Ho incontrato il
Perdono |
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HO
INCONTRATO IL PERDONO Spesso chiediamo che sia fatta giustizia, in nome di un vivere più sicuro e civile, nei confronti di chi commette un’offesa. C’è ogni volta il rischio di cadere nel “buonismo” che giustifica tutto e tutti oppure nel lasciar prevalere la vendetta sul perdono. La nostra cultura sembra essere ammalata di cinismo, di egoismo, di esaltazione della prepotenza. Ogni reazione violenta per opporsi al male è considerata legittima, dovuta, ne consegue che ogni proposito di perdono assume un significato di debolezza, di rassegnazione. Ma esiste ancora la Giustizia, o meglio esiste ancora il dono del perdono, che ormai sembra essere un sentimento in disuso ? Ancora
una volta sono i poveri che ci danno una risposta, che ci interpellano con
la loro testimonianza di vita. Ascoltiamo questa storia. “
Il West Pokot , regione a nord - est del Kenya confinante con l’Uganda,
è una zona semidesertica dove le condizioni di vita sono estremamente
difficili: il calore del sole cuoce perfino le pietre, i fiumi e l’acqua
sono una rarità, tranne le tipiche acacie crescono solo arbusti con
spine, solo ogni tanto qualche rosa del deserto colora di vita il
paesaggio. Qui
vive Rael, una donna Pokot. Madre di sette bambini, possiede una casa
piccola e umile, fortunatamente in muratura anche se non troppo robusta.
All’interno si sente lo scricchiolio della lamiera che si dilata per il
troppo caldo: l’aria sembra mancare. Ha avuto due mariti, il primo è
stato vittima di “ukimwi”, letteralmente la vergogna caduta sulla
terra, ovvero l’AIDS mentre il secondo ha abbandonato la famiglia
attratto dal richiamo della città. E’
una donna straordinaria che ha saputo trovare dentro di se il coraggio e
la forza per andare avanti, per allevare i suoi figli e per sopravvivere. Ultimamente
gli hanno rubato i cinque asini, unica ricchezza che possedeva, che la
aiutavano a trasportare le taniche piene di
acqua dal fiume a casa: ora è costretta a farsi la strada a piedi
tre volte al giorno; i suoi figli fanno a turno per aiutarla. Anche i
sacchi di mais ora vanno portato a sulla testa. E poi in caso di necessità
estrema, poteva sempre salvarsi vendendo un asino. Le
“autorità locali” sono a conoscenza del furto e dopo pochi giorni
comunicano a Rael che è stato acciuffato il ladro ma degli asini non c’è
più nessuna traccia. Comunque le chiedono di partecipare al
“processo” per poter accusare quest’uomo. Il
furfante davanti all’assemblea giudicante si dichiara colpevole ma in
molti conoscono la sua situazione: la moglie è malata e i suoi tre figli
sono ancora piccoli. Ha dovuto rubare per tentare di curare sua moglie e
per comprare del cibo, che non sia il solito disgustoso mais bollito, per
sfamare i figli. Ma nonostante tutto deve pagare per il suo atto, questa
è la decisione. Ma… Rael non la pensa così. Lei voleva indietro i suoi cinque asini, che oramai sono stati venduti. Però sono diventati ricchezza per chi sta peggio di lei e dei suoi figli: per quel padre in grave difficoltà. Chiede che a questo ladro sia concesso il dono della libertà, perché altrimenti per la famiglia di quest’uomo non c’è più nessuna speranza di vita futura. L’assemblea è stupita dalla richiesta di perdono della donna ma la libertà viene concessa. Per una volta giustizia è fatta. ” Siete
ancora d’accordo che il perdono sia indice di sottomissione, di
debolezza ? Il grido di Cristo sulla croce che assicura perdono ai suoi
uccisori, è il lamento di un debole o l’invocazione di un forte? Il
perdono promuove il valore del bene, della verità. Se
non siete sicuri chiedetelo ai poveri. Chi ha conosciuto Rael
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