La Marcia della Pace, 

qualche settimana dopo.

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Difficile raccontare qualche cosa su un evento che ha coinvolto più di 100.000 persone in questi tempi di immagini che ci vengono sparate in faccia come “bombe intelligenti”. Immagini che dovrebbero dire tutto nella loro “innegabile verità” ma che invece creano confusione, o creano una visione univoca della realtà.

Mentre invece La Marcia della Pace Perugia-Assisi è stata tutto meno che una manifestazione univoca e facile da capire, anche per le polemiche che l’hanno preceduta. Almeno non è stata facile da capire per me, ennesimo punto di vista soggettivo in questi giorni di “oggettive verità”. La Marcia della Pace, qualche settimana dopo.

È  stata un avventura per il modo con cui ci si è arrivati, in pullman da Vengono viaggiando la notte del Sabato. Per come ci si è ritrovati stretti in una folla oceanica che gli organizzatori non avevano previsto, e si vedeva abbastanza bene lungo il percorso. Per gli istanti in cui ti giravi indietro, in mezzo alle colline dell’Umbria, e vedevi questo serpentone di persone che sembrava non finire mai, e tu eri a Ponte S.Giovanni e gli ultimi uscivano dalle porte di Perugia. Per quando il sole picchiava nel primo pomeriggio e tu eri lì ancora a camminare. Per quando alla fine avevi i piedi dolci e gli ultimi chilometri ti sembravano eterni e S. Maria degli Angeli continuava a rimanere a 3 chilometri: facevi un pezzo di strada e chiedevi “quanto manca?” “Tre chilometri”, altro pezzo di strada, stessa domanda e stessa risposta, praticamente il moto perpetuo…

Ma è stata anche una macchia di colore in mezzo all’autunno che cominciava a fare capolino (almeno al Nord da dove eravamo partiti). È stata i mille colori della terra dell’Umbria, i verdi, i marroni, il giallo di un sole caldo, caldo (pure troppo). È stata i mille colori dei manifestanti con i loro striscioni, con le mani dipinte di bianco, con le divise degli scout, i fazzoletti della Coldiretti e di Legambiente, le mille sigle delle varie associazioni (e anche il pallone del GIM!).

E poi i cento suoni: degli slogan (e non certo tutti pacifici) delle canzoni (e qui i Gimmini si sono fatti sentire) dei sound-system portati dai Centri Sociali, e dei discorsi che hanno aperto la Marcia. Discorsi in cui si ricordava che quella era (anzi è) una manifestazione PER la Pace e NON una manifestazione CONTRO la guerra.

Certo non è stato tutto rose e fiori, per esempio nonostante gli inviti anche espliciti a non “partitizzare” la manifestazione con bandiere di questa o quella parte politica se ne sono viste a mio parere troppe. E queste sono quelle che poi sono finite nei telegiornali (in quelli che hanno dedicato 5 secondi ad una manifestazione “insignificante” di sole 200.000 persone).

Un peccato perché invece la manifestazione è stata molto altro. È stata lo striscione di Emergency che veniva applaudito spontaneamente in qualunque posto si trovasse, è stata un signore che ad un certo punto preso la gomma con cui innaffia solitamente l’orto e si è messo a spruzzare il fiume di gente che passava e si beccato un ovazione che neanche Tardelli ai mondiali dell’82. È stata tante persone che hanno fatto una cosa semplice ed elementare: camminare 25 chilometri per dire che la Pace è MOLTO ma MOLTO più complicata da costruire di una guerra (che basta poco per scatenarla, basta avere voglia di coagulare le nostre paure in un nemico) ma ci sono ancora dei pazzi che pensano che questa cosa complicata è fondamentale. Non possiamo fare senza. E per farla c’è bisogno di più giustizia. C’è bisogno di “Cibo, acqua e lavoro PER TUTTI” come recitava lo slogan della Marcia di quest’anno.

Cosa è stata la manifestazione alla fine dei conti: sicuramente qualcosa per cui valeva la pena di tornare a casa alle 6 di mattina del lunedì, perché è stata una maniera per cercare di essere dentro la nostra storia, anche se non è quello che cambierà il mondo. Ma se è riuscita a segnare almeno un poco il cuore di qualcuno dei partecipanti allora ha raggiunto il suo scopo perché come diceva Don Primo Mazzolari: “il mondo cambia, quando io cambio”

Simone T.