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4. lettera circolare al clero del vicariato

 El-Obeid, 10 agosto 1873

 

DANIELE COMBONI

Provicario Apostolico dell'Africa Centrale

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Ai M. R. Parroci e Vicarii Parrocchiali e Confessori del Nostro dilettissimo Vicariato Ap.lico dell'Africa Centrale, salute  ed ogni bene da Dio per Gesù Cristo Signor Nostro.

 Dacché siamo entrati nella cura spirituale dell'immenso Vicariato affidatoci dalla S. Sede Ap.lica, nostra prima e special cura fu quella di riconoscere lo stato morale dei fedeli a Noi soggetti, affine di prestar loro quei soccorsi che fossero nel nostro potere, e dei quali avessero ad abbisognare. Per tal modo Ci tornò facile scorgere anche fra loro quella alternativa di bene e di male, che trovasi in ogni società umana: e così mentre ci consolò non poco quello slancio di fede, che li porta generalmente a rispettare l'autorità ecclesiastica, fino quasi all'entusiasmo, e quel coraggio, onde taluni si sentirono animati a rimettersi sulle vie dell'eterna salute; altrettanto ci amareggiò quella quasi indifferenza morale, che spinge molti altri a violare con troppa frequenza alcuni dei più gravi precetti della legge divina, naturale, ed ecclesiastica.

Il perché Noi ci sentiamo obbligati di alzare la voce per vostro mezzo contro il lupo che diserta il gregge, e colle parole del-l'Apostolo (ad Tim. II c. 4) diciamo a ciascuno di voi, nostri ca­rissimi e zelantissimi Cooperatori e fratelli nelle gravi nostre cure pastorali: "praedica verbum, insta opportune, importune: argue, obsecra, increpa in omni patientia et doctrina" "ne quis eorum ignoranter pereat". Fate loro comprendere dapprima, che la Fede senza le opere è morta, come dice S. Giacomo, (Ep. Cath. c. 2) e che la vera Fede senza la quale è impossibile di piacere a Dio (ad Hebr. c. 11.) è quella, come dice S. Gregorio Papa (Hom. 29 in Ev.) che non contradice colle opere a ciò che dice colle parole. Poscia dimostrate loro quale e quanto grave peccato sia il concubinato.

Dopo che Gesù Cristo ha richiamato alla sua primitiva unità il Matrimonio, e che lo ha innalzato alla dignità di Sacramento, è un grave delitto qualsiasi unione fuori di questo stato unico; ma molto più deve ciò dirsi del concubinato, che è uno stato ed una unione abitualmente opposta al santo matrimonio. Notate loro eziandio il grave scandalo che danno i concubinari al resto dei fedeli e ai medesimi infedeli, molti dei quali sanno benissimo che ciò è pei cristiani un delitto. Né vale a diminuirne la colpa, il pretesto, che in questi paesi del Sudan si costuma così. Gesù Cristo non ha fatto una eccezione speciale pel Sudan, ma ha fatto una legge generale per tutti i tempi, luoghi e persone; e non si salva se non chi osserva questa legge.

Egli ha condannato direttamente il concubinato nella Samaritana (Ev. S. Jo. c. 4), ed appresso tutti i Padri e Concilii Ecumenici l'hanno sempre considerato come un grave peccato, ed il S. Concilio di Trento specialmente (Sess. 24. c. 8.) decretò contro i concubinarii la pena della scomunica ferendae sententiae post trinam monitionem, e quella di cacciarli dalle città e dalle Diocesi, coll'aiuto dell'autorità secolare. Non vi sarà poi ignoto, come in quasi tutti i Sinodi questo peccato viene riservato come uno dei più enormi e dannosi, e che dalle stesse leggi civili d'Europa è severamente punito (Scavini T. I. tr. 4. Disp. 2. c. 2. art. 1.): ed egualmente non ignorerete che i concubinari pubblici dal Rituale Romano (de Patrinis et de quibus non licet dare eccl. sepolt.) vengono interdetti dall'Ufficio di Padrini e dalla sepoltura ecclesiastica, come peccatori manifesti, nisi dederint signa poenitantiae.

Dichiarate quindi pubblicamente che Noi siamo risoluti di applicare contro quelli che per loro sventura si ostinassero nel concubinato tutte le dette pene e censure ecclesiastiche; ed anzi fin d'ora v'ingiungiamo di osservare ciò che prescrive il Rituale Romano contro di loro tanto nell'amministrazione dei Sacramenti, come nella sepoltura ecclesiastica, in modo che dopo quest'ordine, nessun pubblico concubinario deve essere accettato come padrino nell'amministrazione dei Sacramenti, né ecclesiasticamente sepolto, se muore impenitente. Riserviamo quindi a Noi di procedere con pene mag-giori contro quelli, che pertinacemente si ostinassero a non ascoltare le nostre paterne ammonizioni.

Un altro deplorabile delitto abbiamo da compiangere in taluno dei nostri fedeli, ed è la cooperazione diretta o indiretta al disumano commercio degli schiavi, ed alla orribile tratta dei neri. Sono tanto là trascorsi alcuni, da considerare i neri, come una specie diversa di esseri dagli uomini, e media tra i puri animali e l'uomo: pretendono quindi, che i neri per loro condizione debbano essere schiavi, e che debbano servire come un articolo di speculazioni industriali. Perciò con massimo nostro dolore abbiamo appreso che v'ha taluno dei cristiani, i quali con danaro o con armi prestano aiuto a coloro che vanno violentemente a strappare dalle loro famiglie e rapire dai loro paesi queste infelicissime vittime della più spietata barbarie, che sono nostri dilettissimi Figli e preziosa nostra eredità, e che non mancano di quelli, che ne fanno acquisto per venderli ad altri, e di quelli che li maltrattano con disumane percosse fino al sangue, e di quelli che illegittimamente li maritano e poi ne vendono la prole, oppure vendono separatamente la moglie dal marito e dai figli.

Non vi ha poi quasi nessuno fra i cristiani del nostro Vicariato, che pensi a fare istruire i loro servi neri nella vera Religione, come impone loro Iddio nel quarto dei suoi comandamenti, meritandosi perciò il rimprovero dell'Apostolo che, "qui suorum et maxime do­mesticorum curam non habet, fidem negavit, et est infideli deterior" (I. ad Tim. 5). L'animo nostro altamente indegnato contro gli autori di questi delitti, si rivolge a Voi, dilettissimi Cooperatori in quest'ardua e laboriosa Vigna di Cristo, perché facciate conoscere a tutti i nostri fedeli, che Noi a nome della Religione e dell'umanità detestiamo e vietiamo questo disumano commercio. Gesù Cristo ci ha detto espressamente (S. Mat. XXIII. 8.) che noi siamo tutti fratelli, senza distinzione tra bianchi e neri, e che, (S. Mat. 7.) non dobbiamo fare agli altri ciò che non vorremmo fatto a Noi stessi.

E l'Apostolo a Filemone scrive di Onesimo (Ad Phil.) non ut servum, sed pro servo charissimum fratrem, maxime mihi, quanto autem magis tibi, ut in carne et in Domino! Si ergo habes me socium, suscipe illum sicut me". Da ciò nel Cristianesimo la schiavitù è un delitto, quanto più il detestabile commercio degli schiavi e l'orribile tratta dei neri? Quindi i Sommi Pontefici Paolo III Urbano VIII Benedetto XIV Pio VII e Gregorio XVI tra gli altri, condannarono questi delitti come ingiuriosi al Cristianesimo. Volendo perciò Noi provvedere per quanto ci è possibile al bene spirituale del nostro di­lettissimo Vicariato, vi ordiniamo di annunziar loro, che senza grave peccato non possono né vendere essi stessi i neri, né donarli a chi non può loro procurare l'eterna salvezza, né imprestar denaro o munizioni a quelli che vanno a strapparli violentemente dal loro paese, e molto meno rubarli o farli rubare per conto loro, né in qualsiasi altra maniera cooperare a questo infame traffico, e che sono tenuti di trat­tare umanamente e di istruire o far istruire quelli che hanno od avranno nella vera Religione, ed incarichiamo Voi di vegliare con ogni sollecitudine e riferirci in proposito, all'effetto, che sia estinto un sì obbrobrioso commercio, riservandoci in caso di bisogno di prendere coll'Autorità locale, contro coloro che ricadessero, i necessari provvedimenti della legge civile, consentita dalla Sublime Porta e dai trattati colle grandi Potenze Europee.

Allacciati la coscienza dall'uno o dall'altro di questi delitti, od ag­gravati da altre disordinate abitudini alcuni dei Nostri fedeli hanno lasciato passare il tempo Pasquale, da Noi promulgato anche in via straordinaria, senza presentarsi ai SS.mi Sacramenti. Un tal fatto ci afflisse moltissimo, tanto più che Voi li esortaste più volte con zelo instancabile in pubblico e personalmente in privato. Siamo quindi venuti nella deliberazione di applicare contro i renitenti le speciali disposizioni del Rituale Romano (De Comm. Pasq.) non che una delle pene ecclesiastiche stabilite dal Concilio Lateranense IV celebrato nel 1215 sotto il Pontefice Innocenzo III. Perciò Vi ordiniamo di de­nunciare ogni anno a Noi tutti coloro, che dopo essere stati più volte ammoniti, ricusassero per colpevole negligenza di soddisfare al Precetto Pasquale; di non permettere loro che vengano assunti padrini dei Sacramenti e di negar loro l'ecclesiastica sepoltura, ove per estrema disgrazia avessero a morire ostinati nella impenitenza.

Finalmente vi raccomandiamo con tutto il fervore dell'anima no­stra d'inculcare eziandio ai nostri dilettissimi fedeli l'obbligo della santificazione delle Feste e dell'astinenza prescritta nei venerdì e d'insinuare per quanto è possibile a tutti la frequenza dei SS.mi Sacramenti.

Ci sorride nell'animo la più dolce speranza, che mercé l'opera del vostro laudabile zelo, i nostri fedeli si persuaderanno che Noi non abbiamo in mira, che il loro vero bene spirituale ed i grandi interessi della loro eterna salute, e perciò nutriamo la più viva fiducia, che vorranno ascoltare la Nostra voce e dar retta ai nostri paterni consi­gli, con cui sentiamo il dovere di richiamarli sulla via retta dei divini ed ecclesiastici comandamenti. Al quale effetto Noi indirizziamo al cielo le nostre quotidiane preghiere e siamo certi, che voi farete altret­tanto per le anime dei fedeli alla vostra cura speciale commessi.

Noi li raccomandiamo di nuovo con tutto il fervore del Nostro spirito al vostro zelo Apostolico, nella persuasione, che voi saprete insinuarvi presso ognuno di loro, affine di salvarli tutti alla grazia redentrice di Gesù Cristo Signor Nostro, nel cui nome con tutto il cuore invochiamo sopra di Voi e sopra ognuno dei Fedeli del nostro Vicariato Apostolico tutte le celestiali benedizioni nel Nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.

Dato dalla nostra attuale residenza in Cordofan

 

El-Obeid. 10. Agosto 1873.

 

Daniele Comboni Prov. Ap.lico dell'Af. Cen.le

P. Giuseppe Franceschini Pro-Seg.