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 2. a suo padre

 

Korosko nella Nubia, 27 novembre 1857

 

Cariss.mo Padre!

 

Eccomi da ben dodici giorni nel vasto regno della Nubia, ove m'accorgo un po' d'esser da voi lontano. Ma intendete bene cosa io intendo per la parola lontano. Se volgo uno sguardo alla materiale distanza che ci separa ai regni, ai paesi da me percorsi dopo l'ultimo saluto che ho dato all'Italia, m'accorgo d'esser da voi lontano, benché sia appena alla metà della mia destinazione. Se rifletto invece alla continua immediata relazione che ho con voi, all'affetto ch'io vi porto, al mio pensiero che si occupa sempre di voi, oh allora io vi sono sempre vicino, parlo sempre con voi, ci comunichiamo i reciproci nostri sentimenti d'affetto, sono sempre a voi unito, perché l'amore non conosce distanze né limitazioni di tempo.

Sì, mio caro padre, mia cara mamma; per quanto siano variati e diversi gli oggetti che mi circondano, invece di associarmi idee alla loro natura omogenee, mi risvegliano invece la vostra cara memoria; sì ch'io vi contemplo e sulle sponde incantevoli del Nilo, e fra le aduste sabbie del deserto, e sotto la tenda, e in ogni luogo della mia dimora. Quindi cacciatevi fuor dalla testa quel vostro falso proverbio, che avete imparato forse dalla vostra nonna mentre filava, cioè: lontano dagli occhi, lontano dal cuore; perché quando è vero, cristiano, filiale amore, non v'ha distanza che possa in nessun modo scemarlo: io la provo infatti così.

Quand'era in collegio passava qualche giorno senza che pensassi a voi, al tanto che ho ricevuto da voi, a quel che vi debbo: ora non v'ha ora o momento che non rivolga lo sguardo della mente, e che non pensi a voi, a quel che avete fatto per me, a quel che il vostro paterno amore sarebbe disposto a fare, e soprattutto all'eroico consenso che m'avete dato, il quale non può partire che da un'anima timorata di Dio, che sdegnando ogni terrena compiacenza, non ha l'occhio rivolto se non all'eredità dei santi: noi discorriamo ogni sera quasi di voi, e sempre ci è oggetto di ammirazione il vostro grande animo, il quale è superiore senza paragone alla nostra non piccola risoluzione di cimentarci alla nostra grande missione. Noi perciò ci troviamo sommamente contenti della nostra condizione; ringraziamo sempre Iddio, che malgrado i nostri demeriti, ci ha chiamati a servirlo sì davvicino; ed io in peculiar modo vi ringrazio e vi ringrazierò sempre per avermi concesso, o amatissimi, di seguire la mia vocazione.

Quanto alla nostra salute io non so come sia: fin dal giorno della nostra partenza da Cairo noi dormimmo sempre o sopra un pezzo di asse in barca, o sotto una piccola tenda su d'una fragile stuoia, sem­pre esposti al ludibrio dei venti, della polvere, delle mosche che sono innumerabili e seccanti sì che paiono le pronipoti di quelle che ai tempi di Faraone costituivano una piaga d'Egitto, mangiamo sempre pane fresco comperato in Cairo, il quale ci durerà ancor più mesi, e sosteniamo non pochi altri disagi propri dei lunghi e difficili viaggi; eppure dobbiamo confessare per grazia di Dio che ci troviamo tutti in migliore stato di salute di quello che fummo in Europa. Io non mi trovo più con la bocca cattiva al mattino come in Verona; D. Angelo rare volte soffre il suo indivisibile dolor di capo; D. Alessandro non ha quasi più il suo calore intestinale. È che non possiamo lamentarci finora del caldo, perché sotto la nostra tenda non oltrepassa i gradi 32 ora che è inverno; e nel deserto vicino che siam per passare, non oltrepassa ora i 43¡, ma gli altri disagi concomitanti all'attual nostra posizione dovrebbero farci un po' risentire: quindi non abbiamo che ringraziare Iddio che ci presta speciale assistenza.

Ma voi bramerete sapere qualche cosa del nostro viaggio: or eccomi a soddisfarvi. Sormontate le formidabili cateratte d'Assuan il giorno 15 corr.te, entrammo lieti nella Nubia, che offre un aspetto assai differente da quel dell'Egitto. Le sponde del Nilo son quasi sempre fiancheggiate da immense montagne di granito, rare volte da boscaglie di datteri e palme; il cielo è bellissimo; gli abitanti sono del colore come le more più biancastre del nostro Istituto, di animo più bello dell'egiziano, e un po' meno fedele al tirannico governo del gran Pascià che fa governare la Nubia (vasto regno una volta e mezza e più di tutto l'impero austriaco benché minore in popola­zione) per mezzo di appositi Mudir incaricati di raccogliere non già le imposte, ma tutti i prodotti del terreno nubiano, per mettere tutto nei fondachi del gran Cairo, lasciando nudo il popolo, che si ciba quasi sempre di datteri, e qualche volta d'un po' di durah.

E' una cosa veramente compassionevole il vedere questi popoli avvolti nella miseria, e nelle più grandi privazioni; eppure ringraziare ogni giorno Maometto che vuole così.

Visitata brevemente la famosa isola di File, celebre per un tempio grandissimo fabbricato da Tolomeo Filadelfo re d'Egitto, dopo una felicissima navigazione giungemmo in Korosco, posto sul limitare del gran deserto, da dove io scrivo.

Gettate le nostre tende sotto un dattero, un quarto di miglio fuor di Korosco, vicino alla sponda del Nilo, primo nostro pensiero fu di celebrarvi la messa; al che erigemmo con due casse un elegante altarino sotto la nostra tenda, addobbato con fiori del nostro Ist.o. Non posso a parole esprimere la consolazione che provammo ad offerire l'augusto sacrificio in questa sciagurata terra, ove forse, a quanto fummo assicurati, non fu mai immolata l'Ostia pacifica della nostra Redenzione. Erano circa tre settimane che non celebravamo; prima di partire contiamo di fare una iscrizione con sopra dipinto un calice, che ricordi ai posteri la fausta circostanza.

Alla prima notte del nostro arrivo fummo destati, e messi in arme contro una iena, la quale s'avvicinò alla nostra tenda; e alla seconda notte cadde un po' di pioggia: era la prima ch'io vedeva dopo la mia partenza da Verona; e quel che è più era la prima che discendeva in Korosco, stantecché a memoria d'uomo in Korosco mai si vide cader goccia di pioggia.

In questa cittadella noi siamo in aspettazione di circa 60 cammelli per passare il gran deserto; speriamo di partire entro quattro giorni; e questo passaggio del deserto è uno dei tratti più formidabili del nostro viaggio; ma credete voi che soffriremo qualche malattia, come quasi sempre avviene all'europeo che passa di qui? state certo di no; e questo confermerà una mia lettera da Khartum. Dio è con noi: benché siamo e stiamo sempre disposti alla morte, nulladimeno sentiamo in noi un presentimento, che dobbiamo arrivare a Khartum, e prima passare il gran deserto, che si estende da Korosco a Berber, senza un dolor di capo; e ciò, io dico, perché il gran tratto del deserto noi lo percorriamo, mentre scade la festa di S. Francesco Saverio, nostro Protettore, che è ai 3 dicembre, e mentre scade quella dell'Immacolata Concezione, che è la protettrice della nostra missione, cioè ai 8. Frattanto qui noi stiamo disponendo le nostre cose, e siamo D. Giovanni ed io spesso interpellati per qualche malattia.

L'altro giorno venne a me un capitano della milizia egiziana per domandarmi consiglio per una malattia agli organi genitali: siccome si trattava di affare sifilitico, fra le altre cose gli prescrissi l'astinenza dall'uso con donne non solo, ma anche colla medesima sua moglie, altrimenti se n'andrebbe presto a trovar Maometto; al che mi rispose: Che volete ch'io ne faccia di tante donne? ne ho dieci in mia casa che sono mie mogli, e quindi ne ho abbastanza senza cercarne delle altre.

La poligamia qui è in grande uso in tutti quelli che hanno da mantenersi. Posti noi in mezzo a questi galantuomini, siamo sovente addolorati nel vedere tanti miserabili figliuoli d'Adamo, vittime della più deplorabile servitù; che dopo aver tanto patito qui in terra, vanno dopo a provar pene maggiori all'inferno. Qui la Religione fu promulgata nel 5° secolo da S. Frumenzio spedito qua da S. Atanasio Patriarca d'Alessandria: circa due secoli dopo vennero i maomettani a distruggervi ogni cosa, e quindi la Religione di G. C.; e d'allora in poi, che sono mille e cento anni fa, non penetrò mai la religione Xna nella Nubia, ove fino ad oggi v'è pena di morte tanto a chi predica, come a chi abbraccia la nostra Fede. Solo nel 1848 potè M.r Knoblecher, attual provicario ap.lico con D. Vinco stabilire una Missione a Khartum, ove possono provvedere, se non ai maomettani, al ben degli schiavi negri.

Ma basta che sarete stanco. Desidero con impazienza d'arrivare a Khartum, ove spero di trovar tante lettere vostre; la posta vi arriva prima di noi, perché dall'Egitto per Khartum va per mezzo di dromedari che corrono velocissimi e notte e giorno.

Frattanto state allegri, tranquilli, e fidati in Dio, che vede tutto, che può tutto, che ci ama. Rammentate che noi preghiamo per voi, ci ricordiamo sempre di voi, e siamo sempre grati al vostro grande animo. Avete gettato ogni vostra fiducia in Dio; egli saprà ricompensarvi degnamente. Oh la Provvidenza divina è il perno di tutte le speranze d'un povero Missionario, che calcato quanto di lusinghiero presenta il mondo, s'avventura sotto le benefiche sue ali in terre straniere a promuovere la gloria e il regno di Gesù Xto.

Vi raccomando di governarvi bene, di non risparmiar nulla pel vostro benessere corporale: pel Signore avete fatto tutto. Spero che vi sarete provveduti d'una discreta serva; guai a voi se non l'avete. Mi costringete a mandarvi una brutta mora dal Centro dell'Africa, che vi servirà egregiamente. Addio, caro padre, cara mamma, scrivetemi spesso, e soprattutto ciò che a voi appartiene: state allegri, vi ripeto, e siate costanti nella via del Calvario, che di 820 passi, che vi sono dal Pretorio di Pilato al Calvario, voi ne avete fatto 800. Volete spaventarvi ancora per soli 20 passi? Non sarà mai vero.

Vi prego di fare le mie veci di padrino verso il mio figlioccio Giacomino, detto Pilès, figlio di Carlo e Anna Maria. Sono dolente per non essere stato a Riva a salutare i carissimi nostri parenti: salutatemeli tanto e distintamente; così pure salutatemi lo Zio Giuseppe, che certo prega per me, Eustachio, Erminia, i piccoli, il Sig.r Consigliere nostro padrone, suo fratello e cognata in Riva, il Sig.r Rettore, D. Bem, Signor Beppo e Giulia Carettoni, la famiglia di Luigi e Prudenza Patuzzi, le buone Sig.re Minica, Virginia, Gigiotta, che mi promisero di pregare per me e lo faran certo, il Medico David, il D.r Fantini, l'amico Antonio Risatti, Rambottini, Caporale anche a nome di D. Angelo, il Sig.r Vincenzo Carettoni e sua progenie di Bogliaco, i nostri parenti di Bogliaco, Maderno, i giardinieri di Supino e Tesolo, il Sig.r Maestro, Candido, il Parroco di Voltino, e tutti quelli che domandano di noi, dando un saluto dolcissimo al Sig.r Pietro Ragusini, e per suo mezzo al Sig.r Bortolo Carboni che m'hanno beneficato, e sono bell'anime, così pure a tutti quelli, ai quali sono stato occasione di dispiacere, e specialmente a voi, ed alla cara mamma, ai quali porgendo la mia benedizione, mi segno di tutto cuore

 

Vostro affez.mo figlio

D. Daniele Comboni