clicca qui per tornare alla pagina degli scritti di Comboni dividi per temi

 

 1. ai suoi genitori

 

Siut, 30 8bre 1857

 Carissimi Genitori!

 Come già vi scrissi partimmo dal gran Cairo la sera del 22; e dopo felicissima navigazione giungemmo stasera alla capitale dell'Alto Egitto, ove contiamo di fermarci mezza giornata per poscia ripartire alla volta d'Assuan. Ma prima di lasciare questa amenissima città, voglio citarvi una scena ch'ebbe luogo nella gigantesca capitale di tutto l'Egitto, il Cairo.

Ogni anno i gran ministri della religion musulmana a nome del governo d'Egitto, sogliono mandare alla Mecca un gran velo del più fino damasco ricamato in oro e gemme, affinché tocchi la santa tomba di Maometto. Questo velo rimane alla Mecca per un anno, finché l'anno veniente si manda colà da Cairo un altro velo per ritirarvi quello, che venne toccato dalla sacra tomba, la quale, come sapete, dicono i musulmani che è sospesa in aria nel gran tempio della Mecca, nel quale v'è pena la morte a chi v'entra che non sia musulmano.

Chi conduce il velo santificato, generalmente è un distinto personaggio. In quest'anno toccò alla sorella del Re d'Egitto, la quale tornava in gran treno il giorno dopo appunto ch'io arrivava al Cairo. Or ecco la scena che ebbe luogo nei tre giorni posteriori al mio arrivo, e ch'io fui testimonio.

Questo velo vien portato da un cammello, il quale diventa subito santo, e santo in modo che diventano felici coloro che lo toccano. Il primo giorno dell'arrivo il velo viene esposto nel tempio, che è il più grande e devoto del Cairo, nel quale io entrai con D. Angelo ed Alessandro, ma dopo esserci fatti legare i piedi con sandali di tela bianchissima, previo il generoso bachsis a chi presiede alle porte; questo velo vien baciato e toccato dai grandi prima, e poi dal popolo; il terzo giorno poi il cammello santificato per aver portato dalla Mecca il velo, vien condotto in bardatura d'oro nella gran piazza del Cairo, detta Esbichièh, e coloro che vogliono diventar santi sapete che fanno? Si distendono nudi in mezzo alla piazza bocconi o supini per terra, ed il cammello per tre ore continue passeggia sopra questi corpi vivi e nudi, e a chi rompe un braccio, a chi un occhio, chi rimane schiacciato, chi una gamba etc. ed è una meraviglia vedere le bastonate e percosse che si danno, e le risse che succedono, perché tutti vorrebbero essere ammessi al grande onore di essere calpestati dal cammello santificato.

Dopo questa scena di tre ore, i poveri feriti, che diventano santi, vengono condotti in processione al Qalaa che è la Moschea del re, e qui vengono ricolmi di onori da un popolo esultante, e questi poi sono come oracoli presso il popolo.. (A qual segno arriva il fanatismo!!)

Il cammello poi vien nutrito e conservato con tutta sollecitudine; e v'è pena la morte a chi l'adopera a qualche uso, per quanto nobile sia. Per sette giorni durò la festa del Ritorno della sorella del gran Pascià dalla Mecca. Solo di polvere, e lavori, fuochi, artificiali etc. si calcola un milione di franchi di spese, senza computare la lautezza dei conviti, che abbracciano spese considerabili, perché presso gli orientali non v'ha limite. Nei cinque giorni che rimasi in Cairo, visitai il palazzo del Gran Pascià, ed il tempio del Qalaa edificato da Mahhamed-Aly, di cui non posso esprimere lo sfarzo e la ricchezza: è tutto di alabastro: le perle sono innumerevoli, gli ori, le gemme: è un vaso di moschea grande come due volte sole il duomo di Brescia: ma la sua preziosità, la sua forma, che è una sola cupola ed una sola rotonda m'ha fatto impressione maggiore che i templi di Firenze, Venezia, e Gerusalemme.

Il Cairo, secondo la statistica dell'anno scorso, comprende 1 milione e più d'anime: ha quattrocento e cinquanta superbe moschee (templi maomettani) con altrettanti elegantissimi minareti (specie di torri) molti dei quali superano in altezza la torre di Verona; e fra queste soltanto sonvi (mi duole il dirlo) circa 4000 cattolici, e tre chiese cristiane, nelle quali fanno le loro funzioni i maroniti, i copti, i greci, gli armeni, sicché in due specialmente di queste nasce una vera Babilonia.

Visitammo più volte il Vescovo del Cairo, il quale abita nel Convento dei Francescani, ove noi alloggiammo, e fu grazioso nel darci un bravissimo giovane nato da una concubina mora e da un adultero bianco toscano. Questo giovane lo conduciamo con noi nelle regioni incognite, e promette grande riuscita malgrado la malizia in cui nacque e venne educato. Non vi parlo degli scandali che nascono sulle pubbliche piazza, lungo le vie, negli stessi bazàr (mercati) perché non voglio insozzare la penna in descrivere tante pubbliche offese di Dio. Ma voglio lasciare questa malaugurata città, che secondo il detto d'uno scrittore, è la vera Babilonia moderna: essa ha 27 miglia di circonferenza; ed eccomi sulle nostre dahhabie (barche).

I cinque artieri sono sopra la prima e più grande e la più ricca di pidocchi. I cinque Missionari, il bravo giovanetto, ed il nostro servo nativo della Nubia, sono sulla più piccola, più elegante della prima, meno ricca di pidocchi, ma zeppa di sorci e cimici e mosche pungentissime, le quali ed i quali ci fanno allegra e talvolta triste compagnia. Il nostro viaggio sul Nilo è deliziosissimo; le sue sponde sono ricche di palme di zucchero, di dattili, banani etc. e le sue campagne circonvicine sono fertili di durah e granaglie. Ad ogni tratto sonvi paesi e villaggi, tutti alti meno di un uomo, fatti di terra cotta al sole, che con un pugno si atterrano. I fanciulli i giovani, e la maggior parte degli uomini sono nudi, e lavorano nudi sotto il sole. Ogni giorno per qualche quarto d'ora smontiamo a terra per provvedere colla caccia tortore, colombi, piccioni, e pitti [tacchini], che vi sono a migliaia.

Sapete che cacciatore sia io; eppure io fo trista caccia, quando arrivo ad uccidere un solo piccione o tortorella con una schioppettata. Quante volte, a stare in barca atterriamo dei dindi e pitti ed anitre del peso di 16 ed anche 20 libbre l'una, le quali sono squisite al pari di quelle d'Europa; queste si cacciano a dieci a cento sopra la nuda sabbia di qualche isolotto; e al suono d'una schioppettata, molte di quelle che non cadono, restano là ferme, sicché si giunge a termine di caricare lo schioppo, e ucciderne delle altre. Vienmi in mente quando coll'Eustachio eravamo felici a Dalco quando potevamo mangiare quattro o cinque tordi uccisi collo schioppo (da lui, non da me!!).

Ma basta: qual'è la vita che noi conduciamo in barca?? Prima di tutto dovete sapere che ora noi navighiamo contro il Nilo, è il Nilo parte dal centro dell'Africa e si scarica vicino ad Alessandria nel Mediterraneo; eppure andiamo a gonfie vele colla velocità, con cui corrono le nostre barche sul Garda quando vanno a vela che appena può sostenersi intera. Il Nilo è largo come due volte il Po, e talvolta come da Reamolo a Navene, ed è profondissimo in certi luoghi, in altri assai basso da arenare la barca; noi ci arenammo tre volte, ed una ier sera che a mala pena dopo due ore di fatica ci riuscì d'uscirne.

[........] ma ecco la nostra vita: a mattina all'alba ci leviamo; non già da letto, che il nostro letto consiste nel mettersi sotto alla testa un fardello di robe da lavarsi o un vestito e coricarsi sopra le asse della barca! Quante volte mi vengono in mente le sollecitudini della mamma nel voler farmi un letto molle; io acconsentiva per non esserle dispiacente, e per apprezzare la sua illimitata premura, ma lo desiderava duro per avvezzarmi. Ora sono avvezzato, ma siccome ogni mattina ci leviamo colle coste come peste dal bastone, D. Giovanni pensò di munirci di un cuscino per coricare il capo, affine di sottoporre alla vita quello che prima si sottoponeva alla testa; ed ecco infatti, che arrivati in Minieh città commerciante, a' 28 comprammo della tela, e giunti in barca ci siamo tutti cinque tagliati fuori la nostra parte di tela, e ci siamo fatti un cuscino. Ho lavorato mezzo giorno a cucire ed oh le risa che facemmo. Dicevamo a D. Checco che era Professore al Liceo di Verona: se vi vedessero i vostri scolari a far da sartore?

A me veniva in mente la mia buona mamma, che in un'ora avrebbe fatto chetamente quel che io feci a grande fatica in mezza giornata. Fra il giorno poi, dopo eseguiti i nostri doveri di religione in comune, cioè la meditazione, l'ufficio, l'orazione vocale, la lezione spirituale, l'esame di coscienza, il rosario, ci mettiamo a discorrere delle cose d'Europa, e scrivere memorie sul proprio giornale, ad osservare la sempre crescente bellezza delle sponde del Nilo, a schioppettare qualche piccione etc. Ci occorre alle volte che ci compariscono a bordo nuotando degli uomini ignudi i quali hanno raso il capo, fuorché una gran coda nel mezzo, i quali con un piagnisteo che muove a compassione ed a schifo, ci domandano del pane, e denaro, che poscia mettono in bocca, e tanto insistono anche dopo ricevuta l'elemosina, che bisogna cacciarli spesso col bastone: sapete chi sono? Son monaci e sacerdoti cristiani-copti scismatici, che abitano le vicine montagne e vivono d'elemosina: e quando passiamo vicino a qualche grotta, essi si spiccano dalla cima alta come la chiesa di Limone, e più e saltano in barca nudi affatto, e si dipartono poi saltando nel fiume e nuotando.

La sera poi fino alle 11 circa la passiamo nel cantare discorrere specialmente della nostra Missione, e sul modo d'introdurci la prima volta nelle Regioni Incognite dell'Africa Centrale. A dirvi la verità si soffre ma si gode altresì, pensando che andiamo a propagare il Regno di Xto. Io son più sano e robusto di quando era in Europa. Noi siamo allegri e tranquilli e qualche volta ridiamo a spalle vostre rammentando aneddoti che toccaronmi con voi: coraggio dunque, o carissimi; orazione, e rassegnazione alla volontà di Dio.

Scusate se non vi posso dir tutto quel che passo, che veggo etc. A scrivere è un'impresa qui sulla barca che vacilla; e se vedete tristo carattere, rammentatevi che non vi son più i tavolini di S. Carlo, o Limone; si tratta di scrivere o sulla valigia, o sul ginocchio, o sdraiato per terra, e poi a scrivervi tutto ci vorrebbe un libro ogni volta. Ora specialmente, che siamo per entrare nel porto di Siut, le onde sono fortissime.

Il Nilo è zeppo di barche più che il mare nella sua proporzione; ogni giorno s'incontrano più di 120 barche senza vela e tante volte quelle che vanno in su come la nostra s'uniscono e si squarcian la vela, come pochi giorni sono successe alla nostra grande, che si fermò mezzo giorno per aggiustare la vela minore.

Addio miei cari genitori; vi ringrazio vivamente d'avermi dato il generoso assenso di percorrere la carriera della Missione; godete, state tranquilli, che i travagli della vita son sempre brevi e piccoli, quando si tratta di evitare le pene dell'inferno, e guadagnare il Paradiso.

Addio caro padre, cara mamma; voi siete e vivete sempre nel mio cuore. Io v'amo e vi stimo poi gran cosa, perché sapeste fare un'opera eroica, che i grandi del secolo, e gli eroi del mondo non sanno fare. Cianci il mondo a sua posta, vi abbia a vile, vi dica che siete imbecilli: voi avete riportato una vittoria che vi assicurò la vostra eterna felicità.

Dopo la pioggia che ho preso con voi a Verona, non ho veduto cader nemmeno un goccio d'acqua. Il cielo d'Egitto è sempre brillante. Salutatemi i parenti tutti di Limone e di Riva; mi dispiace tanto della Marietta. Riveritemi il Sig.r padrone, la signora padrona, il Sig.r Giacomo e Teresa Ferrari, il Sig.r Rettore, i Parroci di Tremosine, i giardinieri di Supino e Tesolo, il Sig.r Giuseppe, e Giulia Carettoni, Sig.r Luigi Prudenza, D. Ben, Ragusini, Vincenzo Carettoni, Minica, Virginia, etc. etc. Caporale, Rambottini etc. mentre mi dichiaro di cuore

 

Vostro aff. figlio

D. Daniele Comboni

Miss.o Apostolico

 

NB. Lasciava fuori la circostanza più critica del nostro viaggio. Il Nilo al Monte Abu-Feda trovasi fiancheggiato da due alte montagne che non gli lasciano altra uscita per lo spazio di tre miglia; questo passo è pericolosissimo, ed ogni poco succedono naufragi per la forza e l'irregolarità dei venti. Appena entrati colle nostre due barche in questo labirinto, un veementissimo vento squarciò la vela maggiore, ruppe in molti pezzi le sponde ella barca, e i sei marinai della nostra piccola barca non sapevano più che fare, perché ad uno cadde sulla testa una trave, mentre le due barche si cozzavano insieme. In questo frangente D. Giovanni ed io ci cavammo le scarpe ed i vestiti ad eccezione della camicia e pantaloni pronti per gettarci nel fiume zeppo in questo tratto di vortici. D. Francesco s'attaccò ad una trave, D. Alessandro ad un asse, e D. Angelo senza far né bene né male abbracciò il crocifisso: mentre dicevamo l'Ave Maria e ci apparecchiavamo a darci reciprocamente l'assoluzione, il vento ci gettò in un banco di sabbia e fummo salvi. Uscimmo a terra e cantammo due allegre canzoni sacre ed ora ci troviamo lieti a Siut, ove domattina speriamo di celebrar messa. Benedetto il Signore e benedetta Maria che è sempre con noi. Da questo luogo sono passati altri, noi pure!