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“Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la
speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità.. Non è così facile parlare di Africa, ora. Già … prima parlavo di ingiustizia, di responsabilità, di Dio … Prima l’Africa era una, teoricamente differenziata al suo interno, ma unita sotto grandi problemi, questo grande, compatto, continente nero fatto a forma di cuore. Prima l’Africa era una terra arida e pericolosa, piena di insetti, di fetide zanzare e di animali mortali. Prima l’Africa era un bel sogno in cui cullarsi e sognare, combattere coraggiose battaglie per la sopravvivenza altrui e per la giustizia, in cui fare un’esperienza di missione. L’Africa … o l’America Latina. L’Africa è diventata un posto, un biglietto, una promessa … un gruppo … quattro incontri di formazione … e si è trasformata in un luogo diverso da come ce lo immaginavamo (noi in realtà pensavamo a qualche foto panoramica su Korogocho). Un prima spazzato via da dodici ore di viaggio. L’Africa è diventata l’aereoporto di Lomé, ora. Tanta gente, tanto colore, tanti colori, confusione, aria … aria di casa, nemmeno il muro di caldo afoso fuori dall’aereo era come me lo immaginavo. Da ora Novità Diversità Contraddizione Lacerazione Assenza di confine. Quando tutto è nuovo, è normale che tutto stupisca, tutto parli, tutto sia importante, tutto stimoli ogni millesima parte di me. C’è stato un momento in cui ero sazia di cibo che non potevo rifiutare, sazia di contraddizioni che non riuscivo a cogliere, sazia di parole, che mi sembravano inutili pesanti e offensive. Le novità anziché stupore provocavano sofferenza. Mi sembrava di avere già visto troppo, di non aver più diritto di rubare immagini sorrisi saluti tempo. Mi sentivo in colpa per ogni sguardo pensiero emozione. Mi domandavo con che coraggio potevo mostrare e addirittura essere felice … Anche la mia fede in Dio, la potenza di Dio, sembravano cose lontane, non vere o impossibili qui. Troppi nemici interni ed esterni che non vogliono che questa gente cambi la propria vita e la trasformi da lotta per la sopravvivenza a progettazione e vera cooperazione per una vita piena. Dittatura, FMI, BM, OMC, Debito Estero, Aggiustamento Strutturale, Embargo, qui diventano volti, storie, non questione di presa di posizione per principio, ma questione di vita o di morte. … e tu qui ti senti così piccolo e la tua vita così breve. Diventa ancora più chiaro il dovere e la responsabilità di scegliere in occidente tra bere Coca Cola o boicottarla … qui o ti becchi la dissenteria o ti indebiti per bere Coca. Diventa più chiaro che al Nord o sei con il Faraone o sei con Mosè. Qui o sei con il Faraone o hai buone probabilità di non esserci proprio. Qui … ora … Da ora silenzio, di contemplazione e rispetto come in un luogo sacro. Così è iniziata la risalita. Cercando disperatamente Dio qui, lasciando bruciare il fuoco che arde nel mio cuore e nelle mie ossa. Qui tutto parla di Dio. Il voudou che trabocca ovunque con i suoi feticci che proteggono e spaventano, racconta di un Cristo che follemente e scandalosamente è morto in croce. Le chiese innumerevoli di sette dai nomi più strani, raccontano di un Dio che libera dagli idoli e trasforma gli individui in popolo di Dio. Una dittatura che toglie libertà di pensiero parola e azione negando ogni diritto fondamentale e calpestando la propria legge, racconta di un Cristo che è venuto a portare un Regno che non è di questo mondo. E la testimonianza di tante persone impegnate a fianco dei più deboli e dei più poveri, fa pensare a un Dio che rende giustizia all’orfano e alle vedove portando a compimento la legge attraverso l’amore. Le strade … il luogo dei tanti incontri e delle tante Parole di Gesù. Su queste strade piene di gente Gesù camminerebbe come allora amando uno a uno questi bambini, tanti bambini che ti salutano con una gioia e un sorriso spiazzanti che subito ti fanno sentire importante e accolto … poi invece ti fanno chiedere fino a quale generazione dovremo portare sulla nostra pelle bianca il marchio della ricchezza, della fortuna a cui sorridere sperando che possa perdere qualche briciola. Su queste strade brulicanti di vita Gesù camminerebbe amando con rispetto ognuna di queste donne, eleganti fiere, che insegnano come si porta su di sé un giogo facendolo apparire leggero e dolce, questo giogo siano i Km da fare ogni giorno a piedi perché in taxi si spenderebbero i pochi spiccioli guadagnati, il carico di verdura, di stoffe, di saponi, il bambino sulla schiena e gli altri figli appresso, un marito a volte da dividere con altre donne, l’AIDS da nascondere per non essere abbandonate da tutti perché intoccabili, il figlio gravemente malato che porti senza avere soldi all’ospedale privato sperando che almeno lì te lo salvino lo stesso. La gente per queste strade sembra aspettare come allora qualcuno che non solo gli dica che la ami, ma che la ami davvero, come Amendha ama la sua terra, come la amano Antoine e Jacques, come la amano i missionari e le missionarie che abbiamo incontrato. Questo amore e questa fede che fa intravedere un futuro migliore, sono alcune delle perle che ho trovato in questa terra. Ora, se anche io vendessi tutto, non potrei mai comprare la terra in cui un tale tesoro è nascosto. L’unica cosa che mi rimane, è dare me stessa a questa terra, a quel Dio che mi ha accompagnato fino a qui. A chi mi chiede adesso com’è l’Africa … rispondo che non lo so. Ma per chi mi vuole ascoltare, ho volti e storie da raccontare, incontri da descrivere, persone che porto dentro con la promessa di pregare per loro e di lavorare per la costruzione di un mondo migliore. È impossibile ricreare comunicare descrivere la pienezza di quegli incontri … ma non posso tenere per me quanto ho ricevuto. Elianna (GIM Padova) |
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Aidez nous a nous aider! Quest’estate
ho avuto la fortuna di trascorrere venti giorni in Togo e Benin, due
piccoli stati dell’Africa Occidentale. Tante immagini mi tornano alla
mente quando ripenso a quello che ho visto e sentito. Ricordo le donne in
strada, nella capitale, che camminano per ore ed ore nella speranza di
vendere un po’ della merce che portano in testa: acqua ghiacciata, pane,
biancheria, stoffe, secchielli, barattoli, ciabattine,… Spesso hanno un
bimbo sulla schiena, legato con un panno. Sono donne forti e combattive, …
lo devono essere per affrontare la povertà con dignità. Dicono il loro
“no” al vittimismo e all’arrendevolezza attraverso la fierezza del
portamento, dello sguardo, la cura con cui si pettinano e si vestono di
quel poco che hanno. Combattono nella quotidianità uno Stato che, invece di
proteggere, imprigiona e lega le mani del suo popolo. Non possono opporsi
in modo manifesto, ma
continuano a gridare la loro voglia di vivere e di far vivere i loro figli
cercando ogni giorno, con grande fatica, qualcosa per sfamarli, i soldi
per mandarli a scuola, per curarli quando si ammalano. Gli uomini spesso
hanno più mogli, molti figli, a volte sono infedeli e in questo modo
aggiungono alle difficoltà economiche il dolore per il mancato affetto di
un marito e di un padre. Non sono solo le donne
e i bambini le vittime e l’anima della società africana. In Togo io e i
miei amici italiani abbiamo incontrato dei gruppi di giovani cristiani .
Questi ragazzi ci hanno raccontato quello che vivono, manifestandoci la
consapevolezza di avere molte strade chiuse, di non poter riattivare in
poco tempo una realtà in stallo, di essere governati da un presidente che
vuole tenere il suo popolo ignorante e povero, in un clima di tensione e
silenzio. Anch’essi non
reagiscono in modo arrendevole: continuano a sperare e a fare piccoli
passi verso un cambiamento. Si incontrano, riflettono, discutono, cercano
di sensibilizzare altre persone, di diffondere una cultura di giustizia,
solidarietà e pace a partire dalle loro comunità. Il gruppo di giovani
della parrocchia di Tabligbo ha creato una radio, “Radio Speranza”,
rimasta chiusa per qualche tempo per aver velatamente contestato un uomo del presidente. Per poter
continuare a trasmettere hanno dovuto eliminare qualsiasi tono polemico o
che potesse sembrare tale. Non hanno comunque smesso di dare messaggi in
positivo, di sensibilizzare la gente attraverso programmi di educazione
familiare, sanitaria, sociale. Continuano a comunicare, ogni giorno, la
loro voglia di farsi sentire e di vivere in una realtà che non dà spazio
alle loro idee, alla loro voglia di crescere e realizzare un futuro
migliore. Abbiamo chiesto a loro cosa fare per l’Africa e un ragazzo ci ha
risposto con una frase che mi ha molto colpito: “Aidez nous a nous aider!
Aiutateci ad aiutarci!” … come a dire non sostituitevi a noi, siamo noi
che dobbiamo trovare la strada, non saranno le O.N.G. occidentali, i
progetti studiati a tavolino in Europa o in America e neppure i missionari
a salvare l’Africa. E ancora: non sostituitevi a noi nel pensare, ma
pensate con noi, ascoltateci, dateci voce perché solo se il cambiamento ci
vedrà protagonisti sarà reale. Sembra che ci siano ancora troppi interessi
economici e politici che impediscono all’Africa di crescere e di
svilupparsi. A questo a volte purtroppo si aggiunge la presunzione di chi,
con le migliori intenzioni, cerca di guarire con una ricetta
preconfezionata una persona in difficoltà a cui non è lasciato modo di
raccontare la sua storia, i suoi problemi e il suo modo di affrontarli.
Questo viaggio mi ha insegnato e mi sta insegnando che l’Africa non ha
bisogno dei miei, dei nostri avanzi di tempo e denaro, non ha bisogno di
pietà e di qualcuno che risolva i suoi problemi. Ha bisogno di essere ascoltata,
che le sia fatto posto, che le sia data libertà di scegliere il suo futuro
e il suo modo di progredire. Isabella Brusa (GIM Vengono) |
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Esperienza in Togo Prima di decollare dall’aeroporto di Venezia, in direzione Togo, più precisamente Lomé, la sua capitale, avevo ancora la presunzione di affermare che quest’anno andavo in viaggio in Africa. Ben presto ho realizzato che quest’espressione nasconde tutta la nostra visione eurocentrica del mondo e anche la nostra eccessiva naturalezza con cui semplifichiamo e magari in buona fede annulliamo le infinite differenze che un continente vario e ricchissimo come l’Africa contiene. Dopo qualche settimana dal mio ritorno mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza. Non ho l’ambizione di fornire un ritratto esauriente e obiettivo di un paese che ho appena avvicinato, ma vorrei trovare le parole più adatte per raccontare invece di alcune persone che abitano questa terra, che ho incontrato e con cui ho trascorso del tempo. Non nascondo nemmeno il mio imbarazzo a voler rinchiudere nei confini dell’alfabeto un oceano sterminato di emozioni che abitano il mio cuore. Ma proviamo a procedere con ordine. Venezia 16 Luglio ore 7.05: è davvero giunto il momento del Grande Volo. Un momento atteso per mesi, cercando dentro le motivazioni che mi spingevano a cercare in quella terra così lontana e sconosciuta, nel volto di fratelli così diversi per cultura, storia e perfino tratti somatici, il Volto di Dio Padre. Per mesi ti prepari qui, assieme ai tuoi compagni di viaggio, per rendere l’incontro il meno traumatico possibile. Leggi, ti informi, annoti pensieri, aspettative, e arrivi al punto di pensare di averla già incontrata questa terra. Poi bastano i primi passi, giù dall’aereo, e tutto crolla. Ti accorgi che quello non era il Togo, ma solo la tua proiezione. E allora ricominci da capo, come un cane bastonato, come un clandestino, e provi ad imparare in fretta un nuovo alfabeto. E ti accorgi che più che un incontro quello è uno scontro. Dal quale difficilmente uscirai illeso. E realizzi che niente sarà come prima, perché non puoi più fare finta di non sapere. Avverti da subito l’importanza di non avere pregiudizi, per non impedire la relazione vera, alla pari, che ti permette di conoscere un’altra cultura. Scopri presto il peso della tua identità, delle tue radici, di cui non sempre vai così fiero, ripensando alle incredibili violenze che su queste coste i tuoi antenati hanno inflitto a questa gente, e che ancora non cessano di esistere. Cinque secoli sembrano solo averci insegnato ad usare i guanti per non sporcarci le mani di sangue, ma le violenze ora come allora, continuano e mietono milioni di vite innocenti. Non puoi nemmeno fare a meno di notare le incredibili contraddizioni che abitano questa terra e che abitano anche te, che sei venuto a visitarla. Scopri come qui sia presente l’Universo e il suo contrario. Come se Inferno e Paradiso potessero sfiorarsi. Qui, nella terra dove dare la vita è una benedizione divina, difenderla sembra un optional. Qui dove ti raccontano che i soldi non contano nulla, nella scala valoriale, è lo stesso luogo dove i soldi non sembrano bastare mai. E si potrebbe proseguire all’infinito. E non puoi nemmeno ignorare come qui il senso delle parole limite e confine siano profondamente diversi e meno marcati che in Italia. Qui tutto sembra incredibilmente più labile, e tutto sembra mischiarsi, confondersi. Come la terra e il cielo, sul Lago di Togoville, o la strada e il marciapiede, perfino la terra e l’aria. Come il giorno e la notte, che si susseguono così rapidamente da non lasciarti nemmeno il tempo di farti trovare un po’ meno impreparato. Come la città e il villaggio, la casa e la baracca, la povertà e la miseria, la vita e la sopravvivenza, perfino il Bene e il Male, capaci di convivere magari nella stessa persona. E allora scopri l’importanza di guardare le cose con il cuore, e non solo con gli occhi, per non oltrepassare quella soglia non sempre ben visibile, oltre la quale calpesti la dignità dell’uomo. Ci vuole rispetto in molte cose quaggiù. Quando saluti, quando parli, quando procedi lungo il cammino con la tua automobile, e devi schivare animali di ogni sorta e a volte anche i bambini, quando fotografi, perché la miseria non può divenire un souvenir, perfino quando guardi e il tuo sguardo può apparire inquisitore o ancor peggio così indiscreto da ferire l’intimità altrui. Scopri inoltre l’importanza di non abituarti mai a certe scene, il che si scontra invece con la nostra cultura televisiva dove è facile assuefarsi a ogni cosa, perfino alla sofferenza. Che altre volte viene così reclamizzata da farla sembrare un vanto, l’unico motivo per cui si debba parlare di questa terra. E’ terrificante scoprire come cerchiamo quasi con piacere ceti luoghi come le baraccopoli, come siamo spinti a ritrovare a tutti i costi categorie o soggetti a cui attaccare i nostri cliché ben metabolizzati davanti al televisore, lontano dalle situazioni reali. Ti interroghi ripetutamente se spettacolizzare la miseria, magari per impietosire, sia un’operazione di giustizia o l’ennesima negazione dei diritti altrui. Non voglio certo negare la buona fede del reporter o la necessità di un’informazione reale, e per nulla ovattata, che crei qualche crepa nelle nostre coscienze borghesi; allo stesso tempo però credo importante contestualizzare certi immagini che altrimenti divengono equivoche e che ci lasciano troppa libertà di svendere favolette strappalacrime a buon mercato. Troppo raramente dai nostri media traspare qualcosa di differente dalla guerra, dalla carestia, dalle epidemie, quando parlano di un continente senza dubbio martoriato ma anche estremamente vitale e ricco culturalmente. E’ stato per me e i miei compagni una piacevole sorpresa ammirare le danze e i canti di questa gente, che la musica e il ritmo sembrano tramandarseli geneticamente, di madre in figlio, e imparare le prime movenze da neonati sul dorso materno, avvolti in un telo, ora per andare al mercato, ora nei campi, ora durante una cerimonia vudù. Ho ammirato la spiritualità profonda di un popolo durante le celebrazioni eucaristiche, ma anche nella preghiera personale, dove si può intuire che tutta la persona, compreso il corpo è coinvolto nelle ricerca profonda di un dialogo con Dio, e con il mondo spirituale. Conservo ancora nel cuore la profonda devozione a Maria di centinaia di persone, di ogni età, che nella Vergine scoprono il volto materno del Signore, qui in una terra dove la donna è davvero il motore della società, nonostante le vengano da sempre negati molti diritti. E come non ricordare proprio le donne, in ogni loro attività, in ogni angolo di strada, con il loro portamento sempre dignitoso, meglio fiero, che riesce ben a mascherare la fatica di vivere, il peso delle sofferenze, delle preoccupazioni per la famiglia, qualche volta delle violenze. Come scordare i loro volti dolci, le loro acconciature, le vesti che le rendono eleganti e affascinanti, la femminilità che traspare nel loro avanzare lungo le vie, portando pesi spesso importanti sopra le teste come fossero dei vistosi decori. Come dimenticarle al mattino presto, intente a raggiungere a piedi, lungo le polverose piste di terra rossa, il mercato più vicino per riuscire a vendere qualche ortaggio, delle stoffe, delle spezie, o chissà cos’altro, con il bimbo legato dietro e lo sguardo diritto all’orizzonte, mai vinte dalla fatica o dal caldo, sempre pronte a ripartire, a riprovarci. O ancora all’ospedale, o al dispensario, con i loro bimbi malati tra le braccia, dallo sguardo spento, che cercano in tutti i modi di salvare, nonostante non abbiano magari nemmeno mille franchi per le cure; capaci di affidarsi all’amore di altre donne, con il velo, questa volta, madri anche loro, anche se non biologicamente, sempre pronte ad accogliere a braccia aperte, ad amare, a consolare. Senza la pretesa di grandi analisi socio-politiche, ma con un cuore grande abbastanza per accettare anche di rimanere solo per condividere, gioie e fatiche di altre donne, quotidianamente confrontandosi con l’impotenza che ci fa tanto rabbrividire, e che tanto le fa assomigliare al Maestro. Donne che hanno consacrato una vita al Signore per davvero, scegliendo di vivere ai confini del mondo, lontano da ogni comforts e che dopo trent’anni non vedono cambiare nulla, a livello sociale, ma non sono ancora stanche di donare amore a quella gente e di accogliere i più affaticati e oppressi. E riordinando i pensieri come non parlare dei tantissimi bimbi incontrati, dei loro occhioni scuri, dei loro sguardi profondi, dei loro sorrisi, dei loro silenzi, delle loro grida di stupore e di gioia al nostro passaggio, del loro chiamarci “yovo”, che significa “furbo cane ladro”, e che ci illudiamo nelle loro bocche sia meno pesante…come non ricordarmi di come imparino presto a chiedere senza troppi complimenti un regalo perché qui il bianco è il biglietto fortunato dalla lotteria, ed è bene non lasciarselo scappare, ma soprattutto come scordare il profumo della loro pelle, i loro capelli così particolari al tatto, come dimenticare soprattutto quando giocavo con loro, ai bordi delle strade, come cercavo di catturare la loro attenzione, in mille modi, ritrovando con loro un po’ della semplicità e della purezza di cuore che mille altre cose mi hanno fatto perdere. E poi l’incontro con i giovani, nelle parrocchie, nei villaggi. Cercando di scambiarci, davvero alla pari, le nostre esperienze, la nostra cultura, i nostri sogni. Un confronto entusiasmante e stimolante che mi convince sempre più di come il dialogo con le giovani chiese sia non solo un nostro dovere, ma anche l’occasione di respirare una profonda spiritualità incarnata nella vita reale, per uscire dal nostro tepore e ritrovare tutta la sete di Dio che cerchiamo spesso di colmare con i beni materiali. La messa il primo venerdì del mese in un villaggio vicino alla missione di Tabligbo, in una cappellina illuminata con il lanternino e due candele, è stata un’esperienza di fede incredibile. Un centinaio di giovani, forse di più, hanno animato la celebrazione eucaristica con un tale entusiasmo, capace di farci rabbrividire per ore. Laggiù, dove manca tutto, forse la gente riesce con più facilità a ricercare l’essenziale, e con la pancia un po’ meno piena della nostra ha davvero fame dell’unico Pane di Vita. L’interminabile canto di ringraziamento, dopo la comunione, con tutta l’assemblea danzante, intorno all’altare, è stato per noi tutti occasione di stupore e di grande gioia. E ancora il confronto con i giovani di Radio Speranza, capaci di incominciare quasi per scherzo trasmettendo un messa, e ora in grado di dare voce a tanti altri giovani, con una radio aperta a tutti, anche di religioni differenti, parlando degli argomenti più diversi, dalla promozione della donna, alla diffusione della musica, a degli spettacoli di cabaret. Giovani che hanno incontrato le ostilità di una dittatura pluridecennale, che non accetta forma di “opposizione”, nemmeno culturale, e che era arrivata sospendere le trasmissioni per un periodo. Una dittatura che ha fatto crollare il paese dal punto di vista economico in una crisi profonda, che non conosce fine; che non paga i suoi dipendenti, eccezion fatta per i militari, che non garantisce nessun tipo di servizio, nemmeno quelli basilari come la sanità, costringendo il singolo cittadino a comprare tutto l’occorrente per sottoporsi ad un intervento chirurgico, dal filo per la sutura, all’anestetico. Un dittatore che ormai ha tutta l’opinione pubblica contro, e che cerca disperatamente di controllarla con l’esercito, gli innumerevoli posti di blocco, che spesso passi solo lasciando una piccola bustarella al poliziotto, privandoti di quel poco che hai(Il discorso ovviamente non vale per noi bianchi). E’ impressionante come quaggiù le nostre cifre sulla povertà, le decine di statistiche di Nazioni Unite e Banca Mondiale diventino volti, storie concrete che non ti possono lasciare indifferente e che una volta ritornato ti interrogano se sia opportuno ripeterle come semplici nozioni o invece non debbano necessariamente essere occasione di riflessione sui nostri stili di vita e il nostro modo di essere missionari qui, nel cuore dell’Impero, dando voce a chi non ce l’ha. E proprio a proposito di missione, vorrei dire due parole sui tanti missionari che abbiamo incontrato, che ci hanno accolto, e che ci hanno aiutato a rendere meno traumatico l’incontro con un paese così diverso. Li vorrei ringraziare tanto per la loro testimonianza di vita, per il loro coraggio di rimanere con la gente, anche in situazioni difficili, per la loro capacità di amare, per il modo in cui parlano di queste persone, come se fossero loro figli, per il loro entusiasmo nonostante le malattie, le incomprensioni e a volte l’esperienza spiacevole di sentirsi usati. Mi ha colpito il loro coraggio di essere pietre nascoste(usando un’espressione del Comboni), di fondare parrocchie e lasciarle alla diocesi, di costruire con la gente, per la gente, e non di calare dall’altro i propri progetti. Per la capacità insomma di essere servi inutili. Infine, ma non certo per importanza, ringrazio il Signore che mi ha parlato quaggiù in continuazione, e con una tale chiarezza e intensità capace di meravigliarmi. Quaggiù la Parola, ma anche i sacramenti, hanno assunto un valore particolare, e profondamente diverso da come li vivo in Italia. Credo che certi brani evangelici in alcuni contesti, risuonino molto più intensamente, e che vivere certi valori in molti paesi del mondo non sia così facile come da noi. Comprendo anche come non si possa mai assolutizzare nulla, e che tutto vada inserito nel contesto in cui deve essere vissuto. E questo richiede profonda umiltà e capacità di ripartire da capo. Prima di parlare occorre rimanere con la gente, camminare con loro, nelle loro strade e ascoltare ciò che hanno da dirci. Solo allora possiamo dire la nostra. Questi 20 giorni allora, sono serviti anche a tentare di intuire un nuovo volto di Dio, che non è lo stesso del GIM, della mia ora di preghiera, del volontariato part-time alle cucine popolari, dei libri sulla giustizia e la pace. Sento di poter affermare infine che questa esperienza, molto intensa e spero autentica, non sarebbe potuta essere tale se non inserita in un cammino di fede e di vita che i Comboniani mi hanno permesso di fare. A loro sarò per sempre grato. Federico (GIM Padova) |
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A te, amico
o amica, mando queste parole che parlano di un viaggio, del viaggio più strano, ma
anche più grande,che ho mai percorso. Non buttarle via, se non ti
piacciono, perché mi sono costate fatica e se ti piacciono, ricorda
che sono solo parole scritte da un uomo felice mentre altri, troppi,
uomini e donne infelici urlano e piangono. Ciao. Ritornando in Togo e in Benin… Le tre settimane di diretto contatto con la realtà Togo-Beninese sono state tre settimane molto intense per spunti di riflessione e per messaggi. Indubbiamente, gran parte di questi sono andati persi per l’ipermeabilità della dura scorza del mio sentimento, perché non registrati dalla penna, o perché dimenticati sulle pagine di quel diario (sacro!) che ora ho di fronte. L’esperienza
non ne esce comunque impoverita nel senso!!!! Raccolgo con le mie povere parole alcuni dei doni che l’Africa-TogoBenin ha voluto darmi. La proposta e
la preparazione
Mi ricordo a inizio dell’anno GIM che, assieme alle tante
proposte di impegno, spuntava all’orizzonte l’occasione, a fine anno,
di un campo in missione: Perù, Brasile e Togo-Benin. Delle tre mi
affascinava l’idea dell’Africa, forse per un discorso di “mettersi
alle prova” con una realtà più difficile (almeno per me)
per differenze culturali, religiose, linguistiche. C’era poi la
componente della curiosità che mi spingeva a provare.
Mi ricordo la gioia quando al mio tentativo di richiesta
(pensare che non me ne sentivo all’altezza, e ho tentato quasi solo per
togliermi il tormento del dubbio!) p.Daniele ha risposto “SI”. Gioia
mista ad entusiasmo, rilanciata con la conferma a Teglio! Grazie, Daniele
e Mosè, dell’opportunità data!
Ora dovevo solo parlarne con la famiglia e cominciare a
prepararmi… A marzo si comincia la preparazione: aspetti tecnici come i vaccini e il passaporto, ma non solo. Ripercorro ora con la memoria le mie prime motivazioni al campo!! Che roba!!! ”Condividere la sofferenza di chi sta soffrendo”. Quello che al tempo era una profonda convinzione, ora è vergognosa retorica. P.Gaetano ci aiutò tutti ad abbassare il tiro. Iniziammo bene.
Uno si aspetta di andare “in Africa”
per vedere, incontrare, CAMBIARE: sarà l’esperienza della sua
vita, quella che vale la scelta, l’apice e il culmine, l’inizio di una
nuova vita…..e cavolate del genere. Si aspetta anche che tutti,
indistintamente, soffrano, abbiano bisogno proprio di
lui-unicoeveroSalvaroredelMondoierioggiesempreamen.
A un mese dalla partenza, scopro in me una nuova visione
dell’Africa (ideale) che ancora mi porto dentro: non è solo fame,
guerra, sofferenza, E’ VITA!!! Cambiata la mia idea di Africa e di me
stesso, cosa ci sarei andato a fare? Il turista? L’arriv
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