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All'incontro dello straniero

VEGLIA 1° GIM BOLOGNA, 19 GENNAIO 2008

 

 

Canto d’ invocazione allo spirito:  127

Preghiera iniziale: 

Perché anche noi nel deserto?

"Ti chiedo scusa Signore. Mi accorgo che non ho il diritto di parlarti così. Ma devi anche capirmi. Ero venuto in cerca di te, dopo aver percorso quasi duemila anni a ritroso, nella certezza che mi avresti potuto suggerire i rimedi adatti contro un male oscuro che sta travagliando la civiltà da cui provengo. Ha un nome terribile, esotico tra l'altro e quindi intriso di mistero, che faccio fatica a pronunciare.
Un nome che, purtroppo, è  adoperato solo per indicare un sintomo, sia pur grave e preoccupante, mentre dovrebbe essere usato per designare il male in tutta la sua tragica globalità patologica: "apartheid".
No. non voglio riferirmi unicamente a quella incredibile politica di "separatezza" che, nella zona più a sud del paese di Cam, discrimina un manipolo di bianchi da una selva di negri. Sarebbe ipocrisia o ingenuità indignarsi contro questa assurda segregazione sociale, economica, e perfino territoriale, tra razze in Sudafrica, e non prendere atto che l'" apartheid" è un tumore maligno che rischia di andare in metastasi attaccando i tessuti vitali dell’intero organismo planetario.
In quale quadro clinico infatti, se non nella sintomatologia dell'" apartheid", va letta la febbre dei blocchi che, dopo aver separato per decenni l' Est dall’ Ovest, rischia ora di far impazzire il termometro con temperature di fuoco, discriminando tutti i sud della terra ? (...)
Quale nome dare alla logica del rifiuto nei confronti del marocchino ?
Quale diagnosi emettere su quella sindrome dell’' intolleranza nei confronti del diverso ? Come chiamare la ghettizzazione dei siero positivi, l'accanimento punitivo contro i tossici, il sospetto emarginante nei confronti dei folli,
degli ex-carcerati e di tutti gli irriducibili alla nostra normalità ?
Apartheid. Che cosa sono quelle forme  esantematiche, che a pelle di leopardo macchiano l' Italia con l' eczema delle" leghe", se non i primi noduli della paurosa neoplasia dell’ apartheid ?
In fondo, al di là della comprensibile paura del ladro, non sono segno dello stesso latente malessere, quei deboli anticorpi espressi dalle cancellate attorno alle nostre ville, dai sistemi di sicurezza attorno alle nostre"privacy" ?
Non c' è che dire. Tempi duri per gli aneliti di comunione.
A livello pubblico e privato. Precipitano le difese immunitarie della convivenza.
E, nonostante il gran parlare, alla borsa dei valori le quotazioni della solidarietà sono quelle più in ribasso.
E' per questo, Signore, che son venuto con fiducia da te.
I profeti ti hanno descritto come il grande radunatore che raccoglie dai quattro venti i popoli dispersi, come la chioccia che chiama i pulcini sotto le sue ali, e come il re che invita a mensa i figli della diaspora.
Mi accorgo, però, di averti incontrato nel posto sbagliato.
 Perché, a quanto pare, se hai scelto la tovaglia rugosa di questo allucinante
deserto, forse i tuoi pani di comunione son diventati pietre, e sono svaniti a uno a uno i tuoi sogni conviviali."

                                                                               Don Tonino Bello

 foto di Steve Biko


Comunità di Nzara , Sud-Sudan

Annunciare il vangelo come comunità


Sono a Nzara da poco tempo (dal gennaio 2007) ma vorrei condividere con voi la nostra esperienza di comunitá comboniana nel mezzo della foresta equatoriale. Siamo cinque sorelle, di tre nazionalitá diverse impegnate nella pastorale, nell’insegnamento e nella cura degli ammalati. Arricchite dalle nostre diversitá, cerchiamo di vivere in semplicitá e nella certezza che Dio, desiderando questo cenacolo di apostole, ha voluto consegnarci le une alle altre, rendendoci custodi e responsabili delle reciproche vite e vocazioni. Ed é da Lui che impariamo ad amarci, ad amare e a lasciarci amare da questo popolo: perché é l’amore che fa del confine con l’altro il luogo divino dell’accoglienza. Nelle varie vicissitudini di ogni giorno sperimentiamo come sia proprio l’accoglienza dell’altro ad essere il canale privilegiato dell’evangelizzazione qui, tra un popolo che ha vissuto 25 anni di Guerra in cui ha imparato che il diverso va respinto, se non ucciso.
Ecco che per noi diventa fondamentale prima di tutto accoglierci tra noi, spendere tempo a condividere quello che viviamo, gioie e fatiche, speranze e sfide del lavoro apostolico per poter essere “un cuor solo e un’anima sola”, certe come siamo che é la comunitá non il singolo, la cellula dell’evangelizzazione.
Un’accoglienza con cui cerchiamo di contagiare anche la comunitá cristiana perché possa sperimentare, attraverso di noi, che Dio é grembo materno che accoglie ogni uomo.
Ed é una storia di accoglienza all’interno della nostra comunitá cristiana che voglio raccontarvi. La storia di Elena e del piccolo Joseph. Circa un anno fa, una giovane donna scopre di essere affetta dall’AIDS e I parenti la cacciano via da casa…si ritrova sola, malata e con un bambino di sei mesi. Cosa fare? Si rivolge a noi per essere aiutata e come si fa in una squadra che si rispetti, passiamo la palla alla comunitá. Una donnetta anziana, malaticcia anche lei e molto povera si fa avanti e offre la sua umile capanna alla giovane donna e al suo bambino. Da allora le due donne sono vissute insieme, mettendo in comune quel poco che aveva Elena la quale si é anche amorevolmente presa cura di lei nel momento piú duro della sua malattia. Due mesi fa la giovane donna é morta, tra le braccia di Elena che la assisteva. Dopo la sua morte, come sempr avviene qui, tutti I parenti della giovane donna si sono fatti vivi. Generalmente tutti appaiono per dividere l’ereditá. Ma la nostra amica non aveva nulla, se non Joseph ed é lui che volevano “in ereditá”. Il bambino é piccolo, ma crescerá e poi é sano come un pesce, si prospetta una buona forza lavoro. Elena é cosciente di questo e sa che Joseph non sarebbe mai stato trattato da figlio da questi zii, cosí si oppone alla richiesta dei parenti. Lei, una piccola donna di villaggio con un cuore grande come questa foresta che ci circonda. Chiede che la comunitá cristiana si riunisca e osa chiedere in affidamento il bambino. Con nostra grande sorpresa, le viene concesso! É la gioia di Elena ma soprattutto di Joseph che ora non ha piú una mamma, é vero, ma ha trovato una “nonna” amorevole che lo ha accolto nel suo cuore prima che nella sua casa superando ogni ostacolo e difficoltà che ogni giorno incontra.
Sono certa che la mamma di Joseph dal cielo sorride contenta…e io ho imparato tanto da Elena, a spalancare il mio cuore e accogliere nell’altro, quel Cristo abbandonato, rifiutato, orfano. Il suo mettere in comune quel poco che aveva, pur nella sua povertá, é di stimolo per la nostra comunità a mettere in comune non solo quello che abbiamo ma soprattutto quello che siamo ed essere canali privilegiati dell’amore di Dio per questo popolo.
Buon cammino di comunione
                                                                                        Sr. Maria Luisa Miccoli


Canto al Vangelo:  58

Dal Vangelo di Gesù secondo Luca

(Lc 24,13-35)

Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto».Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno gia volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.


Domande di riflessione , silenzio , condivisione e gesto.. 


Straniero evoca il senso di qualcuno di sconosciuto , che ci fa paura , che è diverso da noi ...riflettiamo sul modo che veramente abbiamo di pensare , di relazionarci con chi è "straniero " , senza nessuna ipocrisia......

Attraverso la nostra vita , il nostro agire , attraverso le cose che facciamo dovrebbe trasparire il nostro credo , il nostro credere nel Vangelo ed essere testimoni , esperienza viva di Gesù il Nazareno: è veramente così? in noi traspare la Parola , siamo veramente capaci di comunicare ciò in cui crediamo a chi è di diversa cultura e fede ?

Siamo capaci di saper accettare la diversità dell’ altro come ricchezza ?

Alla condivisione segue il gesto di levarsi le scarpe. Dopo ogni condivisione ci si toglie la scarpa destra e la si pone al centro (e al termine per chi non ha condiviso). Alla fine ciascuno di noi prenderà una scarpa a caso e la indosserà. Lo scopo è quello di mettersi “nelle scarpe degli altri”, nei panni degli altri: nel momento in cui ci sforziamo di comprendere la situazione e la storia di ognuno e facciamo causa comune con lui, nessuno apparirà più straniero!

 

Preghiera finale

Adotta la famiglia umana!
Qualunque sia la tua condizione di vita,
pensa a te e ai tuoi cari,
ma non lasciarti imprigionare
nell'angustia cerchia
della tua piccola famiglia.
Una volta per tutte
adotta la famiglia umana!
Bada a non sentirti estraneo
in nessuna parte del mondo.
Sii un uomo in mezzo agli altri.
Nessun problema, di qualsiasi popolo,
ti sia indifferente.
Vibra con le gioie e le speranze
di ogni gruppo umano.
Fa' tue le sofferenze e le umiliazioni
dei tuoi fratelli nell'umanità.
Vivi a scala mondiale
o, meglio ancora, a scala universale.
Cancella dal tuo vocabolario le parole:
nemico, inimicizia, odio, risentimento, rancore…
Nei tuoi pensieri, nei tuoi desideri
e nelle tue azioni sforzati di essere
ma di essere veramente, magnanimo!
Hélder Câmara

Padre nostro:  52

 

di: Luca Manganelli

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