GM, FI
16.settembre 2001
Ger. 32,
6-15; Ap. 21, 1-7; 22, 17
Osare il futuro?!
Paulo Coelho, nel suo libro “Veronika
decide di morire” scrive: “Veronika credeva di essere una
persona assolutamente normale. La sua decisione di morire era
dovuta a due ragioni molto semplici; era sicura che, se avesse
lasciato un biglietto di spiegazione, molti sarebbero stati
dÂ’accordo con lei. La prima ragione: nella sua vita, tutto
appariva identico; e, passata la gioventù, ecco la decadenza: la
vecchiaia cominciava a lasciare segni irreversibili, arrivavano le
malattie, gli amici se ne andavanoÂ… Insomma, continuare a vivere
non aggiungeva nulla: anzi, aumentavano considerevolmente le
occasioni di sofferenza. La seconda ragione, invece, era più
filosofica: Veronica leggeva i giornali, guardava la televisione
ed era al corrente di quanto succedeva nel mondo. Era tutto
sbagliato, ma lei non aveva alcun modo di contrastare quella
situazione, e questo le dava una sensazione di totale inutilità ”
(ed. Bompiani pg. 14). Voleva, dandosi la morte, evitare la
“tragedia di una vita nella quale tutto si ripete, e il giorno
precedente è sempre uguale a quello che segue” (ivi pg. 16).
Solo quando, in un ospedale per matti,
attraverso la sofferenza ritroverà se stessa e conoscerÃ
l’amore, esploderà in lei prepotente la gioia e la voglia di
vivere e l’orizzonte si tingerà di speranza. Perché
“l’amore è come le dighe: se lasci una breccia dove possa
infiltrarsi un filo dÂ’acqua, a poco a poco questo fa saltare le
barriere. E arriva un momento in cui nessuno riesce più a
controllare la forza della corrente. Se le barriere crollano,
l’amore si impossessa di tutto” (P. Coelho)
EÂ’ in qualche modo una radiografia di
quanto talvolta sperimentiamo in noi stessi e più spesso intorno
a noi, nella nostra società opulenta. La sazietà , il non senso,
il taedium vitae. E allora o ci si chiude a bozzolo lasciandoci
trasportare dalla corrente, o ci si toglie la vita e quella di
altri, o ci si dà alla violenza gratuita o programmata (vedi G8 a
Genova), o si adotta l’antico adagio “carpe diem”, dove non
c’è alcun futuro. Ma allora non c’è proprio nessun’altra
via?
Dio ci offre un futuro (Ger. 32,
6-15)
“Ti ho amato di amore eterno” (Ger. 31,
3) dice il Signore, e per questo “ho fatto a vostro riguardo
progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno
di speranza” (Ger. 29, 11).
Nel bellissimo libro del profeta Geremia,
vediamo come la storia d’Israele è quella di un popolo che,
dopo aver occupato una terra, essersi eletto un re, aver eretto un
tempio al Signore, vede svanire tutto ciò come in un sogno.
Israele è esiliato, reciso, disperso. E nel cap. 32 vediamo
Gerusalemme assediata dai Babilonesi e Geremia prigioniero di
Sedecia re di Giuda. In questa situazione senza via dÂ’uscita, in
cui il profeta avverte tutta lÂ’angoscia del presente, Geremia,
obbedendo alla parola che il Signore gli ha rivolto, acquista un
campo, con tutte le formalità giuridiche, sotto gli occhi di
tutti, e questo gesto diventa un pegno per la felicità futura del
ritorno dall’esilio: “perché – dice il Signore degli
eserciti – ancora si compreranno campi, case e vigne in questo
paese” (Ger. 32, 15). Geremia può compiere questo gesto perché
è profondamente radicato nella Speranza, immerso nel fuoco della
Parola e dello Spirito. Il futuro è la Parola, che era il
principio. Si tratta di condividere la passione di Dio, quella di
incendiare di salvezza la terra (Lc. 12,49).
La stessa cosa dice Giovanni nel suo libro
profetico dellÂ’Apocalisse, la dice alla Chiesa del suo tempo che
viveva nel crogiuolo della persecuzione, la dice a noi così
tentati di lasciarci andare di fronte al male e allÂ’apatia del
mondo. Il profeta ha gli occhi della speranza, non si ferma a ciò
che appare, anticipa la gioia al momento del dolore, feconda il
grembo di una storia opaca con la notizia della vita, che sta
oltre il presente e dà a questo un senso positivo, vitale,
finale. Essere profeta significa vivere lÂ’esperienza della
storia con la consapevolezza dellÂ’eschaton, del punto di arrivo
finale che ci attira ed illumina il nostro cammino; così si
feconda la vita di novità , di sorpresa, di meraviglia, di
scompiglio, di primavera. Far credito al futuro di Dio, vuol dire
aprire allÂ’uomo il battito dei passi, del cuore di Dio nella sua
prosa quotidiana, nella sofferenza, nella morte, nellÂ’esperienza
del male.
Il futuro di Dio per la gioia del mondo
è affidato a noi
Una favola orientale racconta che cÂ’era
un re molto amato dai suoi vassalli e rispettato per la sua
saggezza. Ora in quella città c’era un’unica fonte di limpida
acqua sorgiva, fresca e salutare, cui attingevano tutti i
cittadini e tutta la corte, compreso il re. Una notte, quando
tutta la città dormiva, una strega malvagia si avvicinò alla
sorgente e disse: “D’ora in poi, chiunque beva di
quest’acqua diventerà pazzo”. Il giorno dopo i cittadini si
svegliarono e andarono lieti come al solito a prendere acqua alla
sorgente. Tutti bevvero, tranne il re e il suo gran visir, e
quanti bevevano, come predetto dalla strega, diventavano pazzi. Fu
una giornata strana quella. Per le strade e per le piazze
circolavano voci tra i cittadini: “Il nostro re si comporta in
modo strano. Sia lui, sia il suo gran visir hanno perso lÂ’uso
della ragione”. I primi mormorii diventarono ben presto aperte e
preoccupate chiacchiere: Che facciamo? Non possiamo continuare così
a farci governare da un paio di pazzi. Dovremmo ribellarci e
sostituirli con uno di noi”. Queste voci arrivarono al palazzo
reale e il monarca ebbe paura. Quella stessa sera il sovrano
convocò tutta la popolazione nella piazza centrale della città ,
ordinò che gli fosse portato un bel calice
ricolmo dellÂ’acqua della sorgente stregata, e in presenza
di tutti ne bevvero lui e il suo visir. Nessun cittadino capì
quella strana cerimonia, ma il giorno seguente una lieta notizia
si sparse per la città : sia il re sia il suo gran visir avevano
recuperato finalmente l’uso della ragione”.
La tentazione in cui è caduto il re è
spesso la nostra: fare come tutti gli altri..per non avere
problemi.
Dovremmo, come scrive S. Pietro, essere
invece “pronti a rendere conto a chiunque ci domandi ragione
della speranza che è in noi”, e perché la parola non sia
controproducente, essa deve essere accompagnata dalla
testimonianza di vita, ricca di umanità , di libertà , di
responsabilità , di relazioni vere, d’impegno. Mostrare con
evidenza che la nostra vita è stata cambiata, “scolpita”
dalla Parola. Se la nostra vita ha il sapore delle Beatitudini,
essa attirerà a Gesù e al Padre. Oggi più che mai, in un mondo
che è sempre più diviso e senza senso, si avverte il bisogno di
solidarietà , di fraternità , di comunione. Come credenti abbiamo
la responsabilità di offrire comunità che testimonino Gesù e
l’amore del Padre, perché la fede passa sempre attraverso la
testimonianza vissuta, della quale altri possano dire: “E’
bello vivere così”.
Mi scriveva Rossano dal Brasile: “Siamo
frutto di un sogno meraviglioso: Dio ci offre la possibilità di
partecipare al suo progetto di vita per tuttiÂ…Non abbiamo paura
di essere uomini e donne che credono prima di tutto nella vita e
che tutti possano averla in abbondanza. E la vita è essere
persone in pienezza, con sentimenti e passioni, con difficoltà e
incoerenze: Ma alla luce della opzione preferenziale per la vita
tutto ci è concesso e permesso, quando facciamo della generositÃ
e della condivisione i criteri delle nostre scelte”.
La porta è stretta (Lc. 13, 24) e tutti
siamo troppo gonfi per entrarci. Se mossi dall’amore per Gesù
ci facciamo veramente discepoli (Lc. 14, 25-35) riusciremo. Chi
ama dà tutto quello che ha. Anche la vita. L’amore è come
l’acqua: se corre è viva, se ristagna è morta. L’amore è il
miglior antidoto contro tutte le paure, perché “nell’amore
non c’è timore: al contrario, l’amore perfetto scaccia il
timore…Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo” (1Gv. 4,
18,19).
RIFLETTI E CONDIVIDI
1)
Sono acqua morta o acqua viva? Che qualità di speranza e
di amore c’è in me?
2)
Sono uno che si accontenta di belle parole, magari anche
“religiose”, ma che poi non sa impegnarsi concretamente per
generare salvezza per altri?
3)
So spogliarmi o “sgonfiarmi” dalle cose, dagli affetti,
dall’orgoglio che mi appesantiscono e seguire Gesù, per portare
con Lui e in Lui speranza e salvezza ai fratelli?
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