Kenya, 13 luglio - 7
agosto 2001
Habari
gani?
Cominciano
così le giornate in Kenya, chiedendo alle persone che s’incontrano per
la strada come va, che notizie, che novità ci sono. La notizia più bella
di quest’anno me l’ha data p. Daniele in una giornata di primavera
proponendomi un mese in Kenya con un gruppo organizzato dai comboniani di
Brescia. Non ci ho pensato due volte.
|
Ricordo
ancora l’emozione nello scorgere la savana durante l’atterraggio a Nairobi. Sono
partito per il Kenya con un sacco di idee, aspettative, immagini, desideri,
motivazioni. Avevo un estremo bisogno di capire, di vedere, di ascoltare. Perciò
mi sono promesso di mettermi in silenzio, spogliandomi di tutto il resto.
Il secondo giorno dal nostro arrivo, br. Pedro
(fratello comboniano) ci accompagna attraverso Kibera, la più grande
baraccopoli di Nairobi. Quando sentiamo parlare delle baraccopoli di Nairobi,
spesso pensiamo ad Alex, a Korogocho. Ma Korogocho è una piccola parte di
Kariobangi, un grandissimo slum delle periferie di Nairobi, il quale è uno fra
altre baraccopoli che circondano un piccolo e ricco centro. Kibera in un terreno
esiguo raccoglie tra le 500.000 persone. Si sente spesso parlare della famosa e
calorosa accoglienza africana, ma entrando per gli impossibili cunicoli di
Kibera, tra i rigagnoli di rifiuti organici, nulla di tutto ciò avviene. La prima sensazione è quella di
sentirsi sporchi, pur nei vestiti ancora lindi che avevamo addosso. Il senso di
colpa nel vedere la miseria, ammassata tra baracche in lamiera, fango e sterco,
è forte. Vorresti denudarti, offrire ciò che hai, ed una frustrazione immensa
ti porta alla confusione e smarrimento più totale. Gli sguardi delle persone
alla presenza di noi wazungu (uomini bianchi) li sentivo addosso come spine. Non
c'era nessuna gioia nel vedere lo straniero, le espressioni dei baraccati
trasudavano rancore. Per la prima volta ho capito cosa significa essere straniero,
extra-comunitario.
Africa:
da una parte evochiamo l’estrema miseria che affligge la gran parte del
continente, dall’altra i colori, la musica, la bellezza e la voglia di
vivere. Entrato a Kibera crolla l’immagine del povero, pieno di voglia
di vivere e sempre pronto ad accogliere tutti.
La logica del povero ma
contento pare non valere più. La gente è arrabbiata con tutto e con
tutti. Lo senti nella pelle, assieme ai sensi di colpa che ti si
avvinghiano addosso. Io sono solo un bianco, con i soldi, con in tasca il
biglietto aereo del ritorno.
|
|
E’ questa l’etichetta che hai
appiccicata in fronte. Solo i bambini felici e incuriositi ti saltavano addosso
e ti salutavano in coro: How are you?!. E attraversare queste “strade”
irreali senza fermarsi a capire è ancora più struggente. A volte mi sentivo
ladro della loro immagine, sentivo difficoltà nel vedere come la sofferenza,
l’intimità delle persone che ho incontrato, fosse tutto per strada. La beffa
è poi ai confini dello slum alzare la testa e vedere oltre ad un muretto un
verde e rigoglioso campo da golf. E’ stata una partenza dura che ho dovuto
rielaborare per tutto il viaggio e ancora adesso. Per questo sono stati
indispensabili i missionari e tutte le persone che ho incontrato e che hanno
avuto la pazienza di tentare di spiegarmi, di aiutarmi a capire. |
Sono
partito anche con un bagaglio di aspettative, di immaginazioni su cosa vuol dire
missione, su cosa significa essere missinorario. Mi si è aperta davanti agli
occhi un vasta realtà complessa fatta di incontri e scontri sui motivi e sulle
modalità di vivere la vita per l’annunciazione di Cristo e la promozione
umana in Kenya. Ancora una volta le testimonianze e gli incontri con i
missionari sono stati arricchenti e stimolanti, profeti che anche in silenzio
portano avanti lotte, tra piccole conquiste e fallimenti.
Con
una grande voglia di cambiare, di sete di giustizia, di bisogno di equità
sociale, desiderosi di assumersi compiti per migliorare le cose, cadiamo nella
tentazione di voler risolvere tutto, aiutare, di individuare le cause quattro e
quattr’otto, identificare i progetti e via, non c’è tempo da
perdere…Sappiamo già chi additare per le colpe, un’economia internazionale
completamente pazza e priva di logiche umane, l’insidiosa corruzione in ogni
angolo delle istituzioni (il Kenya tra l’altro è uno dei primi paesi in
classifica per corruzione al mondo).
Il
lavoro di molti missionari invece è silenzioso, pur continuando un lavoro di
denuncia del nostro impero. Si ama la propria gente, e si annuncia con gioia il
Dio della speranza.
Mogotio
ad esempio è una parrocchia con moltissime cappelle, anche nei villaggi più
sperduti. Ma nelle messe anche in piccolissime chiese, una forte intimità fa
dello spezzare il pane una festa, un’intensa celebrazione di Cristo. Presente
nella vita di tutti i giorni, dalla mattina alla sera. Dove lo spezzare il pane
significa condividere, con difficoltà, ma con sincerità. Tutto viene portato
all’altare senza indugio, anche i peccati ed i momenti duri della comunità.
E’ profondamente arricchente come la vita dei giovani, in ogni momento della
giornata, e con sentimento indescrivibile durante i momenti di preghiera, sia
pregna della presenza di Dio, che si sente vicino nei momenti di felicità e di
festa, e fortissimo segno di speranza nelle insidie più concrete della vita.
|
Vivendo
la vita della comunità, condividendo momenti preziosissimi, ti si scioglie
il cuore nei giochi con i bambini davanti alle missioni.
Nell’immaginario della missione africana non possono mancare i bambini.
Sono tantissimi, felici e sorridenti quando ti vedono. Pur vivendo
spesso delle situazioni famigliari incredibili, a volte disastrate, con un
padre disoccupato ed una madre che deve far tutto per i figli e per il
marito. Come non lasciare il cuore a quei piccoli che sono il futuro del
Kenya, sempre contenti di
giocare con te, ti saltano addosso, ti prendono per mano, ti tirano i
capelli e ti fanno rincasare completamente coperto di polvere e della
gioia di vivere che inevitabilmente ti trasmettono.
Entrando
nei villaggi più sperduti l’accoglienza è spiazzante. Ricordo con
onore quando in un villaggio turkana una decorosa vecchietta accennò nel
saluto una danza,sono rimasto commosso e molto grato |
Quanto
c’è da imparare nella vita di comunità di ogni missione in cui abbiamo
vissuto assieme momenti importanti. Mi porto a casa degli insegnamenti
fondamentali,
su ciò che è il midollo della vita: Dio, la comunità, le relazioni. Relazioni
che sono fatte di “corpo e anima", di "carne e sangue”, di intensi rapporti emotivi. Non si esiste come
individuo, ma come “parte di”. La relazione, la persona che si incontra è
più importante di qualsiasi cosa tu stia facendo nel momento in cui avviene
l’incontro. Tornando sento come una mancanza in questo senso. Siamo abituati
ad intessere moltissime relazioni, ma fatte esclusivamente di comunicazione, non
ci si scambia e condivide niente per davvero, anche in famiglia.
In
questo viaggio, nel West Pokot, abbiamo toccato la fantomatica
globalizzazione con mano. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare
degli operai che lavoravano il sisal (vedi foto) ed il caffè, nelle sconfinate
piantagioni del figlio del presidente Moi. La terra è incredibilmente
fertile, ci si potrebbe piantare di tutto. Ma di quelle produzioni nulla
andrà in tasca ai contadini,
che hanno una paga che raggiunge un dollaro e mezzo al giorno se sono fortunati,
e che viene retribuita anche dopo mesi di duro lavoro. |
|
Si vive una costante
precarietà,
e per la maggior parte delle volte ci si sfama con il ricavato di un
piccolo pezzo di terra in cui si coltivano due patate, un po’ di mais e
fagioli.
|
In
queste lande di una bellezza indescrivibile, tra i giovani, da tempo, è
in corso un costante mutamento. C’è il miraggio educazione, con la
quale si pensa di poter trovare un buon lavoro, di vivere una vita
migliore. Alcune famiglie vendono quasi tutto per far studiare i figli.
Anche i giovani keniani vogliono un futuro “occidentalmente inteso”.
Sono abbagliati dalla vita diversa, non sempre il pensiero di vivere una
vita portando a pascolare due mucche è allettante. |
Nasce il desiderio di
una
vita all’insegna del consumo, della posizione, il miraggio della bella
esistenza comoda, dei soldi, dello stile di vita del nord del mondo.
Le
ragazze scorgono il mito dell’emancipazione. In alcune zone rurali come
il West Pokot si devono sposare giovani, non scelgono neppure il marito,
il quale delega loro il duro lavoro della terra e l’accudimento dei
figli. E pensare che noi fino ai venticinque/trent’anni viviamo
l’istruzione con svogliatezza, come se ci fosse dovuto. Prendiamo tutto
un po’ con calma, con sonnolenza, vivendo con un immagine del futuro indefinita
e lontana.
|
A
Korogocho termina il nostro cammino in questa terra. Tra i baraccati si scorgono
ancora espressioni di vita vissuta con difficoltà. Br. Hans ci diceva che la
cosa peggiore in quei luoghi non è la sporcizia o la povertà materiale, ma
difficoltà di vivere accatastati l’uno con l’altro, pochi metri quadri
ospitano famiglie intere.
Qua
vita e morte non sono concetti metafisici su cui si scrivono i libri, si
affrontano questioni teologiche, ma momenti costanti di ogni giornata. Una sera
con p. Alex ci recammo ad un battesimo in una delle baracche dello slum. Prima
di cominciare la celebrazione si apprese che la madre era morta pochi giorni
prima di AIDS. Ma si è celebrato con gioia il battesimo di John assieme ai
parenti che accolgono tra loro la nuova vita, tra canti e ringraziamenti al Signore, che pur nella sofferenza continua a fare miracoli: il bambino era sano.
Ci
prepariamo così per il ritorno, per lasciare Nairobi. Città che rappresenta il
mondo, fatto di un piccolo, vistoso e ricco centro; attorno al quale gravita uno
sconfinato popolo affamato ed impoverito.
(ai confini con l'Uganda)
Torno
in Italia con una grande ricchezza dentro, con un dono che non ci si può
tenere. Istintualmente vorresti restare là per capire, per poter donare
qualcosa di tuo dopo aver ricevuto tanto. Ora viene il tempo del rielaborare
questo intenso e stupendo mese. E’ il tempo di riorganizzarsi qua con le
persone, e fare un lavoro di autocritica della mia vita, della nostra vita. E’
il tempo di capire con che stile vivere ogni giorno, come e che cosa mettere al
centro di tutto. Buona missione ovunque voi siate…
Foto di Margherita, Giancarlo, Valentina
|