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COSA
SIETE VENUTE A FARE?
L’
estate è sicuramente per molti tempo di vacanze, programmate ed
attese dopo molte fatiche.
Ma
essendo il tempo un dono ricevuto da Dio che va vissuto in
pienezza, offrendolo gli uni agli altri noi abbiamo deciso di
trascorrerlo nel servizio, insieme a chi vive in situazioni
personali o sociali, fisiche o mentali di difficoltà, di disagio.
Allora
le vacanze non sono diventate un semplice far niente, ma un KAIROS,
un tempo opportuno e propizio per fare esperienze di solidarietà
e di servizio; per lasciarsi provocare da persone, storie, vite;
per leggere la propria vita con lo sguardo di Dio, nel mondo che
ci circonda, tante volte non conosciuto a fondo.
Infatti
ci siamo lasciate condurre, e mettere in discussione, da Giuseppe,
figlio di Giacobbe, che nonostante sia stato gettato in una
cisterna, venduto dai fratelli e imprigionato ingiustamente, è
sempre rimasto fedele a Dio e, grazie al Suo Amore, è riuscito a
perdonare chi gli aveva fatto del male.
E
così, in questi 12 giorni a Torino precisamente nella Cooperativa
Sociale Oltre di Rivoli, le nostre vite si sono incrociate con
quelle di tanti Giuseppe.
Questa
Cooperativa è nata come Centro di Ascolto con lo scopo di
accogliere le persone in difficoltà, offrire ascolto e dialogo
per chiarire la loro situazione e dare un aiuto immediato. Oggi
offre diversi servizi come la distribuzione di vestiario e viveri,
sostegno e collaborazione nella ricerca della casa e del lavoro.
Inoltre all’interno della stessa c’è un laboratorio che dà
l’opportunità di lavorare a chi ne ha bisogno e un Centro di
Temporanea Accoglienza che, in attesa di una sistemazione stabile,
permette di superare i momenti critici. Il suo motto molto
significativo è “Oltre un passato difficile, verso un futuro
migliore”.
Nel
corso della nostra esperienza estiva abbiamo inoltre avuto la
fortuna di sentire le testimonianze di tante persone che della
loro professione né hanno fatto una vocazione.
Ad
esempio due responsabili del Gruppo Abele, una che è a contatto
con tossicodipendenti e l’altra con le prostitute, sono state le
portavoce di questi ragazzi e ragazze che vivono nel buio, che
soffrono, che si aggrappano a qualsiasi cosa che faccia loro stare
meglio.
Abbiamo
incontrato anche il cappellano del carcere il quale ci ha fatto
comprendere come la vita in carcere non sia dignitosa e come il
carcerato stesso si sente solamente un numero, senza personalità,
inutile.
E
Cottolengo? Eh sì, don Giuseppe Cottolengo che ha aperto le porte
a quelle persone che avevano ormai visto solamente porte chiuse, a
cui era stato negato ogni aiuto.
E
infine, ma non di meno, abbiamo avuto l’occasione di far visita
al Sermig (Servizio Missionario Giovani), l’ARSENALE DELLA PACE
che si trova nell’ex arsenale militare, dove giovani e non solo
sono al servizio dei poveri e della pace attraverso una rete di
solidarietà sparsa in tutto il mondo. E’ stato molto toccante
vedere questo luogo che da creatore di morte è divenuto creatore
di Pace e che il forno con cui un tempo venivano fabbricate armi
ora è un tabernacolo contenente l’Amore. All’ingresso una
frase che lascia attoniti: “per entrare non bussare, è già
aperto” … e poi un pezzo di muro fatto di mattoni
rappresentanti i vari paesi coinvolti su cui è
scritto “la Bontà è disarmante”.
Molte
delle persone incontrate, meravigliate della nostra semplice
presenza ci chiedevano, “ma cosa siete venute a fare?” Noi
rispondevamo: ad AMARE.
Nicoletta
ed Anna
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“COSA
VUOLE IL SIGNORE DA TE?
Egli
vuole che DOVUNQUE tu vada possa sentirsi il buon profumo di
Cristo e che ti lasci scavare l’anima dalle lacrime dei poveri,
di coloro che soffrono e INTERPRETI L VITA COME DONO …”
Con
queste parole di don Tonino Bello si è concluso lo scorso giugno
l’ultimo incontro GIM e quale provocazione migliore di questa
avrebbe potuto spingerci a OSARE veramente il FUTURO nelle
esperienze indimenticabili dei CAMPI ESTIVI?
E
così sono arrivata a Torino. Ad essere sincera prima di partire
ero piena di dubbi. Sapevo che non saremo più andati a conoscere
e condividere la realtà delle carceri, ma ignoravo cosa avrei
fatto in quei 12 giorni di campo. Nonostante tutto c’era quel
DOVUNQUE di don Tonino che mi spronava ad impegnarmi per portare
con me l’infinitesima parte del profumo di Cristo da donare a
chi il Gran Capo aveva scelto do porre sulla mia strada.
E
con questo spirito eccomi assegnata al Centro S. Mauro, una
comunità del Gruppo Abele che accoglie per circa due anni madri
tossicodipendenti e spesso anche sieropositive, con i loro
figli, nella speranza di allontanare le donne dalla dipendenza e
renderle capaci di una buona relazione madre-figlio.
…
Dopo la prima mattinata in cui ci siamo un po’ ambientati,
eccoci “bambini tra i bambini”, forse un po’ troppo
cresciuti, lo ammettiamo, ma con tanta voglia di giocare e far
giocare.
Ci
siamo subito accorti infatti, che i nostri simpatici amici
desideravano da noi solo lo stare con loro, con una presenza
capace di offrire mille attenzioni, mille sorrisi, e in questo
modo ci hanno insegnato che molte volte, non è importante quante
cose sappiamo fare, ma ciò che più conta, è come lo facciamo,
come ci poniamo nelle relazioni …
Ma
la Comunità di S. Mauro, un vero dono per me, Anna, Annalisa e
Christian (che hanno condiviso con me questa esperienza) , aveva
in serbo ulteriori sorprese per ciascuno di noi: storie di
prostituzione, aborti, violenze e uso di droghe. E così, nel bel
mezzo di una mattinata d’agosto, mi sono ritrovata a
chiacchierare con un’ex prostituta, meravigliata che ragazze
“normali” (come ci ha definito lei), e non suore, facessero
volontariato… Non avrei mai immaginato di parlare di aborto,
fede, preghiera, gratuità, con una donna forse se non attratta,
ma per lo meno incuriosita da questo altro modo di vivere e di
vedere la vita, totalmente diverso dal suo, ancora molto legato al
triste passato che purtroppo ha ripercussioni negative anche nel
rapporto con la figlia.
…
Non avrei mai pensato di partire da Torino per lasciarmi mettere
in gioco da questa mamma ancora così lontana dal concetto che
solitamente si ha di una “mamma”, ma penso che attraverso
questo incontro il Signore mi ha gridato: “Ema, ti decidi o no a
rompere queste catene dell’indifferenza che ti impediscono di
incontrare veramente l’altro come persona, senza dare troppa
importanza agli errori più o meno gravi che si possono
commettere?”.
Così,
“costretta”, ho risposto … senza fere nulla di speciale, ma
semplicemente stando a S. Mauro con tutta me stessa.
…
E penso che attraverso la mia esperienza, la presenza di Christian,
di Anna, di Annalisa e di tutti coloro che quest’estate hanno
OSATO il loro FUTURO il Signore abbia voluto concretizzare le
parole di don Tonino: “… IL MONDO, ANCHE QUELLO IN DIFFICOLTÀ,
SI ACCORGERÀ CHE SU QUESTA NOSTRA POVERA TERRA IL ROSSO DI SERA
NON SI È ANCORA SCOLORITO”.
E
con questa certezza continuiamo a camminare nella speranza di
poterci unire a p. Lele dicendo: “CON L’INVERNO VADO CREANDO
PRIMAVERA”. Quindi non mi resta che augurare a tutti una buona
“primavera di PACE”, camminando con gli ultimi sulle strade
degli ultimi.
Emanuela
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Al
di là delle sbarre
"Al
di là delle sbarre” è stato lo slogan del campo di lavoro di
Torino che si è svolto dal 28 luglio all’8 agosto. Le sbarre in
questione, nella mente di chi ha pensato e organizzato il campo,
avrebbero dovuto essere quelle del carcere delle Vallette, nel
quale noi che abbiamo partecipato avremmo dovuto entrare, per
conoscerne la realtà e gli abitanti. Dico avrebbero perché in
realtà nel carcere nessuno di noi è potuto entrarci per cause di
forza maggiore. E’ stato quindi necessario andare in cerca di
altre “sbarre” da oltrepassare per non rinunciare del tutto a
questa esperienza di incontro con realtà emarginate, escluse e
spesso ritenute inutili se non pericolose dalla società civile.
La complessa e intricata situazione di una grande città come
Torino e dei suoi dintorni non hanno reso questa ricerca vana:
tossicodipendenti, anziani, ragazze madri, persone in difficoltà
per i motivi più diversi sono stati i protagonisti dei nostri
incontri in questi dieci giorni veramente intensi.
La
mia esperienza riguarda l’attività con gli anziani della
Residenza Assistenziale Flessibile di via Querro a Rivoli,
periferia di Torino. Assieme a Michela e Stefania mi è stato
proposto, tramite la cooperativa Oltre, che si occupa di vari
servizi di tipo sociale a Rivoli, di trascorrere le mattinate del
nostro campo come “animatori” con gli ospiti della RAF. Questa
è una struttura di recente costruzione, dall’aspetto molto
caldo e accogliente; ospita anziani non autosufficienti e disabili
medio-gravi, sistemati in due parti distinte della Residenza.
La
prima mattina che ci siamo recati lì per conoscere quale avrebbe
dovuto essere il nostro compito, abbiamo incontrato Cristina, la
giovane psicologa della Residenza. Dopo le presentazioni di rito e
una rapida presentazione della struttura, la prima raccomandazione
che ci è stata rivolta è stata di rivolgersi sempre con il
“lei” agli ospiti, in modo da portare sempre il massimo
rispetto e non cadere in banali atteggiamenti di sufficienza
mascherati da compassione. Sebbene con gravi difficoltà di
comunicazione e di movimento, avremmo comunque avuto davanti delle
persone con un’età superiore alla nostra, e quindi era giusto
mantenere verso di loro il rispetto
che si conviene comunemente con delle persone più mature.
Queste
parole mi hanno, perché mi hanno fatto riconsiderare l’idea che
mi ero creato su quel luogo: non un posto nel quale relegare
persone che ormai fuori non possono più vivere, bensì un luogo
nel quale queste persone vengano aiutate a mantenere quella dignità
che gli spetta nonostante l’età e le condizioni psico-fisiche.
A
noi fu chiesto di trascorrere la mattina facendo compagnia agli
ospiti; in particolare ci furono affidati Aldo e Carla, una coppia
di sposi, e Rocco. Questo perché si trattava di ospiti non ancora
ben inseriti nei ritmi della vita alla RAF e perciò più
bisognosi di qualcuno che stesse con loro. Da subito, però, molti
altri ospiti si sono uniti a noi.
Non
nascondo che i momenti in cui mi sono trovato in imbarazzo sono
stati molti: la comunicazione era difficile e i momenti di
silenzio frequenti. Tuttavia, col passare dei giorni, mi sono
potuto accorgere che stava nascendo un rapporto di amicizia e di
fiducia. Aiutandoci anche con il canto e la musica, un po’ alla
volta si è andata stabilendo un’intesa che andava oltre le
“sbarre” della mancanza di comunicazione orale,
dell’handicap fisico o della differenza d’età. Così al
mattino il nostro arrivo era atteso e festeggiato, mentre non
potevamo andarcene se prima non avevamo dato sufficienti
assicurazioni che il giorno seguente saremmo ritornati.
Ciò
che più mi ha stupito è il fatto che, in fondo, noi abbiamo
fatto veramente poco per loro, considerando anche tutto ciò che
invece fa il personale della Residenza. Tuttavia ho proprio
l’impressione che quel “poco” che noi abbiamo potuto
offrire, qualche ora in compagnia, due parole scambiate, un paio
di canzoni con la chitarra, una passeggiata in paese, fosse
proprio ciò di cui essi avevano bisogno, al di là
dell’assistenza fisica che, purtroppo anche se necessariamente,
a volte non comporta anche un’assistenza emotiva.
A
livello personale, questa esperienza mi ha fatto riflettere su
come spesso consideriamo gli anziani: essi, tra i vari
“piccoli” della nostra società, sono forse i più piccoli. Da
loro, infatti, non ci si può più aspettare granché, sono alla
fine della loro avventura, per qualcuno poi sono solo un peso.
Inoltre un rapporto con una persona anziana, per di più invalida
o con disturbi mentali, richiede enorme pazienza e disponibilità
ad accettare anche l’insuccesso o il rifiuto. Sono questi dunque
gli atteggiamenti che più di tutti ho sperimentato in quei
giorni.
Credo
inoltre di aver capito un po’ meglio cosa voglia effettivamente
dire “amare il proprio prossimo”: non significa compiere gesti
clamorosi, bensì avere l’umiltà di stare da Persona insieme a
delle Persone, al di là di quelle barriere esteriori che spesso
ci portano a presumere di essere su piani diversi. E questo nella
consapevolezza che ciò che secondo noi ci rende più fortunati di
altri, impallidisce davanti alla vera fortuna di ogni uomo,
l’amore che il Padre ci dona perché ci sentiamo tutti veramente
fratelli.
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L'opportunità
di essere in "Crisi"
“CRISI”
è una parola forte, carica molto spesso di negatività e di
mancanza di prospettive. È la crisi che ti porta sull’orlo
dell’abisso, che ti fa vagare nel buio senza che all’orizzonte
si intraveda alcun bagliore. Ma nello stesso tempo è la stessa
Crisi che ti espone al cambiamento, che ti può permettere di
ritornare alla Vita, là dove la luce del Sole brilla più forte e
riscalda un’esistenza che stava per spegnersi.
“Centro
Crisi1” incarna questa duplice dimensione. È una struttura di
prima accoglienza, del Gruppo Abele di Torino, per i
tossicodipendenti che arrivano dalla strada… appunto persone in
piena crisi.
Persone
che non ce la fanno più, annientate dalla droga e stufe di avere
come compagni di sopravvivenza espedienti, delinquenza e
soprattutto tanta, tanta sofferenza. Il centro Crisi diventa
l’inizio di un possibile quanto tortuoso cammino verso la
comunità, verso quella tanto famosa “uscita dal tunnel” che
però -ingiustamente- ben pochi hanno visto.
Qui
i ragazzi/e arrivano con dosi massicce di metadone a mantenimento,
che invece di ridurre il danno provocato dalle sostanze lo
aggrava. Questa sostanza sintetica, oppiacea distrugge più
dell’eroina: cronicizza la condizione di disagio e toglie al
soggetto le capacità recettive, riflessive, ideative e volitive.
Crea degli “zombie”. E il primo passo è proprio la terapia a
scalare del metadone, finalizzata all’avvio di un programma
socio-riabilitativo.
Ma
è solo incontrando le Persone, le loro storie, i loro desideri e
le loro emozioni che si può comprendere un fenomeno assurdo come
quello della droga. È solo mettendo in gioco e smentendo le
proprie “pre-comprensioni”, spesso veri e propri pregiudizi,
nei confronti di questi esclusi della società che si può cercare
di dare loro una via di salvezza.
E
allora scopri che ogni volto non è la colpa che ha commesso, le
scelte sbagliate che può aver fatto ma un’umanità che ha solo
una gran voglia di tornare a vivere.
Ernesto,
un utente del centro, ci ha accolto con queste parole: “Cosa
siete venuti a fare? Non mi va che siate qui, se volete vedere gli
‘animali’ potete andare allo zoo”. Al momento mi sono
sentito un reietto, ho provato una rabbia immensa e un senso di
nullità. Grazie Ernesto! Perché mi hai spalancato il cuore,
perché mi hai messo alla prova, perché mi hai permesso di far
parte per dieci giorni della tua vita. Da quel momento ho capito
che “l’esperienza droga” non è la causa iniziale di un
disagio, ma l’espressione finale di uno stato di profondo
malessere esistenziale. Ed è stato stupendo ritrovarsi due giorni
dopo questa sincera accoglienza a parlare con Ernesto, a
condividere insieme il suo dolore ma anche le sue speranze e il
suo impegno nel tentativo di cambiare; nel contempo anche lui ha
saputo ascoltare i mie giovani sogni, le mie motivazioni e mi ha
dimostrato quanta sensibilità necessita la Vita altrui.
La
realtà della tossicodipendenza è disarmante tocca moltissimi
giovani, senza risparmiare nessuno. Si va dal ragazzo abbandonato
a se stesso, al padre di famiglia, alla ragazza laureata in
medicina e catechista che decide di farsi un’overdose e farla
finita.
Noi
però, società che esclude, togliamo loro ogni giorno un pezzo
della legittima possibilità di rivincita che hanno diritto ad
avere. Escludiamo, rinchiudiamo, etichettiamo… priviamo la vita
altrui.
Sono
i ragazzi della Crisi che ti trasmettono la logica del Vangelo,
che ti fanno vedere quel Dio crocifisso che è anche il Dio della
Vita.
Ed
è stata una donnina minuta, all’apparenza fragile, un esempio
concreto di una vita cristiana vissuta in pienezza. Margherita,
questo è il suo nome, insieme a don Ciotti vive ancora appieno
l’ideale della “missione in strada” che ha caratterizzato il
gruppo Abele fin dal suo inizio. In lei il messaggio profetico del
Vangelo si è fatto scelta di vita radicale. Una donna dalla fede
e dalla personalità immense, che non ha paura di stare fuori dal
pensiero comune per rimanere nella minoranza con uno sguardo
critico ma sempre aperto all’incontro e alla condivisione. Come
diceva don Milani “Bisogna far strada ai poveri senza farsi
strada ” e Margherita c’è sempre per tutte le persone che
a lei chiedono di non essere lasciate sole. Lavora ogni giorno in
silenzio, con dedizione e passione, voglia ed entusiasmo ma non
nel silenzio poiché si fa anche voce dei bisognosi e dei desideri
di queste persone, denunciando queste estreme situazioni di
sofferenza ed essendo una presenza scomoda.
Questi
incontri sono testimonianze di Dio e, trasmettono un grande
insegnamento che sta andando perduto in mezzo a troppa
superficialità: la Persona è relazione, attenzione, cura, amore,
reciprocità, dono; ciò non significa altro che farsi prossimo,
sentirsi mossi a com-passione.
Abbiamo
bisogno di far ritorno all’Umano, al cuore dell’Essere
vivente.
In
fondo solo Dio è Onnipotente, noi siamo solamente un’Opportunità.
Quindi non si tratta di salvare nessuno ma solo di concedere
un’Opportunità di vita – che è poi un’Opportunità
d’Amore. I ragazzi del centro Crisi e quelli ancora nascosti nei
meandri di una società lontana dalla persona si salveranno da
soli se vorranno ma noi dobbiamo concedere loro questa Opportunità,
riducendo un danno irreparabile: la morte. Non basta vivere per se
stessi ma occorre che ogni vita abbia la possibilità di vivere.
Ci
siamo talmente abituati alla debole luce delle lampadine che non
siamo più in grado di reggere la bellezza della luce del Sole;
rischiamo, se non lo siamo già,
di diventare “dipendenti” del troppo benessere e
disinteresse, lasciando che su tutto si depositi uno strato di
noia e di 'fatica di vivere' per cui l' oggi e il domani sembrano
senza prospettive...sempre uguali a se stessi. I filosofi
esistenzialisti hanno descritto benissimo questo stato d'animo: l'
inaridimento del cuore e del desiderio. Questa nostra
‘dipendenza’ non ci permetterà di avere mani pronte a
sporcarsi, occhi per vedere e orecchie per ascoltare chi sta
lanciando l'ultimo, tragico grido di vita e di desiderio di
vivere.
Dobbiamo
continuare a credere e a lottare per far riemergere le potenzialità
presenti in ogni uomo. Diamo ogni giorno il nostro Sì alla Vita,
all’appello della speranza e della dignità e anche la vita dei
ragazzi del centro Crisi verrà recuperata con la vita.
KARIBU
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