
Volevo partire nella mia riflessione da una domanda che mi sembra
importante: “Uomo dove sei ?”. E quando dico uomo intendo
ciascuno di noi … dove siamo? Questo interrogativo ci richiama
all’interrogativo di Dio a Caino: “Dov’è tuo Fratello?”
Nessuno di noi sa veramente dov’è se non si relaziona con
l’Altro. Questa dovrebbe essere una chiave di lettura per
ciascuno di noi: nessuno di noi sa veramente dov’è se non si
misura coi suoi Fratelli.
Nella
storia del Dio biblico, ognuno di noi è definito dall’altro.
Significa che ognuno di noi può sapere chi è e dov’è solo se
si interroga su dov’è suo fratello. È una grande provocazione
quella che ieri e che oggi continua a farci Cristo nel chiederci
dove sono i nostri fratelli, perché solo dall’incontro con gli
altri sappiamo dove siamo e chi siamo. Allora Dio domanda a Caino
non dove sei, ma dov’è tuo fratello e questo non deve mai, ma
proprio mai, scappare dalla nostra testa e dalle nostre vite. Noi
riusciremo a vivere bene se stiamo dentro a questa relazione.
La
seconda considerazione è nel Vangelo di Luca al cap. X, che
indica come un cristiano dovrebbe creare un percorso nella sua
vita. Io non sempre riesco a vivere questo, ma credo che Gesù qui
ci indichi la sua grande sfida, la sua grande proposta. Negli
episodi del Samaritano, di Marta e Maria e del Padre Nostro vi è
un’autentica profezia: la strada è la grande protagonista di
tutto il Vangelo.
Per
113 volte nel Vangelo c’è il grande richiamo alla strada.
La
strada deve essere l’impegno di tutti noi. Per ritrovare
l’ordine che il Signore ci suggerisce occorre proprio cominciare
dalla strada, dal Samaritano.
Il
Signore di fronte alla domanda che gli viene posta, “Chi è il
mio prossimo?”, racconta una parabola e capovolge tutto: sei tu
che devi farti prossimo. Il Samaritano, che non è né un
sacerdote né un Levita, soccorre e
provvede subito a dare ospitalità al viandante e, pensando
anche un po’ al futuro di quella persona, se ne va prima che si
risvegli per non creare un minimo di dipendenza. Questa è una
pagina dura, pesante che ci deve interrogare tutte le volte. È un
pugno nello stomaco la grandezza di questo invito a farsi
prossimo. Oggi il Samaritano sarebbe l’albanese, il nigeriano.
Sarebbe uno di quei 50.000 immigrati che stanno difendendo i loro
diritti, di fronte a chi vuole modificare la legge Turco –
Napolitano con la proposta di legge Bossi – Fini, che vuole
trattare l’immigrato come “usa e getta”, solo in funzione
del proprio benessere, della gestione del proprio lavoro e senza
favorire i ricongiungimenti familiari di persone che sono qui da
vent’anni.
Io
trovo che questi meccanismi umiliano, semplificano e non tengono
conto che la legalità è uguale per tutti e non solo per i
signori potenti e sempre sapienti. La giustizia non dovrebbe fare
sconti a nessuno! L’Italia è l’unico paese d’Europa che non
ha trovato un meccanismo legislativo sull’asilo politico. Noi
siamo, con il Lussemburgo e con la Grecia, le tre nazioni
dell’Unione Europea che per concedere il visto di cittadinanza
impieghiamo 10 anni, anziché 5 come invece fanno tutti gli altri
paesi della UE.
Io
credo che non dobbiamo mai dimenticarci l’attenzione alle
persone, ai loro bisogni: che vuol dire uguali diritti, servizi,
spazi, opportunità, riferimenti concreti.

Il
Vangelo di Luca inserisce subito dopo Marta e Maria.
L’invito
è a riflettere, a non essere superficiali, a non fermarsi al
sentito dire, ad essere persone che si documentano. Io dico sempre
che la grande vittima di ogni guerra è sempre la stessa: la verità.
Come il primo grande vincitore di ogni guerra è sempre nascosto
dietro altre ragioni: vi sono altri giochi, altri interessi, altri
motivi oltre a quelli politici.
Non
si costruisce giustizia senza ricerca della verità. Noi abbiamo
proprio bisogno di guardarci dentro anche per cogliere la Verità,
per non essere superficiali e non dimenticarci che la povertà non
è mai una condizione naturale o un fatto biologico.
La politica deve creare le condizioni affinché possa
prevenire la povertà. Perché, ancora oggi, sono troppi quelli che vanno a mangiare
alla tavola dei poveri. Tutti i potenti e le grandi multinazionali
vanno al “banchetto” dei Paesi del Sud del mondo. Siamo
chiamati a riflettere, a essere persone che ci mettono testa, che
non vivono di sentito dire.
Mai,
come in questi ultimi anni,nella storia dell’Italia abbiamo
avuto una presenza di una popolazione carceraria così numerosa.
Dobbiamo sapere che nelle carceri italiane per i grandi reati c’è
il 15% della popolazione carceraria; mentre la stragrande
maggioranza sono poveri cristi che non hanno grandi avvocati, non
hanno gli strumenti per difendersi o per frenare il percorso della
giustizia come qualcuno fa. Abbiamo bisogno di una giustizia
giusta, veloce e soprattutto il carcere come estrema ratio. Lo
stesso Papa, voce coraggiosa,
ha chiesto, a Regina Coeli, ai governanti del mondo un atto
di clemenza rispetto alla forte situazione delle carceri. Perché,
mai come in questo momento, ci ricorda che non c’è pace senza
giustizia, senza perdono.
E
allora il riflettere, il non semplificare, il documentarsi,
significa cogliere le domande aggressive o mute di chi ha avuto a
che fare con le droghe, di chi è alcolista, disperato.
Chi
avrebbe parlato anni fa in Italia della depressione nel mondo
giovanile? I giovani devono essere espressione di vita, eppure ora
ci si trova di fronte a casi quali anoressia e bulimia. Solo
l’anno scorso in Italia ne sono stati diagnosticati
ufficialmente114.000 di bulimia e oltre 25.000 situazioni di
anoressia e depressione. Chissà quelli non diagnosticati. I
numeri ci devono far riflettere profondamente, devono interrogarci
ma non dobbiamo dimenticare che ogni numero è una persona che ha
un nome e un cognome: è una vita.
Un
altro problema del mondo giovanile è la tossicodipendenza.
All’Osservatorio Europeo sulle droghe, di Lisbona, ci dicono che
oggi la droga meno usata in Europa è l’eroina che resta un
problema serio poiché coinvolge migliaia di persone. Ma
attenzione perché in Europa è la sostanza meno usata, il che
vuol dire che il resto della popolazione tossicodipendente usa
altre sostanze. In Italia le nuove droghe sono arrivate da 10
anni. Abbiamo una generazione nuova di ragazzi quattordicenni e
quindicenni che usano ormai altre sostanze che non sono
l’eroina, hanno superato l’ecstasy e cercano altro e altre
modalità di fuga. Dove sta il problema? Siamo noi il problema:
noi che siamo ancora legati alla vecchia concezione della droga.
Infatti i giovani che usano altre sostanze, non vanno nei servizi
quali il S.E.R.T. , non si riconoscono in questo mondo e
necessitano di altre proposte. Il servizio non deve pretendere di
cambiare la persona. Deve “agganciarla” con l’obiettivo di
far scattare quella molla di positività in più.
Dobbiamo
prendere questo impegno di coscienza per essere persone serie, che
non danno nulla per scontato. Marta e Maria ci invitano ad una
riflessione dentro di noi e anche a guardarci intorno. Dobbiamo
chiedere a Dio di darci la speranza per scuoterci, per andare
avanti e fidarci di Lui, perché ne abbiamo tutti bisogno.
Passiamo
ora al Vangelo del Padre Nostro, al legame tra Terra e Cielo. Io
dico sempre ai miei amici, con umiltà, che chi è fedele solo a
Dio o chi è fedele solo alla Madonna diventa fanatico. Chi è
fedele solo agli altri diventa l’eroe della solidarietà, ma si
svuota del senso del servizio, non si confronta, non ha quel
faccia a faccia che salva la propria dimensione. Chi è fedele
solo a sé stesso diventa narcisista. La proposta di Cristo, che
io sento mia anche se non riesco a viverla fino in fondo, è la
capacità di donarsi, la fedeltà agli altri, a Dio e anche a sé
stessi. Una proposta stupenda: la Terra che si salda al Cielo. La
preghiera, l’ascolto, il silenzio, la riflessione: è questa la sintesi che il Signore ci propone con estrema
forza.
Un
altro messaggio che voglio condividere, che io ho imparato
lavorando e a volte sbagliando in questi 35 anni di Gruppo Abele,
è che non si può lavorare da soli. Molti di noi che si dedicano
agli stessi progetti hanno creato il C.N.C.A. (Coordinamento
Nazionale delle Comunità di Accoglienza).
Nel
1995 è nata “LIBERA”, composta
da 800 gruppi, che rappresentano la società civile che si è
organizzata contro la criminalità, contro la corruzione e i
poteri occulti. Un Vescovo, ha aderito con la sua diocesi dicendo:
“Io non ho paura di sporcarmi le mani con altri”. Il
Vescovo ha aderito come Diocesi, come Chiesa che non teme. È
importante questo: l’altro, qualunque altro, non può essere mai
una minaccia per il proprio Credo, la propria cultura, i propri
principi, mai. L’altro, qualunque altro è sempre una ricchezza
senza la quale il Vangelo non ha più senso. E’ bello lavorare
insieme, ognuno con le proprie sofferenze, coi propri riferimenti;
ognuno deve fare la propria parte, portare avanti la propria
identità. Si lavora per fare dei progetti insieme, per
quell’obiettivo che resta
chiaro: la giustizia. Qualcuno dice che il nostro obiettivo è la
legalità, qualcuno la solidarietà, ma in realtà sono le due
facce di un’unica medaglia che si chiama giustizia, e la legalità
e la solidarietà sono i due strumenti per costruirla. Il Signore
non perdeva tempo con giri di parole: ha parlato di fame e sete di
giustizia. Non c’è pace senza giustizia. Vi ricordo che già
Paolo VI aveva detto: “Lo sviluppo è il nuovo nome della
pace”. In questo senso io credo che da cristiani dobbiamo
imparare a lavorare sulle “E” e non sulle “O”: l’impegno
e l’unione, la concretezza e la riflessione, la legalità e la
giustizia, la solidarietà e la giustizia. Nelle nostre realtà
dobbiamo lavorare con gli altri, mettendoci insieme, per non
essere navigatori solitari. Abbiamo bisogno anche del rapporto con
le istituzioni.
Un
altro passaggio che si impone è che noi non
abbiamo bisogno solo di parole di bontà, non abbiamo
bisogno solo di uomini buoni ma di parole e uomini giusti. La bontà
è importante perché di fronte alla sofferenza non si può
discutere, la si accoglie e basta. Dobbiamo fare in modo che a questa bontà, che deve esserci, segua
l’impegno concreto per costruire condizioni di giustizia, che è
la parte più scomoda e più difficile.
Oggi
in Italia si è aperto un grande dibattito, il dibattito delle
città sicure. Tale dibattito parte dal diritto sacrosanto che
tutti i cittadini hanno: il diritto alla sicurezza. Non è messo
in discussione questo diritto. Una ricerca O.C.S.E, ha rilevato
che in Italia 120.000 persone vivono in alloggi impropri, di
fortuna, baracche, grotte, containers; oltre 60.000 immigrati
vivono in forme di coabitazione forzata; oltre 100.000 sono quelli
che dormono ogni notte nei dormitori d’Italia e oltre
40.000 sono privi di qualsiasi risparmio: però noi siamo
nel G8! Ma intanto il nostro Paese destinerà 2.066 miliardi per
la nuova portaerei italiana. Quest’anno sono stati stanziati
40.000 miliardi, 15% in più rispetto all’anno scorso, per
l’esercito e abbiamo venduto armi per 600 miliardi di lire.
Dalla fonte del Ministero degli Esteri emerge che il 65% di queste
armi vendute sono state esportate in molti paesi del Sud del
mondo.
Ancora
56 Paesi non hanno aderito al trattato contro le mine antiuomo, e
tra questi vi sono Russia, Cina e Stati Uniti che sono membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. E non posso
dimenticare che in questo momento 250 milioni di mine sono
immagazzinate negli arsenali di 115 paesi.
Il
diritto alla sicurezza nelle nostre città è un diritto
sacrosanto. Molte paure sono delle paure reali che la gente ha, ma
molte altre sono paure rappresentate.
Questo
è un problema grave ma che deve essere ridimensionato. Infatti
tale questione è scoppiata alla vigilia di un grande processo per
Mafia. Per distogliere l’attenzione da questo processo, che
toccava grandi personaggi della politica italiana, bisognava
spostare i riflettori da un’altra parte. E allora nasce e cresce
il tema della sicurezza nelle città.
Noi
non dobbiamo lavorare per le città sicure, ma dobbiamo darci da
fare come associazioni, come Comunità Cristiana, come singoli
cittadini per creare città vivibili. Perché il grado di
vivibilità non lo si misura solo
dall’area di
vincolo al traffico o dal grado di inquinamento, ma lo si misura
dalla capacità di avere relazioni umane e aggregazioni sociali.
Dobbiamo recuperare un’anima nelle città. Abbiamo bisogno di
città vivibili perché diventino anche città sicure, il che non
vuol dire che non ci attrezziamo anche per una maggiore sicurezza.
Oggi educare è questo: c’è veramente bisogno del concorso di
tutti per rimettere al centro delle nostre città e dei nostri
territori la questione E-DU-CA-TI-VA.
C'è
una data, dopo l'11 settembre, che ferisce i più deboli, e chi è
impegnato, come società civile, nella lotta alla criminalità e
alle mafie. Questa data è il 3 ottobre 2001,quando è stata
approvata la legge sulle rogatorie. Frenare la costituzione di
prove, non facilitare la collaborazione tra diversi Stati per
cercare di costruire la giustizia è una pagina molto amara. Tutto
questo contrasta con il Trattato di Roma
del 18/07/98, firmato da 124 nazioni del mondo per
costruire rapporti internazionali corretti
e per vigilare e colpire chi non li ha. Ma perché il
Trattato entri in vigore bisogna che almeno 64 nazioni firmino,
ratifichino. Dopo oltre 4 anni non è ancora entrato in vigore
perché non ci sono ancora le firme sufficienti perché questo
avvenga. A parole tutto è facile. Il presidente Clinton, tra le
ultime cose che ha fatto nel suo mandato ha firmato a favore. Dopo
di che il nuovo presidente, Bush, appena arrivato, ha detto che
non riconosceva la firma. Questa è la verità. Il nostro
obiettivo è la giustizia.
Vorrei
continuare la mia riflessione con cinque passaggi.
Il
primo: non dimenticarci mai che la povertà è in stretta
connessione con l'ingiustizia infatti
il povero è reso povero da privazioni, mancanze e
disuguaglianze.
Il
secondo: se troppi poveri sono lontani dalle nostre comunità
cristiane e dalle nostre istituzioni è anche perché sono tenuti
lontani con i nostri atteggiamenti, linguaggi, incoerenze.
Dovremmo smettere di dare etichette. Quante volte si è tentati di
classificare le persone: i tossicodipendenti, gli alcolizzati, i
detenuti, i matti, le prostitute. C'è troppa gente che
classifica, che dimentica di rendere i bisogni della gente
diritti.
Terzo:
mai dimenticarci che noi siamo chiamati ad incontrare le persone,
a conoscere e affrontare i problemi. Non dimenticarci mai dei loro
volti e ricordarsi che prima di essere poveri sono persone. Le
persone vanno aiutate in silenzio, non usandole per la propria
passerella.
Quarto:
siamo chiamati ad accompagnare senza portare. Questo significa
condividere. Senza soffocare la libertà dell'altro, ma camminando
insieme. Il nostro dovere è scommettere sulla persona, non
rinchiuderla in una formula o in un errore ma offrire l'opportunità
perché possa alzare la testa e voltare pagina.
Quinto,
combattere una malattia mortale oggi: l'indifferenza e la troppa
superficialità.
Io
ringrazio Dio perché mi ha permesso di trascorrere parte della
mia vita, a dormire sui treni di Porta Nuova a Torino, che mi
hanno cambiato la vita. Una cosa è parlare di giustizia e un
altro è viverla.Dobbiamo abitare i luoghi della esclusione
sociale e della marginalità, quei luoghi che tutti
siamo chiamati a fare propri, a conoscere.
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