"Beati
voi poveri,
perchè
vostro è il Regno di Dio" |
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Dal 6 al 16 agosto abbiamo partecipato ad un campo di
servizio e di spiritualità a Roma, organizzato dalle
comboniane di Torre Annunziata e dai comboniani di Pesaro.
Eravamo in 23 giovani provenienti da varie città d'Italia
più 6 comboniani. Il servizio si concretizzava dal mattino
fino al primo pomeriggio nelle
mense della Caritas di Colle
Oppio e di Ostia; mentre il resto della giornata ci vedeva
impegnati nella formazione, tramite catechesi, preghiera
personale e di gruppo, condivisioni e testimonianze. Il
tutto inserito nella quotidianità delle giornate passate
assieme.
In questo spazio potete trovare:
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CATECHESI
Beati voi poveri
(7 agosto 2005)
Con questa catechesi iniziamo la parte formativa, spirituale del
nostro campo. Ci lasceremo guidare oggi da una Parola pronunciata da
Gesù 2000 anni fa, ieri come oggi incomprensibile, inaccettabile, da
pazzi, … Ma prima di addentrarci nel testo credo sia bene fare una
cosa molto semplice: non staccare la spina. Può essere forte la
tentazione quando si va a pregare di rinchiuderci nel nostro piccolo
mondo personale; cerchiamo invece in questi giorni di non staccarci
dalla realtà. Passiamo alla mente i volti della gente incontrata
oggi, riascoltiamo le loro parole … e in tutto questo leggiamo la
Parola di Dio.
Gesù, disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante.
C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di
gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di
Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser
guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano
tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. Tutta la
folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza
che sanava tutti. Alzati gli occhi verso i suoi discepoli,
Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di
Dio.
(Luca
6,17-20) |
Il contesto
I testi della Bibbia non possono essere compresi se non sono
inseriti nel loro contesto. Per capire quello del nostro caso,
dobbiamo prendere in considerazione i gesti di Gesù presentati dal
v. 12: dopo aver passato la notte da solo sul monte, Gesù chiama i
12 apostoli e con loro discende. Per gli ebrei era un chiaro
richiamo al momento in cui si formò il popolo stesso d’Israele,
raccontato nell’Esodo: fuggendo dall’Egitto il popolo fa esperienza
di Dio sul monte. Qui avviene lo stesso, Gesù sale sul monte a
pregare il Padre …
Ma come, Gesù, che è Dio, ha bisogno di pregare?
Gesù è venuto per fare la volontà del Padre ed è fondamentale,
perché questo avvenga, che ci sia un continuo legame tra loro.
Infatti spesso lui si ritira da solo a pregare: quella del Padre è
una volontà da scoprire poco a poco, anche per Gesù. E per te?
Il frutto di questa preghiera, e quindi la volontà del Padre, è una
nuova comunità, un nuovo popolo, chiamato a continuare, assieme a
Gesù, la stessa missione affidata dal Padre. E infatti scendono dal
monte e incontrano la gente.
Il testo
· Disceso
su un luogo pianeggiante: la
preghiera che Gesù fa lo spinge al piano, alla realtà e qui incontra
la gente. Dio non si manifesta più sulla montagna di fronte alla
quale la gente trema (Esodo 19,16) ma in pianura dove si siede a
terra guarisce e insegna alle persone presenti.
· Folla
… moltitudine …: Sono
persone come tutte le altre, non sono le migliori e magari nemmeno
le più affidabili o le più in forma. È gente semplice, bisognosa,
ammalata, desiderosa di ascoltare, ecc. assieme con Gesù, i
discepoli sono chiamati a fare la stessa immersione.
· Ascoltare
ed essere guariti: chi va da
Gesù lo fa perché ne sente l’esigenza. È interessante vedere come
questi 2 verbi siano assieme, non è un caso: ascoltando la parola
del serpente ebbe inizio il male e la morte, ora ascoltando la
Parola di Dio ci sarà il bene e la Vita.
· Toccare:
altra grande differenza con l’esperienza del popolo dell’esodo: chi
toccava il monte su cui Dio si rivelava doveva essere lapidato
(Esodo 19,12); ora è Dio stesso che si fa toccare. In questo caso il
verbo toccare indica l’esperienza concreta di Vita, di Salvezza che
ognuno può fare, perché Dio è in mezzo alla gente.
· Alzati
gli occhi: da questa semplice
espressione capiamo una cosa e cioè che Gesù sta più in basso dei
suoi discepoli.
È o non è il Maestro?
Lo è certo, ma un maestro che si pone in una logica di servizio.
Capovolge la logica umana del privilegio, più o meno dovuto o più o
meno acquisito. Gesù ha fatto una scelta di vita: la vedremo meglio
nella catechesi di domani. Resta un fatto: è facendosi povero che
lui ha fatto tutto quello che ha fatto. Cosa fai per metterti in un
atteggiamento di servizio?
Già questo semplice gesto, annuncia qualcosa di nuovo: annuncia
l’agire stesso di Dio nei confronti dell’umanità. Un Dio che scende
in mezzo agli uomini, anzi più in basso. Da lì li vuole riportare
alla loro dignità di figli e figlie di Dio. Inoltre il gesto di Gesù
è tipico di chi prega, levando gli occhi al cielo: forse vuole
indicare dove dobbiamo cercare Dio dal momento in cui si è fatto
vicino all’uomo.
Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di
Dio!
Per prima cosa dobbiamo
chiederci e comprendere: chi saranno mai questi poveri definiti
beati da Gesù di Nazareth? Scartiamo immediatamente le posizioni di
chi sostiene che Gesù con questa beatitudine volle esaltare la
miseria. Esattamente l’opposto: Gesù venne a portare la vita in
abbondanza, la vita eterna (Giovanni 6,30-40). Non si tratta nemmeno
di vedere qui se Gesù parla dei poveri materiali o dei poveri
spirituali: dice poveri, senza aggiungere nient’altro. Gesù proclama
beati i poveri non perché sono buoni, bravi o altro. Li chiama beati
perché Dio li ha scelti, li ha prediletti essendo loro in una
situazione che li porta a essere bisognosi di tutto. Il punto da cui
Dio parte per essere dalla loro parte non è il loro merito,
piuttosto il loro demerito; nemmeno la loro amabilità ma la loro non
amabilità; e nemmeno dalle loro qualità, piuttosto dal loro bisogno.
I poveri a cui Gesù si riferisce sono tutte quelle persone che hanno
come unico sostegno quello di Dio che non si vergogna di sporcarsi
le mani con loro anzi si fa uno di loro, che non si vergogna i
nascere in una grotta e di morire come un malfattore rifiutato,
fuori dalla città. Nell’Antico Testamento la povertà era vista come
maledizione: ma quando si capì che spesso la povertà era causata da
uno stile di vita di alcuni che opprimevano altri le cose cambiarono
(Amos 4,1-3). Il ricco, sicuro delle sue ricchezze, non sa
accogliere il Sogno di Dio, gli bastano le sue cose ma non vede che
la GIOIA, la LIBERTA’ e la PACE vere che Dio solo dona e che solo i
poveri sanno cercare ed accogliere. Si tratta allora innanzitutto di
un messaggio di liberazione per non essere ‘idropici’ (Luca 14,1-6),
ovvero, pieni di se stessi, per accogliere quell’agilità spirituale
- chiamata normalmente povertà - indispensabile per poter passare
per la porta stretta (Lc 13,22-30). Si comprende come la povertà
cristiana sia una povertà che arricchisce e che porta un certo tipo
di benefici; una povertà che ci fa crescere, una crescita che
avvicina notevolmente a Cristo, che lo rende così profondamente
umano e quindi modello di umanizzazione. La povertà che propone Gesù
di Nazareth è liberante, permette andare in profondità, non si
accontenta del sistema dottrinale minimalista “non ho fatto nulla di
male” ma di intuire e giocarsi generosamente per quanto “bene posso
compiere e ricevere”. In definitiva si tratta di scegliere:
mantenersi ancorati ed imprigionati ai beni di consumo o di
investimento e rimanere assai tristi, oppure rompere - a volte con
difficoltà - i vari gioghi ed essere più autentici e liberi per
condividere con i fratelli e le sorelle che il Signore della Vita ci
colloca a nostro fianco. La beatitudine proclamata da Gesù, già di
per sé assurda, lo diventa ancora di più quando la si completa con
la sua spiegazione: i poveri sono beati perché a loro appartiene il
Regno di Dio. Ma da quando i poveri possiedono un regno? Non esiste
proprio … Ancora una volta il Sogno di Dio ci sconvolge, ci spiazza.
Occhio però: il Regno non è il regalino che Dio darà in un non ben
precisato futuro a chi oggi soffre, sarebbe una bestemmia affermare
questo. Il regno di Dio è una realtà già donata fin d’ora al povero:
il fatto che Dio dona il suo regno ai poveri deve essere il motivo
per cui realmente ci s’impegna contro ogni ingiustizia e ogni male
dell'uomo, che viene dalla sete di possesso e di potere a tutti i
livelli, che esclude dal Regno. Il modo di questa ‘lotta’ ce lo
indica Gesù stesso con la sua scelta di vita povera attraverso cui
si prende cura di chi sta male (Luca 7,22).
In piedi voi poveri, perchè vostro è il Regno
di Dio!
Così direbbe
Don
Tonino Bello (fu vescovo di Molfetta e presidente di
Pax Christi). Il desiderio
di Gesù è innanzitutto quello di ridare dignità all’uomo, quello di
rimetterlo in piedi. Da sempre il Regno di Dio rappresenta la somma
dei desideri, delle attese e delle promesse di Dio: è il Regno del
Padre, in cui tutti noi, come fratelli e sorelle, siamo chiamati a
crescere e ad impegnarci per la sua realizzazione. Va da sé quindi
che tutto ciò che va contro la fratellanza universale, la giustizia,
la dignità, la pace, ... va anche contro il Regno. A noi di fare la
scelta che ora come mai è questione di vita o di morte …
per TUTTI!!!
Per la tua riflessione personale
-
Quali zavorre ti appesantiscono e t’impediscono di metterti alla
sequela di Gesù con maggior intensità e decisione?
-
Quali possono essere invece le ricchezze che Gesù ti presenta e
già ti ha donato per seguirlo?
-
Mi
sento figlio/a amato/a da Dio?
-
La
realtà di essere fratello o sorella di ogni essere umano,
rivoluziona e trasforma le mie relazioni interpersonali?
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La gioia e la vita
(10 agosto 2005)
Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di
nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere
quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla,
poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per
poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare
di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli
disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a
casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia.
Vedendo ciò, tutti mormoravano: «E' andato ad alloggiare da
un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore:
«Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se
ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù
gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa,
perché anch'egli è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo
infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
(Luca
19,1-10) |
Zaccheo
Il nome Zaccheo significa “ Il giusto”
o “ Il puro”. Colui che veniva chiamata così era un ebreo di razza e
di religione, ma apparteneva a quella categoria d’uomini che i
farisei consideravano impuri. Era pubblicano, anzi un capo dei
pubblicani e occupava per conseguenza un posto importante alla
dogana di Gerico. Gerico era un luogo di transito. In questo luogo
di transito ed un esattore di tasse d’imposte non mancavano le
occasioni per arricchirsi a spesse delle carovane dei mercanti,
tanto più le tariffe si prestavano ad un grande elasticità. Sembra
che Zaccheo avesse approfittato della situazione; era ricco. Le sue
funzioni lo mettevano con troppi viaggiatori per non aver sentito
parlare di Gesù e dei suoi miracoli. Gesù attraversava Gerico e
tutta la città si muoveva al suo passaggio, Zaccheo non può
resistere al desiderio di vedere con i suoi occhi il profeta così
celebrato. Zaccheo essendo piccolo di statura; sperduto tra la
folla, non può tenere vista di Gesù. Allora corre davanti e si
arrampica velocemente su di un sicomoro. Da quest’osservatorio
improvvisato da Zaccheo contempla la sfilata, cercando di
distinguere Gesù in mezzo ai suoi discepoli, quando bruscamente il
suo sguardo incontra quello del profeta che desiderava vedere. Gesù
si è fermato davanti al sicomoro e interpella il pubblicano con il
suo nome, “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa
tua.”. Come accadeva abitualmente, ai funzionari delle imposte
nell’antichità, Zaccheo non godeva del favore popolare, e un
mormorio di disapprovazione accolse dalla folla, la notizia del
privilegio accordato ad un peccatore. Zaccheo non perde tempo, in
fretta scese e lo accolse pieno di GIOIA. Egli e pieno di gioia di
avere nella sua casa colui che tutti stimavano come il grande
profeta, la presenza di un ospite che onora. Zaccheo, siccome
sensibile al mormorare della folla, non vuole lasciarlo entrare
prima di dargli l’assicurazione di avere davanti un uomo onesto e
preoccupato di riparare i torti commessi nel passato. Fermatosi per
parlare, dichiara l’uso che farà dei suoi beni, “ Ecco il Signore
che do la metà dei miei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno
restituisco quattro volte tanto.”. Tale risoluzione è il segno del
cambiamento interiore prodotto in Zaccheo dalla presenza di Gesù. La
vera gioia che libera l’uomo dalle schiavitù della ricchezze e
delle cose e dà la salvezza.
L’incontro con Gesù
L’incontro con Gesù e trasformante. La
sua presenza vuol mostrare alla folla che Zaccheo (il giusto) pur
restando pubblicano, è ora un uomo nuovo, “oggi la salvezza e venuta
in questa casa”. Questo è la genesi della gioia. L’incontro
responsabile. Lo sguardo interpellante di Gesù non vuole più parole,
Zaccheo lo capisce ed il suo agire seguente mostra una libertà
acquistata nell’incontro con Gesù. Non pensa cosa potevano dire di
lui gli altri pubblicani, è pronto a condividere quello che ha. Papa
Benedetto XVI, ha ricordato i giovani l'invito del papa precedente
di non avere paura di incontrare Gesù, dicendo che non è vero che in
Gesù si perde la libertà invece si guadagna una libertà pieno di
gioia perché in lui troviamo il significato di tutto ciò che siamo
e ciò che facciamo e questo è l’esempio dell'incontro con Zaccheo.
Egli non cerca più la sicurezza nei suoi beni. Il suo nome non
cambia, ma acquista il vero significato che aveva perso a causa
della sua funzione. Ogni Cristiano è chiamato a quest’atteggiamento,
a riconoscere l’altro come fratello e sorella e nel suo sguardo lo
sguardo di Gesù.
Accogliere Gesù
L’incontro con Gesù non è solo andare
con lui ma chiede anche la risposta. La folla lo seguiva e non
permetteva a Zaccheo a vederlo anche nell’episodio del giovane
ricco, se ne andato via triste perché aveva il suo piano particolare
e non poteva accogliere quello di Gesù. Luca ci dice che Zaccheo lo
accolse Gesù pieno di gioia perché riconosce se stesso in lui si
riacquista la sua immagine, figlio d’Abramo. Paolo nella lettera ai
Galati ci dice noi che siamo seguaci di Cristo siamo figli della
promessa, figli di Abramo.
Dov’è il segreto della gioia?
L’agire di Zaccheo, contiene un
insegnamento essenziale ed esso riguarda l’atteggiamento verso la
ricchezza e verso ai poveri. L’iniziativa conforma alla dottrina
evangelica sulla ricchezza. E’, benché possiede ancora grandi averi
entra a far parte dei poveri in Spirito. Nonostante apparenze
contrarie, ora è un figlio d’Abramo, figlio della promessa( Gal
3:29). Dal peccatore è diventato giusto, “ Il figlio dell’uomo
infatti è venuto a salvare ciò che era perduto”. Da questo punto di
vista, per essere compresso bene l’episodio di Zaccheo va letto
sullo sfondo dei due brani che lo precedono immediatamente nel
vangelo di Luca: la parabola del ricco e Lazzaro( Luca 16:19-31) e
la parabola del giovane ricco( luca 18:18-23). L’evangelista ha
intesso con questa disposizione un’idea esatta e completa del
pensiero di Gesù interno alle ricchezze. La differenza tra Zaccheo e
il ricco ( nella parabola del ricco e Lazzaro) è che questi
rifiutava al povero perfino le briciole che cadevano dalla sua
mensa, L’altro dà la metà dei suoi beni ai poveri, l’uno usa dei
suoi beni solo per se e per i suoi amici ricchi che li possono dare
il contraccambio; l’altro usa dei suoi beni anche per gli altri. Il
segreto resta nel conoscere che tutto viene da Dio il ricco per
eccellenza, possedendo tutto ha dato tutto per il bene e la gioia
delle sue creature; l’aria. Il sole, la pioggia senza neppure
guardare chi ne è degno e chi non ne è degno. Qua la nostra libertà
è messo in luce, o siamo liberi o non siamo di fronte alle nostre
ricchezze. Le nostre ricchezze sono varie e non possiamo stare
lontano come i farisei (Luca
16:14-15, I Farisei che erano attaccati al denaro ascoltavano tutte
queste cose e si beffano di lui. Egli disse “ Voi vi ritenete giusti
davanti gli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori..) pensando
che il problema delle ricchezze non ci tocca, infatti e qua che
resta la nostra gioia. Riconoscere i nostri doni nel incontro con
Gesù ed essere pronta/o a condividere con gli altri o ad usare per
il servizio degli altri. Nel incontro con Gesù il giovane ricco
riconosce che era troppo ricco ma non era pronto a condividere
quindi restò triste, il ricco che festeggiava mentre Lazzaro lo
vedeva non si è reso conto per niente che c’era un uomo bisognoso
ma era uguale ai cagnolini, invece Zaccheo lo riconosce se stesso e
la presenza del povero bisognoso davanti solo nel incontro con Gesù.
La vita
Non basta solo un giorno esperimentare
la gioia ma è una scelta della vita. Il fatto che Zaccheo promette
a Gesù di condividere con i poveri la metà dei suoi beni non
significa solo in quel giorno perché c’era con Gesù ma riconosce
che ci vuole una conversine interiore, radicale nel seguirlo. Il
giovane ricco non poteva perché quello che desiderava non era quello
che voleva vivere. Un richiamo a vivere come coloro che sono
salvati, “ oggi la salvezza è entrata in questa casa”. Essere
Zaccheo ogni giorno, arrampicare al sicomoro, lasciare quello che ci
prende per riflettere sulla nostra vita e la nostra relazione con
Dio e l’altro. Nella riflessione ci accorgiamo che siamo limitati “
piccoli nelle strutture” o la fola in torno a noi, i nostri amici
anche i parenti che non ci permettono a vedere Gesù o a causa degli
altri ( della società che propone le scelte contrarie) che luca lo
chiama la folla o il nostro individualismo simbolicamente essere
piccoli nella statura come Zaccheo nei nostri beni. Tutto questo è
superato quando lo mettiamo in azione il nostro desiderio di vedere
Gesù , cercare di vederlo. L’incontro con Dio nella preghiera non ci
lascerà arrampicati sul sicomoro per sempre ma dopo averlo visto il
suo sguardo ci invita a scendere e a fare qualcosa concreto.
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Insieme nei crocevia della
storia
(15 agosto 2005)
“La vita
comunitaria non è fatta semplicemente di. spontaneità, ne di
Libertà. La vita comunitaria è una meravigliosa avventura.
È creare
un luogo dove ciascuno abbia il diritto di essere se stesso. Mi
auguro che molte persone possano vivere questa avventura
che è
poi quella della liberazione interiore, la libertà di amare e di
essere amato”
Jean
vannier
Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e
nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle
preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni
avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano
diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in
comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne
faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni
giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il
pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di
cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.
(Atti
2,42-47) |
Il manifesto della prima comunità cristiana
Oggi la gran parte dell'umanità che viene esclusa, “coloro che non
dovrebbero lasciar dormire” interrogano il nostro essere ‘isola
felice’... Sono gli esclusi dal sistema di un’economia ingiusta
(perché sfruttati a basso costo) ed equa e per tanto vittime
continue della disgregazione e inumanizzazione più assurda. Bisogna
decidersi a ripartire dagli ultimi che sono il segno drammatico
della crisi attuale dove gli impegni prioritari sono quelli che
riguardano la gente tuttora priva dell’essenziale: la salute, la
casa, il Lavoro, li salarlo familiare, l'accesso alla cultura, la
partecipazione. Demoliremo innanzitutto gli idoli che ci siamo
costruiti: denaro, potere, consumo, spreco. Riscopriremo poi i
valori del bene comune. Ritroveremo fiducia nel progettare insieme
il domani e avremo la forza di affrontare i sacrifici necessari con
un nuovo stile di vita. OGGI, la prima comunità cristiana ci
raggiunge con un bei messaggio. Ci lasceremo invadere dalla NOVITÀ
per attuare come OCCUPATI nel progetto di saper amare ? Chi sono gli
ultimi della nostra città? Sappiamo tutti che le nostre chiese
possiedono il catalogo delle opere d'arte in esse contenute,...ma le
nostre parrocchie possiedono anche il catalogo aggiornato dei
poveri, tesori di Cristo?
Luca, negli Atti degli Apostoli, presenta un modello ideale di
comunità cristiana, che si basa sul dono della comunione,
sull'interiorizzazione della Parola, sull'orazione e celebrazione
eucaristica, sulla condivisione e comunione dei beni coi poveri,
nella gioiosa testimonianza. Nelle
prime comunità le strutture sono minime (el maxima de vivencia
en un minimo de estructuras) e non favoriscono relazioni giuridiche.
visioni piramidali, assenteismo o individualismo. Al contrario
promuovono vincoli d'amore e conoscenza reciproca, senso di
collaborazione e valorizzazione di tutti. In esse:
Ø
Le differenze delle persone sono mantenute e gli individui
comunicano nel dialogo
Ø
Ognuno ha un compito, ma allo stesso tempo tutti intervengono in
tutto
Ø
I conflitti non si superano con la solitudine; si accetta ad "
esporsi " volontariamente agli altri nel confronto e nella ricerca
di reciprocità.
Il movimento di Gesù s'incontra nelle casa, e come la casa ha
fondamenta e pilastri, così anche la comunità cristiana-casa si
regge e si fonda su questi quattro pilastri, come segni di una
fedeltà solida; Erano assidui:
Ø
Nell' ASCOLTARE l'insegnamento degli Apostoli (= la Parola di Vita)
Ø
Nella UNIONE - COMUNIONE FRATERNA (= il senso della Vita)
Ø
Nella FRAZIONE DEL PANE (= il Sacramento dell' Eucaristia)
Ø
Nelle PREGHIERE (= la relazione con Dio e con i fratelli)
La comunione nella solidarietà... in quali
CROCEVIA DELLA STORIA?
La solidarietà è
comunione di persone comuni. Ecco perché è cosi frequente e
scontata tra i poveri e così rara fra i ricchi ed eccellenze.
“Sentirsi ed essere persone comuni... essere e fare come loro è lo
statuto della comunione” (R. La Valle). Se essere come loro è lo
statuto della comunione, essere con loro. accompagnare cioè gli
esclusi dell'umanità in progetti di promozione umana è lo statuto
della comunità. Solidarietà è dunque comunione di persone comuni che
come comunità costruiscono il bene comune. La solidarietà come atto
politico non può quindi sussistere in una società individualista. La
specie umana ha un'originaria vocazione all'unità, alla fraternità,
alla vita comunitaria. La comunità è necessaria, com'è necessario
applicare ai rapporti economici, politici e sociali le modalità di
famiglia. Al di là dei vincoli di sangue e parentela, si può essere
fratelli e sorelle senza distinzione di razza, colore e cultura, ma
solo perché tutti siamo stati creati a immagine e somiglianzà di Dio
per cui tutti figli/e di uno stesso Padre che sogna che tutta la sua
famiglia viva unita nella gioia, nella pace, nell'amore fraterno.
“Lo
Spirito ha deciso di amministrare l'ottavo sacramento:
la voce
del popolo”
Pedro Casaldaliga
Domande per la riflessione personale
-
Rileggendo e meditando attentamente il testo degli Atti 2,42-47
cosa ti colpisce di più della vita delle prime comunità
cristiane?
-
Oggi, nella situazione in cui vivi, come senti che puoi creare
comunità fraterne perché i fratelli che incontri si sentano
accolti e abbiano una vita piena?
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RIFLESSIONI
Partiamo dalla fine. Cominciamo con
un volto, con un nome: Alvaro. Alvaro è uno degli oltre 300 ospiti
della mensa Caritas di Colle Oppio, zona centralissima di Roma, non
lontano dal Colosseo. Alvaro è un artista, ama parlare di musica
classica e arte e l’ultimo giorno lascia ad alcuni di noi, ma col
pensiero a tutti, un suo disegno a carboncino. A me tocca il foro
romano con l’arco di Tito disegnati dal vero a mano libera.Ci lascia
dicendoci che “gratuitamente ha ricevuto, gratuitamente ha dato” e
con l’amara consapevolezza che “con voi se ne va una piccola parte
della mia vita. Ma a me cosa resta?”.
Sono giorni di domande senza risposte, di incontri con il volto di
Roma scansato dai turisti, con Nicoletta di Bucarest, 18 anni, un
figlio in Romania e l’altro figlio dentro di lei che le ridisegna il
corpo e il volto ancora adolescenti. Incontri con Chiara, 4 anni,
anche lei ogni giorno in fila a Colle Oppio raccoglie i nostri baci
e ci stupisce con frasi da adulta, sgridando i suoi genitori che
litigano. C’è Antonio, nostro Cicerone in un pomeriggio tra i luoghi
simboli di Roma, Antonio che la sera ci ringrazia perché “mi avete
fatto sentire uno di voi” e l’ultimo giorno col suo immancabile
sorriso un po’ istrionico ci regala un fiore fatto coi tovaglioli.
E ancora Mohamed, Mario, Florin, le
molteplici storie che conducono a Oriente, a India, Bangladesh, o a
Sud, all’immensa Africa che racchiude i tanti etiopi, somali,
congolesi, centrafricani, liberiani che incontriamo. E l’America
Latina del sorriso di Miguel.
Incontriamo nel quotidiano la parola
di Gesù, quel “Beati voi poveri” che ci accompagna durante il campo.
Una beatitudine che non profuma di poesia e buonismo, ma che si
incarna in chi il piatto di pasta te lo getta contro, in chi tace di
fronte al tentativo di fare due chiacchiere e a chi sbotta e offende
suor Tarcisia.
Incontriamo il Dio dei senza Dio, un
Dio ateo, come ci testimoniava Daniele raccontandoci dei suoi 5 anni
in Perù, ateo perché crede prima di tutto nell’uomo.
E sono giorni di gioia, di canti, di
condivisioni profonde e amicizie che si intessono, di “Mani” e
“Unidos” o delle canzoni riscritte da Roberto.
Il tredici agosto, mentre mezza
Italia è in viaggio per la settimana di ferragosto, noi ascoltiamo
Teresino, generale dei comboniani, che con forza e ironia scandaglia
la figura di quel samaritano che “vede” un uomo incappato nei
briganti, “ha compassione” (=si fa sconvolgere le viscere), gli
fascia le ferite e vi versa olio e vino, lo carica su una giumenta,
ne ha cura (verbo femminile, che rimanda all’utero) e lo porta a una
locanda. E Teresino ci esorta quindi a vedere
à
sentire compassione
à
agire, creando in noi stessi e negli altri una mentalità-locanda
capace di accogliere l’altro, vedendo in lui innanzitutto un uomo,
proprio come il primo versetto della parabola.
Tarcisia nelle catechesi ci invita a
osare essere comunità, sull’esempio delle prime comunità cristiane
(Atti 2, 42-48), a metterci “nelle scarpe dell’altro”, secondo un
proverbio sudamericano; Jaime e John con ironia e disponibilità
quotidiana in punta di piedi (nella sensibilità come nei balli…)
sono con noi, mentre Manuel nell’ultima messa ci invia con il
vangelo di Luca: “non portate borsa, né bisaccia, né sandali. In
qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.”
E così ritorniamo alla fine, a una
fine che però ha il sapore frizzante e inquieto di un nuovo inizio
di cammino, perché germogli davvero una nuova umanità.
Chiara
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"Non si può amare a distanza,
restando fuori dalla mischia,
senza sporcarsi le mani,
ma soprattutto
non si può amare senza condividere"
(Don
Luigi di Liegro,
1928-1997
fondatore della Caritas di Roma) |
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