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8. a un sacerdote trentino

El-Obeid, capitale del Cordofan, 24 giugno 1873

 

Ill.mo e Rev.mo Signore,

 

Vengo ora a dirle alcunché dell'Opera. Questa oggimai è iniziata, e l'assicuro che riuscirà certamente, e si convertiranno tanti milioni di anime; e ciò non perché tutti noi missionari e suore ed operai siamo decisi di vincere o morire: ma perché l'Opera è affidata al S. Cuore di Gesù, che deve bruciare tutta l'Africa Centrale, e riempirla del suo fuoco divino. Ai 14 di settembre prossimo io farò la solenne Consacrazione di tutto il Vicariato qui in El-Obeid al Sacro Cuore di Gesù, mentre il mio Vicario generale farà in quel giorno stesso la medesima Consacrazione in Chartum. In quel giorno gli Associati all'Apostolato della Preghiera faranno il medesimo atto di Consa-crazione, la cui formula me l'ha composta il carissimo nostro amico, il P. Ramière.

Ella certo leggerà il Messager du Sacré Coeur. Ora, come è possibile che il Cuor di Gesù non esaudisca le ferventi preghiere di tante anime giuste associate al Messager, che sono il fiore della pietà e della virtù? Gesù Cristo è il re dei galantuomini, ed ha sempre mantenuto la sua parola. Egli al petite... quaerite... pulsate ha sempre risposto e risponderà sempre accipietis... invenietis... aperietur. Dunque la Nigrizia vedrà la luce, ed i suoi cento milioni d'infelici ri­sorgeranno a novella vita pel S. Cuore di Gesù.

Allorché, grazie alla munificenza sovrana si poté comperare la casa Caobelli presso al Seminario di Verona, io, ancora in viaggio in Germania, posi mano alle regole dell'Istituto per presentarle a Roma. In questo frattempo si facevano studi al Cairo dai miei compagni, e soprattutto dall'ottimo P. Carcereri sopra quei punti dell'Africa Centrale, ove per la bontà del clima e per l'importanza di situazione strategica sarebbe opportuno di fissare quei membri dell'Istituto, se erano già maturi per l'apostolato della Nigrizia inferiore. Si studiò, si scrisse, si parlò, si viaggiò. Finalmente si convenne di tentare una esplorazione al Cordofan.

Siccome l'esperienza fatta dal 1848 fino al 1864 sul Fiume Bianco era stata infelice, attese le immense paludi che vi generano febbri mortali e malattie pericolosissime all'europeo, io rivolgeva i miei sguardi alle tribù interne che giacciono fra il Fiume Bianco ed il Niger, ove si trovano dei monti ed aria sana. Accettai ben volentieri la proposta del P. Carcereri circa il Cordofan, e con lettera 15 agosto 1871 scritta da Dresda gli ordinai di fare i preparativi per una prossima esplorazione del Cordofan. Ai 14 di settembre da Magonza ordinai agli esploratori di partire dal Cairo nel prossimo ottobre, epoca opportuna per la navigazione del Nilo. Infatti il valoroso Carcereri con Franceschini e due laici in soli 82 giorni di viaggio, toccando Chartum giunsero in Cordofan, lo esplorarono e dalla parte di Darfur, e dal mezzodì verso Tekkela ed i confini dei Nuba; e giudicarono opportuno di stabilire una stazione qui in El-Obeid, che realmente io constato ora essere il centro di comunicazione di tutto il vero interno dell'Africa, ed in cui l'aria è assai migliore di quella di Chartum e del Fiume Bianco.

Infatti da El-Obeid in soli 3 giorni di cammello si entra nel territorio di Darfur, ed in 15 giorni si arriva alla capitale residenza del sultano. In 3 giorni da qui si arriva ai primi monti delle vaste tribù dei Nuba, patria di Bachit Miniscalchi, ove sonvi parecchi milioni di vergini africani, che non hanno mai voluto sapere di Maometto. In 30 giorni si arriva nel vasto impero di Bornù, mentre chi dovesse andarvi da Tripoli o Algeri vi vorrebbero più di 100 giorni, e sarebbe pericoloso il viaggio. Qui in El-Obeid vi sono i procuratori ed i corrispondenti dei sultani di Darfur e di Bornù, i quali forniscono quei paesi di merci ed oggetti europei per mezzo di cambi.

Al settembre p.p. giunsi con una buona carovana in Cairo, ove il demonio, così permettendo il Signore, mi avea preparato immense difficoltà, che minacciavano di mettermi nella impossibilità d'intraprendere la spedizione della gran carovana nell'Africa Centrale e di occupare il Vicariato, secondo gli ordini della Propaganda, e secondo che avea annunziato alle Società benefattrici d'Europa, al quale scopo mi aveano dato qualche soccorso. Per tacere di molte gravissime contraddizioni che mi si scatenarono contro per volere di Dio e per la mia indegnità, vi furono parecchi personaggi stimabilissimi che scrissero lettere alla R.ma Madre generale delle mie Suore a Marsiglia, scongiurandola a non permettere mai che nessuna delle sue suore vada nell'Africa Centrale, ove incontrerebbero certa morte, come è avvenuto a tutti i missionari antecedenti.

La Madre generale, che avea pronte 8 suore per ispedirmi in novembre al Cairo, si spaventò, e in seguito a ciò essa spedì quelle suore nel Belgio per aprirvi una nuova casa. Parimenti alle tre suore, che aveano già ricevuta l'obbedienza dalla Madre generale per seguirmi in Africa Centrale e che si trovavano da 2 anni e più nel mio Istituto, si insinuò con tutte le arti e modi di non recarsi in Africa Centrale: ma qui fu impossibile di riuscirvi: esse rimasero inconcusse nel santo proposito, avendo già la loro obbedienza, e disposte a morire per Cristo.

Sennonché io rimasi gravemente imbarazzato, poiché, quantunque la R.ma Madre Generale convinta di essersi lasciata prendere al laccio, m'avesse di nuovo assicurato che m'avrebbe spedito le suore dopo la festa di S. Giuseppe, in cui aveva più di 30 nuove professioni, tuttavia io era gravemente posto nella impossibilità d'intra-prendere la spedizione, essendoché la superiora destinata per Chartum era malatticcia, e non parea prudente di avventurare 16 istitutrici negre con due o tre suore. A raffreddare la Madre generale e alcune suore contribuì un novello assalto, che venne scagliato da quei medesimi che avevano cercato d'intimorire la detta Generale e le suore. Desso è il seguente.

Siccome la Congregazione delle Suore di S. Giuseppe ha più di sessanta Case in Europa, Asia, Africa ed Australia, così la Madre Generale deve provvederle tutte; mi constò con certezza che tutti i Vescovi e Vicari Apostolici, ove son tali case, insistono continuamente per aver nuove Suore, essendo una Congregazione di ottimo spirito e fatta apposta per le missioni, il cui Cardinal Protettore è lo stesso E.mo Prefetto di Propaganda; ma la Madre Generale non può sempre soddisfare ai bisogni di tutti.

Perciò prevedendo che anche io non potrò mai avere da questa Congregazione quel numero di Suore che è necessario per l'immenso Vicariato dell'Africa Centrale, così, dopo aver esplorato inutilmente per mezzo di Mons. Canossa se le Canossiane si assumerebbero la direzione di qualche Istituto maschile nell'Africa centrale, avuto il consenso di Pio IX con sommo piacere di Mons. Canossa, ho aperto un Istituto femminile in Verona per formare missionarie  dell'Africa, e che provvisoriamente ho chiamate le Pie Madri della Nigrizia: al quale oggetto ho comprato il convento Astori a S. Maria in Organis, ponendovi dentro le Pie Madri della Nigrizia, Istituto, che cammina assai bene, come mi scrive Monsignore, e che fra pochi anni mi darà delle buone missionarie.

Ora i miei cari amici del Cairo, informati di questo, scrissero alla Madre generale di S. Giuseppe, ed insinuarono alle Suore del Cairo che Comboni adopera ora le Suore di S. Giuseppe finché sieno mature le sue di Verona; ma, appena che avrà le sue, darà il passaporto a quelle di S. Giuseppe, e le ringrazierà per averlo aiutato nei primordi della sua Opera e finirà per mandarle via. Questo scosse non poco la fermezza della Madre Generale: ma finalmente per grazia di Dio, e dietro le mie preghiere ed assicurazioni, decise di darmi tutte quelle Suore che potrà, nello stesso modo con cui suol fare cogli altri capi di missione, e su ciò obbligarsi con documento sottoscritto da lei e da me e dall'E.mo Card. Prefetto di Propaganda. Veda Lei, come è buono Gesù, e come tratta la Madonna e il suo Santissimo Sposo S. Giuseppe.

Taccio di altre tempeste suscitatemi contro per divino volere, come di aver tentato di scuotere la costanza dei miei missionari, di avermi denunziato alla polizia turca come reo di aver battezzato dei mori già musulmani (ciò che è vero) etc. etc. Tutti noi saremmo troppo fortunati se i turchi ci tagliassero la testa per la fede; anzi vi siamo da tempo preparati, nella certezza che Dio susciterebbe altri dopo noi, secondo la sapiente economia della sua Provvidenza.

Quantunque io mi sapessi che già s'era scritto in Europa contro di me, e fino a Roma che io avrei condotto alla morte e suore e missionari, benché non avessi che sole tre suore, e queste malaticcie, che avevano ottenuto l'obbedienza dalla Madre Generale, pure decisi di partire dal Cairo, sapendo di andare incontro a venti contrari, al terribile khamsin del deserto, ed alla stagione la più critica. Consultati i miei compagni, abbiamo deciso di gettarci in braccio della Provvidenza, e di ottemperare ai desideri di Propaganda, abbastanza noti e manifestati.

Ai 26 di gennaio sopra due grandi barche dahhabie, in una delle quali stavano i missionari e i fratelli laici, e nell'altra le suore e morette, partimmo dal Cairo alla volta del Centro d'Africa. Dopo un viaggio disastrosissimo di novantanove giorni, e dopo aver perduto alle Tebaidi un fratello laico colpito dal vaiuolo, giungemmo sani e salvi quasi per miracolo a Chartum. In altri 10 giorni da Chartum, io giunsi con altri ad El-Obeid. Siccome la descrizione di questo terribile viaggio le verrà spedita stampata da Verona, così di esso non le tengo ora parola...

La città di Chartum, e soprattutto il Gran Pascià che comanda da Meroe fino alle sorgenti del Nilo, mi ricevettero con troppi onori. Ho pensato allora che al N. S. Gesù Cristo dopo gli Osanna toccò il Crucifige. Tuttavia il Pascià mi ricevette da amico, mi offerse tutto il suo appoggio per fare tutto quello che voglio pel bene della civiltà e della religione, diede una gran festa in mio onore, e mi offerse i suoi vapori gratis per fare le mie visite pastorali sul Fiume Azzurro e Bianco fino a Gondocoro, come fece difatti quando venni ora in Cordofan, poiché mise a mia disposizione il suo vapore, che mi trasportò per 127 miglia sul Fiume Bianco fino a Tura-el-Khadra, donde scesi a terra e col cammello in nove giorni giunsi ad El-Obeid.

Non solamente i turchi vennero a felicitarmi per essere giunto a Chartum, ma lo stesso Gran Mufti, capo della religione musulmana, mi felicitò per avere condotto le suore per l'educazione delle fanciulle. Lo stesso avvenne qui in El-Obeid, ove il Pascià il giorno innanzi al mio ingresso abolì la schiavitù, e pubblicò per la prima volta i decreti del 1856 del Congresso di Parigi, e mise esso in libertà oltre a 300 schiavi della sua casa, venne in gran treno a farmi visita accompagnato da due generali e dai capi del suo Divano, e mi offerse il suo appoggio in ogni mio desiderio.

Non è già che sieno spontanee queste ovazioni, perché il turco odia il cristianesimo; non già che la schiavitù sia efficacemente abolita, ché anzi, come lo dirò dopo, nell'Africa centrale e nell'Egitto è nel suo pieno vigore, poiché il turco mai non abolirà la schiavitù: sottoscriverà trattati, la abolirà sulla carta, fingerà di non volerla per dar polvere agli occhi dei gonzi; ma il musulmano finché sarà maomettano non distruggerà la tratta dei negri. Tuttavia a me, che ho minacciato molti Pascià su tale argomento, hanno voluto rendere tale omaggio, essendo stati avvertiti ufficialmente dal Divano del Cairo, che io sono capitale nemico della schiavitù. Ma deve sapere che io era munito di un gran firmano del Sultano di Costantinopoli ottenuto dal nostro graziosissimo imperatore d'Austria e Ungheria, per mezzo del quale il gran Sultano ordina al Pascià d'Egitto di proteggere il Vicariato dell'Africa centrale. Di tanto in tanto estrassi questo firmano scritto stupendamente; per cui qui la bandiera austriaca è rispettata e temuta, e tutti i governatori e Pascià durante il lungo mio viaggio m'offrirono i loro servigi.

Ora le dirò una parola di questo Vicariato il più vasto del mondo, il più difficile e laborioso, a coltivare il quale vi vorrebbero duemila Gesuiti, una cinquantina di Stimmatini di Verona, cinquecento Benedettini di quelli della nuova riforma Casaretto etc., e che ora occupano Subiaco. Ora siamo in pochi, ma le scriverò i miei progetti, che già ho esposti e sono piaciuti a quel santone di P. Beck generale in capo dei granatieri del Papa.

Il Vicariato dell'Africa centrale confina al Nord coll'Egitto, Barca, Tripoli e Tunisi. All'Est col Mar Rosso, Abissinia, Gallas; al Sud si stende fino al 12°. grado di latitudine australe compresi i laghi o sorgenti del Nilo, Udschidschi etc. e Congo. All'occidente le due Guinee, e la linea retta dalla punta occidentale meridionale della Prefettura apost. di Tripoli fino al Niger toccante il nord del Vicariato ap. della costa di Benin. Ella vede che questo Vicariato è più vasto di tutta l'Europa.

Ora di questo immenso Vicariato sotto il governo del mio antecessore Knoblecher e Kirchner dal 1848 al 1861 si sono fondate e prosperavano le 4 seguenti stazioni che occupano la linea del Nilo e Fiume Bianco e costituiscono la parte orientale del Vicariato, cioè, 1°. Gondokoro al 4°. gr. L. N., 2°. S. Croce al 6° .gr., 3°. Chartum al 15°. gr. e Scellal al 23°. gr. L. N. circa. Sotto il governo dei francescani dal 1861-72 si abbandonarono nei primi due anni le tre stazioni di Gondokoro, S. Croce e Scellal, e per nove anni sostennero solo Chartum con due od uno missionari dell'ottima provincia del Tirolo. I poveri Francescani, attesa la soppressione di Italia, mancano di molti soggetti per sostenere e conservare tutte le innumerabili missioni che hanno, come mi dicea il venerabilissimo P. Bernardino lor generale.

Le case e i giardini di Gondokoro e S. Croce sono completamente distrutte. Di Scellal rimane la casa ma in uno stato meschino. A Chartum la casa, è rimasta solidissima, ed è senza dubbio la più bella e solida costruzione di tutto il Sudan; ma il giardino è ridotto a un bosco, e mi ci vorrà un anno per dare alla missione connessa il frutto annuale di 2000 franchi. A tutto questo si aggiunge che lo stabilimento di Chartum è rimasto spoglio di tutto; quella stazione ai tempi miei sotto Knoblecher era fornita di tutto come uno stabilimento di Benedettini in Europa. I buoni francescani si sono trovati in tempi critici, in cui l'Europa era in rivoluzione, e la Società di Vienna era ridotta quasi come lo è adesso ai minimi termini. Quando soffre il Papa, tutte le membra della Chiesa soffrono.

Ora per bene piantare solide basi per istabilir bene il Vicariato io mi limito a consolidare bene più che potrò le due stazioni centrali, che servano di base di operazione a tutte le missioni che si pianteranno in futuro nel centro d'Africa. Sono esse Chartum ed El-Obeid: e siccome il viaggio da Cairo a Chartum è sufficiente per ammazzare e rendere inetto il missionario, così, per compiere anche il desiderio di Propaganda, manifestatomi dall'E.mo Card. Barnabò con venerata sua lettera 29 aprile, intendo di aprire Scellal.

Gli Istituti di Cairo, ora li sminuisco considerabilmente, perché ho trasportati nel centro io stesso più di 30 soggetti maturi per l'apostolato, ed altri 20 saranno trasportati con una seconda spedizione nel prossimo agosto. Quindi è che in Cairo son sempre necessari due piccoli stabilimenti per acclimatizzarvi i missionari e le suore, provarne più la vocazione; e costituiscono come una Procura del Vicariato pei rapporti coll'Europa e provvisioni per la Missione. Il passo da Cairo a Chartum è troppo pericoloso e straordinario per la salute dei missionari. Quindi ecco la necessità di Scellal, che è la media proporzionale fra Cairo e il Sudan. Poiché, dopo aver io assistito alla morte di tanti missionari, è d'uopo che studi i mezzi per conservare la loro vita.

Ora in Cairo già al ritorno del Console generale da Vienna, avremo il terreno regalatoci dal Kedive per fabbricarvi i due stabilimenti. Il terreno in Cairo costa 20 fr. il metro. Il Pascià ci va quindi a fare una somma carità. Il vivere al Cairo costa il doppio o triplo di Germania dopo il taglio dell'Itsmo di Suez. Dunque ho intenzione di ridurre i due istituti ai minimi termini, cioè pei soli europei ed europee che si apparecchiano all'Apostolato della Nigrizia.

I mori in Cairo sono cari (500 fr. l'uno), e già guasti dai musulmani. Qui costano quasi nulla, dai 15 ai 30 talleri, e sono più buoni, vergini e non guasti dai musulmani. Quindi è che dove fino ad oggi gli Istituti di Cairo m'hanno costato 34000 fr. all'anno, spero che dal 1874 in poi mi costeranno il quarto. A Scellal oltre alla casa maschile possediamo 12 feddan di terreno buono (64000 metri quadrati): colla spesa di alcune macchine per tirar l'acqua dal Nilo, si può cavare la metà del nutrimento della stazione: ma bisogna fabbricare una casetta per le suore; e ciò tutta di granito orientale, come gli Obelischi di Roma, che tutti furono tagliati da Scellal, o vicino a Scellal. Quindi la casa costerà poco, e la chiesa parimente di granito. A Scellal corrono malati da sessanta miglia lontano per esser curati dalla missione. Ai 16 di marzo in un solo giorno io battezzai 4 fanciulli morienti, che tutti poi andarono in paradiso.

A Chartum è necessaria la casa delle suore, e la chiesa. Chartum fa circa 50.000 abitanti, ed ha migliorato il clima, attese le grandi fabbriche e giardini erèttivi; ora si può vivere come quasi alle basse veronesi e padovane. Da quando feci occupare questa stazione dal mio Vicario generale, Chartum ha preso novella vita, e spero che presto vi avremo una buona cristianità. Ora vi sono molti catecumeni. La festa dello Spirito Santo vi cresimai 34 neoconvertiti. Ora è in pieno vigore il catechismo, le prediche e il ministero come nella parrocchia di Verona: spero in alcuni anni, se Dio ci dà vita, di annunziarle un ottimo successo di questa missione. Qui ad El-Obeid, ove giunsero per la prima volta missionari cattolici nella persona de' miei esploratori Carcereri e Franceschini, è già iniziata una piccola cristianità.

Abbiamo casa nostra e una bella chiesuola. Avrebbe bisogno di essere ampliata per le scuole, arti e mestieri, poiché ora si fa scuola sotto un albero grande e dalle 9 ant. alle 4 è caldo. Poi ci vuole la casa per le suore. Ora ho qui tre istituti di negre con mia cugina, che è professa della compagnia di S. Angela Merici, che abitano capanne di paglia. Le case qui sono capanne: ma siccome succedevano e succedono sempre incendi, così per ordine del governo si fanno tutte di sabbia, poiché né pietre, né terra da far mattoni vi è. Queste case di sabbia prima della piogge si coprono di un pasticcio fatto di sabbia ed escrementi di buoi, e con ciò le case resistono alle piogge quel-l'anno. Ogni anno è d'uopo rinnovare l'operazione. L'attuale casa con chiesa che noi abbiamo costa 13000 franchi; ma ogni anno vi ci vuole una spesa di 600 franchi fra travi e fango per conservarla. E una delle più solide e belle di questa capitale.

Tutto il merito di questa missione è dovuto ai P.P. Franceschini e Carcereri dell'Ordine di S. Camillo, i quali con l'assenso del loro Generale, con un rescritto Pontificio si associarono a me; e spero che resteranno sempre nella missione, come essi desiderano, al qual uopo pianterò più tardi un ospitale, come promisi al loro generale, che in questa capitale sarà una benedizione di Dio, poiché qui più della metà di quelli che sono malati gravemente, talvolta prima di morire, si buttano fuori della città senza seppellirli, e vengono mangiati dalle iene e dagli uccelli.

Avendo l'altro ieri veduto coi miei occhi più di sessanta morti buttati fuori della città in tal modo, ed erano tutti mori, spedii al Gran Pascià di Cordofan uno scritto, in cui gli proposi di ordinare che tutti quelli che muoiono sieno sepolti, perché il costume qui dominante è contro la religione e civiltà, essendo questi infelici nostri simili. All'istante emanò la legge da me voluta, ed ora corrono corrieri e banditori per la città a promulgare l'ordine sotto pene severissime. Tra i convertiti c'è il primo negoziante (greco-scismatico) di El-Obeid, che fece l'abiura or son sette mesi nelle mani del mio Vicario generale il P. Carcereri, e con lui si convertì tutta la sua famiglia, che ora è esemplarissima.

Ora vengo a dirle alcun che della più dolorosa piaga che affligge il mio Vicariato, cioè la schiavitù, la quale è nel massimo vigore qui, colpa l'ateismo e i deliramenti delle odierne potenze europee in parte, e soprattutto, colpa il maomettismo, che prometterà tutto e sottoscriverà a tutti i trattati delle potenze europee, ma in carta; giammai di fatto. Io nella mia posizione sono in grado di fare del bene su questo punto, e la missione cattolica è una potenza in Sudan, e gran merito vi ha la bandiera austriaca che sventola sulla missione.

Tutti i pascià e negozianti di schiavi ci temono e cercano di sfuggire ai nostri sguardi. Io ho dichiarato ai pascià di Chartum e di Cordofan che quanti schiavi trovo in città o fuori legati ecc., tutti li faccio condurre alla missione e non li restituisco più; tutti poi quelli che si presentano alla missione per denunciare i maltrattamenti che ricevono dai loro padroni, constatata la verità, li trattengo e non li restituisco; solo mi limito a denunziare al divano, che il tale e il tale ecc. l'ho trattenuto in missione, e fino a che si fa il processo ed è approvato da me, o dal mio sostituto in mia assenza, l'imputato dee stare in missione. I detti pascià o governatori che sanno d'essere in dolo, perché il primo negoziante di schiavi è il governo, non mi ripeterono sillaba, e m'accordarono tutto. Già a quest'ora ne ho liberati più di 500. Le corna di Cristo, dicea D. Mazza, sono più dure che quelle del diavolo.

Ma oh! l'orrore della schiavitù che trionfa in queste parti! Da El-Obeid e da Chartum, e dal territorio che li congiunge, passano ogni anno più di mezzo milione di schiavi, la maggior parte femmine, ma mescolate senza riguardo ai maschi di ogni età, ma la maggior parte dai 7 ai 18 anni, tutte nude affatto, e la maggior parte incatenate, che si rubano e si strappano violentemente dal seno delle loro famiglie nelle tribù e regni posti al sud o sud-ovest di Chartum e Cordofan, essi rubano, talvolta uccidendo i genitori, se sono vecchi, o rubando o portando via e figli e genitori, se giovani. Tutti passano da qui per essere condotti o nell'Egitto, o sul Mar Rosso, ed essere venduti! A quelle fra le femmine che sono avvenenti, si dà anche un trattamento discreto per la prostituzione o pegli Harem, e gli altri pel servizio.

Dal Cairo a Chartum ne incontrammo più di 40 barche, stipati maschi e femmine come le sardine. Nel passaggio del deserto ne incontrammo più di trenta carovane, che camminavano così nude a piedi, e madri coi bimbi, e fanciulli e fanciulle di 7 od 8 anni; a piedi sulle sabbie ardenti, compiendo così un viaggio, che stanca i più forti viaggiatori coi cammelli, dando loro a mangiare, non tutti i giorni, un po' di durra, o belilla, grano melega posto in acqua.

Ma ciò che mi raccapricciò più di tutto fu quello che vidi fra Chartum ed El-Obeid, ove incontrai più migliaia di schiavi, la maggior parte femmine mescolate coi maschi e senza ombra di vestito. I piccoli fino a tre anni erano portati da altre schiave, che parevano le madri, e queste a piedi. Altri ed altre, ad otto a dieci erano legate al collo e raccomandate ad una trave che poggiava sulle loro spalle, e che doveano portare. Ciò perché non iscappassero. Altri a dieci a quindici dagli 8 ai 15 anni erano legati al collo con corda di pelle di capra attaccata ad una corda più grande che teneva in mano un giallabo o negoziante di schiavi. Altri erano legati a due a due ad una trave al collo, l'uno da una parte, l'altro dall'altra.

Altri aveano la sceva, cioè, una trave finente a triangolo, ove era attaccato al collo dello schiavo, che dovea camminare a piedi trascinando la trave. Altri legati ciascuno le mani e braccia addietro ed attaccati ad una lunga corda sostenuta da un manigoldo. Altri aveano stretti i piedi con catene di ferro: altri così incatenati portavano altri fardelli o pesi dei padroni, ed i vecchi camminavano senza legami. Tutti son spinti barbaramente con lance e bastoni, quando ritardano a camminare o sono stanchi; e già alcuni cadono dalla fatica a terra. Allora i manigoldi o li finiscono con una bastonata o lanciata, o li abbandonano così per via. Io ne trovai dei morti sulla strada, e le nostre povere catechiste ne rimasero raccapricciate e piene di spavento.

Non è questo che una languida idea del più che posso dire. Vegga, signore, uno dei compiti della nostra missione. Nessun trattato, nessuna potenza potrà qui abolirvi la schiavitù, perché è permessa da Maometto, e i musulmani credono di essere in diritto di esercitare la schiavitù. Non si distruggerà che colla predicazione del Vangelo, e collo stabilire definitivamente il cattolicesimo in queste contrade. Il governo, che aderì al trattato del 1856, vi aderì sulla carta; ma non in pratica. I governatori del Sudan sono i primi ad esercitare l'infame traffico, da cui ricavano guadagno; e gli stessi Pascià fanno scorrerie ai Nuba, ai Teggala, al Fiume Bianco etc., conducendo seco truppe di soldati con fucili, e sempre ritornano con sei o otto mila schiavi! Tutto questo si sa al Cairo, e dal Divano e dal Vicerè e, io credo, da molti consoli europei; ma siccome in oggi son tutti comprati, e siccome il grido di dolore di questi popoli non giunge in Europa, ove domina oggi l'ateismo e la framassoneria; così la desolazione di queste contrade continua e continuerà per molto tempo.

Ma il Cuor di Gesù supplicato dalle anime giuste, e la carità delle anime sante e doviziose soccorrenti l'apostolato cattolico di questa santa e spinosa missione, asciugheranno soli le lagrime di questi popoli infelici, pel cui riscatto noi sacrifichiamo la vita. Veda anche da questo lato l'importanza altissima di questo Vicariato Apostolico...

L'ambasciatore d'Inghilterra nel dicembre p.p. venne a trovarmi in Cairo: avemmo una lunga conferenza, e abbiamo convenuto di carteggiare insieme. Ma fu grande la mia sorpresa, quando mi disse ch'era diretto non già per l'Africa Centrale, ove è il teatro più colossale della schiavitù, sebbene per Zanzibar e Mascatte. Egli era stato dal Vicerè d'Egitto ed era tutto contento dall'udienza, perché il Kedive lodava la sua missione filantropica, e gli promise tutto l'appoggio ad hoc. Io che conosco come stanno gli affari, mi tacqui, e lo lasciai nella sua buona fede; solo gli dissi che i turchi appoggiati sull'asserzione dei loro Mufti interpreti del Corano, credono lecita e benemerita la schiavitù etc. Allora Sua Ecc. mi disse: "Credete voi che io riuscirò nella mia missione presso il Sultano di Zanzibar?".

Io gli risposi: "Sig. ambasciatore; il Sultano vi riceverà splendidamente, vi darà un'ospitalità principesca. Ma rifiuterà di aderire ai vostri desideri, perché il Corano secondo lui essendo parola di Dio non vieta ma permette il traffico di carne umana. Oppure se il Sultano aderirà al vostro volere, e sottoscriverà un trattato con S. M. la Regina d'Inghilterra, appena sarete partito da Zanzibar, continuerà come prima a fare egli stesso e permetterà agli altri musulmani il traffico degli schiavi". Non rimase troppo soddisfatto del mio parere S. E.; ma mi espresse la speranza di riuscire colle lettere del suo governo e coi cannoni. "Coi cannoni sì, risposi io; ma solo in quelle località ove si sentirà il rimbombo dei cannoni."

Ci dividemmo amichevolmente, dopo aver con lui pranzato unitamente al suo gran seguito, fra cui v'era un Arcivescovo anglicano dottissimo nell'arabo e persiano, il quale divideva le mie opinioni. Era questi il segretario di questa ambasciata. Non so più che ne sia avvenuto, perché io venni in Africa Centrale: ma ora sono ancora della medesima opinione. La sola Fede di Cristo stabilita nel centro d'Africa, e il S. Cuore di Gesù e Maria V. Immacolata, e S. Giuseppe, più che la regina d'Inghilterra, ed il trattato 1856 di Parigi, aboliranno la schiavitù....

Il S. Padre Pio IX poi ha sempre a cuore questa missione; e mi disse che ha pregato e pregherà sempre per me. E noi qui in Africa Centrale, dopo aver predicato la Trinità, la Redenzione e la Madonna, predicheremo subito il Papa, tanto più grande quanto più perseguitato. Oh che delizie patire col Papa!...

Riceva tutto il cuore dal

Suo D.mo Um.

DANIELE COMBONI

Pro Vic. Ap. dell'Africa Centrale