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Povero tra i poveri

Veglia di preghiera GIM 1, Padova

Canto iniziale: I19

31 “Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. 32 E tutte le nazioni saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; 33 e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli della sua destra: ‘Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il Regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; 36 fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi’. 37 Allora i giusti gli risponderanno: ‘Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 O nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?’. 40 E il re risponderà loro: ‘In verità vi dico che ogni volta che lo avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me’ “ (Mt 25,31-40).

 

 

La vulnerabilità come luogo d’incontro con Dio

Secondo la parabola del “giudizio finale”, ciò che definirà la nostra vita come vita bella davanti agli occhi di Dio è l’atteggiamento che avremo tenuto verso la povertà e la vulnerabilità dei nostri fratelli e sorelle. Qui si presentano varie forme di fragilità: la povertà di chi non trova lavoro ed è costretto a chiedere l’elemosina per comprarsi qualcosa da mangiare; la vulnerabilità di chi è straniero e non capisce la mentalità di chi lo circonda e non trova nessuno che lo ascolti e lo accolga; la vulnerabilità di chi si sente solo e abbandonato in carcere, in attesa che qualcuno si ricordi di lui; la vulnerabilità di chi è stato costretto a lasciar cadere tutte le sue maschere e adesso si ritrova nudo.

Di fronte a questa situazione, noi siamo chiamati a vestire chi è nudo, cioè ad accogliere questa fragilità, a riconoscerne tutta la bellezza e tutta la dignità, anche perché è una vulnerabilità che Gesù ha sperimentato in prima persona. Dice a questo proposito Jean Vanier: “Ciò che ho scoperto di più all’Arca è la debolezza, la vulnerabilità e la piccolezza di Gesù. Mi colpisce sentire Gesù dire agli apostoli: ‘Volete andarvene anche voi?’. Avverto quasi le lacrime nella sua voce, un’immensa vulnerabilità, la piccolezza di chi si offre, ma viene lasciato solo”.

Per questo Gesù dice che ogni volta che avremo accolto la fragilità di uno di questi piccoli, avremo accolto Lui. Quando riesco a incontrarmi davvero con la vulnerabilità di uno di questi fratelli, mi incontro con Dio: lo dice Gesù. La fragilità del fratello, dunque, è lo spazio sacro in cui Dio viene al mio incontro Ma cosa vuol dire incontrarsi? “Incontrarsi significa esporsi alle nostre debolezze e a quelle degli altri”, (J. Vanier). Insimma, non c’è vero incontro senza la rivelazione reciproca delle proprie vulnerabilità.

Questo è un punto fondamentale per il missionario, perché non c’è evangelizzazione senza incontro autentico. E non c’è incontro autentico senza reciprocità, senza presentarsi nella propria fragilità, e senza disponibilità a lasciarsi toccare e trasformare.

Anche Gesù evangelizza così: attraverso gli incontri che fa, presentandosi anche nella sua debolezza, e disponibile a lasciarsi trasformare. Pensiamo, ad esempio, all’incontro con la samaritana: Gesù si sente debole: è stanco e ha sete, e chiede aiuto a questa donna: “Dammi da bere” (Gv 4,7). Oppure all’incontro di Gesù con la sirofenicia, che si umilia di fronte a Lui accettando il ruolo di ‘cagnolino’: questa umiliazione tocca e commuove il cuore di Gesù, che si lascia trasformare da questa donna pagana, aprendo i suoi orizzonti missionari anche verso coloro che la mentalità comune considerava cani da disprezzare.

Ecco, dunque, la sfida missionaria per eccellenza: riscoprire la gioia dell’incontro a partire dalla propria vulnerabilità. In questo senso, i profili di facebook sono fuorvianti, perchè non propiziano l’incontro vero. Perchè nel profilo facebook cerchiamo di mettere la foto più bella, o comunque quella che possa richiamare di più l’attenzione. Il profilo facebook prevede che diciamo cosa sappiamo fare, che tipo di musica ci piace ascoltare, in che ambiti ci muoviamo con maggior disinvoltura, etc. Ma non prevede che diciamo cosa ci fa soffrire, cosa ci fa commuovere, quali sono i nostri limiti, le nostre povertà e le nostre fragilità. Conosciamo l'altro attraverso l'immagine patinata che ce ne dà il computer, ma non siamo più capaci di guardarlo negli occhi, e di accogliere tutta la sofferta ricchezza del suo sguardo.

E siccome oggigiorno sono facebook e internet a imporre i criteri della comunicazione umana, portiamo questo atteggiamento 'patinato' anche nelle relazioni ‘reali’ della nostra quotidianità: ci vergogniamo a rivelare la nostra vulnerabilità, e siamo sempre più incapaci di accogliere la fragilità dei nostri fratelli. Preghiamo perchè Dio ci doni la capacità di vestire chi è nudo, cioè di accogliere la fragilità di chi ci sta accanto, perché solo accogliendo questa fragilità incontreremo Gesù e riceveremo la gioia piena, quel “Regno preparato per noi fin dalla creazione del mondo”.

Il povero che sono io

“Spesso ci lamentiamo che è difficile pregare e sperimentare l’amore di Gesù. Ma Gesù abita nel tuo io impaurito, quella parte di te che tu stesso fai fatica ad accogliere. Quando ti fai amico il tuo vero io e scopri che è bello, allora puoi vedervi Gesù. Là dove sei più umano, più te stesso, più debole, là vive Gesù. Riportare a casa il tuo io impaurito significa riportare a casa Gesù. Finchè il tuo io vulnerabile non si sente accolto da te, si mantiene talmente a distanza che non può mostrarti la sua vera bellezza e saggezza.

Cerca di mantenere vicino a te il tuo piccolo io impaurito! Il tuo io più profondo e più vero non è ancora a casa sua, si spaventa facilmente. Quando diventerai più simile a un bambino, questo io impaurito non sentirà più il bisogno di abitare altrove, e comincerà a vedere te come la sua casa.

Sii paziente. Gesù vive nel tuo cuore e ti offre tutto quello di cui hai bisogno” (Henry Nowen).

Salmo del servizio

“Gesù ci chiama ad essere servi,

come Lui è servo,

perché gli uomini accettano il messaggio di Cristo

non tanto da chi sperimenta l’ascetica della purezza

ma da chi vive ogni giorno le tribolazioni del servizio.

Gesù, tu che hai lavato i piedi a poveri pescatori,

Aiutaci a comprendere

Che i piedi dei poveri

Sono il traguardo di ogni serio cammino spirituale.

Quando ti curvasti sui calcagni dei tuoi discepoli

Ci hai fatto capire verso quali basiliche

Dovremmo indirizzare il nostro pellegrinaggio.

Nelle beatitudini ci hai detto che i poveri sono beati,

cioè che sono i poveri coloro che si salvano.

Ma poi hai anche aggiunto:

‘Benedetti voi quando aiutate il povero,

quando gli date da mangiare o da bere,

quando l’ospitate o lo visitate’.

Dunque si salvano i poveri

E coloro che sono solidali con i poveri.

‘Beati voi poveri, perché vostro è il regno dei cieli’.

‘Venite nel regno, benedetti, perché avevo fame

E mi avete dato da mangiare’.

In altre parole, Tu ci stai dicendo:

‘Benedetti coloro che servono i poveri,

coloro che fanno causa comune con i poveri’.

Aiutaci, Gesù, ad essere così solidali con i poveri

Da esserne loro amici e fratelli.

Aiutaci, Gesù, a saperti riconoscere nei poveri e nei sofferenti,

affinchè essi ci accolgano un giorno nella casa del Padre! (don Tonino Bello).

Come collocarci di fronte agli emarginati e ai poveri

“Il mondo dei ‘normali’ colloca il mondo del disagio di fronte a sé: il disagio è spesso visto come la terra abitata da persone che sbagliano, e che bisogna allontanare dai sani nella logica delle mele marce che non possono stare accanto a quello buone. Oppure è anche visto come la terra dei ‘disgraziati’, dei ‘poveretti’ che devono essere ‘recuperati’, diventando così motivo gratificante delle nostre pesche di beneficenza, occasione per diventare buoni.

Il limite che ci accomuna tutti è guardare il margine restando al centro. E così rischiamo di porre in evidenza solo l’atto eroico di noi ‘buoni’ che andiamo verso il disagio, senza però chiederci dove ci collochiamo nei confronti del disagio. Perché se davvero non si vuole fare solo assistenzialismo ma promozione dell’uomo, è necessario che il nostro servizio sia un ‘camminare accanto’ e non un semplice ‘atto di carità’.

Spesso la Chiesa guarda al margine, e vuole ‘uscire’, ma restando al centro. llora questo nostro uscire è inutile. Perchè è un uscire che ‘resta dentro’, e non corrisponde a un processo di incarnazione, perché non usciamo dai nostri schemi e dai nostri pregiudizi nei confronti del mondo del disagio. Usciamo con l’atteggiamento del maestro, senza conoscere l’affanno e la fatica di vivere in mezzo ai pascoli, cercando solo di inculcare in loro le nostre certezze. Ebbene, questo modo di ‘uscire’ non rispecchia una visione evangelica. Finchè restiamo al centro, ben collocati sul piedistallo della nostra normalità, i disagiati saranno per noi solo un’opportunità per compiere una buona azione, e niente più.

Dobbiamo abbattere i recinti delle nostre normalità, chiamare le persone per nome, abitare i loro luoghi, stare al loro passo e rispettare i loro tempi, ascoltarli, respirarne gli affanni, e vederli non come persone da guarire ma come portatori di una domanda esistenziale che ci interpella, perchè gli emarginati ci pongono davanti a problemi che anche noi viviamo: il senso della vita, la domanda di felicità, la ricerca di realizzazione, etc. E così ci riscopriamo compagni di strada.

Accompagnare gli emarginati significa condividere e accogliere la loro esistenza, rispettando i loro tempi, le loro fatiche, i loro affanni, le loro paure, i loro dubbi, le loro imprecazioni, le loro lacrime, le loro bugie, e il buio enorme che vivono costantemente. L’Uomo dei Nazareth ci invita a ad andare di persona negli spazi più nascosti e più difficili della storia, e qui incontrarci con Lui” (Marcello Cozzi).

Risonanze

Domande:

- Riconosco le mie fragilità? Quali sono? Come mi relaziono con le mie fragilità?

- Che Dio prego? Il Dio forte e ‘onnipotente’ nel senso mondano del termine o il Dio che si è fatto carne e ha assunto le nostre fragilità, eccetto il peccato?

- Sono amico dei poveri? Come mi relaziono con loro?

Silenzio

Mottetto D7-27 - Condivisione

Preghiera di Aelredo di Rielvaux:

“Signore, io sono povero, come Te;

sono debole, come Te, sono uomo, come Te.

Ogni mia grandezza viene dalla Tua piccolezza;

ogni mia forza viene dalla Tua debolezza;

ogni mia sapienza viene dalla Tua follia.

Ti prego, Gesù, resta con me”.

Canto finale: Il canto dell’amore (p.142)

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