II GIM
Padova: Conoscersi,
Decidersi, Giocarsi in…Daniele Comboni (7-10
Dicembre 2000) Le nostre agende
sono diventate ormai il termometro personale che ci dà la misura di qual’ è
il nostro valore. Più sono affollate di incontri, conferenze, impegni e più ci
rassicurano circa il grado di importanza che ricopriamo all’interno della
società in cui viviamo. O comunque ci danno l’illusione di essere utili a
qualcuno, di essere “vivi”. Ma fermandomi a riflettere, scopro che spesso le
proposte che ci vengono fatte, scorrono via senza lasciare la minima traccia.
Altre volte gli incontri a cui partecipiamo non sono altro che delle specie di
pillole che prendiamo per far tacere la coscienza. Grande è il rischio, a
questo punto di sentirsi pure in diritto di giudicare gli “altri”, convinti
di aver acquisito il titolo di “persone per bene”. Infine a volte si ha la
grazia di ricevere inviti speciali, di cui si conosce spesso ben poco e che alla
fine si rivelano esperienze rivoluzionarie, che rompono insomma la nostra quiete e ci risvegliano dal nostro torpore.
E’ stato così per noi, del secondo Gim, in questo lungo week-end trascorso a
Limone sul Garda, ospitati dai comboniani, proprio in quella che fu la Casa
Natale del loro fondatore. Ci è stato chiesto fin da subito di fare silenzio,
intorno a noi, e dentro di noi, per poter ascoltare meglio la voce del Papi.
All’inizio si avverte sempre un po’ di disagio, ma abbiamo provato a
mettersi in un atteggiamento di fiducia e ci sono lasciati condurre. Dalla guida
di questi giorni, Padre Teresino Serra, che
con le sue proposte(..e con la sua simpatia) e con il colloquio personale
indirizzava verso una via precisa i nostri silenzi, ma soprattutto dal Papi. Che
appena ho fatto silenzio, e ho invitato ad entrare nella casa più intima,
quella del mio cuore, non si è fatto attendere. E più passava il tempo e più
questo incontro si faceva intimo. Più ascoltavo la Sua Parola, e meno avevo
nostalgia del vuoto chiacchierio quotidiano, che invece di dissetare e
rinfrancare l’animo, aumenta l’aridità del deserto e la nostra sete di
pace. Durante questa
convivenza abbiamo provato a conoscersi,
a fare chiarezza, a comprendere cosa il Papi vuole da noi, qual è la
nostra vocazione. Cercare la vocazione è cercare a chi apparteniamo, qual è il
nostro posto, dove ci sentiamo felici. Ma prima di ogni scelta occorre scoprire
chi siamo e come ci giudichiamo. E’ bello scoprire come Dio ci giudica sempre
bene, per Lui il nostro cuore è una terra fertile dove
semina i chicchi di grano. Purtroppo però, assieme al grano nel tempo
cresce anche la zizzania, che il Nemico ha seminato, causa la nostra complicità,
il nostro non vegliare. Ma non dobbiamo mai cadere nella tentazione di bruciare
tutto. Dio ha pazienza, e ci invita a confidare in Lui. Sarà Lui, al momento
opportuno a dividere il bene dal male, e dobbiamo ricordarci che il Bene è più
grande del Male!!!! Ci invita ad essere ottimisti!!!! Per
capire come possiamo nella quotidianità consacrarci a Lui occorre offrire a Dio
un cuore disponibile, umile, che si lascia fare. Il Papi non ci sceglie secondo
le logiche umane, per le nostre virtù, ma perché siamo poveri e liberi. Solo
un cuore libero, da ogni ricchezza, solo un cuore che non pretende di tenere per
sé nulla ma si dona totalmente, interessa a Dio. Occorre allora accettare che
Dio ci programmi, ci “sprogrammi” e ci ri-programmi di nuovo. Il nostro sì
a Lui è sempre da rinnovare, da rivivere. Non basta lasciare tutto
una volta sola, occorre farlo sempre, come stile di vita. Occorre
prendere come modello di umanità quella di Gesù, che è sceso a condividere
con l’umanità ogni cosa, fino a conoscere la morte più orribile, la morte di
croce. Noi siamo invitati come i discepoli di allora a partecipare ad un
cenacolo. Tutta la vita di Gesù è caratterizzata da cenacoli, la sua missione
inizia con un banchetto(le nozze di Cana) e finisce con un banchetto( L’ultima
Cena) . Ma per mantenere unito il cenacolo, per non uscire come Giuda da esso,
occorre avere alcuni punti fissi. Comboni ci invita ancora oggi a tenere “…sempre
gli occhi fissi in Gesù Cristo…”,
a contemplare il Dio Uomo e ad amare i crocifissi del mondo di oggi( i
lebbrosi, gli schiavi, gli abbandonati, i poveri), a occuparsi di essi. Occorre
poi, nella spiritualità comboniana, affidarsi alla preghiera,
che non è preghiera formula, ma preghiera del cuore. Entrare in confidenza con
Lui. Dare del Tu a Dio. Entrare nella sua mentalità. Celebrare l’Eucaristia
e viverla nella quotidianità, concelebrare tutta la giornata e non celebrare
solo un rito. Occorre trasformare le nostre vite in sacramento, riceverLo e poi
farsi corpi di Cristo per gli altri. Farsi cibo di bontà, di perdono. Entrare
in ascolto della Parola, non cadendo
nella tentazione di non fare mai meditazione. Un ascolto serio porta ad un
cambiamento della tua personalità, ti porta a Cristificarti, a imitare la
Vergine che ha incarnato il Verbo. La Parola ti giudica, ti stimola ti rivela.
Occorre poi avere un’anima con due caratteristiche: la libertà
e l’ottimismo. Libertà dalle
possessioni, dalle paure che possono sorgere, dagli affetti. Comboni ci invita a
uscire dalla paura di non farcela, di staccarci da cose a cui siamo molto
legati( i genitori innanzitutto, e per lui è stata durissima lasciare due
genitori anziani, che avevano perso sette figli, e dovevano perdere anche lui).
Se ci chiudiamo nelle nostre sicurezze non usciamo all’aperto e non vediamo
nulla di nuovo. E ottimismo. Essere ottimisti con se stessi, con gli altri, con
Dio. Ottimismo significa puntare sulle proprie virtù, sul fuoco che ci abita,
sul bene che il Papi ha seminato, e ricordarsi che è più grande dei nostri
limiti, difetti, paure! Occorre poi decidersi. Padre Teresino,
nella giornata di sabato ci ha invitati a vivere anche durante i pasti in un
clima di silenzio assoluto, per porsi ancor meglio in ascolto della parola e
confrontarsi ancora più a fondo con la spiritualità comboniana. Per capire
fino in fondo che cos’è per noi la missione, come la viviamo oggi e come
dovremmo viverla nel futuro assecondando i piani del Papi. In Comboni c’è
forte la spiritualità della Croce.
Che non è sacrificio, per conquistare il Paradiso, non è una croce fine a se
stessa, ma una croce “intelligente”, è uno strumento di sofferenza per
giungere al traguardo finale. La croce se vogliamo è come un ponte che ci
permette di evitare il burrone, è un mezzo per arrivare alla nostra meta. Per
Comboni questa meta è l’Africa che come dice in uno dei suoi scritti, si è
impadronita del suo cuore. E’ la croce che ci
consegna il Papi, e non quella che viene dall’insipienza. La croce insomma è
per Comboni, la fedeltà alla missione. Occorre portare poi nella propria vita
diverse croci. Dalla croce del peccato, che ci chiede una conversione per non
cadere nella tentazione di non sentirsi degni, alla croce del partire, del
lasciare il certo per un futuro incerto, una croce che ci invita ogni volta a
ripartire, a rinascere, ad azzerare tutto, a lasciare le nostre certezze… C’è poi la croce
del profeta, quella cioè di un uomo che ha il senso della Storia, che legge
bene il presente e si trasforma in un collaboratore di Dio. E’ colui che
annuncia cose contro il suo tempo, che la gente non vuole sentire, ma non ha
paura di difendere la verità, egli è libero da potenti e dai poteri. Ma
servire la verità porta a sopportare molte croci, a diventare un crocifisso, e
per questo i codardi non lo capiranno mai. Comboni comprendeva già un secolo
fa, in piena epoca colonialista che l’Africa doveva diventare protagonista di
sé stessa, la vedeva come un gigante che dormiva, ignorando le sue potenzialità.
Il profeta è dunque un uomo libero, umile, che non cerca la propria gloria, e
che scrive un Vangelo con la propria vita. Poi c’è la croce
del pastore, che si identifica con le sue pecore, lascia il suo mondo cioè per
entrare in un nuovo mondo e prova a farlo diventare suo. Occorre identificarsi
con i poveri, i poveri, come diceva Leonard Boff, sono un luogo di residenza. Ma
poi occorre muoverli verso nuovi pascoli. Non bisogna mai santificare la povertà.
Bisogna rimanere con gli oppressi ma lottare contro l’oppressione! Occorre
anche difendere i poveri, non scappare quando arriva la difficoltà, ma
rimanere, dimostrare l’attaccamento per loro! Infine occorre
affrontare anche la croce del tradimento, dei migliori amici, dei più fidi
collaboratori. Occorre farlo per amore, ancora una volta alla missione. Ma oltre a tutte
queste croci, che umanamente ci sembrano opprimenti c’è anche la speranza
!!! Il Papi in una mano ci mette tutte queste croci, ma nell’altra tante
gioie!!!! Nel nostro tempo c’è molta paura di soffrire e poca resistenza alla
sofferenza. Ma noi siamo chiamati, qualunque sia la nostra missione a soffrire
per amore!! Dopo essersi
conosciuti, ed essersi decisi, occorre giocarsi. Dopo aver intuito
qual è la nostra strada, occorre lasciare tutto, per ritrovarsi di nuovo.
Occorre partire, lasciare le nostre piccole sicurezze, le nostre catene, le
nostre tane, per andare incontro alla meta che dà un senso alla nostra
esistenza. Durante l’ultima giornata, abbiamo ricevuto alcune testimonianze di
vita missionaria. Una coppia di Gorno(BG), che ha deciso di aprire la famiglia
al mondo, adottando due bimbi africani, Serena, dalla Costa d’Avorio e Amadan,
dal Kenia, dopo aver avuto un figlio loro, Mir( che significa pace). Poi c’è
stata la testimonianza di Fratel Duilio, comboniano, che svolge ora il suo
servizio a Verona, come infermiere, dopo molti anni di Congo, infine Suor
Annamaria e PTeresino che ci hanno raccontato della loro vocazione e
delle loro missioni nel mondo. Non posso certo
dimenticare, come in questi giorni, ma in particolare durante la veglia di
preghiera di sabato sera, ho avuto
l’occasione di condividere i miei sentimenti, le mie intuizioni, con tutti gli
altri partecipanti alla convivenza. Davvero è stato emozionante percepire come
vi fosse una grande intimità fra di noi, e ho sperimentato in pienezza la
fratellanza( per me , figlio unico , è una grande grazia). Per concludere, ho
fatto insomma esperienza profonda di Dio, un Dio Vivo e Vero nella mia storia di
giovane e nella Storia dell’umanità. Un’esperienza di fede che
ha placato la sete di Amore, che solo il Papi sa placare. Ho scoperto
insomma che solo nel deserto della solitudine può fiorire un’oasi di pace.
Un’esperienza unica che spero ripetere e
che auguro a ogni credente desideroso di ritrovarsi e ritrovare una relazione
personale con Dio.
Federico ( II Gim Padova)
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