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Inizio Cammino Gim: Osare il Futuro

Gim Firenze (settembre 2001)

Osare il Futuro

Catechesi della GM Firenze
ottobre 2001

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GM, FI  16.settembre 2001

Ger. 32, 6-15; Ap. 21, 1-7; 22, 17

 

 

Osare il futuro?!

Paulo Coelho, nel suo libro “Veronika decide di morire” scrive: “Veronika credeva di essere una persona assolutamente normale. La sua decisione di morire era dovuta a due ragioni molto semplici; era sicura che, se avesse lasciato un biglietto di spiegazione, molti sarebbero stati d’accordo con lei. La prima ragione: nella sua vita, tutto appariva identico; e, passata la gioventù, ecco la decadenza: la vecchiaia cominciava a lasciare segni irreversibili, arrivavano le malattie, gli amici se ne andavano… Insomma, continuare a vivere non aggiungeva nulla: anzi, aumentavano considerevolmente le occasioni di sofferenza. La seconda ragione, invece, era più filosofica: Veronica leggeva i giornali, guardava la televisione ed era al corrente di quanto succedeva nel mondo. Era tutto sbagliato, ma lei non aveva alcun modo di contrastare quella situazione, e questo le dava una sensazione di totale inutilità” (ed. Bompiani pg. 14). Voleva, dandosi la morte, evitare la “tragedia di una vita nella quale tutto si ripete, e il giorno precedente è sempre uguale a quello che segue” (ivi pg. 16).

Solo quando, in un ospedale per matti, attraverso la sofferenza ritroverà se stessa e conoscerà l’amore, esploderà in lei prepotente la gioia e la voglia di vivere e l’orizzonte si tingerà di speranza. Perché “l’amore è come le dighe: se lasci una breccia dove possa infiltrarsi un filo d’acqua, a poco a poco questo fa saltare le barriere. E arriva un momento in cui nessuno riesce più a controllare la forza della corrente. Se le barriere crollano, l’amore si impossessa di tutto” (P. Coelho)

E’ in qualche modo una radiografia di quanto talvolta sperimentiamo in noi stessi e più spesso intorno a noi, nella nostra società opulenta. La sazietà, il non senso, il taedium vitae. E allora o ci si chiude a bozzolo lasciandoci trasportare dalla corrente, o ci si toglie la vita e quella di altri, o ci si dà alla violenza gratuita o programmata (vedi G8 a Genova), o si adotta l’antico adagio “carpe diem”, dove non c’è alcun futuro. Ma allora non c’è proprio nessun’altra via?

 

Dio ci offre un futuro (Ger. 32, 6-15)

“Ti ho amato di amore eterno” (Ger. 31, 3) dice il Signore, e per questo “ho fatto a vostro riguardo progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza” (Ger. 29, 11).

Nel bellissimo libro del profeta Geremia, vediamo come la storia d’Israele è quella di un popolo che, dopo aver occupato una terra, essersi eletto un re, aver eretto un tempio al Signore, vede svanire tutto ciò come in un sogno. Israele è esiliato, reciso, disperso. E nel cap. 32 vediamo Gerusalemme assediata dai Babilonesi e Geremia prigioniero di Sedecia re di Giuda. In questa situazione senza via d’uscita, in cui il profeta avverte tutta l’angoscia del presente, Geremia, obbedendo alla parola che il Signore gli ha rivolto, acquista un campo, con tutte le formalità giuridiche, sotto gli occhi di tutti, e questo gesto diventa un pegno per la felicità futura del ritorno dall’esilio: “perché – dice il Signore degli eserciti – ancora si compreranno campi, case e vigne in questo paese” (Ger. 32, 15). Geremia può compiere questo gesto perché è profondamente radicato nella Speranza, immerso nel fuoco della Parola e dello Spirito. Il futuro è la Parola, che era il principio. Si tratta di condividere la passione di Dio, quella di incendiare di salvezza la terra (Lc. 12,49).

La stessa cosa dice Giovanni nel suo libro profetico dell’Apocalisse, la dice alla Chiesa del suo tempo che viveva nel crogiuolo della persecuzione, la dice a noi così tentati di lasciarci andare di fronte al male e all’apatia del mondo. Il profeta ha gli occhi della speranza, non si ferma a ciò che appare, anticipa la gioia al momento del dolore, feconda il grembo di una storia opaca con la notizia della vita, che sta oltre il presente e dà a questo un senso positivo, vitale, finale. Essere profeta significa vivere l’esperienza della storia con la consapevolezza dell’eschaton, del punto di arrivo finale che ci attira ed illumina il nostro cammino; così si feconda la vita di novità, di sorpresa, di meraviglia, di scompiglio, di primavera. Far credito al futuro di Dio, vuol dire aprire all’uomo il battito dei passi, del cuore di Dio nella sua prosa quotidiana, nella sofferenza, nella morte, nell’esperienza del male.

 

Il futuro di Dio per la gioia del mondo è affidato a noi

Una favola orientale racconta che cÂ’era un re molto amato dai suoi vassalli e rispettato per la sua saggezza. Ora in quella città cÂ’era unÂ’unica fonte di limpida acqua sorgiva, fresca e salutare, cui attingevano tutti i cittadini e tutta la corte, compreso il re. Una notte, quando tutta la città dormiva, una strega malvagia si avvicinò alla sorgente e disse: “DÂ’ora in poi, chiunque beva di questÂ’acqua diventerà pazzo”. Il giorno dopo i cittadini si svegliarono e andarono lieti come al solito a prendere acqua alla sorgente. Tutti bevvero, tranne il re e il suo gran visir, e quanti bevevano, come predetto dalla strega, diventavano pazzi. Fu una giornata strana quella. Per le strade e per le piazze circolavano voci tra i cittadini: “Il nostro re si comporta in modo strano. Sia lui, sia il suo gran visir hanno perso lÂ’uso della ragione”. I primi mormorii diventarono ben presto aperte e preoccupate chiacchiere: Che facciamo? Non possiamo continuare così a farci governare da un paio di pazzi. Dovremmo ribellarci e sostituirli con uno di noi”. Queste voci arrivarono al palazzo reale e il monarca ebbe paura. Quella stessa sera il sovrano convocò tutta la popolazione nella piazza centrale della città, ordinò che gli fosse portato un bel calice  ricolmo dellÂ’acqua della sorgente stregata, e in presenza di tutti ne bevvero lui e il suo visir. Nessun cittadino capì quella strana cerimonia, ma il giorno seguente una lieta notizia si sparse per la città: sia il re sia il suo gran visir avevano recuperato finalmente lÂ’uso della ragione”.

La tentazione in cui è caduto il re è spesso la nostra: fare come tutti gli altri..per non avere problemi.

Dovremmo, come scrive S. Pietro, essere invece “pronti a rendere conto a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi”, e perché la parola non sia controproducente, essa deve essere accompagnata dalla testimonianza di vita, ricca di umanità, di libertà, di responsabilità, di relazioni vere, d’impegno. Mostrare con evidenza che la nostra vita è stata cambiata, “scolpita” dalla Parola. Se la nostra vita ha il sapore delle Beatitudini, essa attirerà a Gesù e al Padre. Oggi più che mai, in un mondo che è sempre più diviso e senza senso, si avverte il bisogno di solidarietà, di fraternità, di comunione. Come credenti abbiamo la responsabilità di offrire comunità che testimonino Gesù e l’amore del Padre, perché la fede passa sempre attraverso la testimonianza vissuta, della quale altri possano dire: “E’ bello vivere così”.

Mi scriveva Rossano dal Brasile: “Siamo frutto di un sogno meraviglioso: Dio ci offre la possibilità di partecipare al suo progetto di vita per tutti…Non abbiamo paura di essere uomini e donne che credono prima di tutto nella vita e che tutti possano averla in abbondanza. E la vita è essere persone in pienezza, con sentimenti e passioni, con difficoltà e incoerenze: Ma alla luce della opzione preferenziale per la vita tutto ci è concesso e permesso, quando facciamo della generosità e della condivisione i criteri delle nostre scelte”.

La porta è stretta (Lc. 13, 24) e tutti siamo troppo gonfi per entrarci. Se mossi dall’amore per Gesù ci facciamo veramente discepoli (Lc. 14, 25-35) riusciremo. Chi ama dà tutto quello che ha. Anche la vita. L’amore è come l’acqua: se corre è viva, se ristagna è morta. L’amore è il miglior antidoto contro tutte le paure, perché “nell’amore non c’è timore: al contrario, l’amore perfetto scaccia il timore…Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo” (1Gv. 4, 18,19).

 

RIFLETTI E CONDIVIDI

 

1)      Sono acqua morta o acqua viva? Che qualità di speranza e di amore c’è in me?

2)      Sono uno che si accontenta di belle parole, magari anche “religiose”, ma che poi non sa impegnarsi concretamente per generare salvezza per altri?

3)      So spogliarmi o “sgonfiarmi” dalle cose, dagli affetti, dallÂ’orgoglio che mi appesantiscono e seguire Gesù, per portare con Lui e in Lui speranza e salvezza ai fratelli?

 

 

 

 

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