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 Articolo 21 liberi di

portale sul pluralismo e la libertà nell'informazione 

 

 Megachip  

di Giulietto Chiesa 

 

  Media Watch  

di Peacelink

 

 

Leggi l'approfondimento sull'informazione alternativa di MISNA

 

Una delle priorità del Giubileo degli Oppressi dei Missionari Comboniani è l'informazione critica. Per questo già nel 2002-03 ed ora in questo nuovo anno proponiamo un Laboratorio e Osservatorio Autogestito sull'Informazione.

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E' nato l'Osservatorio Autogestito sull'Informazione!

Schede di approfondimento:

1. Tivù non m'inganni più

2. Comunicazione: il potere di ricostruire realtà: schede di approfondimento da un seminario promosso dall'Università di Gorizia

3. Informazione: mille finestre su squarci di realtà. Tesina per il corso di laurea in relazioni pubbliche su: cos'è una notizia - criteri di notiziabilità - agenzie di stampa...)

4. Un elenco di film sul tema dell'informazione

5. Un Laboratorio simile al nostro (sarà a BS)

 

Laboratorio sull'Informazione 2003-04

PROGRAMMA DEGLI INCONTRI

  

  1. martedì 25 novembre:

Informazione: descrizione o produzione della realtà?

Itinerario introduttivo per una comprensione critica della notizia e una riflessione sulla comunicazione. La notizia è una ricchezza o un bene di consumo? La quantità di informazione è indice di libertà e di sviluppo?

 

con Sergio Frigo (giornalista de Il Gazzettino)

 

 

  1. mercoledì 3 dicembre:

Informazione e potere

Una mappatura nazionale e internazionale, con attenzione specifica al potere televisivo e agli interessi economici che smuove.

 

con prof. Voglino (Univ. di PD – teorie e tecniche linguaggio televisivo)

 

 

  1. martedì 9 dicembre:

Informazione e mondialità

La libertà di informazione, le tecniche e le potenzialità nei paesi del sud del mondo, il gap tecnologico tra i paesi del nord e del sud del mondo.

 

con Raffaello Zordan (giornalista di Nigrizia)

 

 

  1. martedì 16 dicembre:

L’informazione locale e privata

Quali libertà, quali condizionamenti, quali conflitti con l’informazione più ampia? Come costruire informazione dal basso a partire dai mezzi locali?

 

con d. Gabriele (Telechiara) e un rappresentante di Radio Cooperativa

 

  1. martedì 13 gennaio 2004:

L’informazione alternativa

Ripartire dal basso e in rete. Internet, NoWar Tv e tutte le potenzialità del popolo della pace.

 

con Carlo Gubitosa (www.peacelink.it )

 

 

  1. martedì 20 gennaio:

Esercizio personale interattivo

La descrizione della realtà a partire dai nostri diversi punti di vista. Dal laboratorio all’osservatorio: analisi degli strumenti a disposizione e progettazione dei passi seguenti.

 

Febbraio e mesi seguenti:

Osservatorio Critico dell’Informazione

Appuntamenti quindicinali autogestiti.

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CONTENUTI DEL LABORATORIO '03-'04

 

1. Informazione: descrizione o produzione della realtà?

 

con Sergio Frigo (giornalista de "Il gazzettino" e "Cittadini Dappertutto")

 

Inizia il laboratorio sull’informazione 2003/2004, anni difficili accompagnati da vari avvenimenti che hanno fatto dell’esclusione e della divisione, colonne portanti di questo sistema di morte…

L’aria che avvolge il gruppo è permeata da sfiducia e da un senso non troppo vago di impotenza, ma anche da speranza e sogni.

Proprio un bel tema l’informazione… un compendio molto sostanziale a qualunque forma di libertà… una di quelle cose che dovrebbero essere appunto libere nel più profondo senso del termine.

L’informazione a detta di molti resta una priorità, ma maggiormente, da quanto emerge fra noi, la priorità è liberare l’informazione. Ecco che, per iniziare questa sfida-cammino, sorge la necessità quasi spirituale di definire da quali catene l’informazione sia trattenuta…

Interviene per noi e guida le nostre riflessioni il giornalista Sergio Frigo… un uomo che all’informazione ha dedicato la sua vita, passando attraverso tutte quelle strutture e quei sistemi sociali che ingabbiano l’informazione e che per fortuna non sono in grado di ingabbiare anche i sogni degli uomini… nel suo caso infatti, qualche compromesso ha preso forza, ma sempre lo ha accompagnato una fervente volontà di analisi e di denuncia.

La sua esperienza lo ha portato a corrispondere per il Gazzettino, in cui ha dovuto scegliere la sezione “cultura”, dove dice che può davvero scrivere quello che pensa e sente… grande libertà è dunque quella di poter dire ciò in cui si crede, senza imposizioni capaci di ispessire il compromesso. Inoltre Sergio concretizza il suo sogno di libertà fondando un mensile di relazioni interculturali (Cittadini dappertutto) e dando un contributo altro all’informazione… qualche benda per quelle tante ferite. Ferite che Sergio non dimentica e che cerca di farci conoscere, perché i nostri passi non siano mossi su idealità poco fondanti… la sua analisi è articolata e complessa, vuole portare luce sui motivi che portano l’informazione a sanguinare.

Le prime sue parole si spingono a definire il giornale di oggi… Sergio lo chiama prodotto maturo,  che viene però scalzato con grande facilità da altri mezzi informativi come la televisione. Questo avviene perché l’ottica che gestisce il tutto è una spudorata commercializzazione… anche la notizia è merce che deve essere venduta!!! Ecco che il modo di guardare alla notizia risulta distorto all’origine, se una notizia si deve vendere è “bene” guardare alle strutture sociali che governano chi si vuol toccare con la notizia stessa… ecco che servono cose che catturino l’attenzione degli utenti, processo non semplice considerando a quanti input siano questi ultimi sottoposti. Mille e mille sono infatti le voci, le immagini, i commenti che dilagano quotidianamente e continuamente in quella dimensione fruibile dei singoli pensieri… è come se in un posto dove c’è tanto rumore si debba urlare più degli altri per essere ascoltati… sono comparsi quindi vari artifizi per giungere al fine di vendere… cose eclatanti, o angosciose, spettacolarizzate più che spettacolari… ma soprattutto (se è concesso, e anche no),  DIVERTENTI, LEGGERE.

Le persone sembrano non volere paternali su come effettivamente si dovrebbe vivere dopo aver optato corresponsabilmente per le situazioni del mondo… non si vuole la verità fino in fondo, c’è un rifiuto del giornalista pedagogo.

L’urgenza è creare criticità (attenzione e tensione critica), Sergio sostiene coraggiosamente che è possibile dar voce al suono della foresta che cresce, in contrasto dell’altisonante, ma non musicale, scricchiolare di rami morti e secchi… il come lo indica nell’umiltà dell’ascolto e nella costruttività del dialogo… con tutti i settori, con tutti i mezzi mediatici che fanno comunicazione, prendendosi la corresponsabilità anche del “nemico” così com’è.

Fare dunque del mondo il nostro pedagogo. Solo da questo ascolto del presente, si possono ipotizzare informazioni alternative, effettivamente controinformative e genuinamente critiche. L’ammalata informazione sembra, dopo il dialogo con Sergio, recuperabile. Nonostante ciò, avverte: gli idealismi e la passione, nel sistema vigente, non sono precisamente delle doti apprezzate dai capi… l’esclusione e la limitazione della libertà sono compagne di chi comincia volendosi spendere seriamente e umanamente… attenzione quindi a non demordere o a non farsi contaminare. Grazie Sergio e prenda una “buena onda” questo viaggio nell’informazione!

(a cura di Emiliano)

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2. Informazione e potere

 

Sono intervenuti all’incontro il professor Bruno Voglino dell’università di Padova, insegnante di “Teorie e tecniche del linguaggio televisivo”, e Cristina Marchesi, giornalista.

 

L’incontro è cominciato con una breve scorsa sulla legge Gasparri, molto dibattuta in questi giorni. Il prof. Voglino sottolinea il fatto che se Ciampi firmerà questa legge, il presidente del consiglio, cav. Silvio Berlusconi, già in possesso di alcune tra le più seguite reti televisive, potrà aggiungerne alla sua proprietà altre, utilizzando quindi i mezzi di comunicazione di massa, non come diffusori dell’informazione, bensì come unico canale di “condizionamento sociale”. La televisione, governata dal responso Auditel, i cui referenti sono rappresentanti di RAI e mediaset, è già quasi completamente controllata da un unico imprenditore.

Il potere dell’informazione televisiva è fondamentale, dal momento che la maggior parte degli italiani non utilizza altre fonti, come ad esempio i giornali; questo potere impone una linea di pensiero unica, che non permette allo spettatore una comprensione critica personale di qualsiasi avvenimento. Voglino continua spiegando come la notizia venga presentata sotto forma di “strillo”, nel senso che frasi ad effetto enfatizzano gli eventi senza analizzarli in profondità; tutto scorre veloce sotto gli occhi dell’inerme spettatore, senza lasciare il tempo per una personale interpretazione o un interessamento agli avvenimenti.

Il pluralismo è importante, anche e soprattutto quello televisivo, che interessa milioni di spettatori, di pensieri e ideologie diversi, visto che neppure il giornalista più obbiettivo potrebbe rappresentare tutto il dicibile. Il servizio pubblico dovrebbe dare più spazio a diverse voci giornalistiche, non si capisce quindi perché ottimi giornalisti, quali Enzo Biagi, Michele Santoro o la satira di Sabina Guzzanti siano state censurate allo schermo televisivo, mentre permangono Costanzo e Vespa, ad allietare le serate degli italiani televisionari.

Il prof. Voglino passa la parola a Cristina Marchesi con quest’ultima affermazione: “Parlare di televisione suonerà come un’orazione funebre, perché l’informazione che già era malata, con la Gasparri è morta”.

Cristina apre il suo discorso con la sua opinione sulla legge Gasparri, spiega come in realtà, se non per una questione di editori, non esiste una distinzione tra reti pubbliche e private. Quella che è la fonte vitale del giornalista televisivo, la curiosità, è morta. Cristina spiega come esiste una grande differenza fra i diversi tipi di giornalisti, il giornalista è ovunque ed è colui che offre la diffusione del sapere. I temi che interessano i giornalisti, non sono solamente quelli che ci vengono proposti sui giornali o attraverso la televisione, ma grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, qual ad esempio Internet, l’informazione riesce a diffondersi molto velocemente, a macchia d’olio, e ad entrare nelle case degli utenti interessati a cercarla. Anche i satelliti e il digitale, che in Italia a non si sono ancora ampliamente sviluppati, hanno una grande valenza di informazione, anche se con l’enorme quantità di canali disponibili non si riesce a rimanere critici.

Un intervento del prof. Voglino ci sottolinea come visti gli  elevati costi dei mezzi digitali, ci sarà una monopolizzazione anche di chi avrà l’accesso a questi canali, dividendosi in televisione per ricchi o per poveri.

In altri paesi del mondo la televisione ha avuto un impatto culturale e sociale devastante, poiché entrando nelle case delle persone ha proposto modelli e stili di vita propri di una società occidentale, sviluppata in un clima industriale e materialista.

Che impatto ha avuto in Africa o in America Latina questo modello, dove le culture e i modelli di vita sono completamente diversi da quelli occidentali?

L’informazione ci ha mostrato quindi come il tema dell’informazione sia vasto ed articolato e che cercare un informazione è possibile, per chi non si ferma a tutto quello che gli viene proposto, ma trova in sé la volontà di ricercarla.

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4. L’informazione locale e privata

 

I relatori del quarto incontro sono stati Danilo, un rappresentante di Radio Cooperativa e don Gabriele Pedrina, direttore di Telechiara (perlomeno fino al 31 dicembre!).

Per motivi di salute, purtroppo, Danilo non è potuto essere fisicamente presente, ma abbiamo potuto ascoltare la sua testimonianza grazie ad un'intervista fattagli da padre Dario e registrata su un nastro. E così è come se avessimo ascoltato un programma fatto appositamente per noi.

Danilo, che da quando si è licenziato lavora per Radio Cooperativa, vive con la moglie Anna, una persona semplice e discreta, ma ricca di iniziativa. E’ stata capace anche da sola di  condurre la trasmissione del marito, in situazione di emergenza.

Radio Cooperativa è una radio locale e un po' particolare in quanto per principio non fa pubblicità e si mantiene grazie alla generosità e alla bontà degli ascoltatori nonché tramite i ricavati di pranzi e pesche di beneficenza.

Radio Cooperativa è diventata molto importante per Danilo, anche adesso, nonostante la malattia gli permetta di raggiungere la sede solo poche volte alla settimana. Per lui la radio è compagna, una scuola di vita, un aiuto per sé e per gli altri. E in conclusione dell'intervista sottolinea che la cosa che più gli piacerebbe fare in radio è essere sincero e poter dire tutto.

 

Nella seconda parte della serata don Gabriele – pur febbricitante!- ci ha presentato Telechiara. E’ una televisione locale di ispirazione religiosa che trasmette nel Veneto (eccetto Verona) e nel Friuli Venezia Giulia. E' nata negli  anni ‘90, dopo il convegno delle chiese del Triveneto ad Aquileia, e per sette anni ha vissuto senza pubblicità, grazie alle offerte della gente.

Gabriele, dopo aver studiato Scienze della comunicazione sociali, è approdato a Telechiara e ne è diventato direttore. Una delle domande ricorrenti che da subito si è fatto è che cosa deve essere raccontato in televisione. Sicuramente eventi, fatti, non le proprie idee. E questo deve essere fatto con il linguaggio adatto. Bisogna avere un'alta capacità comunicativa. Appunto per questo Gabriele ha cominciato a guardarsi attorno, ad osservare la realtà, tutta la realtà. Determinanti per un canale televisivo sono a suo parere la CREATIVITA', grazie alla quale si possono raccontare le storie comuni trasmettendo un messaggio alla gente e i SOLDI, per poter stare sul mercato.

I soldi, sempre loro di mezzo! O c'è chi sovvenziona o sono guai! Don Gabriele preferisce alla televisione tematica quella ‘generalista’, in quanto la prima propone solo un tipo di programmi e così rischia di essere ‘marcata’, mentre l’altra propone un po’ di tutto e così rimane libera da etichette  varie.  La sfida di Telechiara è il localismo, in quanto nella nostra realtà fortemente campanilistica nessuno sente Telechiara come la propria tivù, identificandosi invece con quelle più strettamente locali ( es: Telearena per i veronesi).

Dopo questa sintetica, ma esaustiva e stimolante introduzione è seguita una valanga di domande.

1)      Come fa Telechiara a individuare il proprio pubblico?

Grazie ai dati Auditel che descrivono sesso, collocazione geografica (piccoli o grandi                     centri), capacità di acquisto.

2)      Ma l’Auditel è rappresentativo?

A livello nazionale sì, poiché rileva gli ascolti, mentre a livello locale ci sono delle perplessità.

3)      Qual è l’obiettivo della vostra tivù?

Fare una tivù guardabile, godibile, che dia voce a molte persone, che tratti storie strane, significative e spesso dimenticate e che parli a tutti.

4)      Per restare sul mercato, oltre alla pubblicità a cosa vi siete adeguati?

Abbiamo inserito programmi di sport, cabaret, fiction.

5)      Ha senso che la chiesa spenda nella tivù oggi?

Sì, è come fare pastorale in discoteca o in carcere. Importante è ESSERCI.

6)      Avete notato segni positivi di questo “esserci” o lavorate per convinzione?

Sì, ci sono riscontri positivi. Tutti rimangono colpiti dalla nostra tivù. Le istituzioni pubbliche ci cercano perché riconoscono in noi la serietà. Un modo diverso di fare tivù.

7)      Credi che un’agenzia di raccolta pubblicitaria etica possa aiutare la stampa alternativa?

Banca etica sta studiando una pubblicità etica per media etici, ma alcune mie esperienze   negative mi hanno portato a credere che non funzioni. Spesso i peggiori detrattori dei media cattolici sono tra i cattolici in quanto pensano che non siamo capaci di fare una tivù commerciale e altrettanto spesso i più sensibili a certe problematiche non hanno i mezzi per finanziarle.

8)      Il teleutente ha un modo diverso di rapportarsi ad un canale locale rispetto ad uno nazionale?

Purtroppo no, nonostante dovrebbe essere chiaro che il locale non ha gli stessi mezzi del nazionale. Ad esempio, un locale non può proporre i films più recenti e famosi come Titanic, i cui diritti sono proprietà di reti nazionali come Mediaset.

9)      Arriveremo ad un punto in cui le trasmissioni saranno meno scadenti o no?

E’ una domanda difficile, i percorsi della storia sono imprevedibile. Bisogna operare sui campi intermedi come l’associazionismo. La tivù ha grossi limiti, ma alla fine comunica messaggi positivi. Certi valori restano (ad esempio, nella fiction quasi sempre le donne vengono lasciate libere di fronte alla scelta di abortire o meno, ma decidono poi di non farlo).

D’altra parte non si può proporre un canale con soltanto programmi impegnati; è meglio scalare un po’ la qualità, ma non perdere il contatto con la gente.

 

 In conclusione don Gabriele sottolinea che per cambiare il mondo bisogna lavorare sul concreto perché cambiare i media che sono solo rappresentazione e virtualità non aiuta a modificare la realtà. L’ordine di procedere deve essere esattamente l’opposto. Fondamentale è, a suo parere, andare incontro alla gente, creare eventi che siano “raccoglibili” dagli altri, che comunichino qualcosa. E per finire è importante …”saper vendersi” , per la causa, ma bisogna farlo! 

  Buon Natale,  Chiara

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5. L’informazione alternativa

Ci ritroviamo in fase conclusiva…ultimo incontro guidato da un relatore… Quest’ultimo intermediario (o meglio internet-mediario) è il disoccupato creativo Carlo Gubitosa, ingegnere che non ha percorso strade di carriera, ma che ha optato per mettere a frutto le sue conoscenze tecniche ed informatiche costruendo dal basso ambiti nuovi, dove i potenti restano fuori.

Carlo ed alcuni amici con cui divide i sogni, vede Internet come un contenitore di scatole dove si possono inscrivere le anime degli uomini per mezzo di immagini, parole, denunce… dove l’utopia dell’omnicrazia suggerita da Aldo Capitini può realizzarsi…. Dove l’informazione può essere altra: sana, digeribile, utile a crescere e a servire.

Una di queste scatole è Peacelink, un sito che esiste da molti anni e che da sempre si è occupato di controinformare e di denunciare sostenendo molte campagne fra cui quella contro le modifiche alla legge 185/90 sugli armamenti, o quella sulle banche armate. Nulla a che fare con i freddi tecnocrati… Peacelink è un gruppo di persone nonviolento che sfrutta la tecnologia per fare informazione e comunicazione.

Carlo ci ringrazia per la disposizione in circolo delle sedie nella stanza dove ci incontriamo… dice che non c’è nulla di meglio per iniziare a concepire la comunicazione… concetto svuotato di significato come tanti altri nella nostra epoca e nella nostra società… la comunicazione infatti avviene fra soggetti che sostengono la reciprocità, mettendo in gioco le proprie creatività e non facendo sconti alla verità. Guardandosi negli occhi si riesce a credere più facilmente nell’eventualità di farsi modificare dall’altro e mettere quindi in atto processi generativi… ecco perché non è il caso di credere nella televisione, che non ti offre lo sguardo delle persone che decidono cosa trasmettere e cosa far passare come notizie e/o come messaggi.

La televisione (così com’è) è un mezzo di trasmissione di massa ma non di comunicazione!

Inoltre, per comunicare vanno messe in atto dinamiche nonviolente… facendo leva sul principio che poche persone, ben motivate, possono rispondere alla prepotente leggerezza e alla svilente banalizzazione (cause generatrici di gravi ingiustizie) sfruttando, come in una sorta di arte marziale, la forza offensiva del potere in questione.

Un esempio per tutti… lo scandalo sull’uranio impoverito è partito dopo che un ragazzo, su un piccolo giornale sardo, denunciò le leucemie che colpivano alcuni soldati rientrati. Questo coraggio, sbancò il senso di impotenza e nel 2000 molti ripresero la notizia approfondendola. La diretta conseguenza fu un considerevole incremento della coscienza civile su questo argomento, cosa che permise la nascita di varie commissioni di indagine e di monitoraggio… ecco come poche persone che dicono di no, accendono in realtà micce che possono rovesciare le ottiche ed i giochi dei potenti.

Carlo passa a descrivere alcuni punti utili su cui riflettere per intuire quali spazi in questi ambiti poter abitare reinterpretando l’informazione.

● Ci suggerisce di trattare l’informazione come i cibi… guardare quindi l’etichetta, chi la produce, gli ingredienti, le provenienze e le circostanze. Solo così si può avere un atteggiamento critico e scansare (o quanto meno riconoscere) le informazioni non etiche. Bisogna farsi gli anticorpi culturali… senza i quali una informazione indigesta, può farci davvero male a livello mentale!

● Ci invita a considerare la costituzione di TV di quartiere… che sono un mezzo poco costoso ed alternativo per la liberazione dell’informazione, infatti, restano in mano al popolo e non tendono a dinamiche servilistiche. Esistono attualmente in Italia circa 100 di queste nuove televisioni…

Carlo sostiene che se si raggiungesse il migliaio, esisterebbe un effettivo polo televisivo alternativo. Il costo di una Tv di quartiere si aggira sui 2000 € e la tecnologia necessaria è alla portata di tutti.

● Altra cosa interessante sarebbe quella di costituire “gruppi d’acquisto informativi”. Questa logica favorisce l’interscambio, il dibattito, l’approfondimento e la personalizzazione degli interessi, il tutto votato ad un operazione di disintossicazione da quelle 3000 informazioni quasi sempre “avariate” che ci bombardano quotidianamente senza interpellarci all’analisi. Altra iniziativa molto bella, sarebbe quella della “giornata del libro gratuito”… Si fissa un giorno in cui un gruppo di persone “semina” libri con contenuti interessanti in luoghi a caso della città (sedile di un autobus, treno, banco di una caffetteria, aula studio ecc.), scrivendo in prima pagina: “questo libro circola liberamente e gratuitamente, leggilo e rimettilo in circolo.”

● Per aggirare le grandi agenzie di stampa che esercitano un grande controllo sulle notizie in circolazione, sarebbe necessario approfondire l’ambito del “digital divide”, che ha la potenzialità di dare voce hai senza voce, connettendo ad esempio realtà in conflitto (durante la guerra in Kosovo le parti belligeranti hanno potuto comunicare fra loro), o realtà mantenute separate (Nord del mondo povero di informazioni veritiere e Sud del mondo povero di risorse) permettendo interscambi completativi.

A livello sperimentale, si potrebbero fare molte altre cose partendo da ciò che esiste. La televisione non è del tutto sostituibile, infatti il 95% degli italiani si informa facendo riferimento esclusivamente ad essa, per questo vanno rinnovati i contenuti e bisogna studiare il modo per farlo mantenendo forme di linguaggio comprensibili dai molti. In quest’ottica, ad esempio, risulta una perdita di tempo demonizzare in toto la pubblicità… essa va recuperata e trasformata in antipubblicità recuperandone l’eticità e sfruttandone la potenziale immediatezza comunicativa. In sintesi il male sta nei contenuti più che nei linguaggi e nei mezzi.

Inoltre si deve ragionare sulla “potabilità” dei linguaggi, infatti troppo spesso accade che gruppi attivi, conino linguaggi di nicchia, modi di dire difficilmente comprensibili per chi sta fuori dal recinto.

L’ultimo monito di Carlo ci invita a mantenere sempre vivo il ruolo di interlocutori del sociale che abbiamo come singoli, mandare una lettera di protesta o disappunto ad un direttore di un telegiornale e/o di un giornale, non è mai una cosa da poco o un azione del tutto inascoltata, perché l’opinione ha sempre un peso.

Quante cose da far sedimentare… quante cose da approfondire!!! Carlo è stato per noi un incontro veramente pro-vocante, facendo analisi anche tecniche ma non tradendo mai la fondante fiducia nei rapporti umani, nella nonviolenza attiva, nel recupero dell’etica del potere dei singoli esseri umani.

Dopo un fiume di concetti straripato e dopo i volti delle persone che ci hanno guidato nelle riflessioni, sarà il momento di una liberatrice sprogrammazione… per far nostre tutte le provocazioni, i sogni, le speranze e le possibilità descritteci.

Ricordiamoci amici che siamo noi quelli che possono influenzare il livello etico del nostro paese, partendo da un abbraccio e dalla consapevolezza che una goccia d’acqua non evapora solo se gettata nel mare!!!   

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Osservatorio Autogestito 2004

In continuità con il Laboratorio sull'Informazione 2003-04, è nato l'

Osservatorio Critico Autogestito sull'Informazione.

 

Elenchiamo sotto i temi trattati finora: 

1. la mobilità nelle grandi aree urbane;

2. "Casa amara casa" (la sfida della casa per gli immigrati, in Italia e in particolare in Veneto)

A seguire gli obiettivi del nostro osservatorio:

 
-lavoreremo tra noi (i partecipanti al laboratorio, quelli interessati a continuare), con attenzione a chi dall'esterno ci ascolta o può essere provocato
 
- ci incontreremo ogni tre settimane, fino a giugno (poi si vedrà)
 
- cerchiamo fin d'ora di mettere in evidenza i canali già attivi attraverso i quali possiamo muoverci e farci sentire (www.giovaniemissione.it, retelilliput e sua ML, radio cooperativa, radio oreb, diradio, i giornali locali - diocesano, quotidiani, Cittadini..., i bollettini delle parrocchie, i fogli universitari, Ormegiovani su Nigrizia, Giovani S-coinvolti, le reti di ML, ...)
 
- ci poniamo una sequenza di obiettivi di fondo:
 
1. "Ascoltare criticamente in gruppo l'informazione che la nostra società riceve"; per fare questo scegliamo di analizzare i media che preferiamo: TV, radio, quotidiani, riviste, internet..., comparando più sorgenti e le diverse modlità di comunicare le notizie
 
2. "Conservare l'attenzione sui due piani contemporaneamente (locale e globale)"; per fare questo scegliamo di affrontare di volta in volta temi che abbiano ripercussione su entrambi i fronti. Sono emersi i seguenti temi, tra i quali sceglieremo un po' alla volta:
Gestione del traffico e dell'inquinamento nei grandi centri urbani; la questione della casa e le sue contraddizioni; la gestione della Sanità; la riforma Moratti (tema solo italiano); la giustizia (tema molto ampio); l'immigrazione; il dramma ugandese e la sua risonanza in Italia; le dipendenze; la finanza creativa;
 
3. "Produrre informazione critica"; scegliamo cioè, se necessario e possibile, di trovare forme creative per forare la cappa di disinteresse o di acriticità della gente. Cerchiamo mezzi alternativi di comunicazione e possiamo anche unirci ad azioni di lobbying (lavoro di rete, pressione sui giornali, lettere o campagne).
Una volta sviluppato un tema (nell'arco di un incontro serale o di una serie di incontri), vediamo se è il caso di diffondere il nostro punto di vista con denunce, appelli, campagne, vignette, provocazioni... (questa tappa è impegnativa e rimane tutta da verificare, per ora ci concentriamo soprattutto sulle prime due)

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Primo incontro dell'Osservatorio Autogestito: 

"La mobilità nelle grandi aree urbane"

 

Dopo un ciclo di incontri sull’informazione, in cui siamo stato provocati sui mass media, sul significato e sulle varie modalità del fare informazione, finalmente è partito l’atteso osservatorio autogestito. L’obiettivo è quello di approfondire alcuni temi, sia nel contesto globale che in quello locale, analizzando le informazioni fornite dalla tv, dalla radio, internet…

Quindi, in un passo ancora successivo, dalla lettura critica dovremmo passare alla produzione!

 

Il primo tema approfondito è quello del traffico e delle politiche ambientali, tema che ci tocca da vicino, visto che il mese scorso il problema del blocco del traffico dominava le prime pagine. Poi dopo la pioggia e la neve, cala misteriosamente il silenzio, o quasi…problema risolto? Possiamo tornare a respirare senza paura nelle nostre città? Oppure semplicemente si straparla del problema quando c’è la crisi, ma passata quella si continua a nascondere la sabbia sotto il tappeto.

La nostra analisi, basata sul  confronto tra diversi giornali locali (Il Gazzettino, Il Mattino) e nazionali (Sole24Ore) e su ricerche effettuate su internet, ha fatto emergere alcune considerazioni: l’assenza nelle amministrazioni locali di politiche lungimiranti, l’opzione per un provvedimento “dell’ultimo momento”, coerente con le normative europee, ma che allo stesso tempo non risulti impopolare. Diciamoci la verità, la gente non vuole sentirsi dire che sarebbe meglio lasciare l’auto in garage, per prendere magari una bicicletta, per utilizzare i mezzi pubblici, che spesso, bisogna ammetterlo, non vengono valorizzati.

Questo ci porta a un’altra considerazione: non c’è una vera educazione al rispetto dell’ambiente in cui viviamo.

Il riscaldamento domestico, le automobili e veicoli per trasporto di merci sono i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico nelle aree urbane: provocano l’aumento di anidride carbonica, monossido di carbonio, pm10…nell’aria. Dati di Legambiente mostrano come le emissioni di questi gas siano pericolosamente aumentati, tanto che Padova risulta tra le città più inquinate d’Italia e il quartiere Arcella una delle zone a più alta concentrazione di pm10.

Quali le cause di questo pericoloso aumento?

Rispetto a qualche decennio fa il commercio è stato potenziato, e quindi anche i traffici; è cambiato il sistema familiare, ora c’è una macchina per persona; c’è il problema della qualità dei servizi pubblici; qualcuno aggiunge addirittura l’invecchiamento della società, per cui si guida di più; non bisogna,infine, dimenticare il peso della Fiat nella nostra economia.

Quali le possibili soluzioni?

L’adozione di veicoli alimentati da combustibili alternativi e rinnovabili (metanolo, etanolo, gas naturali); eliminazione del piombo addizionato alle benzine; una drastica revisione dei trasporti urbani, con incentivazione dei trasporti pubblici e dell’uso della bicicletta, parcheggi di scambio, drastica restrizione della circolazione delle auto e dei motocicli nei centri storici…

E le nostre amministrazioni, in che direzione si muovono?

Se da una parte l’amministrazione comunale di Padova propone il blocco del traffico nel centro storico, dall’altra crea un nuovo polo nella già congestionata Padova est (per approfondimenti consulta l’archivio GIM-informazione, contattandoci).

Nel 2003 il sindaco non accoglie l’appello di medici e genitori, preoccupati dall’aumento di asma e malattie respiratorie fra i bambini, causate appunto dall’inquinamento urbano.

 

Tuttavia ci sono altri esempi rincuoranti, che dimostrano come sia possibile uno sviluppo sostenibile.

Alcune amministrazioni comunali in provincia di Venezia si sono unite per studiare politiche comuni  per contenere l’inquinamento, utilizzando bus navetta dotati di parcheggi di scambio…

Un altro esempio è il comune di Ferrara, vero modello di sviluppo sostenibile, in cui ben il 30 % degli spostamenti si effettuano in bicicletta. Qui sono state potenziate le piste ciclabili, i parcheggi di scambio, in cui la gente lascia la macchina per prendere la bicicletta e utilizzarla per gli spostamenti, le aree chiuse al traffico…

Questa politica ha portato alla diminuzione del traffico e dell’inquinamento atmosferico e agli incidenti a danno dei pedoni. Una politica in sintonia con quella di altre città europee, come Amsterdam e Copenaghen.

 

In conclusione, il problema del traffico e dell’inquinamento urbano può essere risolto, a patto di non limitarsi a provvedimenti superficiali, adottati nel breve periodo, solo per alleggerirsi la coscienza. E’ necessaria una revisione delle politiche comunali, ma anche uno sforzo e una maggiore attenzione da parte di ciascuno.

Quindi, se oggi dovete uscire, prendete la bici o l’autobus e lasciate che l’auto se ne stia almeno per un po’ in garage!

 

(a cura di Laura M.)

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Secondo incontro dell'Osservatorio Autogestito: 

"Casa amara casa"

 

Affrontiamo in questa seconda tappa del nostro laboratorio la sfida della casa per gli immigrati, in Italia e in particolare in Veneto. Per approfondimenti, leggete le ricerche di Alberto e Sandra ("Quante lingue parla il mattone in Italia?") e alcune esperienze positive in Italia di intervento sulla questione casa ("Buone pratiche").

Buona lettura!

 

Eccoci qua giovani, siamo noi dell’Osservatorio sull’informazione a parlarvi questa volta di case!

Di quelle di proprietà e di quelle in affitto; sia di case fatiscenti come di quelle vuote; di “casa dolce casa”, o forse meglio, di “casa amara casa”; del diritto ad una abitazione che guerreggia contro il profitto grazie ad essa.

 

Osservazione di tutti: “dove cavolo sono gli articoli di giornale e non solo, relativi al problema abitativo?”… “No, non di quelle pagine vendo o affittasi… Anzi, com’è che sono sempre numerosi gli annunci in questo settore, ma in molti denunciano la difficoltà ad incontrare un luogo dignitoso in cui vivere?”.

Domanda e offerta non si piacciono, forse?! Eppure, siamo sicuri, convolerebbero a giuste e durature nozze… Le più elementari nozioni in materia ci insegnano che all’aumentare dell’offerta i prezzi scendono: com’è che così non accade quando si parla di casa?!

 

E allora, ha senso parlare di diritto ad avere una abitazione, soprattutto quando essa incide, nel budget di una famiglia italiana media, nella misura del 23%, mentre in quello una famiglia di immigrati arriva a toccare quota 54%, a causa delle innumerevoli caparre e garanzie di cui deve farsi carico?

Le case popolari che fine hanno fatto?!

Ha senso parlare di diritto alla famiglia, quando è obbligatorio sborsare fior di quattrini per luoghi spesso minuscoli o vecchi?

 

E poi, perché i molti proprietari di seconde e terze case, tengono chiusi i loro appartamenti a fronte della necessità che incalza?

Quali paure tormentano i possibili affittuari? La precarietà economica di alcuni migranti e la loro difficoltà ad accedere ad un mutuo, a causa dei contratti di lavoro a tempo determinato e per il permesso di soggiorno a scadenza? O forse la paura di mancati pagamenti del canone e la frequente irreperibilità dell’inquilino immigrato? (che fare nel caso di danni all’immobile?). O forse, molto più semplicemente, è la paura del diverso e dello sconosciuto ad impedisce l’offerta della propria casa, anche se a pagamento? Mah, chissà, la presenza di un immigrato potrebbe portare alla svalutazione dell’immobile stesso?…

 

Molte domande e poche risposte. Ce ne scusiamo, ma non siamo riusciti a fare di meglio.

 

Tanti degli immigrati non poveri sono mal alloggiati e i poveri sono spesso senza casa. Le sistemazioni sono in gran parte precarie e spesso con un alto grado di disagio a fronte di un costo molto più oneroso rispetto a quelle accessibili agli italiani di pari reddito. Sono in tanti a non avere un contratto di affitto regolare o, nel caso l’avessero, a pagare un canone superiore a quello previsto e a non ottenere le ricevute di pagamento con la conseguente impossibilità di provare lo stesso.

La Caritas, nel 2001, affermava che le condizioni abitative a cui erano costretti gli stranieri fossero le seguenti: per il 69% degli immigrati era inevitabile la coabitazione, spesso anche tra persone sconosciute; il 12% di essi non aveva servizi in casa, il 33% non aveva acqua calda, il 42% non possedeva impianti di riscaldamento; il 26% occupava alloggi che non rispondono a nessuna tipologia strutturata, nemmeno per usi diversi dall’abitazione; il 98% vorrebbe migliorare le caratteristiche fisiche dell’abitazione.

A distanza di tre anni non la situazione non è certo migliorata…

 

Perché non c’è nessuna seria politica abitativa?

Sapete che le case occupate illegalmente dai “disobbedienti”, i quali provvedono ad allacciare acqua e gas e di cui chiedono il pagamento da dare al Comune, divengono…legali? O meglio, il Comune provvede a risanare una situazione di fatto? Perché allora non si può evitare l’intero guazzabuglio e procedere attraverso modalità che ci azzardiamo a chiamare normali?

Poche sono le leggi che si occupano della questione.

 

La legge 943 del 1986 è stata la prima legge italiana in cui si prevedevano obblighi per lo Stato e per le istituzioni circa l’accoglienza di persone e comunità immigrate (materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati). Aveva fissato all’articolo 1 il principio generale per cui ai lavoratori immigrati era garantita parità di trattamento e piena uguaglianza dei diritti rispetto ai lavoratori italiani, compreso il diritto alla disponibilità dell’abitazione.

 

La legge Martelli (Legge 39/90) cerca di attribuire agli immigrati regolari gli stessi diritti civili, economici e sociali dei cittadini italiani, senza imporre l’acquisizione della cittadinanza. Ha definito interventi che favorissero l’integrazione sociale e culturale degli immigrati, e messo a disposizione fondi per il diritto all’educazione e all’abitazione. Delle proposte allora avanzate hanno trovato attuazione solo quelle legate all’emergenza, e quelle relative alle strutture di prima accoglienza: le soluzioni provvisorie sono diventate il modo normale di affrontare la questione. Ha avuto anche la grave responsabilità di diffondere l’idea che gli stranieri potessero vivere in strutture poco adeguate, “piuttosto che niente…”.

 

La legge regionale del Veneto 9/90 aveva previsto tre tipi di soluzione al problema abitativo:

- l’assegnazione di alloggi erp agli immigrati residenti da almeno due anni nel territorio della nostra Regione (requisiti modificati dalla L.R.10/96);

- la realizzazione di accordi fra enti pubblici e privati (tra cui cooperative ed associazioni) per il reperimento di alloggi stabili, anche mediante la creazione di un fondo di garanzia e salvaguardia dei diritti dei locatori;

- il finanziamento di progetti (opere di risanamento, ristrutturazione o recupero di alloggi) finalizzati a creare strutture di ospitalità temporanea e per la quale era prevista la concessione di contributi in conto capitale.

 

Il “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (decreto legislativo 286/98) supportata dalla logica dell’emergenza, con cui si era affrontata la questione; intende disciplinare organicamente ogni aspetto giuridico della vita dello straniero immigrato extracomunitario presente in Italia.

Nella relazione sono tre gli obiettivi:

la realizzazione di una più efficace programmazione dei flussi d’ingresso per lavoro;

l’aumento della prevenzione e della repressione dell’immigrazione illegale;

l’incremento delle misure di effettiva integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti.

In particolare l’articolo 40 prevede multiple possibilità d’intervento, a seconda del percorso migratorio, mettendo in evidenzia l’operato che le Regioni, gli enti sia locali sia del settore no-profit possono realizzare.

 

Il decreto di legge Bossi-Fini peggiora la situazione perché, inserendosi in una logica difensiva rispetto l’arrivo degli immigrati, rende precaria e difficile la loro integrazione nella nostra società.

 

Soluzioni? Ne abbiamo un po’ per tutti.

Per il governo: cambiare la politica di emergenza e assistenziale, creando organismi di coordinamento nazionale delle politiche abitative, offrendo agevolazioni fiscali per i proprietari che affittano a stranieri; realizzare politiche di agevolazione all’acquisto della prima casa e predisporre incentivi agli enti locali per l’edilizia di case di popolari.

 

Per gli enti pubblici (comuni, province, regioni): collaborazione tra soggetti istituzionali e non istituzionali, promuovere l’integrazione per abbassare la soglia di conflitto e la diffidenza, e prevedere la possibilità di una stipula diretta dei contratti di locazione assumendosene il rischio

 

Per le agenzie immobiliari: consociarsi con l’edilizia pubblica mettendo in contatto la domanda e l’offerta, fungendo da intermediari e cercando di appoggiarsi il più possibile alle cooperative sociali;

 

Per i datori di lavoro: finanziare l’edilizia pubblica; cercare e affittare case ai loro dipendenti stranieri; farsi garanti dei loro dipendenti alla stipula del contratto.

 

E noi? Continuiamo a monitorare la situazione, approfondendola per collaborare con la carovana. Vogliamo molto concretamente produrre informazione alternativa attraverso:

 

- volantini con brevi frasi, dati e fumetti che colpiscano l'attenzione di chi legge e mettano in luce le contraddizioni e le sfide del diritto alla casa per tutti. Vorremmo farli circolare alle tappe delle carovane e distribuirli durante i vari incontri (soprattutto quelli più legati al tema dell'immigrazione);

- messaggi (brevi comunicati stampa o lettere al direttore) da spedire ai quotidiani o giornali locali e nazionali, chiedendo ragione della scarsissima attenzione riservata al problema casa, denunciandone così la gravità ed evidenziandone le contraddizioni;

- una sequenza di domande che permettano ai nodi della carovana di lavorare in maniera interattiva con la gente del posto;

- storie sia di italiani emigrati all'estero che di stranieri ora in Italia. L’idea sarebbe di permettere il confronto circa la fatica e le peripezie legate alla ricerca di casa e all'accoglienza. Pensiamo di intervistare alcuni anziani e di condensare eventualmente le loro storie in un testo base, così da offrirlo ai nodi delle carovane come materiale di riflessione. Il tutto può anche essere inserito nel sito, sezione Carovana 2004.

 

Tu hai qualche altra proposta?

 

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Laboratorio sull'Informazione 2002-03

Tutto il nostro impegno è nato a partire dal laboratorio sull'informazione offertoci da Raffaello Zordan, del mensile comboniano Nigrizia. Offriamo qui sotto i contenuti più significativi del laboratorio e alcune schede di approfondimento.

Questa sezione del sito è in elaborazione: ci scusiamo per la sua incompletezza e chiediamo a chi voglia di contribuire con noi, scrivendoci. Grazie e buona lettura!

In questa pagina potrai trovare progressivamente tutti i contenuti dell' Osservatorio sull'informazione:

 

1. L'informazione di guerra

2. SARS e i perchè di questo boom mediatico 

    (in preparazione)

 

 

Ecco i contenuti del Laboratorio sull'Informazione '02-'03:

Primo incontro: Che cos'è una notizia? Fonti, processi, tecnologie e ideologie della fabbrica delle notizie.

 Secondo incontro: Chi comanda nei giornali e nelle tivù? Mappa del potere e dei poteri nei mass media in Italia.

Terzo incontro:  I Tg. Analisi del linguaggio dell'informazione in tivù

 

Quarto incontro: Che cosa significa informazione "alternativa" e "dal basso"?

 

Revisione finale del gruppo

 

Che cos'è una notizia? 

Fonti, processi, tecnologie e ideologie della fabbrica delle notizie

 

(25 marzo 2003)

 

 

PREFAZIONE:

Primo di quattro incontri sull’informazione (tenuti alla sede del G.I.M. di Padova, presso i Missionari Comboniani), presieduto da Raffaello Zordan, giornalista della testata di Nigrizia.

 

NIGRIZIA: mensile di dichiarato impegno missionario, si pone come voce dell'Africa e del mondo nero per il pubblico di lingua italiana. Edito dalla Provincia Italiana della congregazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù (ente ecclesiastico Collegio Missioni Africane), spende tutte le sue energie per la promozione degli africani e in particolare si batte per l’abolizione della schiavitù, integrando una continua opera di sensibilizzazione alla causa dell'Africa presso la chiesa, presso il mondo scientifico e la società del tempo.


Scopo del laboratorio è formare le basi per guardare in modo critico all’informazione, facendo così capire vincoli e limiti delle attuali fonti informative a nostra disposizione.

 

 

 

Che cos’è una notizia? Fonti, processi, tecnologie e ideologie della fabbrica delle notizie.

 

Fa notizia ciò che è straordinario, reso comunque tale dalla norma delle situazioni quotidiane (ad esempio, tutti abbiamo un’idea di famiglia in Italia, se riscontriamo delle violenze al suo interno abbiamo una notizia).

Fa notizia ciò che proviene da fonti conosciute, stimate, sicure (possedere un ufficio stampa è il modo migliore per  entrare nell’agenda dei giornalisti, oggi gli uffici stampa brulicano. Dunque nelle redazioni dei giornalisti arriva moltissimo materiale, ma è lo spessore della fonte a determinare la scelta della notizia).

Fa notizia ciò che il senso comune giornalistico e la logica del giornale ritengono tale. Ad esempio il Mattino di Padova non fa notizie sul Medio Oriente in genere, ma se si trovasse una cellula di Alkaida all’Università di Padova, la redazione certamente vi si butterebbe: avrebbe modo di approfondire direttamente, e potrebbe trattare fatti dell’estero legandoli a situazioni locali.

La notizia dunque è determinata dalla situazione culturale in cui si svolge, e dalle risorse disponibili alla redazione.

 

Il ruolo del giornalista oggi è cambiato: non va alla ricerca di notizie e non va a verificare la bontà di quanto giunto in redazione. Questo compito è commissionato a collaboratori esterni, che sono in sostanza i veri giornalisti; all’atto dell’assunzione al giornale, infatti, il loro compito si ridimensiona al trasformare le informazioni ottenute in un articolo pubblicabile.

Il giornale tratta di svariati argomenti, dalla lettera alla fotografia accattivante, dalla cronaca all’economia, di turismo, qualcosa di curioso, qualcosa di emozionante, ma quasi tutte le testate basano il loro prodotto su alcuni piloni portanti, tra cui fatti di cronaca nera e realtà amministrativa. Questo è prevalentemente legato al “processo produttivo” adottato, che ha come unico scopo colpire il maggior numero di bersagli possibile: il giornale deve vendere!

L’attenzione del lettore viene quindi continuamente richiamata con diversi modi, magari mescolando informazione ad intrattenimento, così da coinvolgere vari aspetti dell’utente; o magari proponendosi mensilmente invece che giornalmente, rinunciando alla corsa dell’ultima notizia, ma offrendo approfondimenti su determinati fatti accaduti, proponendo riflessioni, e punti di vista fuori del coro.

 

ANSA, REUTERS, MISNA, queste ed altre importanti fonti d’informazioni, vendono i loro servigi a chiunque ne sia interessato; è da qui che i giornali recuperano gran parte dei loro articoli. Non sempre si ha la possibilità, né la convenienza, di utilizzare i propri giornalisti, meglio appoggiarsi ad altre fonti quali:

 

·         Agenzie

·         Corrispondenti

·         Analisti

·         Organizzazioni non governative

·         Conferenze episcopali

·         Organismi ONU

·         Comunicati governativi ufficiali

 

Questo permette di sviluppare approfondimenti basati su fonti competenti. Importantissimo per un buon lavoro è la disponibilità di tecnologia, solo grazie ad essa è possibile ottenere un buon risultato in tempi brevi: pensate se le informazioni viaggiassero nel globo attraverso la posta normale, potremmo non venire mai a conoscenza di alcuni fatti.

Abbiamo già accennato alla necessità di attirare il lettore, incuriosirlo, e l’impaginazione determina l’impatto visivo, il far cadere lo sguardo sull’articolo: la forma, le immagini, il carattere, non devono annoiare il lettore. Reperire le immagini però non è facile, spesso appunto vengono comprate, ed usate ad arte, facendo vedere solo quello che interessa, anche con foto di repertorio non strettamente legate all’accaduto, per suscitare specifiche emozioni in chi le osserva.

 

 

Utilizzando le argomentazioni trattate, analizziamo insieme la testata di NIGRIZIA:

Come accennato nella prefazione è un mensile, non competete dunque sulla quotidianità, ma si impegna nell’approfondimento.

 

Fonti:     non dispone di ingenti quantità di denaro, non può quindi permettersi i cosiddetti “inviati speciali” né pagare società come REUTERS o ANSA; si appoggia ad altre fonti, dagli stessi Comboniani in missione, ai comunicati ufficiali dei governi locali, all’ONU. Ha inoltre contatti con agenzie informative, si serve di analisti e di corrispondenti locali. Poi quando è possibile si manda anche un inviato sul luogo.

Nigrizia, che già compie un’opera di evangelizzazione, è anche fonte di informazione per altre testate, da qui la responsabilità di cui si fa carico nel pubblicare i propri articoli dei quali deve garantire accuratezza e veridicità.

 

Processi: si lavora sui pezzi i primi 20 giorni di ogni mese. Nei restanti 10 giorni si studia l’impostazione del giornale dei 2 mesi successivi, inoltre si fa l’editing; cioè si leggono i testi che arrivano in redazione. Molti pezzi giungono in lingua originale e devono essere tradotti, si inseriscono i titoli, occhielli (foglio che precede il frontespizio di un libro o ne separa i capitoli, sul quale è stampato il titolo dell'opera o del singolo capitolo) (frontespizio: prima pagina di un libro, in cui sono stampati il titolo, il nome dell'autore e dell'editore, e di solito anche il luogo e la data di stampa) e sommario.

Si inseriscono delle foto, poiché è importante mostrare l’Africa oltre che scriverne. Per questo si è da poco tempo creato una fototeca da incrementare e organizzare.

Il passo successivo è la cura e la gestione delle rubriche, attraverso una stretta collaborazione con i redattori delle stesse. 

Infine è necessario impaginare. La grafica è importante, poiché è lo stimolo per il lettore a girare le pagine.

Non dimentichiamoci di correggere le bozze!

 

Tecnologie: si usa la posta elettronica; è un gran vantaggio, poiché permette di archiviare direttamente il materiale.

 

Ideologia dell’informazione: come in ogni giornale chi comanda è l’editore, in questo caso i missionari Comboniani. Nel 1958 monsignor Bartolucci ha voluto sviluppare un giornale da quello che prima si presentava solo come bollettino interno periodico. L’idea che lo anima è, come anticipato nella prefazione, di un’evangelizzazione come opera di liberazione. Questo si sposa con la scelta di temi quali la giustizia, il rapporto con le altre religioni, ecc.

Dal 1990 sono stati inseriti nell’équipe anche i laici, prima veniva curato solo da missionari che vi lavoravano peraltro con buoni risultati.

 

 

LA guerra uccide l’informazione:

Rifacendoci all’attuale conflitto in IRAQ, non dimenticandoci delle 35 guerre attualmente in corso nel resto del mondo (dato preso da www.warnews.it, progetto no-profit che si avvale dell'esclusiva collaborazione di volontari), è interessante osservare come è variata la funzione del giornalista in guerra: ai tempi della guerra del Vietnam, vennero rese pubbliche argomentazioni che finirono per sollevare polemiche tra le masse, consapevoli di ciò, i media oggi propongono solo quello che può convincere della validità di tale guerra.

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CHI COMANDA NEI GIORNALI E NELLE TIVU’?

MAPPA DEL POTERE E DEI POTERI NEI MASS MEDIA IN ITALIA

 Per capire chi comanda nei giornali è anzitutto necessario chiarire chi è il direttore del giornale, che apparentemente sembra stare al vertice e dunque avere la responsabilità e l’iniziativa di quanto viene pubblicato. Invece, va ricordato che a scegliere il direttore in un giornale è l’editore ed è proprio quest’ultimo, ci era stato già anticipato nel primo incontro, che comanda in un giornale. Sua è infatti, l’abbiamo visto quando abbiamo esaminato come funziona un giornale, anche l’ideologia dell’informazione.

 

Storicamente, il direttore è l’interfaccia tra l’editore e il giornale, ma mentre una volta era il primo dei giornalisti e dunque anche un bravo giornalista, ai giorni nostri è l’ultimo dei manager e dunque ha competenze molto diverse.

Il mercato pubblicitario televisivo si aggira intorno ai 5000 miliardi di lire all’anno e praticamente se lo spartiscono Rai e Mediaset.

 

La Rai appartiene ai partiti. Il suo presidente è scelto dai 2 presidenti della Camera dei Deputati e del Senato, in piena autonomia. In genere, comunque, di questa scelta ne rispondono ai partiti di appartenenza, che incidono fortemente su di essa. 

In Italia oggi dovremmo avere più informazione, che ci è invece negata, principalmente per il fatto che non c’è abbastanza mercato, dunque nemmeno concorrenza. Ci manca la possibilità di vedere una televisione diversa e diversificata.

Per riuscirci bisognerebbe privatizzare due canali, Rai Uno e Rai due, lasciare il terzo come televisione pubblica sostenuta dal canone e quindi esente dalla pubblicità e dai condizionamenti che questa comporta. Questa ipotesi, una volta attuata, potrebbe svincolare le televisioni di stato dai partiti, creare concorrenza e dunque fornirci almeno un’informazione diversa con un altro punto di vista, che stimolerebbe la produzione di una notizia qualitativamente migliore e di una informazione più approfondita.

 

La situazione di oggi è infatti molto statica, nel senso che la gente indipendentemente dal tipo e dalla qualità della notizia continua a guardare lo stesso telegiornale. La televisione anche nel fare notizia è diventata intrattenitrice e quello che interessa oggi è più lo spettacolo che il contenuto. Ad esempio il TG5 non ha inviati al fronte in Iraq, eppure la gente non cerca notizie più fondate su altri canali, è appagata dalla faccia di Mentana che commenta e a rimbalzo si passa la palla con le sue collaboratrici per fare una chiacchierata sull’Iraq. Al pubblico interessa più la faccia di Mentana che la notizia. Esemplare è anche il caso di Fede, che pure, nonostante palesemente curi più l’aspetto estetico e spettacolare della notizia che la sua veridicità e profondità, fa oltre 1.200.000 spettatori ogni giorno.

 

Stimolante sarebbe stata la nascita di LA7, che, per come era concepita, avrebbe sicuramente innescato concorrenza. Purtroppo il progetto è stato fatto naufragare ed essa non è riuscita a sortire gli effetti sperati, né ad incidere nella divisione del mercato pubblicitario.

Un caso simile è capitato anche ad un giornale di Trento che si era allargato nel territorio di Verona facendo concorrenza all’Arena. Fra editori sono giunti ad un accordo e nonostante l’editore trentino vendesse bene nel territorio veronese si è ritirato nella città del Concilio in cambio di un adeguata fetta di pubblicità.

Il panorama delle testate, dunque, non è molto diverso da quello televisivo. Passiamo in rassegna alcuni dei principali quotidiani ed esaminiamo le vendite, i costi, i ricavi e soprattutto gli editori.

 

 

Giornali e cifre:

 

Il Corriere della Sera

 

Fondato 1876. Vendite medie febbraio 2003: 686.079.

Proprietà: 100% Rizzoli Corriere della Sera Editori, a sua volta di proprietà al 100% di Hdp, Holding di partecipazioni industriali. Chi compone l'Hdp? Tra gli altri: Fiat, Mediobanca, Gemina, Pesenti, Generali, Pirelli. Questi e altri hanno fatto un patto di sindacato e hanno in mano il 46,36% dell'Hdp. (Controllano di fatto il giornale, ne scelgono il direttore, le strategie, l’orientamento).

 

Ricavi/costi 1999. Corriere + Gazzetta dello Sport in miliardi di lire

Ricavi vendite 440

Ricavi pubblicità 841

Ricavi diversi 208

 

Costi operativi e diversi 986

Costo del lavoro 349

 

Giornalisti 500 circa. Impiegati 1254. Operai 781. Dirigenti 73.

 

 

La Repubblica

 

Fondato 1976. Vendite medie febbraio 2003: 615.000

Proprietà: Gruppo editoriale l'Espresso (cui appartengono diversi giornali locali, Radio Capitol e Radio Deejay). Per il 50% in mano a Carlo De Benedetti, 8% Carlo Caracciolo, 2,34 Giulia maria Crespi.

 

Ricavi/costi 2000 in miliardi di lire

Ricavi vendite 277

Ricavi pubblicità 613

 

 

Costi operativi e diversi 566

Costo del lavoro 136

 

Giornalisti 424. Impiegati 261. Dirigenti 17.

(Non ha operai fra i dipendenti perché si fa stampare il giornale da terzi)

 

Il Sole 24 Ore

 

Fondato 1965. Vendite medie febbraio 2003: 405.000

 

Proprietà: Editrice il Sole 24 Ore, al 90% in mano a Confindustria e al 10% a Il Sole 24 Ore Spa.

 

Ricavi/costi  1999 in miliardi di lire

Ricavi vendite 318

Ricavi pubblicità 327

Ricavi diversi 111

 

Costi operativi e diversi 415

Costo del lavoro 172

 

Giornalisti 267. Impiegati 778. Operai 122. Dirigenti 58.

 

 

La Stampa

 

 

Fondato 1867. Vendite medie febbraio 2003: 318.000

 

Proprietà: 100% Fiat Spa. (E’ di fatto il giornale della famiglia Agnelli)

 

Ricavi/costi 1999 in miliardi di lire

Ricavi vendite 143

Ricavi pubblicità 186

 

Costi operativi e diversi 211

Costo del lavoro 103

 

Giornalisti 318. Impiegati 229. Operai 109. Dirigenti 12.

 

E’un giornale fortemente regionale per quanto riguarda la diffusione. Si vende moltissimo in Piemonte e zone limitrofe, ma assai meno nel resto d’Italia.

 

Avvenire

 

Fondato 1897. Vendite medie febbraio 2003: 97.000

 

Proprietà: 100% Nuova editoriale italiana, che appartiene al 75% alla Cei attraverso la Fondazione S. Francesco d'Assisi;  soci di minoranza sono Luigi Abete, Vittorio Merloni e altri.

 

Ricavi/costi 1998 in miliardi di lire

Costi di gestione 26,2

Contributo dello stato 12,2

Perdite 3,2

 

 

Nigrizia (che ricordiamo è un mensile)

 

Fondata 1883. Vendite medie mensili 2002: oltre 20.000

 

Proprietà: 100% Collegio Missioni Africane dei Missionari Comboniani

 

Ricavi/ Costi 2001 in milioni di lire

Ricavi 746

Costi 836

 

Giornalisti 3. Impiegati 4. Operai 1. (il direttore e l'amministratore sono comboniani)

 

 

 

Va tenuto presente che si vendono al giorno circa 6.000.000 di copie di giornali

La televisione, invece, “cattura” 30 milioni di persone al giorno.

Analizzando questi dati muoviamo comunque una riflessione sul rapporto tra fonti e giornali. E’ evidente, infatti che una rivista come Nigrizia non ha i mezzi per approfondire tutti gli argomenti che si prefigge. Ad esempio Raffaello (giornalista di Nigrizia) sottolineava che ha dovuto rinunciare a scrivere un pezzo per un amico di un giornale sindacale che voleva un approfondimento sul lavoro (da un punto di vista contrattuale) in Africa, perché se la scrittura in sé non richiedeva molto tempo, non gli era comunque possibile fare ricerche, e trovare due o tre giorni per cercare materiale. 

Il Corriere della sera, che ha invece quasi 500 giornalisti, ha effettivamente a sua disposizione tutto il personale per potersi permettere di inviare qualcuno dove serve, a verificare, approfondire, capire. Lo fa? Non sempre. Questo perché ormai non c’è la necessità di farlo, non c’è lo stimolo, la volontà di produrre una notizia più qualificata. Ormai il mercato pubblicitario è ben spartito. Essere più qualificati non modificherebbe i guadagni e, anzi, sollevare certe questioni procurerebbe eventuali ritorsioni anche penali e notevoli problemi con l’editore stesso. Scrivere certi articoli per un giornalista può comportare il rischio di finire a fare pezzi di cronaca regionale.

Che ruolo ha il giornalista in tutto questo? Ha lo spazio per fare un lavoro qualificato? Per come è strutturata la carriera del giornalista, un giornale ha tutto il tempo di capire se un giornalista fa o non fa per lui. Infatti per diverso tempo, prima di essere assunti direttamente, i giornalisti lavorano come collaboratori esterni. (Va ricordato, come dicevamo al primo incontro che i veri giornalisti sono proprio i collaboratori, poiché nel momento in cui un giornalista viene assunto smette di fare ricerche, “conquista” una scrivania e comincia a pensare a scegliere le notizie fra le tante che arrivano in redazione, alla veste esterna da darle, a come presentarla, più che a verificarla ed approfondirla. L’assunzione non passa tramite concorso, ma attraverso il direttore che non necessariamente valuta la bravura del giornalista. Anzi sembra che gli agganci politici e le conoscenze facilitino molto l’assunzione. Chiaramente il fatto di non fare più un grande lavoro di ricerca e di restare spesso lontani dalle fonti ostacola la qualità della notizia per il lettore, e in ogni caso continuano a mancare lo stimolo e la necessità di puntare ad essa. 

Il peso dell’editore è bilanciato in parte dal comitato di redazione che può discutere eventuali scelte con il direttore. Si tratta di un organo interno al giornale stesso, di cui fanno parte alcuni giornalisti e che può avanzare lamentele o chiedere spiegazioni se una notizia è tacitata, trascurata ecc.

 

Come possiamo noi discernere se una notizia è buona oppure no? Da dove dobbiamo partire per diventare consumatori critici dell’informazione?

Anzitutto si parte dalla propria realtà, locale o di interessi. Bisogna allenarsi a riflettere su quanto viene raccontato, poiché la notizia è comunque sempre manipolata, si tratta dunque di capire come, di prenderne coscienza, di pesarla per quello che vale. Il fatto di diventare consumatori critici dell’informazione è fortemente connesso al tipo di cittadini che vogliamo essere. E’ ovvio che bisogna spenderci tempo, impegnarsi a leggere, magari non solo un quotidiano, a confrontare.

Consumare criticamente l’informazione vuol anche dire interagire con essa e dunque segnalare, laddove siamo coinvolti direttamente, eventuali errori o incomprensioni dei fatti da parte dei giornalisti che hanno curato i pezzi. Basta una semplice lettera al giornale. Questa ha infatti il suo peso nel lavoro del giornalista che si vede contestato il suo operato apertamente, soprattutto nel caso in cui l’episodio sia frequente. Inoltre permette di correggere l’archivio dove quella notizia è depositata, e siccome per tutti i pezzi successivi relativi allo stesso argomento, l’archivio è un punto di partenza e di riferimento evitiamo così, che nel tempo la deformazione o l’errore “degeneri”, continuando a produrre cattiva informazione.

 

Vale la pena di comprare e leggere il giornale? Per i soldi che costa un quotidiano, è sufficiente trovare un articolo utile ed interessante per essere ripagati della spesa e solitamente uno c’è in tutti i giornali.

 

Chiudo con un contributo personale che mi sembra in tema con gli spunti offerti da Raffaello a proposito della notizia come bene di consumo, dell’informazione che diventa intrattenimento e delle mappe del potere. Vi giro una riflessione che ha condiviso con me un amico a cui avevo raccontato di questo laboratorio:

 

“Bellissimo, qui negli Stati Uniti ho imparato tantissimo sull'informazione. Qui sono bravissimi: l'arte di fare credere quello che si vuole!!!Ti ho raccontato del mio servizio civile in Italia? Sono stato per una settimana alla RAI a Roma e ti devo dire che non ho respirato aria tanto diversa da quella degli Stati Uniti.

L'informazione si divide in due categorie:
1) quella che tu paghi (per sentirti dire quello che vuoi)
2) quella che ti viene data gratis (per farti cambiare idea)
Immagino che non sarai in sintonia con la mia visione (lo spero vivamente).

Informazione = Marketing? Sigh...

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Mercoledì, 09-04-03

 Sono intervenuti alla serata Raffaello Zordan giornalista di Nigrizia, i Missionari Comboniani e circa venti ragazzi.

 La televisione, nel bene e nel male, rappresenta, che lo si voglia o meno, il punto di riferimento essenziale per lo studioso, per il sociologo, per lo storico del domani e infine (e più importante) per il venditore di pubblicità porta a porta.

L’argomento che ho sentito trattare mercoledì 9 aprile 2003 mi ha molto interessata e quindi è con facilità che ricordo i punti trattati.

L’auditel, questo mostro che sembra dettare la linea giornalistica e anche politica di qualunque cosa venga detta e fatta in televisione.

Dietro al mostro sappiamo esserci interessi di migliaia di miliardi, comunque interessi così grandi che coinvolgono individui e multinazionali, e condizionano le nostre scelte toccando persino il nostro sub-limite.

Gli argomenti che abbiamo trattato riguardavano appunto la televisione, l’auditel, i TG, Murdoch, i vestitini in pelle delle croniste, la parlantina di Mentana, la strafottenza di Fede, il valore assoluto dei principi di pubblicità.

Si è parlato della costruzione dei TG prendendo in esame il TG1, il TG2 e il TG5.

Ognuno è fatto secondo una linea editoriale ben precisa, da cui il conduttore o i conduttori non si distaccano che raramente.

Il lettore del TG1 seduto come i suoi predecessori, deve trasmettere ottimismo, spirito critico ma non troppo, e deve attenersi sempre e comunque, sia per la scaletta, sia per il tono, a quello che viene stabilito nel comitato di redazione; questo comitato impagina il suo giornale, il TG, dovendo barcamenarsi fra le richieste, i quasi ordini, le suppliche a seconda del clima politico vigente, dei partiti politici e talvolta dei gruppi di pressione.

 

Il TG5 si avvale specialmente, in considerazione del fatto che è di proprietà privata e che il suo conduttore è in qualche modo condizionato da questa proprietà, di un modo di porgere le notizie solo in apparenza sbrigativo e sicuro (per distinguersi dagli altri TG).

Il TG2 interviene da ultimo con il suo cambiamento di scenografia e i titoli delle notizie che scorrono e che secondo me distraggono l’ascoltatore, e tenta di avvincere una parte dello share con l’annuncio di notizie parzialmente omesse o trascurate dagli altri due TG più paludati.

La vicenda Murdoch è legata agli amori e agli interessi del cavalier Silvio Banana, come lo chiamano in alcuni ambienti giornalistici.

Il Ty-coon australiano, con il genio (!) degli affari, è politicamente schierato nell’ultra destra ed è accolto in pompa magna a Palazzo Chigi; metterebbe le mani su Stream e probabilmente su La7, a patto che si avvalga della pubblicità fornita da Publitalia: con tutti i danni indotti per il Paese, strozzato fra un cavaliere sempre più avido e un miliardario straniero alieno dalle nostre misure e dai nostri ricordi storici.

La serata si è conclusa con la lettura, l’analisi e la correzione di due articoli  giornalistici sulla conferenza di Mons. Martino scritti da alcuni dei ragazzi presenti.

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Riflettevo. Si parla tanto di libertà di stampa.

Sono scettica al riguardo.

L’informazione è sempre guidata.

Chi tenta di fornire notizie oneste fra virgolette fa sempre un buco nell’acqua.

Non ci può essere vera libertà di stampa.

Il segno dei nostri tempi è la manipolazione.

Sbirciando i titoli sulle prime pagine dei quotidiani ci si accorge che sono più o meno tutti uguali.

Io so, per le mie abitudini di lettrice, per la mia curiosità intellettuale, che tutti quei quotidiani, compreso quello che leggo di solito, sono divisi in schieramenti e che sotto i titoli ci sono interpretazioni dei fatti spesso opposte, che gli editorialisti non sempre scrivono tutto ciò che pensano, ma spesso cercano di “attivare” i buoni motivi dei lettori.

Chi volesse fare stampa alternativa distinta da quella così detta ufficiale, corrente, distribuita sul territorio, si trova di fronte a ostacoli sì previsti, e n ella realtà insormontabili.

Il Manifesto, è stato più volte costretto a ricorrere ad aiuti straordinari dei suoi stessi lettori e di chi volontariamente offriva un obolo per il mantenimento in vita di un giornale sì “nemico”, ma allo stesso tempo importante per la vita democratica = una voce fuori dal coro.

Molti giornalisti ora famosi collaboratori delle famose testate nazionali, si sono fatti le ossa nelle redazioni di piccolissimi quotidiani, o settimanali, o di giornali che uscivano un giorno sì e l’altro no.

L’uscita di un quotidiano è legato specialmente alla quantità di denaro che si riesce a reperire.

Molti degli attuali piccoli quotidiani ideologicamente schierati, hanno bisogno del sostegno dello stato.

In queste redazioni-cucina-camera da letto-salecollegamenti con le agenzie di stampa, sono cresciuti fior di giornalisti.

Gad Lerner, Paolo Liguori, Giuliano Ferrara, Gianni Riotta ed altri ancora, portavano le pezze ai pantaloni prima che l’età, la fine delle illusioni giovanili, l’avvicinarsi di un’epoca della vita che pretende altri e più remunerati “colori”, li convincesse ad abbandonare le officine sperimentali di un giornalismo, che dava lustro anzitutto a loro stessi, e quindi a chi li leggeva.

La contrapposizione feroce fra opposti interessi ha cancellato la libertà dei media.

Forse alcune voci sono rimaste libere.

Ma si dà il caso che il grido di dolore lanciato sulle prime pagine del Corriere da uno scrittore famoso contro la guerra in Iraq,venga soverchiata, quasi annullata da uno stillicidio di notizie di natura esattamente opposte.

Per chiudere il lettore va alla ricerca di articoli che lo convincano nelle idee preconcette, e cancella dentro di sé, mette nell’angolo quelle che sono in antinomia. i buoni motivi dei lettori.

 che pensano, ma spesso cercano di "nterpretazioni dei fatti spesso opposte, che gli editorialisti

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Laboratorio sull’informazione

Revisione finale (22.04.03)

 

 Dopo quattro incontri condotti dal brillante Raffaello Zordan, ci ritroviamo solo tra noi a mo’ di revisione, per individuare eventuali prospettive d’azione.

Emergono alcuni commenti sul laboratorio appena concluso; ecco i punti che sono risultati più interessanti:

·      l’informazione deve sapersi confrontare con il ‘senso comune’: ci provoca la necessità di dialogare e incontrare tutti, anche i più diversi nel loro pensiero.

·      È importante riconoscere che ogni opinione ha il suo punto di vista e che non esiste un unico luogo di osservazione. L’attenzione alla sfumature è un esercizio difficile ma essenziale, per evitare stereotipi o fondamentalismi anche in buona fede. Accettare le differenze, insomma.

La verità è un insieme di sguardi. Per questo è essenziale l’accesso alla pluralità delle fonti: più che parlare di informazione alternativa, si può parlare di ‘persone alternative’, che non si fissano cioè sempre e solo su di un unico punto di riferimento.

·      Un punto chiave del corso è stata la riflessione sul ‘consumo dell’informazione’, comprendendo che la notizia è un bene da vendere. E’ il marketing che guida le logiche dei media, nulla più. I dati concreti forniti da Raffaello in questo sono stati emblematici.

In questo senso, però, la legge del mercato e della concorrenza non ha provocato una differenziazione dei prodotti e una competizione qualitativa: al contrario, ha fruttato un appiattimento, un’uniformità, un conformismo socialmente accettati. Forse le troppe fonti provocano l’abbandono impotente e cieco di chi si vede costretto a fidarsi di una di esse.

L’esercizio della criticità per noi è faticoso ma essenziale.

 

Ci sono alcuni punti che avremmo potuto trattare di più (proposte per un prossimo laboratorio?) e alcuni aspetti da curare meglio:

-       una riflessione sulle multinazionali dell’informazione a livello mondiale

-       la storia dell’informazione e il processo che ci ha portato fin qui

-       la logica della pubblicità: marketing e psicologia

-       elaborazione delle immagini e montaggio

-       gli effetti della tivù in questi anni: che tipo di popolo ha prodotto la tivù?

ü      la proposta nei suoi contenuti avrebbe potuto essere più sotto forma di vero ‘laboratorio’, interattivo, con contributi concreti dei partecipanti (bella l’iniziativa dell’articolo e della discussione in comune). Certo, per questo tipo di interazione occorre del tempo: si possono organizzare gli incontri di tre ore: una per introdurre i contenuti, una per lavori di gruppo e una per mettere tutto in comune

   ü      con più tempo a disposizione, si sarebbe potuta dividere meglio l’analisi della carta stampata da quella della tivù

 

Fatta questa revisione, notiamo delle domande che ci provocano in vista del futuro:

Se dobbiamo accettare le sfumature e i diversi punti di vista, arriveremo a relativizzare tutto? Esiste un punto di vista comune da cui partire? Ci siamo detti che il nostro corso prende spunto da una comunità missionaria e da questa passione condivisa da tutti noi. Questo è il nostro punto di vista comune: quello di chi guarda al mondo con gli occhi della gente (soprattutto in Africa o in America Latina) e dei più esclusi.

A partire da questo punto di vista, chi vogliamo raggiungere e come? Quali fonti andiamo a cercare? Con chi ci confrontiamo? C’è del materiale sistematizzato che possiamo offrire agli altri?

Notiamo che occorre curare sempre due dimensioni, una interna e l’altra esterna. E’ importante cioè rafforzarci noi, con criticità e capacità di comunicazione. E’ importante però non perdere mai di vista l’obbiettivo di raggiungere altri e offrire a più gente possibile la nostra lettura della realtà.

Fatte queste premesse, nascono varie proposte (tra cui aggiungo in archivio alcune mie); scegliamo di impegnarci su quelle riportate in grassetto:

 

v       curare una sezione del sito specifica sull’informazione: si comincerà con i contributi dei quattro incontri di Raffaello

ü      realizzare un altro laboratorio, una tappa di approfondimento

ü      collaborare con altri gruppi che richiedano il nostro contributo di riflessione (cf. il manifesto preparato per la conferenza stampa in Piazza della Pace)

ü      diffondere le proposte dei comboniani (campi, carovana, attività…)

ü      realizzare un forum di discussione (potrebbe essere in futuro quello di www.giovaniemissione.it )

ü      collaborare di più con Radio Cooperativa e la trasmissione Caffè Macondo

ü      entrare nel mondo della scuola o far passare anche là i nostri materiali

v       creare un ‘salotto dell’informazione’, un osservatorio critico dell’informazione, un luogo in cui continuare ad incontrarsi affrontando temi legati all’informazione: è la proposta che appassiona di più e che scegliamo come continuità effettiva del Laboratorio sull’informazione. Presentiamo meglio sotto le caratteristiche.

v       valorizzare di più il Centro Documentazione Paulo Freire: l’occasione dell’osservatorio sui media ci permetterà di farlo.

 L’Osservatorio sull’Informazione (il nostro ‘Media Watch’) si propone una lettura collettiva, approfondita e critica della notizia. Ci incontreremo ogni due settimane, al martedì sera, presso i missionari comboniani a Padova, per condividere ciò che nelle due settimane abbiamo letto, visto, ascoltato. Costruiremo insieme informazione, mettendo a confronto le nostre fonti e analizzandone i contenuti e i metodi. Ogni volta ci proporremo un tema diverso su cui focalizzare la nostra lettura (per la prossima volta, martedì 6/5 ore 19.30, il tema sarà l’Informazione di Guerra).

Incontrarsi ci permette di costruire dinamiche comunitarie di confronto anche sulla nostra esperienza di vita. Per ogni incontro ci sarà un coordinatore diverso, a turno, per coinvolgerci tutti, e un segretario a turno che si occuperà di raccogliere i contributi di tutti per metterli a disposizione di altri nel sito: si potranno creare così dei piccoli dossier di informazione critica a servizio di tutti.

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Osservatorio sull'informazione

L’Osservatorio sull’Informazione (il nostro ‘Media Watch’) si propone una lettura collettiva, approfondita e critica della notizia.

 

Ci incontreremo ogni due settimane, al martedì sera, presso i missionari comboniani a Padova, per condividere ciò che nelle due settimane abbiamo letto, visto, ascoltato.

Costruiremo insieme informazione, mettendo a confronto le nostre fonti e analizzandone i contenuti e i metodi. Ogni volta ci proporremo un tema diverso su cui focalizzare la nostra lettura (qui sotto i temi finora trattati).

 

Incontrarsi ci permette di costruire dinamiche comunitarie di confronto anche sulla nostra esperienza di vita. Per ogni incontro ci sarà un coordinatore diverso, a turno, per coinvolgerci tutti, e un segretario a turno che si occuperà di raccogliere i contributi di tutti per metterli a disposizione di altri nel sito: si potranno creare così dei piccoli dossier di informazione critica a servizio di tutti.

 

Primo incontro: L'informazione di Guerra

(6 maggio 2003)

Abbiamo visto, per iniziare a trattare l’argomento, un cortometraggio realizzato dal regista Amos Gitai, tratto dal film “11 settembre 2001”. Gli 11 minuti di video ci hanno suggerito alcuni spunti di riflessione:

·         Nessuno dei protagonisti sulla scena ascolta gli altri provocando l’annullamento della comunicazione;

·         La notizia è ciò che decide il giornalista e dunque rischia di diventare non fine ma strumento per realizzare uno scoop.

·         L’informazione diventa morbosa ed intralcia i tentativi di soccorso.

·         Il testimone cerca di imporsi al centro dell’attenzione facendo venir meno l’importanza della notizia.

I giornalisti che si impegnano a raccontare una guerra, come quella in Iraq, non sono preparati a seguire l’esercito. Non hanno le competenze necessarie per giudicare con realismo un contesto di guerra e tendono ad esasperare qualsiasi situazione di tensione stiano vivendo. Il risultato sono notizie piene di emotività, in cui si assolutezza un solo piccolo punto di vista.

All’emotività si aggiunge la frenesia: c’è sempre bisogno di notizie fresche per soddisfare un pubblico che in occasione dell’evento si fa improvvisamente più esigente. Accade, così, che molti giornalisti prendono dei granchi e le notizie debbano essere puntualmente ratificate. I giornalisti al fronte sono molti ma, quasi tutti, sono talmente legati agli eserciti anglo-americani, da non poter svolgere indagini a tutto campo su ciò che accade. L’informazione risulta perciò parziale: giornali e telegiornali sono i megafoni dei comunicati stampa degli ufficiali. Lo scoop si piega spesso e volentieri alla propaganda (vedi il salvataggio della giovane studentessa soldato).

Rispetto a dieci anni fa si registrano alcuni fatti nuovi:

·         La CNN non ha più il monopolio delle immagini di guerra, soffre la concorrenza interna (FOX, NBL) e soprattutto quella dei canali in lingua araba (ALJAZEIRA)

·         Internet crea spazi nuovi dove possono nascere fonti di informazione alternative:   - i BLOG, diari a cui tutti possono accedere e che offrono punti di vista inconsueti ma che molto spesso vanno ripuliti attraverso una lettura complessiva – interessanti siti internet quali Peace Link e Articolo21liberidi.

Abbiamo rivelato come l’eccesso d’informazione diventi deleterio per la memoria in quanto non è più possibile focalizzare i fatti veramente importanti.

L’informazione conferma ancora di più la sua parzialità quando accentra l’attenzione su una guerra solo perché coinvolge l’occidente, dimenticandosi degli oltre 40 conflitti in corso.

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Approfondimenti/1

TV, NON M'INGANNI PIU'

Non e' semplice cambiare il modo d'agire dei grandi gruppi di comunicazione. La chiave della trasformazione, o almeno della resistenza,è' oggi nelle mani dei cittadini in grado di fare una lettura critica dei media. Da qui nasce l'importanza di un'Educazione ai media, che Volontari per lo Sviluppo sta rilanciando attraverso corsi per adulti e seminari nelle scuole. Uno strumento per scoprire i segreti del prestigiatore. E formare cittadini democratici.

Dieci i punti principali da cui si puo' partire per lavorare:

1) I media costruiscono la nostra cultura.
La nostra percezione della realta' e' modellata dai mezzi che usiamo per comunicare. Ma gli stralci di realta' presentati dai media non sono la verita' nella sua completezza. Cosi', per avere un quadro ampio dei diversi avvenimenti occorre conoscere almeno: chi emette cosa? Con quale scopo? Perche' un'informazione viene data in un determinato momento piuttosto che in un altro? E ancora: perche' sono stati scelti quei particolari dettagli della storia? Le cifre che offrono hanno un significato? Che cosa puo' esser stato nascosto? Questo servizio e' davvero piu' importante degli altri?

2) I media contengono messaggi ideologici e di valore.
Osservare i valori che ci sono dietro ogni storia permette di trasformarci da consumatori passivi a cittadini attivi, in grado di contrastare le logiche che oggi reggono la produzione di informazione, cultura e comunicazione, ad esempio: la vita e' solo per i vincenti, bisogna primeggiare in tutti i campi, la felicita' consiste nel "possedere", tutto facile e si puo' ottenere velocemente, il prestigio e' dato dall'ostentazione di un prodotto, per vincere non serve altro che "apparire".

3) I media usano tecniche identificabili.
Avvicinandosi alle logiche di funzionamento dei media, si possono cogliere fenomeni come quello dell'autoreferenzialita' mediatica. Questo significa che i mezzi di comunicazione pubblicizzano notizie magari non importanti di per se', ma che diventano tali nel momento in cui sono state (o stanno per essere) pubblicate da un altro media. Un esempio: il matrimonio di un calciatore. Se una testata che appartiene allo stesso proprietario della squadra considera importante quel fatto, cosi' da pubblicarlo, molto probabilmente altri media faranno eco alla notizia. E poiche' i media spesso hanno rapporti anche con case editrici, discografiche o cinematografiche, o con ditte di telecomunicazioni o informatica la suddetta autoreferenzialita' diventa una spirale infinita. Saper interpretare la logica mediatica e' un altro fattore importante che ci permette di capire come mai la stessa notizia che un giorno apre i telegiornali e le prime pagine dei quotidiani, il giorno seguente cade nell'oblio, con la rapidita' con cui la schiuma sale e scende in un boccale di birra.
La mucca pazza, il divieto di caccia alle balene, l'inquinamento dei mari, il buco nell'ozono, sono esempi tipici. Ma e' l'Aids la miglior rappresentazione di questo modo di agire dei media. Solo quando la malattia ha colpito personaggi famosi se n'e' parlato. Ora che non si percepisce come un grave problema sanitario nel Nord del pianeta, il tema e' passato nel dimenticatoio e pochi si ricordano dei 1.600 bambini che muoiono ogni giorno a causa della malattia o dei 32 milioni di persone affette dal virus.

4) Ogni persona interpreta diversamente i messaggi.
Se e' vero che i media trasformano i concetti tradizionali di spazio (sembra che gli avvenimenti accadano nel proprio quartiere) e di tempo (utilizzo di un presente continuo con pochi riferimenti al passato o al futuro, e una prevalenza dell'effimero), e' altrettanto vero che spesso ogni persona costruisce i propri significati, le proprie opinioni, proprio a partire dai media.

5) Le immagini si leggono in modo diverso rispetto ai testi.
Le immagini offrono un tipo di conoscenza caratterizzato dalla velocita', dalla fluidita' e dal decentramento, che ci fanno vedere il mondo in modo molto diverso da quello rappresentato tipograficamente.
Le tecnologie basate sulle immagini e sull'interattivita' fanno si' che l'intelligenza sequenziale, che finora ha caratterizzato l'Occidente nella costruzione delle proprie conoscenze, ceda ogni giorno di piu' il passo all'intelligenza simultanea.

6) I media sono piu' potenti quando toccano le emozioni.
La sostituzione di caratteristiche quali importanza e attualita' di una notizia con quelle di interesse, novita' e verosimiglianza, fa si' che i media facciano piu' spesso richiamo alle emozioni.

7) La maggior parte dei media sono controllati da interessi commerciali.
Nessun mezzo e' gratuito, per cui conoscere i proprietari dei media e le loro logiche commerciali ci permette di "digerire" le informazioni che consumiamo (vedi box).

8) I media costruiscono mondi di fantasia.
I media non solo riproducono la realta', spesso la creano, originando cosi' un mondo diverso da quello quotidiano e "reale" delle persone. Ad esempio, i tempi utilizzati sono molto diversi da quelli reali, una persona puo' nascere, diventare adulta e morire in due ore.

9) I messaggi dei media possono essere decodificati.
Nei media esiste una retorica della esattezza dei dati, che opera illustrando cifre e risultati, cosi' da dare una parvenza di obiettivita' ai messaggi offerti e produrre consenso. Anche l'adulazione, la ripetizione, il timore, l'umore, le parole potenti e le immagini sessuali sono tecniche particolarmente comuni ed efficaci ai fini della persuasione. Un metodo per decodificare i messaggi nasce a partire da cinque domande: Come sappiamo quello che sappiamo? Chi parla? Che cosa causa un avvenimento, un fatto? In che modo i fatti avrebbero potuto essere presentati in modo diverso? Chi ha determinato cos'e' rilevante?

10) Diventare "consumatori attivi e consapevoli" dei media.
Confrontare le prime pagine di piu' quotidiani di diverso indirizzo (anche su Internet) e' un semplice trucco per guardare gli eventi da piu' punti di vista e cercare di farsene un'idea propria. Incrociare mezzi di informazione diversi sulla stessa notizia (tv, giornali, agenzie in rete).
Astenersi dalle trasmissioni di puro intrattenimento che contengono in se',di fatto, una potente forza di modellamento ideologico e di valore (punto 2). Seguire anche qualche media slegato dai grandi gruppi (tv locali, giornali indipendenti, siti di diversa natura). Sono piccoli passi. Ma che possono aiutare ad acquisire capacita' di osservazione e interpretazione critica delle cose che si vedono o leggono. Senza demonizzare i mezzi di informazione che, se ben usati, ci aprono la strada per trasformare in conoscenza l'enorme quantita' di dati oggi disponibili, l'Educazione ai media cerca di formare persone caute. O, per dirla con Ambrose Bierce nel suo Dizionario del diavolo, persone "prudenti": "quelle che credono alla meta' di quanto vedono, a un quarto di quanto ascoltano e a una quinta parte di quanto sentono con l'olfatto o toccano con il tatto".

[] Bibliografia minima:
AA.VV., Media activism, Derive Approdi, 2002.
C. Ottaviano, Media, scuola e societa', Carocci, 2001.
P.C. Rivoltella, Media education, Carocci, 2001.
M. Tricarico, Insegnare i media, GS Editrice,  1999.
M. Morcellini, La tv fa bene ai bambini, Meltemi, 2001.
J. Gonnet, Educazione, formazione e media, Armando, 2001.


[] Siti web da non perdere:
http://www.medmediaeducation.it/ (Associazione Italiana per l'educazione ai
media e alla comunicazione)
http://www.formedianet.it/ (Gruppo di professionisti della formazione e dei
media che fanno Em)
http://www.zaffiria.it/ (Centro permanente per la formazione ai mass media)
http://www.osservatorio.it/index.php (Tutela il pluralismo sociale,
culturale e politico nei mezzi di comunicazione)
http://www.medialit.org/ (Center for Media Literacy).
http://www.mediaed.org.uk/ (Sito inglese sull'Em)

[] BOX 1

Informazione e conflitti: nove tecniche di manipolazione

IL REPORTER VA ALLA GUERRA

Gioco di ruoli. Per fare una guerra e poter contare sul consenso dell'opinione pubblica deve crearsi un gioco di ruoli: ci deve essere un Cattivo, contro il quale dobbiamo combattere, una vittima da difendere, e i Buoni che annienteranno il cattivo per portare pace, democrazia e giustizia. Il Cattivo se non e' cosi' chiaro va costruito, in modo che lo diventi in modo inequivocabile. Per farlo si possono usare diversi mezzi, tra cui la denominazione, l'uso di immagini choc che scatenino rabbia, odio e forte indignazione dell'opinione pubblica, la riscrizione della sua storia in modo parziale e univoco senza mai citare legami e contesti.
L'inganno puo' avvenire per occultamento, inondazione di dati, sottrazione di vittime e moltiplicazione di danni. Un esempio del "gioco" e' stato l'Afghanistan. C'erano i cattivi (i talebani), i buoni (gli americani) e le vittime da difendere (l'Occidente, la democrazia, le donne).

Denominazione. Il modo di chiamare cose e persone in una strategia della manipolazione e' fondamentale. Milosevic si chiama Slobodan, e' "il presidente" della Serbia ai tempi della guerra in Serbia, il presidente della Yugoslavia ai tempi del conflitto Nato-Kosovo. Nel 1994, ricorda Ennio Remondino, inviato della Rai, alla cerimonia di Parigi per la firma degli accordi di pace sulla Bosnia a Dayton, Bill Clinton si rivolse ai suoi interlocutori: "Mister president Milosevic, mister president Tudjman, Mister president Izetbegovic". Dopo il suo arresto gli aggettivi cambieranno da "dittatore" (quando fu eletto democraticamente) alla "belva dei Balcani". E il presidente croato Tudjman, famoso per i suoi massacri in Bosnia, morira' nel silenzio generale senza alcuna accusa infamante, con il beneplacito di tutta la comunita' internazionale.

Effetto dissolvenza. Quanto piu' un fatto viene "urlato" tanto piu' in fretta scivolera' via. In generale, in caso di conflitti e' sempre bene che la guerra duri il minor tempo possibile, per non spaventare la gente e soprattutto perche' non si cominci a dubitare della "giusta causa" dell'intervento.

Effetto panna montata. È definita cosi', da Remondino, la notizia - vera o falsa - talmente montata che nella sua esagerazione diventa realta' (vedi il Mullah Omar, cieco da un occhio, che si alza la sottana e fugge in motocicletta).

Effetto Zoom. È quello che si usa raccontando un piccolissimo segmento dei fatti e slegandolo da qualunque contesto storico, sociale, geografico, economico, politico, passato e futuro. Quali erano i legami di Osama bin Laden con George Bush? Chi l'ha messo al potere? Chi vende le armi a Saddam Hussein? Un esempio eccellente e' la recente copertina di Time dedicata alle tre donne dell'anno, una e' colei che ha denunciato l'Fbi per non aver saputo (o voluto) gestire le numerose segnalazioni e informazioni che preannunciavano l'attentato dell'11 settembre. Non una parola, pero', ne' dei media italiani ne' di quelli americani sul significato di questo premio all'interno dell'indagine sulle responsabilita' dell'Fbi e del governo americano.

Cifre impazzite. Quello delle cifre e' davvero un dato difficile da verificare. Soprattutto quando i fatti sono lontani. Il comando Nato alla fine della guerra contro Milosevic espose il bilancio del suo bottino: 120 tank, 220 blindati e 450 cannoni distrutti. Qualche settimana dopo, Newsweek pubblico' il bilancio segreto dell'Us Air Force sui bersagli veramente colpiti: in 78 giorni di bombardamenti ininterrotti l'Alleanza Atlantica aveva distrutto 14 tank, 18 blindati e 20 pezzi d'artiglieria. Nel 1989, durante la rivoluzione rumena, si denuncio' il "massacro" di Timisoara con 4.362 morti mutilati e torturati. I morti erano un sentito dire. In realta' c'erano solo 13 cadaveri di senza dimora che erano stati sottoposti, una volta deceduti, all'autopsia obbligatoria per legge. Per Ignacio Ramonet questo fu "il piu' grande inganno mondiale dopo l'invenzione della televisione".

Guerra e pace mai! Bandita la parola "guerra" che potrebbe suggerire comunque immagini di vittime, morti, magari anche innocenti, case distrutte e sfollati. Meglio usare sinonimi piu' soft: campagna, missione umanitaria,
operazione antiterrorismo, operazione di polizia, al massimo conflitto, intervento militare, azione armata. Le invenzioni piu' geniali sono state quella di bin Laden con la "guerra santa" e l'italianissima "guerra umanitaria". Allo stesso modo, la pace non e' quasi mai "pace", ma un "cessate il fuoco" o un "armistizio".

Opzione zero. Cosi' definita da Mimmo Ca'ndito, inviato de La Stampa; e' il nuovo teorema del campo di battaglia: per mantenere il consenso e il sostegno dell'opinione pubblica, non ci devono essere morti tra gli our
brave boys (i nostri ragazzi coraggiosi). Un esempio storico e' la guerra nel Golfo, con soli 146 morti (35 dei quali colpiti dagli "amici"). Dei pochi americani morti e dei piu' numerosi iracheni, nemmeno una foto. E nemmeno degli afgani morti nelle caverne per le microatomiche termobariche.

Ground Rules. Furono quelle imposte ai giornalisti accreditati durante la guerra del Golfo dal generale Schwarzkopf. Tra le chicche: obbligo di essere accompagnati da una scorta militare, divieto di fotografare e/o filmare soldati morti o feriti, divieto di pubblicazione dei risultati conseguiti dalle operazioni militari, divieto di interviste non concordate. Non solo. Ca'ndito ricorda la creazione di un "pool di combattimento" di 192 giornalisti (tutti americani, tranne due inglesi) che avrebbe dovuto seguire le azioni militari con i marines, e poi inviare al centro stampa dove si trovavano i giornalisti. Ovviamente i reportage venivano "ripuliti" dai comandanti di unita', rendendoli pura aria.

Tiziana Montaldo


[] Per approfondire:
Ennio Remondino, La tv va in guerra, Sperling & Kupfer Editori 2002
Mimmo Candito, I reporter di guerra, Baldini & Castoldi 2002
Carlo Gubitosa, L'informazione alternativa, Emi 2002
AA.VV., L'informazione deviata, Zelig 2002

FRASE:

Nel 1989 in Romania si denuncio' il "massacro" di Timisoara con 4.362 morti
mutilati e torturati. Su questo si costrui' la guerra. In seguito si seppe
che erano 13 cadaveri di senza dimora sottoposti a regolare autopsia.


[] Box 2

Il mensile Volontari per lo Sviluppo ha organizzato un corso di educazione ai media per le scuole superiori: tre gli incontri previsti dedicati ognuno ad aspetti diversi della comunicazione. Il primo basato sulla percezione della notizia e sulle sensazioni che vengono suscitate e stimolate da colori e immagini; il secondo tentera' di approfondire con i ragazzi il modo in cui sono descritti da statistiche e giornali e sul come loro si vedono davvero; il terzo infine analizzera' i media attreverso alcuni esercizi per imparare a conoscere le varie parti di un quotidiano o di un tg e scoprirene i "trucchi". Le scuole interessate a questa iniziativa possono chiamare allo 011/8993823. A maggio inoltre si svolgera' a Torino un ciclo di incontri per adulti sui media al Centro sperimentale per il protagonismo giovanile El Barrio in strada Cuorgne' 81 in cui parteciperanno giornalisti ed esperti. L'iniziativa potra' essere ripetuta in altre citta' che desiderino organizzare nella propria citta' gli incontri. Informazioni: 011/2625526

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Ecco un elenco di film utili per approfondire il tema dell'informazione:

 
Sulla stampa: Quarto potere,Orson Welles,1941
Sulla televisione: Totò, lascia o raddoppia,Camillo Mastrocinque,1956 - 
Un italiano in America,Alberto Sordi,1976 - Ginger e Fred,Federico Fellini,1985
Un volto nella folla,1957,Elia Kazan - Oltre il giardino,Hal Ashby,1979
La morte in diretta,1980,Tavernier - Re per una notte,Martin scorsese,1982
Tootsie,1982,Sidney Pollack - Bolle di sapone,1991,Michael Hoffman
Videodrome,1983,David Cronenmberg - Kika,1994,Pedro Almodovar
Quiz show,1994,Robert Redford - Assassini nati,1994,Oliver Stone
Sul cinema: Viale del tramonto,1950,Billy Wilder
I protagonisti,1992,Robert Altman - Gli ultimi fuochi,1976,Elia Kazan
Sulla pubblicità: La bionda esplosiva 1957 Frank Tashlin

 

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Un laboratorio simile al nostro (si realizzerà a Brescia, vedi depliant)

L’INFORMAZIONE E LE SUE CATENE: può esistere una informazione davvero “libera”?

Lo scorso anno ci eravamo chiesti se esistesse una “ informazione non manipolata”, o se questa fosse una mera illusione. Eravamo, però, solo all’inizio del nostro viaggio nel mondo dell’informazione.

Ryszard Kapushinski scrive:“La vera informazione è quella intenzionale, vale a dire quella che si dà uno scopo e che mira a produrre una qualche forma di cambiamento”.

Affermazione vera, ma che può generare l’impressione che esistano informazioni neutre, non intenzionali. Noi crediamo che non sia così, che ogni informazione sia sempre ‘intenzionale’, che non  venga diffusa obbedendo semplicemente alla legge del ‘far conoscere la notizia’.

Anche l’informazione che vuole mantenere lo status quo è pur sempre intenzionale, come lo è la eventuale voglia di non-cambiamento che ne risulta (anche se, in realtà, ogni società e cultura conosce forme di trasformazione, pena l’implosione e la sua stessa fine.

Non si tratta, perciò, di negare l’intenzionalità o meno dell’informazione, ma di  saperla leggere e gestire.

Non si può, poi, disgiungere il tema dell’intenzionalità dell’informazione dalla sua ‘libertà’ di venire alla luce -  che ne è poi un diritto-dovere sociale.

Tenendo presente i legami dei vari mezzi di informazione con i loro editori, le pressioni che possono emergere su chi deve venire a patti con necessità  e condizionamenti di natura economica e politica (nel senso più ampio del termine) che l’accompagnano, è legittimo chiedersi se e in che misura si può parlare oggi di reale ‘libertà’ di informazione. Chiedendoci secondo quali criteri la possiamo concretamente definire e riscontrare.

Quali spazi possono esistere per informazioni scomode o, peggio, economicamente dannose a chi controlla l’informazione, o lesive ai suoi “alleati” e amici?

Ne sono testimonianza alcune storie sepolte di casa nostra, come quella della vicenda Caffaro, o del denunciato inquinamento ambientale da massiccio incenerimento di rifiuti; oppure raccontate in maniera parziale e viscerale, come quelle della produzione delle  armi cosiddette “leggere”, la possibilità di riconversione della produzione armiera con i dati della sua effettiva incidenza occupazionale  e le ricorrenti polemiche su Exa.

Ci chiediamo non solo se e in che misura tali informazioni scomode o ‘alternative’  agli equilibri di convenienza attuali possano emergere, ma anche a quale prezzo. 

I cambiamenti profondi, quando ci sono, non sono mai indolori e ben difficilmente sono “spontanei”.

Ma vorremo anche sapere di più sui cambiamenti che informazioni ‘vere’ hanno saputo provocare o favorire, e quale sia la strada da imboccare con coraggio e profezia.

Per non correre il rischio di cadere nella rassegnazione o in un cupo pessimismo (“tanto non cambia nulla..”),  reazioni sempre di grande  convenienza per chi vuole mantenere uno status quo di dominio e di potere di parte.

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