Un articolo
scritto in occasione della morte di p.Raffaele
tratto da www.saveriani.bs.it
autrice: Maria Grazia Cutuli
La morte lo incalzava. P. Raffaele di Bari se
lÂ’era scrollata di dosso una mezza dozzina di volte. Con
noncuranza, persino con ironia. "Hanno scaricato 73
proiettili contro le finestre della mia stanza. Ma sono riusciti
solo a graffiarmi la pelata", ci aveva raccontato tempo fa,
dopo uno dei tanti attacchi dei ribelli alla sua missione, nel
Nord dellÂ’Uganda. LÂ’ultima volta, prima che lo uccidessero,
non scherzava più: "al telefono piangeva", ricorda
p.Giulio. Poi è arrivata la resa dei conti. Domenica primo
ottobre, i kalashnikov hanno colpito giusto: p.Raffaele è morto,
a quattro chilometri dalla missione di Pajule.
Era un prete da barricata. I confratelli lo chiamavano "Don
Chisciotte" per il suo entusiasmo a costruire mulini. Ma quel
soprannome indicava anche una sfida, disperata e solitaria. Padre
Raffaele, 71 anni, missionario Comboniano, originario di Barletta,
in provincia di Bari, in Uganda dal 1956, stava dalla parte degli
Acholi, una delle più estese e martoriate tribù del Paese.
Difendeva i loro bambini, rapiti, arruolati con la forza nelle
file dellÂ’Esercito di Resistenza, il fronte guerrigliero che dal
1986 combatte contro il regime. LÂ’aveva fatto anche la sera
prima di morire, quando aveva accolto in chiesa la gente in fuga
dai villaggi vicini. I guerriglieri avevano dato fuoco alle
capanne. E p. Raffaele aveva offerto la sua protezione. Emergenza
di routine, nel Nord dellÂ’Uganda.
LÂ’indomani si preparava a viaggiare verso Acholi Bur, un centro
a una ventina di chilometri, dove avrebbe dovuto celebrare alcuni
battesimi. Aveva chiesto in giro se la strada fosse sicura.
"Tutto a posto", gli avevano detto. "Ci sono i
militari del governo a pattugliare la zona". Padre Raffaele
si era messo in cammino, accompagnato da una suora e da un
catechista, con il suo Suzuki, la barba bianca, gli occhiali da
sole. Ma qualcuno, nascosto tra le sterpaglie, aspettava da ore. I
kalashnikov hanno centrato la jeep. Hanno rapito il catechista e
dato fuoco all’auto. Padre Raffaele è morto sul colpo. Il suo
corpo è stato lasciato là , tra le fiamme. Volevano colpire
proprio lui? In un continente come lÂ’Africa, la Chiesa dei
poveri piange spesso i suoi martiri accontentandosi di ipotesi. Ma
nel caso di p. Raffaele non mancavano le ragioni perché qualcuno
tentasse di farlo fuori: "Se non parliamo per denunciare le
ingiustizie, tradiamo la nostra vocazione. Prestare la nostra voce
a questa povera gente è più importante che costruire scuole,
ospedali, chiese", aveva ripetuto più volte.
Quando lÂ’avevamo incontrato a Milano,
non si dava pace: "Capisco che in Italia vi interessano di più
le sfilate di moda, ma bisogna fare qualcosa per fermare la
strage". Aveva con sé il documentario realizzato da un amico
sulle vittime della guerriglia: "Quest’anno hanno rapito più
di 400 bambini nella mia missione. Altri 1.400 in quella di
p.Tarcisio". Nello stesso periodo era stato pubblicato anche
il rapporto dellÂ’Unicef che parlava di 8 mila bambini dagli otto
anni in su, sottratti alle famiglie, sequestrati nelle scuole,
catturati nei villaggi per alimentare le fila dellÂ’Esercito di
Resistenza. "I ragazzini subiscono violenze inaudite",
spiegava p.Raffaele. "Sono costretti a marciare e trasportare
pesi per centinaia di chilometri, a uccidere i loro compagni. Ad
ogni segno di disobbedienza, vengono torturati o mutilati. Le
bambine vengono stuprate e spesso prendono lÂ’Aids. Quelli che
riescono a tornare a casa, rimangono traumatizzati per sempre. La
religione non cÂ’entra. Gli interessi sono politici. Khartum
utilizza lÂ’Esercito di Resistenza per un doppio scopo:
destabilizzare il regime ugandese e combattere contro i ribelli
attivi nel sud del Sudan".
Padre Rodriguez era in vacanza quando
l’amico è morto. "Gli avevo comprato una bottiglia di
liquore", dice. "Credo che la verserò vicino alla sua
tomba. È così che il popolo degli Acholi onora i suoi antenati
eroici".
Maria
Grazia Cutuli
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