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 3. a p. Giuseppe Sembianti

El-Obeid, 16 luglio 1881

 

Mio caro Padre,

…..Perdoni, mio caro Padre, se io, che in fatto di tutte queste virtù, sono molto al di sotto di lei, senza calcolare tutta quella caterva di difetti e infermità che ho, mentre la sua vita è da angelo, vengo a farle da maestro di spirito.

Ma sono Capo e Fondatore dell'Opera più difficile di apostolato, che deve formare dei santi e delle sante per convertir l'Africa; e lo strumento primo per formare questi Dio ha voluto che fosse Lei, e che deve a poco a poco apprendere ciò che ci vuole, e conoscere a fondo l'anatomia dello spirito umano, per poter formare dei santi apostoli, etc. etc.; quindi le parlo schietto e le faccio da maestro, certo che ella farà lo stesso anche per me, e tutto ciò a gloria di Dio, a confusione ed emendazione nostra, (perché la perfezione è un alto monte, e noi non siamo che a' piedi), e per la salvezza dei poveri ne­gri, che sono le anime più abbandonate del mondo.

Ma ella dirà "Se sono così bambino e povero di virtù, e se sono così inetto per conseguenza a fare il mio dovere col formare dei santi, è meglio che scappi, e che vada nel mio Convento, e che Dio mandi qui un altro più capace di me e più virtuoso di me: io dispero di riuscirvi. E' qui dove io voleva il mio Sembianti (perché ho intenzione di batterlo; ora ho appena cominciato, e ciò per salvare la Nigrizia, e per farsi santo se stesso).

Ah piano, mio caro. E' vero che ella è bambino in virtù. Ma si ricordi di una massima inculcatami dal P. Marani, che era più ruvido di lei, di sgraziate maniere, e talvolta mostrava di avere molto poca carità (ed in ciò non lo imiti per nulla). Io trattai da Chierico il P. Marani, feci la confessione generale da lui, e diede il consiglio definitivo della mia Vocazione (quella mattina il P. Benciolini stava fuori, che aspettava di sapere da me la risoluzione del P. Marani, 9 agosto 1857) dicendomi: "Mi lo conosso da cerico, mi l'ò consiglià da cièrico e da prete in tutte le sò cose (cose sue): mi gò in mente come in uno speio tutta la so vita, le so cose, el so difetto capitàl, quel che l'ha fatto per batterlo, etc. etc. Mi l'è dal 1820 che ho comincià a esaminar le vocazioni, e per tanti anni ho fatto questo, e gavea per maestro gnente manco che D. Gasparo. E ben el se consola, e nol gabbia paura (tremava come una foglia perché avea timore che mi dicesse che per l'Africa non avea nessuna vocazione, timore che alla mattina del 9 avea esternato al P. Benciolini, che mi rispondeva: "lu el farà quel che el Signor vorrà, el vaga dentro da D. Marani, e el farà quel che'l che dirà): l'è tanti ani che esamino vocazioni e de Missionari e de preti e de frati etc.; la so vocazion alla missione e all'Africa l'è dele più ciare che abbia visto: ghe sta qua e D. Vinco, e Zara Gesuita, e D. Ambrosi, e cento altri; la so vocasion me par delle più ciare e sicure che mi abbi visto; e son veccio, go i cavei grisi, e go sulle spale sessantasette, quasi sessanta otto ani; el vaga en nome de Dio, e el staga allegro. Mi inginocchiai, mi benedisse, lo ringraziai piangendo di consolazione, e corsi a raccontar tutto al P. Benciolini, (che rideva). Dunque (scusi della parentesi) continuo.

Lei, caro padre, si ricordi di una massima inculcatami dal P. Marani, ed era questa: "Chi confida in se stesso, confida nel più grande asino del mondo" e soggiungeva: "tutta la nostra confidenza deve essere in Dio". E in ciò vengono meno molte anime sante che io conosco, e tanti Gesuiti, e frati, e preti pii, e religiosi che si mettono il cilicio, e si battono il petto, e Trappisti e Certosini e anime di grande orazione etc. etc. i quali con una vita santa, e con molta orazione dicono di confidare in Dio (li ho veduti coi miei occhi e sentiti colle mie orecchie, e non solamente religiosi e preti, ma prelati, ve­scovi, e qualche cardinale), dicono Dio può tutto, Dio farà tutto, provvederà a tutto, portiamo la croce umiliamoci, annientiamoci, etc...... Ma quando capita la tempesta, vien meno la speranza umana, non vedono luccicare il denaro, tutto è croce, capita l'umiliazione, sentono che non han credito, etc. etc. allora cadono sotto il peso la fiducia in Dio è zero (confidavano nel più grande asino di questo mondo), e la vera e reale perfezione è andata in fumo.

Tutto questo è toccato a me cento volte, ed ho conchiuso che il P. Marani avea ragione, e che l'unico labaro e rifugio e fortezza è met­tere tutta la propria fiducia in Dio, che è un galantuomo, e l'unico galantuomo, che ha testa, cuore, e coscienza, e che da noi può far far miracoli; ed ho sperimentato che la piena fiducia negli uomini non ci assicura affatto, fossero vescovi, santi (che mangiano) cardinali, principi, re, potenti etc., insomma fiducia piena nell'uomo, va soggetta a disillusione. Lasciai una cosa (scrivo dopo essere scappato tre volte dalla mia camera ove piove giù e dopo aver mutato tavolo tre volte in oggi).

Dissi che D. Marani era ruvido, bisbetico a certi momenti, con poca carità (di scarsella), etc. etc. (ed in ciò non lo imiti); ma D. Marani era un santo, grande maestro di spirito, gran consigliere di anime, uomo nato e fatto per comandare e farsi rispettare, profondo conoscitore del cuore umano, modello di preti, direttori di spirito, zelatori di anime, un vero missionario e padre spirituale, che non ha studiato molto, ma che era dottissimo nelle scienze sacre e nel governo dell'anime, perché avea profondamente studiato, compreso, e divorato un gran libro divino: "D. Gaspare Bertoni", Requiescat in pace.

Ora lei, benché incapace, privo di virtù etc., pure è stato destinato da Dio (e niente v'ha di più chiaro più che il sole) ad essere Rettore degli Istituti Africani. In questo affare ella non ci entra niente. Dunque ella è sicura che soddisferà (colla abituale diligenza e volontà stimmatina, che vuole solo Dio), ella spogliata di se stessa deve confidare in Dio, e star tranquillo e certo, che al suo posto ella farà quello e più che farebbe il Venerabile Avila, il General dei Gesuiti etc. perché lei non è che semplice strumento e pulcinella del Signore.

Dunque non si sconforti e scoraggi se riceverà colpi da orbo, per ritrarlo dalla via, etc., poiché satana ci fa una guerra tremenda adesso, perché va accorgendosi che fra non molto deve sloggiare dall'Africa, e che io e lei (scusi della santa umiltà) siamo destinati suoi precipui persecutori e nemici. Tiri dunque avanti, s'aspetti dei colpi tremendi, e vada avanti e taccia.

Mio Dio, che digressioni! Ma torniamo alle sue lettere. Non creda che a personaggi serii scriva così alla babbalana, senza rileggerle (e lei le sue lettere le compassa). A lei appariscono così meglio quel che sono, cioè, un macacco de comuni confessorum non pontificum etc., con lei ho confidenza; e se non me la dà, me la prendo; e le scrivo giù giù, e conoscerà quel sono. Ma coi grandi, coi re (ho ricevuto ieri una bella lettera dal re dei Belgi), coi cardinali... di Roma etc. scrivo come se fossi un uomo serio, e colla mia... riesco a farmi creder tale.

Sono tanto oppresso ed afflitto, che vado fuori d'argomento senza accorgermi. Sa perché le ho citato il giudizio del P. Marani sulla mia Vocazione? Certi matti veronesi teste piccole non capiscono e vogliono sputar sentenze e decidere etc. a carico del prossimo. Ma Ella è uomo che capisce. Dunque avanti. Le ho accennato e specificato questo fatto non per altro se non per dirle, che nel corso della mia ardua e laboriosa intrapresa, mi parve più di cento volte di essere abbandonato da Dio, dal Papa, dai Superiori, e da tutti gli uomini (un'anima sola quando ero sotto il peso delle più tremende afflizioni, e desolazioni non mi ha abbandonato quando poteva parlarmi, e mi ha confortato a mettere tutta la mia fiducia in Dio protettore unico dell'innocenza, giustizia e delle opere di Dio, e questa è V. M.).

Vedendomi così abbandonato e desolato, ebbi cento volte la più forte tentazione (ed anche eccitamenti da uomini pii, rispettabili, ma senza coraggio e fiducia in Dio) di abbandonar tutto, rassegnar l'opera alla Propaganda, e mettermi umile servo a disposizione della Santa Sede, o del Card. Pref., o di qualche Vescovo. Ebbene, ciò che non mi fece mai venir meno alla mia Vocazione (anche quando mi trovava accusato alla più alta autorità, per modo di dire, di venti peccati capitali, benché non ve ne sieno che soli sette) (anche quando avea 70.000 franchi di debito, gl'Istituti di Verona disordinati, nell'Africa C.le molti morti e nessuna prospettiva di luce, ma tutto tenebre ed io colla febbre a Chartum), ciò che mi sostenne il coraggio a star fermo al mio fino alla morte, o fino a decisioni differenti della S. Sede, fu la convinzione della sicurezza della mia Vocazione, fu sempre e toties quoties perché il P. Marani mi ha detto ai 9 ag. 1857, dopo maturo esame: "la vostra vocazione alle missioni dell'Africa, è una delle più chiare che io abbia vedute".

Dunque anche lei si trova nel caso che mi trovavo io. Ella è certa che Dio vuole che faccia il Rettore degli Istituti Africani. Il suo animo debole, piccolo, fragile, la sua bambina virtù non deve scoraggiarlo in nessuna circostanza avversa (finora camminò sulle rose, ma capiteranno le spine), ella deve tirare innanzi senza fiatare, e senza dir mai al Superiore "Non ne posso più, sono sfiduciato, ha da fare coi matti, e specialmente con quel matto di Mgr. Comboni che mi salta di palo in frasca, fa confusioni, dice, disdice etc. etc. Io voglio mettermi tranquillo e tornare alle Stimmate". Caro mio sarebbe il modo di rimaner sempre bambino nella virtù. Dunque coraggio, avanti, e ci troveremo in cielo.

D. Bortolo alla prima febbre (era in viaggio da Chartum a Cordofan) si scoraggiò e tornò indietro, la febbre continuò per alcuni giorni, e scoraggiato mi supplicò di tornare addietro perché non avea salute. La stessa preghiera mi ripetè in iscritto mentre io stava ad El-Obeid. Poi gli parve di star meglio (della malattia di D. Losi [lapsus per Rolleri], e più tremende ne abbiamo sostenuti tutti noi, molte Suore, e specialmente Suor Vittoria e Concetta; anzi Sr. Concetta soffre ogni anno malattie tre volte più forti di D. Bortolo; ma nessuno mai chiese di tornare addietro), e mi scrisse (era per partire per Nuba) che se io lo credeva, rischierebbe di restare alle condizioni che le scrissi 1º. di essere con D. Losi padroni di tutto, Vicario G.le, Amminis.re Generale, mai dipendere in nulla da me, fuorché solo dirmi quel che farà, etc. etc. etc. e ciò intendeva di provare con piena libertà di tornare addietro quando gli piaceva se non gli accomodava (e non ha nessun'abilità), e andare ove gli accomodava, perché egli non era legato alla missione con nessun Giuramento.

Noi dicemmo: "siamo sull'aria così; se gli torna la febbre forte come prima, domanda subito di tornare in Europa, etc. etc." ed io non risposi sillaba, perché alla 1ª sua petizione gli accordai il permesso colla patente di ritorno. Ciò a supplemento di quanto dissi di D. Bortolo, in risposta alla sua Nº 26º, ove dice: "godrei che D. Bortolo potesse restare nell'interno".

Vale. Gesù mio sono stracco, debole! Sia fatta la volontà di Dio. Benedico D. Luciano etc. Preghi per

 

C Daniele Vescovo