e il
più grosso degli alberi, formano con noi una grande famiglia. Tutti
noi siamo fratelli e ugualmente importanti su questa terra."
Io non riuscivo a capire il perchè San Francesco di Assisi
era considerato santo per la Chiesa, e l'indio che aveva lo stesso
Spirito di fraternità e forse ancora con più profondità, era
visto come "pagano", io penso che nella nostra Chiesa, c'è
qualcosa che non va, che non è giusto, e questo porta anche a non
vivere la Pace anche dentro della Chiesa stessa. Ma comunque non è
questo l'argomento di cui parliamo.
Oggigiorno non c'è bisogno di molta scienza per capire che
dietro ogni violenza sociale si nasconde la degradazione ecologica,
cioè non è difficile capire che un problema umano in una
determinata zona del pianeta sia originato in un altra zona lontana
a causa di tanti proggetti di "sviluppo", e purtroppo le
conseguenze colpiscono sempre i più svantaggiati.
Voglio dire con questo che bisogna vedere al di là dei
fatti, e vedere che la violenza verso la Terra e la Natura è
collegata direttamente alle ingiustizie socioeconomiche, politiche,
culturali, ai problemi demografici, la povertà, le malattie,
l'esclusione, la miseria e la morte di molti.
Tante volte camminando per le strade di Roma penso alla
violenza che genera l'incoscienza. Per esempio: il vedere una sola
persona in ogni machina, mi fa pensare al grande risparmio di
bensina, io so che in questi posti la macchina simbolizza grandi
valori individuali come l'autonomia, la libertà... ed è bello, ed
è una mostra di un grande sviluppo tecnico, che non sempre si può
paragonare ad uno sviluppo umano.
Ma mi fa pensare soprattutto ai popoli
indigeni della foresta lacandona in Chiapas, o ai popoli indigeni
della Colombia, che dovuto a questi valori individuali di occidente
vengono spogliati della sua terra, uccisi, ingannati, sfruttati...
Lo so, voi non sapete che i vostri valori, i loro desideri o bisogni
di una macchina, sono anche collegati alla morte di molti poveri che
l'unico peccato che hanno fatto è quello di vivere in zone dove c'è
il petrolio, e di credere que quel pezzo di terra è suo e sono
disposti anche a perdere la vita prima di vendere o permettere che
li sia tolta la sua mamma terra.
Il prendere coscienza, il conoscere le conseguenze delle
nostre azioni che non sono pensate con l'intenzione di fare male a
nessuno, ma soltanto per soddisfare una "necessità"
personale o collettiva, o forse nazionale, ci fa ad ognuno capaci di
cominciare un "modo ecologico di vivere", e così la Pace
comincia a camminare nella concretezza della quotidianità. Ma
bisogna entrare nella coscienza che la Terra è la nostra casa
comune, e che tutti abbiamo il diritto a vivere con dignità, che
non siamo da soli in questa terra, che tutti siamo fratelli e
sorelle.
g). Immagine ecclesiale e sociale: "da pecora a
pastore" (custodire e coltivare)
Il clima di pace si crea per contagio, con il dialogo, con il
nostro impegno personale, mettendo insieme cuori e volontà nella
ricerca della Pace. Ognuno di noi dobbiamo avere chiaro che se
vogliamo la Pace bisogna lavorare per la giustizia nell'orizzonte di
un uomo libero e fraterno con tutti e con tutto.
Quando
le ideologie si organizzano per escludere, dominare e distruggere, a
noi come cristiani non resta altro che impegnarci nella difesa della
vita in tutte le loro espressioni, e invece di lasciarci prendere
dal panico, dalla disperanza, dobbiamo levare le nostre voci tramite
tutti gli spazi e canali possibili. Non è il momento di incrociare
le braccia ma di scuotere l'indifferenza e l'inerzia di molti.
Sappiamo che non tutti possiamo essere forti e coraggiosi per
prendere decisioni radicali in favore della Pace, ma tutti possiamo
essere decisi nel prendere parte di un cammino, di un processo che
difende la vita, che cerca la Pace...
Come
cristiani abbiamo il compito di creare le condizioni per una Pace
vera, e se non facciamo così semplicemente non siamo cristiani,
perchè nessun cristiano vive in "pace" fino a quando
qualcuno soffre ingiustamente.
È necessario che esistano messaggeri di Pace, bisogna
parlare continuamente di Pace, educare ad ogni cuore umano ad amare
la Pace, a costruirla, a difenderla...Oggi più che mai la nostra
presenza deve essere la prova che il cristiano fa sue le sofferenze
e le angosce di tutti e non può dormire tranquillo mentre un suo
fratello da qualche parte viene massacrato. Un cristiano vero non si
da il diritto ad essere insensibile.
Il
cristiano non è nato per essere "pecora" che aspetta a
che altri si prendano cura di lui, ma è per natura
"pastore", cioè colui che si prende cura dei più deboli.
Bisogna cambiare mentalità per non aspettare un leader che venga ad
spingere la nostra responsabilità di costruttori di Pace, la stessa
coscienza di essere custodi e coltivatori nel giardino nel quale Dio
ci ha posto, ci deve spingere ad essere guardiani della Vita. Voglio
dire con questo che bisogna lasciare di essere pecora, cioè
semplici persone che si lamentano o aspettano una soluzione senza
involucrarsi di persona nella speranza attiva, non più semplici
spettatori ma Pastori come il Signore.
Conclusione:
Cosa significa per un cristiano l'azione per la Pace?
Significa che crede e vive Gesù. Significa che ha capito che non
bastano dottrine o ideologie, ma che occorre vivere con un
determinato spirito per essere fonte di speranza anzichè di
disperazione o rassegnazione, per essere forza che incoraggia ad una
prassi trasformatrice anzichè alla passività o all'egoismo. In
questo nostro contesto di violenza non abbiamo bisogno di una grande
personalità, ma piuttosto di uno spirito forte capace di mantenere
la nostra speranza e la nostra azione per la pace. Abbiamo bisogno
di una vita spirituale, cioè di una vita con spirito, più
concretamente con lo Spirito di Gesù. L'azione per la Pace non è
altro che la esplicitazione dello spirito con cui si vive.
fr. Joel
|
Pace,
Shalom, Paz.
Queste
le parole che echeggiano ancora per le strade di Faenza. La
convivenza di quei giorni ha portato un segno molto forte. La mia
permanenza è stata solo di due giorni a cavallo tra il 2002 ed il
2003, ma sono bastati per constatare che la condivisa forte esigenza
di pace fermenta ancora nel cuore di molti giovani. Soprattutto
questo tempo ha reso evidente che la pace prima di tutto si
costruisce dalle nostre città. La pace non è utopia, non è ideale
per sognatori, non è per alternativi contro tutte le guerre del
mondo. Semplicemente nasce dai nostri cuori e si erge a partire
dalle nostre strade, cominciando con un gesto che ora più che mai
sembra richiedere uno sforzo disumano: aprire la porta.
Aprire la porta di una parrocchia per ospitare un gruppo dei
giovani, ed in particolare aprire la porta della propria casa, per
accogliere questi giovani desiderosi di portare un messaggio di
augurio e di pace per il nuovo anno. Giovani con la voglia di
guardarsi in faccia, di passare di casa in casa per dire: “la pace
è veramente nelle nostre mani!”. Si realizza così quel momento
così prezioso della nostra vita: l’incontro. Da una parte si
esperisce l’emozione di essere accolti e di poter comunicare un
messaggio, dall’altra lo stupore per qualcosa di nuovo, qualcosa
di imprevisto che diventerà la gioia di ricevere e di trasmettere
ciò che si è ricevuto. E’ così che nelle nostre città si
comincia a concretizzare un sogno.
Quelle
città che oggi sembrano dei mostri, e che a volte possono sembrare
dei deserti in cui l’amore fa fatica a crescere. Vi parlo delle
città in cui, anche nei paesi ricchi, la percentuale di povertà
sta crescendo. Solo che è più invisibile, non è presente nei
nostri borghesi vicoli, non appare sui telegiornali se non per
qualche fatto di scabrosa cronaca nera o nel giorno di Natale per
mostrare che qualcuno, almeno un giorno all’anno, è buono. Si
tratta di poveri, anziani soli, tossicodipendenti, senza dimora,
giovani immigrati. E’ una povertà silenziosa e difficile da
individuare, da capire da estirpare. Non è solo frutto del sistema
economico emarginante, ne di problemi di giustizia o di equità.
E’ molto più silenziosa questa povertà, quasi viscida, che si
insinua lentamente tra le persone. La mancanza, nei nostri paesi del
centro-nord dell’Italia non dipende dal lavoro, dai soldi, ma da
qualcosa di più difficile da colmare e ripristinare: il senso della
vita. Non si sa a chi si appartiene, si smarrisce il gusto del
vivere.
Alla
Veglia e alla Messa in rito congolese ho visto persone in lacrime
uscire dalla Chiesa: perché forse per un attimo erano riuscite a
trovare un piccolo gesto d’amore. Forse una stretta di mano, un
sorriso, una preghiera, un canto, un forte condivisione, un sincero
amore per i fratelli che nasceva in quella culla, di quel presepe di
fronte a tutti. Amore e Passione possono far davvero nascere la pace
nelle nostre vie. E quando questo accadrà/sta accadendo/accade,
potremo sperare che i potenti, che le istituzioni, i guerrafondai, i
popoli incitati alla guerra, potranno cogliere questo desiderio, che
nasce dal poco, dal basso, ma come un fiore germoglia nel mondo.
Facciamo
tesoro di questi
momenti, non per conservarli nell’album della collezione, ma per
riprendere ancora con forza e con gioia il cammino che ci aspetta.
Sarà faticoso, incerto, a volte senza senso? Certamente, ma c’è
sempre qualcuno che cammina vicino e con noi.
Grazie di cuore davvero per tutto ciò che state facendo
Buon Anno di Pace
Tobias
|
CIAO!!!
Sono Laura e insieme a mio
marito Giorgio e ai nostri due figli, Gabriele (6 anni) e
Luca (5 anni), vorremmo ringraziarvi tutti ...DI CUORE!!!
Abbiamo avuto il piacere di
essere famiglia ospitante nei giorni 28/12/02 - 01/01/03 e vorrei
condividere con voi la sensazione di una bella ventata
entrata in casa nostra di entusiasmo, voglia di rinnovamento, di
coraggio e lotta per un mondo migliore.
Ovviamente il nostro impegno
come genitori e come famiglia non può più avere, come una volta,
la stessa grinta ed energia di un gimmino, ma ben volentieri
cediamo serenamente il passo a ragazzi come quella banda di
40 elementi arrivati qua!!
Abbiamo ospitato in casa
nostra, nel tipico silenzio (????) familiare alcuni di questi
"sovversivi" e ne siamo stati felici...perchè, pur
credendo fermamente che il Signore ci ha chiamato al
matrimonio, vivere questa vocazione isola in parte dalle
problematiche mondiali ma la vostra semplicità e umiltà
vissuta nel sorriso, ci avete rinfrescato l'idea che
Pace può essere vissuto anche da famiglie sempre "in
corsa" come noi.
Allora...un abbraccio pieno di
gratitudine da Faenza!!!
Laura
|
Faenza,
cinque giorni dopo
Giampaolo
(GIM Roma)
A
ben riflettere sembra inadeguato e paradossale trattare di pace
in questi giorni di guerre promesse; gustare l’esperienza unica
dell’accoglienza dopo il clamore sollevato dalle
celeberrime politiche per (o contro?) l’immigrazione; sperimentare
la pienezza della gratuità in epoca di time is
money; cullarsi ed emozionarsi al semplice suono di una
chitarra, a volte scordata, quando anche la suprema arte musicale è
stretta nel morso delle imprese commerciali discografiche; andar
fieri dell’essenzialità della propria condizione
materiale pur essendo scrutati dalla gente normale come
strani esseri di un altro pianeta. È irragionevole. Eppure è
proprio nel paradosso che si insinua la possibilità di uscirne
fuori. Il conflitto e la crisi aprono sicuramente a nuove
potenzialità, i cui germi si destano e prolificano, covati da lungo
tempo nel tepore della regolarità quotidiana, ove tutto, infondo,
è soddisfacente così com’è.
Osare
allora un certo tipo d’esperienza non può inequivocabilmente
lasciare immutati i sentimenti di chi, come noi ribattezzati GIMmini,
ha riposto le proprie speranze di pace e di giustizia in un epilogo
d’anno di tale portata. Qualcosa si è smosso in tutti noi e in
chi ci ha aperto le porte della sua abitazione. La casa, si sa da
sempre, è il sinonimo della famiglia, del focolare domestico.
Quando si è ben disposti a condividere e a disperdere gratuitamente
ciò che di più intimo si possiede, il calore del focolare, non si
può non essere portatori di pace. In molti ci hanno accolto, altri
ci hanno fatto i complimenti come fossimo gli ultimi eroi martiri
rimasti sulla Terra, altri ancora ci hanno offerto soldi o ciò (per
lo più vino) che le loro dispense proponevano, altri infine ci
hanno ascoltati, seriamente coinvolti nella nostra testimonianza.
Sono gli stessi che il Primo giorno del nuovo anno erano lì in
strada, con delle strane bandiere colorate intorno al collo e con il
loro silenzio di sempre, silenzio attivo che anche l’indio
italiano ha dimostrato conoscere.
Le potenzialità per costruire la pace esistono e i
parrocchiani di S. Antonino lo hanno saputo testimoniare, senza
clamore e inutili sfoggi d’abilità rocambolesche. Forse la
Romagna non può essere assurta ad emblema del Bel Paese in toto,
forse sarà difficile incontrare gente essenziale e allo stesso
tempo vigorosa come Don Germano e i suoi parrocchiani, eppure
credo che questi germi di pace siano presenti, sparsi qui e lì, un
po’ ovunque. Basta destare, ravvivare, rendere consapevole delle
proprie possibilità, responsabilizzare chiunque rappresenti una
minaccia concreta ad un’esistenza vuota e assopita, priva di
quella vitalità che sola può nascere dal confronto con la Parola
di Dio. Il costante e continuo impegno a costruire la pace sgorga
dalla vita di tutti i giorni, magari appendendo semplicemente una di
quelle strane bandiere al proprio balcone, o vivendo la propria
quotidianità con occhi e cuore nuovi. La pace deve essere innanzi
tutto un desiderio profondo e poi una missione creduta con fede in
Dio e fiducia nell’uomo. Non servono decaloghi o corsi di
specializzazione… E se la conoscenza del male annichilisce, la
speranza nel bene attiva.
Il Sud è un luogo reale e simbolico, rappresentazione
– geograficamente riconducibile a tutto ciò che non è America
settentrionale, Europa, Australia e Giappone – dei mali che
affliggono il pianeta: povertà, diseguaglianza, guerra, malattia,
rischio ambientale. Il Sud è anche lo stile di vita con il quale
abbiamo cercato di proporci alla comunità locale di Faenza,
pubblicamente per mezzo della messa congolese del primo gennaio e più
semplicemente tra di noi, con lo spirito di essenzialità e
limpidezza che abbiamo percepito nelle relazioni instaurate sin dal
primo giorno. È la capacità di generare molta vita con poche
risorse. È questa ventata di Sud, così fresca e gravosa, che ha
conquistato Faenza.
In chiusura ritengo necessario riassumere tutto il
succo di quei cinque giorni in una parola: GRAZIE. A Don Germano e i
parrocchiani che ci hanno ospitati, a chi ci ha dato
quest’opportunità e la gioia di riconciliarci in serenità, agli
oltre quaranta partecipanti cui mai dimenticheremo volti, sorrisi e
abbracci (il linguaggio della pace) … al Signore che
incessantemente ci guida sulla via della vita…
GRAZIE!
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