CHIAMATI a ESSERE
Siamo tutti chiamati: chiamati dallesistenza allessere, in viaggio
dal nulla verso il tutto.
Ognuno di noi è un proprio momento di Dio sulla terra:
insostituibile, irrepetibile, immortale. Questa è la vocazione.
E tu sei chiamato a rappresentare Dio sulla terra. Non puoi sostituire un
altro e come laltro ha sua faccia, così ha la sua vita da vivere, la sua
testimonianza da rendere
siamo chiamati a realizzare la pienezza
dellumanità.
Nel nostro camminare, siamo a volte inquieti. Non è facile scoprire (=
mettere in evidenza, rivelare) il seme di Dio in noi. Sì! Il nostro cuore è
inquieto finché non riposa in Te.
Dio è così grande che ha bisogno di te per CON-CREARE, per portare
avanti la creazione. Noi siamo terra che adora.
Siamo chiamati a realizzare ciò come PER-SONAS (che-suona-per)
noi
suoniamo per Dio.
Ci vuole coraggio: prendi il largo, sali nel divenire della storia, stai
nel mezzo delle onde e nel suo nome esci dal chiuso rassicurante. E un invito
ad essere disposti e disponibili sempre. Sappi che finché non decidi, non sei
ancora chiamato. Uomini e donne che appena rispondono cominciano a cantare: sono
uomini e donne della gioia di vivere: lentusiasmo è la prova dove si
respira Dio.
Anche il non rispondere è un risposta: tu rispondi nel non-rispondere
secondo a cui sei stato chiamato ad essere
è un fallimento! Quando sei
chiamato a sentire pietà (quella che ha fermato il samaritano e gli ha permesso
di essere buono) per luomo
e non rispondi, è tutta la creazione che geme.
La vocazione non è mai contro, ma per qualcuno. Ecco allora che siamo
chiamati ad essere
e ad essere con Lui e con gli Altri, nella missione della
costruzione del Regno di giustizia e di pace.
La vocazione
Per un discernimento
della propria vocazione
Dio,
attraverso la grazia di Cristo, chiama ogni uomo al suo servizio, e, allo stesso
tempo, alla scoperta del suo Amore tramite questo appello. Solo i cristiani sanno, grazie al dono della fede, che la
loro vocazione ha origine dalla persona di Cristo, vero Dio e vero uomo, nel
fatto che egli abbia donato la propria vita per la salvezza che tutti... e
affinché tutti si scoprissero chiamati da Dio e ricevessero così il vero
significato della loro esistenza sulla terra. .
Il Signore non chiama mai allo stesso modo, poiché
quest'ultimo è legato alla storia personale di ciascuno. Tuttavia esistono
alcuni criteri che possono aiutare ad un discernimento e all'
autoidentificazione di una chiamata. Inoltre,
non ci sono prove razionali, poiché è nella fede che si vive questo cammino.
Ma questi punti di riferimento rimangono preziosi ed ora tenteremo di
svilupparli.
Lurgenza dei tempi
Dio sembra
chiamare oggi più di ieri. Adesso sorgono vocazioni sempre più numerose e
questo risveglio sembra abbastanza recente... e si amplificherà senza dubbio
negli anni a venire. Certamente Dio ha sempre chiamato, ma in questo momento
assistiamo a un'incomparabile recrudescenza del «fenomeno».
Questa affermazione rischia di scioccare; tuttavia è vera
e non significa affatto che gli uomini e le donne della fine del XX secolo siano
migliori o più «meritevoli» dei loro predecessori. Spesso sono persino più
fragili, più feriti e più sensibili di prima alla sofferenza (di qualsiasi
tipo) e questa è una constatazione di carattere medico.
Malgrado
ciò, sembrerebbe che stiamo vivendo dei momenti particolari (come si è potuto
osservare in altri periodi della storia della Chiesa), in cui il Signore ha
bisogno di operai per la sua messe, poiché si preannuncia abbondante per la
nostra epoca... e il tempo stringe. La Chiesa, gli ultimi papi dopo il concilio
Vaticano Il, non smettono di ripeterlo ai cristiani, li incoraggiano ad aprirsi
ai molteplici appelli dello Spirito Santo.
Va segnalato che il processo <classico>, di cammino spirituale sembra sconvolto presso molti... come se la grazia bruciasse le tappe o si diffondesse nelle anime di coloro che guardano verso Dio, verso Cristo. Alcune grazie, riservate in precedenza a delle persone molto addentro alla vita spirituale o mistica, sono talora accordate a dei giovani convertiti (e persino non ancora convertiti). C'è di che non raccapezzarsi più! Ciò non significa che ci sia una sorta di favoritismo divino sulla nostra epoca, e questo sconvolgimento delle tappe non costituisce una facile soluzione o un surrogato della vita con Dio. Le esigenze di fondo restano le stesse, poiché Dio ci vuole santi... ma con l'uomo agisce in altro modo, visto e considerato questo contesto degli ultimi tempi.
Prendiamo dunque sul serio gli approcci d'amore di nostro Signore e
soprattutto, prendiamoci il disturbo di discernere ciò che egli aspetta da noi.
La posta in gioco è importante, per ciascuno, e per la Chiesa. Evidentemente è
richiesta la prudenza che deve temperare l'ardore di un momento, che potrebbe
gettarci a testa bassa in una direzione sbagliata o nelle sabbie mobili. Lo
Spirito ci vuole ardenti e audaci, ma non suicidi. Dopo tutto, si tratta di
concludere un'alleanza con Dio... il che non è poco.
Le tre grandi domande
Per colui che si pone la domanda della sua chiamata, si possono
presentare tre tipi di situazione. Precisare
quale di esse faccia al caso nostro è segno di Una buona preparazione al
discernimento.
@
Ci sono coloro che si sentono realmente, e già dopo un certo periodo di tempo,
ad una svolta della loro vita. Presagiscono, a partire da diversi avvenimenti,
che il cammino percorso fino a quel momento presenta come una curvatura, o
prende una direzione differente che non è stata scelta da loro. La loro vita,
già molto aperta a Dio, sembrava priva di senso o non corrispondeva più
abbastanza a quello che speravano. Perciò
la loro domanda è: <Che fare? cosa cambiare? per cosa? in che
direzione?>.
@ Ci sono alcuni che si sentono attirati verso una
direzione o un cambiamento preciso, nuovo se paragonato a quello che hanno
vissuto fino ad oggi. La loro domanda è: <La volontà divina su di noi? è
l'unzione che li attira, oppure un desiderio solamente naturale che li spinge a
ciò?
@ Infine, ci sono coloro che hanno già sondato il terreno
a sufficienza per assicurarsi (per quanto è possibile) che il loro
progetto di vocazione sia veramente frutto della saggezza divina. La
chiamata di Dio sembra chiara, ma... «è il momento opportuno per fare il passo
o bisogna aspettare che le cose maturino ulteriormente?».
Il
periodo-altalena
Chiamiamo
così quello che abbiamo descritto precedentemente come il presentimento di una
svolta nella nostra vita, chiaro anche se non ricercato. Ma precisiamo un po'
questo famoso periodo-altalena.
Si
tratta di una presa di coscienza: la mia vita così com'è, anche se forse è già
positiva, non mi soddisfa più. Ricordiamoci la storia dell'uomo ricco... Anche
se, onestamente, la mia vita attuale è fruttuosa per Dio, ha bisogno di
qualcosa in più, non necessariamente dal punto di vista quantitativo, di
un'attività più importante. Cristo desidera occupare più posto nella mia
vita.
Il
periodo-altalena è apportatore di insoddisfazione positiva, cioè in grado di
stimolare il desiderio di un dono più grande di me stesso al Signore, anche se
non conosco il modo. L'insoddisfazione si definisce negativa, ma, al contrario,
è sterilizzante. Essa nasce quando ci stanchiamo della nostra vita con Dio,
quando trasformiamo questa in una routine,
ed essa ci è indifferente o ci annoia.
In un
certo modo, l'insoddisfazione positiva non ci abbandona veramente, neppure dopo
che abbiamo risposto generosamente alla chiamata divina, poiché stimola al
dinamismo e rivela che abbiamo sempre bisogno di Dio, che quest'ultimo non ha
mai finito di attirarci verso di Lui. La vita con Cristo non è come un concorso
che bisogna vincere e una volta vinto, è tutto finito e ordinato! Al contrario,
più trovo Dio rispondendo alla sua chiamata, più desidero andare lontano con
lui. Infine, nella risposta sincera, rinnovata e quotidiana alla chiamata, non
ci si stanca di seguire Cristo. Talora si rimane senza fiato, ci si scoraggia
persino...Si tratta di tentazioni classiche. Ma non ci si stanca realmente, a
meno che ci allontaniamo troppo dalla nostra unzione o dalla nostra fedeltà
iniziale.
Generalmente,
il periodo-altalena è riscontrabile abbastanza facilmente nella nostra vita,
per quanto si abbia poco il coraggio di porsi chiaramente la domanda. La sua
individuazione è importante poiché significativa del lavoro della grazia; è
come se Dio stesse preparandomi a ricevere una luce. Tuttavia, non bisogna
concludere troppo presto il periodo-altalena quando questo sembra sopraggiungere
proprio dopo un fallimento, che sia esso affettivo, professionale o anche
spirituale.
Attenzione
alla mancanza di saggezza: il fallimento implica spesso uno sconvolgimento
interiore che incita ad un cambiamento per compensare o ripartire in altro modo, o ancora semplicemente dimenticare. Non si
tratta, senza dubbio, di un vero periodo-altalena e non bisogna rischiare di «inventarsi»
una chiamata. E qui che i desideri-rifugio possono manifestarsi.
Tuttavia,
alcuni fallimenti si rivelano nettamente «Provvidenziali», nel senso che è
talora in occasione della perdita di un lavoro, di un'amicizia o persino di un
proprio caro, che la grazia divina incita la persona a porsi le vere domande e a
volgersi (finalmente) verso il Signore. Un fallimento «provvidenziale» è
evidente a colui che lo vive o alla sua guida spirituale.
Un ultimo elemento può falsare il discernimento di un periodo-altalena:
il fatto che la persona sia dotata di un carattere instabile. Alcuni hanno
effettivamente questa tendenza a essere sempre in movimento, o a cambiare
attività, luogo di vita, amici, ecc. In questo caso si tratta di instabilità
notoria. Se noi ci riconosciamo come instabili, stiamo attenti alle nostre
insoddisfazioni. Possono essere solo l'espressione della nostra psicologia, il
che non vuol dire che Dio non aspetti niente da noi, ma implica che il
discernimento deve basarsi su altri fattori...
Gli
avvenimenti-segni
La presa di
coscienza obiettiva di questo periodo-altalena ha la sua importanza: significa
che, anche se la mia chiamata rimane sfuocata, io sono tuttavia già in possesso
di più indizi di quanto non creda. La percezione di una vocazione precisa non
giunge all'improvviso (o per lo meno è raro che sia così). Essa richiede tutto
un lavorio interiore della grazia. Dio prepara il terreno, talora molto tempo
prima, sebbene impercettibilmente, al fine di poter cogliere il frutto diventato
maturo al momento opportuno.
Se
attualmente mi trovo in periodo-altalena, il Signore non ha potuto non
parlare già attraverso alcuni avvenimenti.
Forse sono io che non me ne sono accorto, ma adesso che la mia vita
sembra essere ad una svolta, posso esserne sicuro. Allora è mio compito
ricercare gli avvenimenti-segni che sono come delle indicazioni divine della mia
chiamata, ma che, in quanto tali, mi erano più o meno sfuggiti.
Sono
perciò invitato ad apprezzare, se possibile con l'aiuto di una guida
spirituale, gli avvenimenti anteriori che possono indirizzarmi verso una
migliore percezione della mia chiamata. Tuttavia si tratta non tanto di
analizzare gli avvenimenti quanto di discernere la loro continuità. Se si ha
l'abitudine di dire che Dio scrive diritto con delle linee curve, significa che
c'è una linea direttrice soggiacente nella vita di ogni uomo. Questa linea
emerge in circostanze particolari che diventano allora parlanti.
Malgrado
le apparenze, gli avvenimenti che costellano una vita non sono indipendenti o
nati dal caso. Dio ha come un secondo fine nei confronti di ciascuno e la sua
provvidenza permette a certi avvenimenti, forse discreti o dimenticati, forse
intensi, di diventare segni per noi della sua attesa nei nostri confronti.
Malgrado
ciò, essi sono segni nella misura in cui c'è continuità o convergenza tra
loro. Bisogna saper pazientare per apprezzare questa continuità, poiché essa
non salta all'occhio necessariamente di primo acchito.
Non è
raro che i primi «segnali» di una chiamata (cioè i primi avvenimenti-segni)
sopraggiungano presto in un'esistenza: durante il periodo della prima
adolescenza o persino nell'infanzia. I
genitori, in questo frangente non assumono sempre il giusto atteggiamento mentre
il loro ruolo sarebbe prezioso per il fiorire di un'eventuale vocazione. Come
quella giovane donna di ventun'anni, che si è sentita chiamare dall'età di
undici anni alla consacrazione ed è stata presa in giro e perseguitata dai
genitori ai quali aveva confessato le sue intenzioni. Dieci anni dopo, sta attraversando un periodo-altalena, ma il
discernimento del primo «segnale» è difficile e doloroso.
Alcuni
avvenimenti sono dunque legati alla nostra chiamata e si manifestano in qualità
di segni soprattutto durante un periodo-altalena.
Attenzione però a non spiritualizzare e a vedere segni ovunque, in particolare
nelle circostanze che più ci fanno comodo o che vanno di pari passo coi nostri
desideri naturali...
Le domande false
La ricerca della nostra chiamata ci lascia spesso inquieti, prima di
farci intravedere la luce. Con queste inquietudini, molteplici domande di ogni
tipo affollano il nostro cuore e la nostra intelligenza. Ci sembrano importanti,
mentre in realtà, non sono né capitali, né prioritarie, per lo meno
nell'ambito del nostro cammino. Sono come parassiti che ci fanno affondare nel
fango piuttosto che farci avvicinare alla luce che ci attende. Possono persino
costituire un ostacolo alla percezione di ciò che lo Spirito desidera rivelarci
della nostra chiamata.
Un esempio classico è la domanda della scelta di vita, ambito in cui si
cristallizzano molti timori ed energie: vita religiosa o matrimonio? matrimonio
o vita religiosa? E la tipica domanda che è come l'albero che nasconde la
foresta: vi si focalizzano i propri timori e si pensa che Dio debba parlare per
primo rispondendo chiaramente. Ma
Dio forse non ha voglia di passare da lì per manifestare una chiamata!
Allora rischiamo, per dirlo con un'immagine, di aspettare
il treno sul marciapiede sbagliato mentre il nostro treno passa sul binario
vicino e perciò lo perderemo.
Abbiamo dunque il coraggio di affrancarci dalle false
domande che ci rendono inquieti, al fine di rendere disponibili il cuore e
l'intelligenza! Sbarazziamoci delle immagini che ci confondono e mettiamoci in
ascolto dello Spirito.
Allo stesso modo, diffidiamo delle esclusioni preliminari:
ci aspettiamo dal Signore che ci parli da vicino, ma escludiamo in anticipo
alcuni ambiti che ci fanno paura e sui quali non desideriamo (coscientemente o
no) conoscere il parere di Dio. «Signore, ti seguirò dove vorrai... ma non là!».
La nostra disponibilità interiore deve essere totale per sentire e
discernere quello che Dio aspetta da noi.
Incontro tra desideri e
avvenimenti
Nel discernimento vocazionale si deve conoscere una regola
d'oro: una chiamata si colloca sempre nel punto di incontro di certi desideri
persistenti in noi (soprannaturali) e di avvenimenti-segni che abbiamo vissuto o
che stiamo vivendo. Non gli uni senza gli altri!
Sono come complementari e la saggezza divina «organizza» la loro
convergenza in vista della nostra chiamata.
Posso desiderare di diventare sacerdote. Questa
aspirazione interiore mi abita adesso in modo abbastanza costante, anche se
prima ha conosciuto degli «alti e bassi»... ma gli avvenimenti-segni esistono
sotto forma di incontri determinanti con altri preti, di coincidenze che mi
sensibilizzano al sacerdozio, di consigli di persone obiettive, ecc.
Se non sono sotto questo aspetto, prudenza!
Alcuni
avvenimenti mi hanno guidato verso un'attività professionale precisa e,
interrogato dalla mia stessa chiamata, mi domando se questa attività è
nell'ordine della mia vocazione. E qualcosa che mi compete, ma, dentro di me,
la desidero veramente? Se sì, se nella preghiera la ricevo con tranquillità,
senza problemi né reticenza interiore, ma nello slancio di un desiderio
autentico e ispirato... allora sì, senza dubbio ciò fa parte della mia
chiamata.
L'equilibrio
psico-affettivo
Una
chiamata, lo abbiamo visto, non dipende né è limitata dalle ferite interiori o
da problemi particolari che possono farci ancora soffrire. Parecchie persone
sostengono che convenga sottoporsi ad una terapia (di qualsiasi tipo) prima di
preoccuparsi di una vocazione. Ciò è sbagliato. Dio non aspetta che siamo
guariti da questo o quel problema per manifestare la sua chiamata.
Talora persino, è la risposta ad una chiamata che sarà veramente
terapeutica (nel tempo) delle difficoltà personali.
Questo
principio non esclude tuttavia la prudenza. Il buonsenso permetterà di valutare
la situazione presente nella sua fragilità, per giudicare se sia un bene o no
fare un passo in avanti nell'ordine di una vocazione. Questo stesso buonsenso
esaminerà se c'è una mancanza di compatibilità attuale tra la vulnerabilità
in questione e la forma di chiamata sperimentata.
Talora un
problema di salute, un equilibrio familiare o affettivo turbato, un periodo di
depressione potranno indebolire o destabilizzare per un momento. Allora è
meglio, nella pazienza, rinviare la concretizzazione della nostra chiamata.
Una
giovane donna, uscita a fatica dalla depressione dovuta ad una malattia della
ghiandola tiroidea, e che ha in progetto di entrare al Carmelo (è un esempio autentico) ha avuto tutto l'interesse a
pazientare qualche mese sebbene la stia vocazione di carmelitana non fosse più
in dubbio da molto tempo.
Allo stesso modo il caso di una famiglia che ha ricevuto la chiamata ad
entrare in una comunità di vita. Questo
sembrava autentico, ma due dei tre bambini (i più grandi) si sono opposti.
Malgrado la realtà della chiamata, un'entrata in comunità per il
momento non è prevedibile per non compromettere l'equilibrio della cellula
familiare.
Relativizzare
l'apporto carismatico
I
carismi possono essere utili in un discernimento vocazionale, ma non sono mai
determinanti nella scelta di vita al seguito di Cristo. Conviene relativizzare
il loro apporto, non per diffidenza di questo «fenomeno» in sé, ma perché
non è mai sufficiente, da solo, per prendere una decisione di orientamento di
vita.
Queste
considerazioni sono importanti nel quadro del rinnovamento carismatico, in cui
le vocazioni multiformi abbondano e l'esercizio dei carismi occupa un posto non
trascurabile, il che è normale. Tuttavia, nell'ambito che ci riguarda, i
carismi, che non è il caso di svalutare in queste pagine, sono troppo
soggettivi per costituire unindicazione sicura di discernimento... anche per
quello che si definisce il carisma di discernimento, che non è il vero
discernimento di tipo più intuitivo posto a partire da un'esperienza e che
riposa sul dono di intelligenza.
Una
profezia, una parola di conoscenza ricevute, avranno il solo scopo di venire a
confermare un intuizione interiore già persistente. Esse potranno talora
chiarire maggiormente, apportare una precisione
supplementare o dare il classico «tocco decisivo» agli esitanti.
Ma esse non saranno mai determinanti in modo prioritario nel
discernimento di una chiamata.
Temere o amare la chiamata?
E una cosa
normale, di fronte alla percezione di una chiamata, temere questo nuovo
orizzonte che si apre davanti a noi con la sua parte di ignoto. Ma abbiamo
fiducia in Dio: egli ci concederà sempre il dono di amare quello per cui ci
chiama, anche se ci serve un po' di
tempo per abituarci. L'importante
è sapere che Dio non fa mai un <attacco insistente> alla nostra coscienza
e non viola mai la nostra libertà. Non subiremo la sua chiamata come un corpo
estraneo nella nostra personalità e nella nostra vita. Anche se all'inizio ci
sorprende, la percezione di una chiamata è destinata a renderci felici e a
contribuire alla nostra santità,
Alcuni ameranno da subito la loro vocazione; per altri, il
colpo di fulmine non sarà altrettanto immediato, ma ci sarà.
La fedeltà alla chiamata ricevuta conduce sempre alla gioia.
Dio vuole la nostra felicità.
Non aspettare di essere pronti
La
consapevolezza di essere sufficientemente pronti per rispondere alla nostra
chiamata è rara. Generalmente, non
ci sentiamo abbastanza pronti ed è un sentimento normale che conviene
allontanare. Se ne facciamo un pretesto per indietreggiare o rinviare
inutilmente, mentre la nostra chiamata è chiara, saremo preda della tristezza.
Comunque, non avremo mai le capacità sufficienti (secondo
la nostra opinione) per lanciarci nell'avventura della vocazione. Se il fatto di
acquisirle condiziona la nostra risposta, stiamo sbagliando strada.
Se Dio, per chiamare un uomo al suo servizio, aspettasse
che questo sia perfettamente pronto, non ci sarebbero mai operai per il Regno
...
Il salto nella fede
Anche quando si è convinti della propria chiamata, la
risposta presuppone sempre la prova del salto nella fede. Si ha l'impressione di
posare il piede su un terreno sconosciuto senza sapere con certezza ciò che si
dovrà vivere e come lo si vivrà. Bisogna affrontare questo salto nell'ignoto,
che si rivela essere una scuola di fiducia in Dio molto efficace.
E
nello stesso tempo magnifico e faticoso da sperimentare, poiché questo salto
nell'ignoto (e non nel vuoto!) è come l'indicazione della qualità del «sì»
che sto per dare a Dio.
Sembra che più vivrò questo salto nella fede e nella
fiducia, nell'abbandono, più il mio «sì» iniziale sarà profondo, e più
feconda sarà la mia vita col Signore... se io persevero in questo sì.
Esiste come una relazione proporzionale tra la qualità
del mio salto nella fede (e nell'ignoto), quindi la qualità del mio «sì»
dato a Dio, e la fecondità del mio «essere eletto». Ed anche qui, Maria è
l'esempio eminente, lei che è stata invitata a vivere nella risposta alla
chiamata dell'angelo questa prova del salto nella fede. Lo ha fatto in una tale
fiducia, in un tale abbandono che il suo fiat ha potuto essere totale e la
sua vita di una fecondità inaudita.
E senza dubbio attraverso di lei che noi possiamo
elemosinare questa grazia di fiducia per gettarci come bambini tra le braccia
del Padre, là dove egli ha bisogno di noi.
-
Considerare ciascuno dei punti che sono stati trattati
questo capitolo. Applicarli a sé, soprattutto quelli i quali ci sentiremmo più
interpellati, o forse più contrari. Prepararsi, a partire da essi, a rispondere
alle domande fondamentali che seguiranno. Questi punti servono affinché il
nostro cuore sia ben disposto per la conclusione che ci attende.
Verso
la luce
Ecco
il termine del nostro cammino, ciò a cui queste considerazioni ci hanno
preparati non soltanto attraverso la lettura, ma ancora di più attraverso la
preghiera, la loro meditazione, la loro «gestazione» nei nostri cuori. I
consigli di un accompagnatore hanno potuto fornirci un aiuto prezioso per
rispondere adesso alle cinque domande finali, il più chiaramente possibile.
Le sei angolature affrontate, applicate alla nostra vita,
hanno permesso di renderci più capaci di rispondere nella verità, la verità della pedagogia di Dio nei nostri
confronti, la verità di ciò che siamo, coi nostri fardelli e i nostri limiti.
Le
cinque risposte - che sono un tutt'uno - ci apriranno ad una (migliore)
percezione della nostra unzione e ci faranno presentire concretamente ciò a cui la grazia ci attira. Attraverso queste
risposte individueremo dei luoghi, delle forme, dei cambiamenti di vita e
converrà prenderli sul serio, anche se sorgessero parallelamente dei timori.
In ogni modo, un presentimento di chiamata deve sempre
trovare la conferma in una probazione che abbia cura di ciò su cui si basava la
nostra vita precedente. Infatti l'errore è possibile ed è una prudenza
legittima non decidere un orientamento di vita se non dopo aver concretamente
provato quello che abbiamo presentito della nostra vocazione.
Prima
di rispondere alle cinque domande seguenti invochiamo ancora una
volta lo Spirito affinché ci istruisca sulle
profondità della Saggezza e ci immerga nella, luce di Cristo.
Sono oppure no, in coscienza, in periodo-altalena?
Abbiamo
evocato sufficientemente questa sensazione possibile e insistente di svolta
nella nostra vita.
Se rispondo sì, sono già in possesso di molti indizi di
chiamata e, senza che questo costituisca una provocazione per Dio, posso
prendere sul serio i desideri soprannaturali che hanno potuto emergere
recentemente (anche più lontanamente), così come gli avvenimenti-segni che
sembrano confermarli.
Se rispondo no obiettivamente, è preferibile che continui
la mia vita nella sua forma attuale pur riempiendola maggiormente di preghiera,
di attenzione, di ascolto interiore. Può essere ugualmente opportuno tentare di
risolvere un eventuale problema che ostacolerebbe la mia disponibilità verso
Dio. Non sono allontanato dalla scelta di Dio, ma preparato per un
periodo-altalena ulteriore.
Esiste un'eccezione in riferimento ad una risposta
negativa da parte mia: se so già, e certamente da molto tempo, ciò a cui sono
chiamato e cerco di fuggire...
Con quale personaggio biblico mi sento più in comunione?
Precisiamo:
non si tratta di una simpatia affettiva o di un interesse intellettuale. La
domanda non si riferisce al fatto che questo personaggio ci piaccia in funzione
di ciò che ha vissuto o di una somiglianza della sua storia con la nostra.
Si tratta di una comunione, di una specie di risonanza
(che talora si giustifica a fatica) tra lui e me, anche se lui è santo... ed io
no! C'è come un'attrazione, non affettiva all'inizio, di me verso di lui, e
forse anche di lui verso di me. Non si tratta necessariamente per ciascuno di un
personaggio, ma di un episodio della sua vita, come Maria di Betania ai piedi di
Gesù, o Simone di Cirene che porta la croce di Gesù, o Gesù al Getsemani.
La risposta è molto delicata e il nostro cammino ha
potuto aiutarci a formularla adesso, spogliandola di un certo interesse
spirituale egoista che ci abita tutti. Essa
è infatti significativa di una «parentela» di unzione e la concretizzazione
della nostra chiamata dovrà tenerne conto. Se mi «ritrovo» in questo
personaggio, la mia vocazione non potrà che permettermi di ritrovarlo
maggiormente nell'orientamento di vita che desidero prendere.
Se dovessi fare un passo determinante in avanti (qualunque
sia la direzione o la forma), è
necessaria per me la nozione di corpo-comunità?
Anche
qui precisiamo: quando si parla di corpo-comunità, non si fa allusione ad una
forma precisa di comunità, anche di comunità di vita. Questa espressione
significa semplicemente la dimensione di vita fraterna nelle sue esigenze. Poiché
ogni vita fraterna in Cristo ha le sue esigenze di dipendenza da altri, così
come di obbedienza (a un grado o a un altro). Alcuni possono <non sentire>
di vivere queste esigenze, altri possono al contrario averne il desiderio.
La risposta che sto per dare sinceramente sarà
illuminante circa la forma di vita alla quale aspiro e che la grazia conferma in
me. D'altronde può essere legata alla domanda seguente...
Se dovessi spogliarmi - per seguire Cristo di cosa avrei paura di privarmi?
Non si
tratta di una privazione di ordine materiale (sebbene possa trattarsi di
questo), ma di altre forme di rinuncia come quella di un legame affettivo, di
una situazione professionale, di una certa comodità spirituale, di un'immagine
di se stesso (che attirerebbe la considerazione altrui), della mia indipendenza,
ecc.
Le risposte permettono di individuare gli ostacoli che ci
impedirebbero di prendere in considerazione concretamente quel luogo, quella
forma, quel cambiamento di vita. Denunciarli dentro di noi può liberarci,
affrancarci nei loro confronti e permettere a Dio di confortarci in ciò che
possiamo già presentire della nostra chiamata; ma laddove la paura della
privazione ci fa esitare... siamo un po' accecati.
Ricordiamoci che ciò che il Signore ci domanda di
praticare non è necessariamente quella rinuncia precisa di cui abbiamo paura.
Dove
riconosco innanzitutto la presenza di
Cristo che vorrei raggiungere?
Qui
esprimiamo il frutto dei nostri desideri soprannaturali. Se io tengo al Signore
Gesù, dov'è che lo ritrovo innanzitutto attraverso la testimonianza dello
Spirito nel mio cuore? L'adorazione? L'evangelizzazione? La vita nascosta?
I poveri? e se sì, quale forma di povertà più precisamente?
L'impegno professionale come servizio degli uomini?
I malati? La catechesi?
La preghiera? La verginità? La
consacrazione? Il matrimonio? ecc.
Possiamo dare, se esistono, parecchi elementi distinti di
risposta.
Da qui scaturisce - se c'è una risposta vera - più
chiaramente ancora la luce, in riferimento a ciò che Dio aspetta da me, e
chiarisce maggiormente la forma di questa chiamata.
Non
dimentichiamo di considerare la convergenza
delle cinque risposte per azzardare una conclusione. Se, per esempio, la
terza mi dice che tengo enormemente al corpo-comunità e la quinta ai poveri,
sono in diritto di cercare una comunità che si mette al servizio della forma di
povertà che mi sta a cuore. Avendola trovata, chi mi vieta di andare a dare
un'occhiata per sperimentare per un lasso di tempo la vita di questo luogo e
vedere se è quello il mio posto?
Se la quinta mi mostra l'adorazione e la vita nascosta, la
terza mi parla di comunità e la prima risponde no al periodo-altalena: la
conclusione è che mi attende una comunità contemplativa ritirata (anche in
clausura), ma è ancora troppo presto per me e conviene lasciar maturare le
cose... il che non mi vieta di «fare delle indagini» per trovare questa
comunità, visitarla e in questo modo, pur rimanendo ancora, per il momento,
nella mia condizione attuale di vita, familiarizzare con essa. Se stando lì mi
trovo come a casa mia, essa mi aprirà interamente le sue porte più tardi.
Potremmo moltiplicare gli esempi, ma la cosa è superflua.
Il principio si acquisisce nei cuori e bisogna lasciare allo Spirito Santo la
preoccupazione di guidarci verso la conclusione nell'intimità della nostra
storia personale con Dio.
Questo genere di discernimento può sembrare deduttivo o
un po' matematico, ma colui o colei che entra pienamente in quest'ottica, non lo
vive affatto così, al contrario. Si tratta di piste che si aprono davanti a noi
preparandoci, anche stimolando la nostra libertà.
Se, all'interno di questo cammino, non si rende possibile
nessun inizio di discernimento, è senza dubbio perché la nostra attenzione non
è stata sufficiente o perché rimaniamo ciechi di fronte ad una dimensione
importante della nostra vita, a meno che non sia ancora giunto il momento per
Dio di manifestarci la sua attesa. Talora ha bisogno di istruirci ancora, di
fortificarci prima di parlare, ma pazienza! Egli tiene troppo a noi per non
chiamarci al suo seguito e condurci sulla strada della vera gioia. Ci può
essere utile, come azione di grazie, rileggere queste parole di san Paolo:
Poiché quelli che
egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi
all'immagine del Figlio suo, perché
egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha
anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha
giustificati li ha anche glorificati. (Rm 8, 29-30)
per essere con Lui
Il
futuro è legato alla nostra testimonianza da portare fino agli estremi confini
della terra.
L'unico dei dieci lebbrosi guariti, che torna per
ringraziare, è rimandato agli altri che ancora non sono lì con lui: «E gli
altri nove?» gli chiede Gesù (Lc 17, 17).
La missione
non è appannaggio di pochi eletti. E dovere di ogni credente, che è inviato
a chi ancora non ha riconosciuto il Signore, fonte di salvezza per tutti.
Il Signore Gesù «fece
dodici, che chiamò anche apostoli, per essere con lui e per inviarli ad
annunciare e ad aver potere di scacciare i demoni»
(Mc 3, 14s.).
La vita apostolica è una chiamata alla comunione fraterna
perché comunione con il Figlio. Questa è la nostra salvezza, operata dalla sua
parola che, vincendo il divisore, ci fa aderire e ci unisce a lui, nostro
Signore.
Compimento perfetto della vita cristiana, la missione ti
fa entrare in tutto il mistero di Dio: il Padre ti mette in compagnia del
Figlio, facendoti partecipare pienamente alla sua condizione.
Egli infatti, che è una cosa sola con il Padre (Gv 10,
30), conoscendo il suo eccessivo amore per ciascuno dei suoi figli (Ef 2, 4),
non si vergogna di farsi loro fratello (Eb 2, 1 1), per annunciare loro il suo nome (Sal 22, 23). Per questo
dice: «Ecco, io vengo, per fare la tua volontà» (Sal 40, 8; Eb 10, 5 ss.). La
sua volontà è che si faccia solidale con tutti, per mostrare loro il suo volto
di padre. Nella sua fraternità
infatti è visibile la paternità comune. chi vede me, vede il Padre (GV
19,9).
Il principio della missione è l'essere con lui, il
Figlio che conosce l'amore del Padre.
Il fine è che tutti gli uomini entrino in questa
comunione.
Il mezzo è farsi fratello, proclamando a tutti il
«nome» di Gesù in cui ritroviamo la nostra verità di figli e fratelli.
Perché «in nessun altro c'è salvezza: non vi è infatti altro nome
dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere
salvati» (At 4, 12).
Guai a me se non evangelizzo (1 Cor 9, 16).
Non interessandomi dei fratelli, ignorerei il Padre e sarei separato dal
Figlio.
«Fece dodici»
Dopo
aver chiamato singolarmente alla fede ciascun discepolo, Gesù «fece dodici».
Sono la radice del nuovo popolo. Questa
comunità è fatta dal Signore stesso, con
un atto creatore. E il suo atto definitivo, con cui ci salva, perché ci
unisce a sé e ci fa così figli del Padre e fratelli tra di noi.
«Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli siano
insieme» (Sal 133,1). Nella fraternità risplende il volto del Figlio, la
gloria del Padre, la luce dello Spirito.
La comunità fraterna è l'ambita mercede del vangelo che
annunciamo, il frutto maturo, punto d'arrivo di ogni missione. Ma insieme è
anche il suo luogo di partenza, dove chi annuncia vive in prima persona e
testimonia con forza la verità di ciò che annuncia.
Per questo, il Signore ha inviato i suoi a due a due (Mc 6,7).
Due è segno di comunità. La missione non è un affare privato,
un'avventura solitaria. «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in
mezzo a loro» (Mt 18, 20). Anch'io
ho atteso a Corinto l'arrivo tuo e di Timoteo, prima di dedicarmi totalmente
alla predicazione (At 18,5).
Il nemico farà di tutto per rompere la comunità, sapendo
così di distruggere l'opera di Dio. Satana,
l'accusatore, ti farà vedere il male del fratello, invece di quello, ben più
grave, che fai tu quando lo giudichi o condanni, anche «giustamente».
Il diavolo, il divisore, ti separerà da lui, rendendotelo pesante più
di qualunque fatica apostolica.
Ricordatelo! I
difetti che trovi più insopportabili in chi ti è vicino, sono semplice
specchio dei tuoi. Invece di
irritati con lui, chiedi perdono per te e ringrazia Dio che ti ha messo accanto
uno che ti ridimensiona e ti sopporta.
Il Signore permette le miserie tue e altrui non per farti
cadere, ma per renderti simile a sé, il Figlio misericordioso come il Padre (Lc
6,36).
Nei litigi inevitabili, il perdono sia la parola ultima su
tutto. In esso si rivela la verità
stessa di Dio, che è amore gratuito per tutti i peccatori. E necessario che
avvengano le divisioni, per manifestare i veri credenti (1 Cor 11,19).
La comunità perfetta non è quella dove non si sbaglia.
Sarebbe una comunità di farisei! E quella dove ci si accetta nei
propri limiti: ci si perdona e grazia a vicenda, come Dio ha graziato noi in
Cristo (Ef 4,32).
Il giudizio dell'uomo è come un setaccio: lascia passare
la farina e trattiene la crusca. Quello di Dio è come un vaglio: lascia passare
la crusca e trattiene la farina. Valuta sempre come lui, che tiene il bene e
lascia il male. La croce è il suo unico giudizio: ci stima tanto, da dare la
vita per noi, mentre ancora siamo nel peccato (Rm 5,8).
Sta sotto il suo giudizio, libertà piena per te e per
tutti.
L'uomo vive o muore dello sguardo altrui. Il tuo occhio
rimandi a ognuno un'immagine molto buona di lui, come quella di Dio (Gn 1, 31),
che dal primo giorno si rispecchiò nella sua pupilla. Godi del bene del
fratello. E più difficile, ma anche più perfetto, che piangere del suo male
(Rm 12, 1 s.).
Se uno ama più di te, è più zelante di te, ha successo
più di te, è più povero di te, ringrazia il Signore, gioisci e loda per lui.
Lo Spirito di lode trasforma anche l'inferno in paradiso, come quello d'invidia
ha trasformato l'Eden in un deserto.
«Per essere
con lui»
Il Signore ha fatto i dodici «per essere con lui». Lui stesso è al
centro della sua comunità, come nel cuore di ognuno.
Gesù non ha creato gli apostoli perché «facessero» qualcosa di buono, ma perché «fossero» con lui! Ovunque andrai, la tua preoccupazione prima non sia il fare per lui, come Marta, ma l'essere con lui, come Maria.
Essere con
lui, il Figlio, è il destino ultimo di ogni creatura. Tutto è fatto per mezzo
di lui e in vista di lui, e solo in
lui sussiste (Col 1,16 s.).
L'apostolo
desidera stare con Cristo, perché è lui la sua vita (Fil 1), ormai nascosta in Dio (Col 3, 3).
Non è bene
che l'uomo sia solo (Gn 2,18). Infatti è bisogno di compagnia, immagine e
somiglianza di colui che è amore.
Non
l'altro, bensì la solitudine è l'infernoSolo con il Figlio l'uomo colma la sua
solitudine abissale, e ritrova la realtà di cui è riflesso.
Se non
sarai «con lui», il vuoto del tuo cuore ti spingerà a fare tante cose buone,
tranne l'unica che sei chiamato a fare. Darai alla gente tutto, anche
l'impossibile, tranne ciò che dovresti dare.
L'apostolo
non è un impresario di opere più o meno buone; neanche un filantropo più o
meno disinteressato. E uomo di Dio, uno che sta con il Signore Gesù e
insegna a fare altrettanto.
Nellintimità
liberante e appagante con lui sperimenterai in prima persona ciò che devi
annunciare agli altri: «Va' e annuncia ciò che il Signore ti ha fatto» (Mc
5,19).
Solo
se sei con lui, puoi essere suo testimone fino agli estremi confini della terra,
come ci ha comandato (At l, 8). Allora
annuncerai colui che hai conosciuto e veduto, contemplato e toccato, perché
anche altri siano in comunione con noi, la cui comunione è col Padre e col
Figlio suo Gesù Cristo (1 Gv 1, 1-3).
Sii con lui innanzitutto con il cuore, stabilmente fisso
in lui. Dove è il tuo tesoro, sia
anche il tuo cuore (Lc 12,34). Questo intendo quando dico che bisogna pregare
sempre, senza cessare (1 Ts 5,17; cf.
Lc 18,1).
La nostra comunione con lui è la nostra vita. Staccati da lui, siamo morti, come tralci recisi dalla vite (Gv 15,1-6). Il tuo centro di gravità non sia in ciò che fai, ma in lui, che ami sopra ogni cosa e cerchi in ogni cosa.
Dedicandoti al servizio dei fratelli, non cadere nella
tentazione di non trovare il tempo per stare con lui. Sarebbe grave, anzi mortale. Ti taglieresti dalla tua
sorgente, e non serviresti più i fratelli.
Te ne serviresti per sentirti vivo, forse utile, addirittura buono. Dio
te ne scampi, per la sua misericordia!
Ordina la tua vita al suo fine, che è «essere con lui».
Allora sarai come un vaso traboccante di acqua viva.
Sii conca e non canale. Tutti potranno attingere da te, e
tu rovescerai intorno dalla tua abbondanza!
Se non preghi, corri invano e batti solo l'aria (1 Cor 9,
26 s.).
Come puoi portare i fratelli a essere con lui, se tu
stesso ne sei lontano? Nessuno da
ciò che non ha e nessuno ha qualcosa se non l'ha ricevuto (1 Cor 4, 7).
La tua prima occupazione sia la perseveranza nella
preghiera, come fecero gli apostoli sempre, prima e dopo pentecoste (At 1, 14;
6, 4).
La preghiera è il respiro della fede. Coltivala quindi
come prima cosa.
Il desiderio di essa rimanga sempre; ma si traduca anche
in realtà. Diversamente resterà solo un'esigenza velleitaria e frustrante.
Passerai dal piano del desiderio a quello della realtà
quando troverai per essa ogni giorno concretamente un tempo e un luogo propizio
- il migliore e il più tranquillo - che diventata un po' alla volta il centro
della tua giornata. Il luogo spirituale sia in fondo al tempio, col pubblicano
che invoca perdono (Lc 18,13). Qui conosci la realtà tua e di Dio: tu sei
peccatore e lui ti è Padre. Adoralo
quindi nello spirito di perdono e nella verità del Figlio, in cui sei da lui
costituito (cf. Gv 4, 24).
La tua
preghiera potrà anche essere difficile, distratta e desolata. Ciò sarà a
causa dei tuoi peccati e delle tue trascuratezze, che ti han fatto cadere in
basso. Ma va' avanti, e rimonta la china con fiducia e perseveranza. Hai bisogno
di allenamento. Il Signore ti è vicino e ti incoraggia.
Quando sarai arido, invece di smettere, dedicale più
tempo. Non incattivirti perché il
Signore tarda a rispondere (Lc 18, 1).
Vuol purificarti per accostarti a lui, il Santo. Egli può
e vuole darti più di quanto tu possa domandare o pensare (Ef 3, 20).
Invece dei suoi doni, vuol darti se stesso come dono.
Se vorrai gustare la sobria ebbrezza dello Spirito, sii
temperante nellavidità della bocca, degli orecchi e degli occhi, nonché in
quella più sottile della mente, con le sue molteplici curiosità, e soprattutto
in quella dello spirito, bramoso di doni e disattento al Donatore. La temperanza
ti renderà più difficile l'ira e più facile la castità.
Oltre che effettiva, la tua preghiera sia affettiva.
Chiedilo a Dio con umiltà. Se il tuo cuore non gusterà di lui, cercherà
insaziabilmente di saziarsi di tutto ciò che non sazia.
Sappi che la preghiera è il principale mezzo apostolico.
Per questo lotta sempre con me in essa (Rm 15,
30; Col 4, 12).
Da una notte di lotta col Signore nacque Israele (Gn 32).
Dall'orazione notturna di Gesù nacque il nuovo Israele (Lc 6, 12 ss.).
Inoltre un solo uomo con le braccia alzate - Aronne e Cur gliele sostenevano -
può vincere un intero esercito di nemici (Es 17, 8 ss.). Ancora lo stesso uomo
da solo può rappresentare davanti a Dio lintera nazione e salvarla dalla
morte, come sta scritto: «Dio aveva già deciso di sterminarli, se
Mosé, suo eletto, non fosse stato sulla breccia di fronte a lui, per
stornare la sua collera dallo sterminio» (Sal 107, 23).
Essere
con lui con gli orecchi e gli occhi:
lettura
e contemplazione della Parola
Sii
con lui, oltre che col cuore, con gli orecchi e gli occhi, che vanno dove porta
il cuore.
L'amore
desidera conoscere e vedere. Noi non abbiamo ascoltato e visto il Signore Gesù,
Verbo fatto carne. Ma sappiamo che la sua carne è tornata Parola,
per farsi carne in noi
che l'ascoltiamo e contempliamo. Perché l'uomo diventa la
parola che ascolta e si trasfigura in colui davanti al quale sta.
La parola che ci racconta la storia di Gesù è per noi la
sua carne, norma di fede e criterio supremo di discernimento spirituale.
Diversamente ci inventiamo un Dio fatto su misura delle nostre fantasie
religiose (cf. Ef 4, 20; 1 Gv 4, 2), e
crediamo non in lui, ma nelle nostre idee su di lui.
Di Dio non abbiamo nessuna immagine e non dobbiamo farcene
alcuna. Lo conosciamo attraverso la sua rivelazione a Israele e la vicenda di
Gesù, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 22,
9).
Per questo leggi sempre le Scritture, per conoscere la
Parola di cui sei servo a salvezza tua e a favore dei fratelli. E la tua
professione specifica di apostolo (Lc 13 2;
At 6, 4).
Leggile sempre con stupore e rendimento di grazie.
La Parola sarà luce per i tuoi occhi, miele per la tua bocca e gioia per
il tuo cuore (Sal 19, 9. 1 l; 119).
Leggi e stupisci; convertiti e gioisci; discerni e scegli,
quindi agisci.
Sappi che dove non stupisci, non capisci; dove non ti
converti, non gioisci; dove non gioisci, non discerni dove non discerni, non
scegli; dove non scegli, agisci inevitabilmente secondo il pensiero dell'uomo e
non secondo quello di Dio (Mc 8,33).
La Parola sia per te il centro della tua vita. t Gesù, il
Figlio, che ami e desideri conoscere sempre di più per amarlo sempre meglio e
in verità.
Ora capisci perché, fin dall'inizio, tra le tante cose da
fare, gli apostoli, alla luce dello Spirito, hanno cosi capito e definito la
propria vocazione: «essere perseveranti nella preghiera e nel servizio della
Parola» (At 63 4).
Essere
con lui con i piedi:
seguirlo
in una vita conforme alla sua
Sii con lui con i piedi, che percorrono la sua stessa via.
Il desiderio di camminare come lui ha camminato (1 Gv 2, 6) sia la speranza che
muove la tua vita ad essere conforme alla sua.
Preferisci e scegli ciò che lui ha preferito e scelto,
per stargli più vicino e somigliargli più perfettamente.
Questa amorosa speranza liberi il tuo cuore da ogni
attaccamento al male, e ti spinga ad amare per amor suo la povertà,
l'umiliazione e l'umiltà, la sua insignificanza, la sua piccolezza, la sua
castità e la sua obbedienza. Come
Mosé, stimerai l'obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore di tutti i tesori
d'Egitto (Eb 11, 26). Odiando ciò che il mondo ama e amando ciò che il mondo
odia, guarirai dal perverso giudizio che ti fa compiere il male come fosse bene
e fuggire dal bene come fosse male. Quanto siamo malati di testa e di cuore!
Essere
con lui con le mani:
toccarlo
e unirsi a lui
Sii
con lui infine con le mani, per toccarlo, ed avere comunione piena con lui.
Ciò si compie nella carità.
Dio non è oggetto della tua intelligenza, che ne riflette
solo l'immagine. E invece
oggetto del tuo amore, che ti unisce direttamente a lui.
Amalo, e la tua vita sarà trasformata nella sua - e
potrai dire che non sei più tu che vivi, ma lui che vive in te (Gal 2,20).
Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai
giunto alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché
anchio sono stato conquistato da Gesù Cristo (Fil 3, 12).
Sii anche tu conquistato, Innamorato di lui, con un
desiderio struggente che fa della tua esistenza un unico grido: «Marana tha:
Vieni Signore!» (1 Cor 16,22). E l'eco di amorosa attesa alla sua promessa:
«Si, verrò presto» (Ap 22, 20).
Allora saremo sempre con lui (1 Ts 4, 17).
Mio caro, la vita missionaria presuppone sia una vita da
vivere in comunione coi fratelli, sia una vita da vivere in solitudine con lui.
Solo dopo sei abilitato ad essere apostolo, inviato a
tutti i fratelli nel suo nome.
Guardati dal pericolo di eliminare le prime due tappe. Se
non sai stare coi fratelli e non sai stare con lui, non puoi essere suo
apostolo.
Nella
misura in cui lo tocchi e sei unito a lui, sei inviato.
Infatti la tua missione è proprio quella di portare gli altri a essere
«con lui».
E apparente la contraddizione tra essere con lui ed essere inviati da lui. Il cuore, quando si stringe, espande la linfa vitale in tutto il corpo. Così tu, stretto a lui, porterai la sua vita fino agli estremi confini della terra. Se aderisci a lui, sei spinto dalla sua stessa conoscenza e amore del Padre verso tutti i fratelli.
Il tempo che dedicherai a lui non sarà sottratto agli
altri. Il frutto del tuo apostolato
dipendenza dalla tua unione con lui.
La tua missione infatti è la stessa del Figlio. Sei suo
collaboratore (1 Cor 3, 9). Ciò significa che è lui l'operaio che fa il
lavoro; tu ti associ a lui, facendo il suo stesso lavoro, e a modo suo.
Diversamente distruggi ciò che lui fa.
Azione e contemplazione non si oppongono.
Azione valida è solo quella che sgorga dalla contemplazione.
Ricordati
che l'intercessione di uno solo ha risparmiato tutti (Es 32, 11-14), e che,
nella fede di uno solo, saranno benedette tutte le stirpi della terra (Gn 12,
3).
Sappi che nel volgerti al Signore e nella calma sta la tua
salvezza; nell'abbandono confidente in lui la tua forza (Is 30, 15).
«Ad annunciare»
Ti dico un
grande segreto, che molti nel futuro ignoreranno: levangelizzazione si fa con
l'annuncio dell'evangelo.
Infatti
è piaciuto a Dio salvare l'uomo con la stoltezza della predicazione (1 Cor 1, 21).
Non
arrossire della debolezza dell'evangelo: è la potenza di Dio che salva chiunque
l'accoglie (Rm 1, 16). Perché la
Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio (Eb
4, 12). Dice il Signore: «La
parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver
operato ciò che desidero, senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is
55, 1 1).
La Parola
infatti agisce in chiunque l'accoglie non quale parola di uomini, ma, come \e
veramente, quale Parola di Dio che opera in chi l'ascolta con fede (1 Ts 2, 13).
Alla parola
esterna, corrisponde l'attrazione interna del Signore, che apre il cuore ad
aderirvi (At 16, 14). Infatti lui,
oltre che Parola annunciata, è il Maestro interiore che agisce con efficacia,
liberando dalle resistenze contrarie e convincendo della verità.
La fede è
risposta personale alla proposta di Gesù, il Dio che mi ha amato e ha dato se
stesso per me (Gal 2, 20), perché
possa riamarlo con lo stesso amore.
Ma
come si può amarlo, se non lo si conosce; e come lo si può conoscere, se
l'inviato non lo annuncia (cf. Rm 105 14)?
Sappi che
con l'annuncio tu realmente salvi il fratello. Non perché tu sia il salvatore;
ma perché il Padre nel Figlio ha già salvato tutti per grazia, e tu, con
l'annuncio, ne fai conoscere l'amore, perché tutti lo accolgano e ne vivano.
Non credere
di dover «costruire» il Regno. Il
Regno di Dio è Dio stesso che regna, e c'è già.
Il Regno del Padre, che invochiamo nella preghiera del Signore, è lo
stesso Figlio unigenito - benedetto nei secoli - che è venuto, viene e verrà,
allo stesso modo in cui l'abbiamo visto camminare e andarsene al cielo (At i)
il).
Tu
semplicemente lo annunci, perché chiunque lo desidera possa conoscerlo,
invocarlo, accoglierlo ed esserne accolto.
L'umanità
è come la donna che Gesù ha guarito di sabato nella sinagoga.
Sta ancora tutta incurvata sulle cose della terra e accartocciata su se
stessa, in attesa che le sia notificato il dono che già le è stato fatto: «Sei
già stata slegata dal tuo male», e puoi star dritta davanti a lui (Lc 13, 12).
Non aver paura se il nostro ministero dispone solo della
debolezza della Parola. Essa è
potenza di Dio (1 Cor 2, 4), che solo può far invocare il nome che dà salvezza
(At 4, 12). Nessuno infatti può
dire: «Signore è Gesù», se non nello Spirito Santo (1 Cor 12, 3). Il vangelo, di cui sei costituito araldo, apostolo e maestro,
è il mezzo potente con cui Cristo vince la morte e fa risplendere la vita (2 Tm
1, 10 s.).