La
"carovana della pace" che ha percorso
l'Italia nella prima quindicina di settembre ha
portato (e ricevuto) una ventata di speranza. Non
vago ottimismo (i tempi certo non lo favoriscono),
ma testimonianze di pace e nonviolenza coniugata
nel quotidiano dei "nodi" locali, che
solo attendono di essere colte e moltiplicate. La
cronaca-ma-non-troppo dall'inviato di Nigrizia
dentro la carovana
Ha
appena citato, a braccio, Isaia (capitolo
58: "Cessate di digiunare e di flettervi come
giunchi, ma rimandate liberi gli oppressi e
rompete ogni giogo") per indicare quale
dev'essere il compito di un uomo di fede. Poi Moni
Ovadia, attore e musicista ebreo, si rivolge
ad Alex Zanotelli: "Ma come fai ad
essere combattivo e mansueto?". Alex, un
mezzo sorriso sulle labbra, risponde: "Ce la
faccio perché mi sento al posto giusto.
Perché sono convinto che, qui come in Africa, la
chiesa deve partire dai deboli e dagli ultimi.
Quello è il suo posto: quanto ci metterà la
chiesa a capirlo?".
Questo
segmento di dialogo, raccolto a Bologna il 15
settembre, tappa conclusiva della Carovana
della pace, dice già quali urgenze e quali
disposizioni d'animo hanno mosso una carovana che
ha ricevuto il testimone da quel Giubileo degli
oppressi che nel 2000 coinvolse otto città (Nigrizia,
8/00, dossier), puntando il dito su un sistema
economico e politico che perpetua disuguaglianze e
ingiustizie.
Due
anni dopo siamo dunque di fronte a un
convoglio missionario – voluto da comboniani e
comboniane - che tocca dieci città in undici
giorni (Verona il 5 settembre e poi Trento,
Mestre, Milano, Genova, Firenze, Terracina,
Molfetta, Pesaro, Bologna), quasi ovunque accolto
dai vescovi e dagli amministratori civili,
incontrando ventimila persone, per indicare di
nuovo alla chiesa la priorità della giustizia
quale presupposto della pace? Anche, ma non solo.
È
una carovana-laboratorio: ha testimoniato,
denunciato (Alex: "Altro che disarmo.
Si spende sempre di più per gli armamenti:
quest'anno, Usa ed Europa stanno investendo in
armi 750 miliardi di dollari e poi dicono che non
ci sono risorse per la scuola e la salute della
gente del Sud del mondo") ed ha ascoltato;
ha sollecitato a denunciare l'iniquità
della legge Bossi-Fini, mandando le proprie
impronte ai due ministri; ha chiesto di firmare un
appello che giudica "immorale e
illegale" la guerra che si va preparando
contro l'Iraq ("alimentando la cultura del
nemico non si va da nessuna parte, meglio togliere
l'embargo ed essere motivo di speranza per
l'islam", ha affermato il vescovo di Locri,
Giancarlo Bregantini; Giancarlo Caselli,
procuratore generale a Torino, dal palco di
Bologna: "Se l'unica risposta al terrorismo
è militare, ci si dimentica che un elemento
scatenante del terrorismo sono le ingiustizie
globali"); ha portato qualcosa nei
territori e ha ricevuto molto; ha toccato
con mano che la società civile, fatta di
associazioni e gruppi ecclesiali e laici, ha
grandi potenzialità da mettere in campo, specie
se è capace di mettersi in rete.
È
una carovana-festa: non è mai venuto
meno il gusto e il desiderio di stare insieme,
di cantare, di ascoltare musica,
anche di ballare. È successo al Teatro
Romano di Verona (i Water's Head, i Matisha, i
Temporei, un monologo di Marco Paolini) come nella
piazza principale di Molfetta (la musica del
burkinabè Dabiré Gabin e della Meridiana
Multijazz Orchestra), al palasport Taliercio di
Mestre (i Decaband) come al Palamalaguti di
Bologna (le percussioni di Massimo Rubolotta).
È
una carovana-pellegrinaggio: ha trovato
il modo di celebrare una messa a Sotto il Monte,
paese natale di Giovanni XXIII, nel
quarantennale dell'enciclica Pacem in Terris,
e paese dove è sepolto uno (scomodo) uomo di
pace, David Maria Turoldo. A Genova si è
fermata in piazza Alimonda, dove nei giorni
del G8 del 2001 è stato ucciso Carlo Giuliani:
una preghiera, un saluto alla madre di Carlo e un
piccolo segno su una cancellata che ne ospita
mille altri, una locandina con scritto "non
c'è pace senza nonviolenza". A Firenze ha
idealmente incontrato don Lorenzo Milani, padre
Ernesto Balducci e Giorgio La Pira e
ricordato tutte le vittime – americani e afgani
– dell'11 settembre. A Terracina ha commemorato
il comboniano Alfredo Fiorini, ucciso in
Mozambico nel 1992: "Una rara capacità di
relazionarsi con la gente, di incontrarla
veramente", ha detto Alex Zanotelli, che ebbe
modo di conoscerlo. A Molfetta ha reso omaggio al
vescovo Tonino Bello e rilanciato il suo
grido: "In piedi costruttori di pace!".
A Bologna, la sera del 14, ha partecipato ad una
veglia – presente anche Rita Borsellino -
per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino,
assassinati dalla mafia dieci anni fa.
È
una carovana-comunità: nel senso che
le sedici persone che si sono messe in viaggio
(otto giovani che si stanno avvicinando alla
missione, i comboniani Dario Bossi e Alex,
l'avvocata brasiliana Valdenia Aparecida Paulino,
la sudafricana Magouws Catherine Morakabi, attiva
nella commissione giustizia e pace della diocesi
di Johannesburg, il driver Giancarlo, Giuliana
dell'Emi e due giornalisti, il comboniano José
Rebelo e l'autore di questo articolo) hanno
provato a stabilire relazioni autentiche
tra loro e con i tanti (citiamo per tutti padre
Mosè Mora, architrave di questo secondo giubileo,
don Gianni Fazzini di MagVenezia e le centinaia di
laici che non possiamo nominare) che hanno
contribuito alla buona riuscita dell'iniziativa.
Del
resto Alex ("possiamo fare molto se ci
ricostruiamo come comunità, ancorate al
territorio, con uno spessore culturale e dunque
capaci di resistere all'Impero"), Valdênia
("non c'è pace senza affettività") ma
anche i giovani della carovana, hanno spesso
rimarcato che si comincia a costruire la pace
dalle piccole cose: un saluto al vicino di
casa, una visita all'amico malato, un'attenzione
in più verso il parente anziano, un sorriso.
Insomma, la pace nelle nostre mani non solo come
scelta politica, anche come atteggiamento fisico e
psicologico. Qualcuno penserà che sia roba da
eterni ingenui, però è un fatto che
l'individualismo di massa in cui siamo immersi
toglie nerbo alla nostra cittadinanza,
c'inebetisce davanti alla tivù e sbriciola i
legami comunitari, con il risultato che facciamo
sempre più fatica a fare qualcosa insieme.
Informazione
e legalità
Il
giornalista Giulietto Chiesa, tra i
protagonisti della giornata conclusiva a Bologna,
ha ammonito: "Mentre noi ricchi stiamo
attuando la strategia di una guerra permanente
contro i poveri e mentre il Pentagono scrive in
documenti ufficiali che nel 2017 il vero nemico
degli Stati Uniti sarà la Cina (anche perché
consuma sempre più risorse), milioni di persone
in Italia vivono di "Stranamori", di
"Grandi Fratelli" e subiscono
un'informazione che letteralmente nasconde la
realtà del mondo. Questa tivù e l'uso che se ne
fa, soprattutto lasciando i nostri figli in balìa
del piccolo schermo, sta modificando pesantemente
l'etica". Discorso ricorrente, quello
dell'informazione. Ovadia: "Spesso i
media vomitano un insensato catarro verbale. La
tivù è una trappola ed è difficilissimo
sfuggire all'omologazione". E padre Zanotelli
nel suo ultimo scritto, Il nuovo è possibile,
fa sua la proposta di alcune famiglie di Trento di
desintonizzarsi (per via del conflitto d'interessi
di Silvio Berlusconi) dai tre canali Mediaset e di
farlo sapere in giro, oltre che al presidente del
consiglio di amministrazione Fedele Confalonieri.
L'altro
discorso ricorrente è quello della legalità.
Don Luigi Ciotti, che è rimasto con la
carovana a Trento, Mestre e Milano, non le manda a
dire: "Le leggi non possono dimenticare i
deboli per garantire i forti. Questa legge
sull'immigrazione offende i diritti della persona,
ridotta a forza lavoro, e amplierà le forme di
clandestinità a vantaggio delle organizzazioni
criminali. Se si vuole sicurezza, si sappia che la
città sicura è quella che accoglie, che include,
che mette in relazione, non certo la città
blindata, senza responsabilità e senza memoria
del nostro recente passato di emigranti". Poi
il fondatore del Gruppo Abele e di Libera,
l'associazione di associazioni che si batte contro
tutte le mafie, aggiunge: "Davanti a certe
leggi fatte su misura per pochi (rogatorie, falso
in bilancio, legittimo sospetto) non dobbiamo
tacere. E avremmo bisogno di un magistero della
chiesa alto e coerente, capace di prendere
posizione". Conclude: "Dicono che sono
di parte. È vero, sono dalla parte della
giustizia e della legalità".
Gli
fa eco Valdênia, avvocata dei bambini di
strada a São Paulo in Brasile, che per affermare
un minimo di legalità ha conosciuto il carcere e
subìto gravi violenze da parte del racket della
prostituzione. Da donna coraggiosa qual è, ha
raccolto i cocci e ha ricominciato: "Da noi
la legge protegge il latifondo. Così poche
famiglie possiedono gran parte dei beni e tanta
gente vive in condizioni di grave povertà. Povertà
economica, ma anche povertà di diritti. Una
storia che è cominciata con il colonialismo e che
continua. Lavoriamo perché la gente riacquisti
dignità, consapevolezza di sé e della propria
storia". A ricordarci che è possibile
ricostruire coesione sociale anche dove la legalità
e la giustizia sono state cancellate da un regime
di segregazione razziale ci ha pensato Magouws,
serena donna di etnia sotho: "Il Sudafrica si
è liberato dall'apartheid da meno di un decennio.
Rimangono tanti problemi. Ma la cosa più
importante da fare è riconciliarsi. Perché, come
afferma Nelson Mandela, l'oppresso e l'oppressore
sono entrambi derubati della loro umanità".
Ad
operare in un contesto difficile, la Locride, dove
è necessario fare i conti con la marginalità e
una fragile legalità, è mons. Bregantini.
Ha un suo metodo: "Credo che la dignità sia
l'antidoto ad una certa idea di destino. Per
acquisirla, per convincersi che cambiare si può,
bisogna scovare le potenzialità di ogni
territorio e avere un rapporto di reciprocità con
chi ci può dare una mano. Con l'appoggio della
cooperazione trentina, ad esempio, stiamo
innescando un efficace processo di sviluppo
agricolo che valorizza quello che quest'area della
Calabria può dare".
Noi
proponiamo
I
territori, i nodi locali. Che cosa fanno e che
cosa possono fare. Un patrimonio di creatività,
di energie e di dedizione che ha accompagnato ogni
giorno la carovana. Passiamoli in rassegna. Come
non cominciare da Mestre che, oltre a
testimonianze della comunità monastica di Marango,
delle famiglie di Bilanci di Giustizia e della
casa dell'ospitalità, ha presentato una Mappa:
un vero e proprio programma di lavoro sulla pace,
già in fase di attuazione, elaborato da decine di
associazioni – tra queste, Acli, Pax Christi,
Wwf, Mutua di autogestione, Botteghe del mondo,
Bilanci di Giustizia, Esodo – e sintetizzato in
un depliant che chiede l'impegno di ciascuno. I
punti: mercato della guerra, relazioni Nord-Sud,
ambiente, dialogo interreligioso, economia e
lavoro, stili di vita. Davvero una realtà da
prendere ad esempio: MagVenezia 041 5381479.
Notevole
anche quanto sta facendo Molfetta.
Alessandro Marescotti - "far girare
informazioni serie, controllate, meditate è fare
un servizio alla pace" - ha reso pubblica una
mappa della presenza militare in Puglia,
realizzata da Peacelink. La mappa ora è
online: www.peacelink.it.
Un secondo dossier è dedicato al lavoro nero con
particolare riferimento ai settori tessile ed
edilizio. Importante anche il confronto che la
carovana ha avuto con le associazioni e gli
amministratori locali e i responsabili dei
partiti. A Verona, a Genova, a Terracina
e a Milano ci si è soffermati
sull'immigrazione e sulla necessità di una
progettualità più efficace in merito
all'accoglienza e alla cittadinanza. Milano ha
presentato anche il manifesto "apriamo luoghi
di pace", già realizzato sul terreno dal Coordinamento
comasco per la pace (v. Ormegiovani in
questo stesso numero): si tratta di creare ogni
giorno occasioni di riflessione sulla pace in
casa, in parrocchia, in municipio.
A
Firenze, ecco l'esperienza della casa
d'accoglienza per giovani con problemi psichici e
fisici, e la proposta del vescovo di
Montepulciano, Rodolfo Cetoloni, di segnalare per
il Nobel per la pace i francescani della chiesa
della Natività, Betlemme. A Trento si
è parlato di carcere, i detenuti si sono
espressi sulla loro idea di pace, e si è
sottolineata l'importanza di avvicinare i giovani
al servizio civile volontario. A Pesaro, la
Comunità di via del Seminario ha raccontato come
da trent'anni sta facendo accoglienza di
emarginati, dando amicizia, difendendone i
diritti, condividendone la vita. "La pace è
ricerca permanente per rendere più giusta la
relazione con l'altro", ha spiegato Teresa
Federici.
Quando
Alex si rivolge alla società civile, e
alle chiese e ai sindacati che ne
fanno parte, chiedendo di resistere, di mettersi
in rete, di essere soggetto politico capace di
agire avendo come riferimento la nonviolenza
attiva, sa di poter contare su tante realtà che
già si muovono in questo alveo. Tante ma non
abbastanza. Tante ma non ancora in grado di
incidere in profondità nella comunità cristiana
e nella società. Anche se mons. Luigi Bettazzi,
a Bologna, ha esortato tutti a continuare a
battersi "in dialogo, in collaborazione e
senza paura".
Di
qui il manifesto-impegno Noi
proponiamo che i missionari comboniani
hanno rivolto a Bologna a tutta la società
civile, riprendendo e rilanciando le
sollecitazioni arrivate dai territori toccati
dalla carovana. Francesco Antonini, il superiore
dei comboniani d'Italia, ha suggerito tre piste:
superare la logica della guerra e del nemico;
recuperare il senso della comunità; prendersi
cura dell'informazione e della formazione. Un
passaggio del testo dice: "C'è bisogno di
mettersi in gioco per cambiare questo stato di
cose". È una raccomandazione che i
comboniani fanno prima di tutto a sé stessi
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