clicca qui per tornare alla pagina degli scritti di Comboni dividi per temi

 

 7.  a suo padre

Dalla tribù dei Kich, 20 novembre 1858

 

Mio dolce ed amatissimo Padre!

 

Correvano già sette mesi dacché non potea scrivervi e spedirvi una riga, stanteché i venti del Sud impedivano alle navi dei negozianti di Khartum d'avanzarsi oltre l'impenetrabile barriera delle folte boscaglie che dividono i paesi del dominio egiziano nella Nubia dalle tribù dei negri, in mezzo alle quali noi dimoriamo. Quand'ecco un battello a vapore, già fin dal 1857 partito da Cairo, quando noi eravamo an­cora in Alessandria d'Egitto, sotto la condotta di Monsieur Lafarque negoziante francese in avorio; solcando per la prima volta la famose acque del Fiume Bianco, ci recava un gran fascio di lettere d'Europa, tra le quali le carissime vostre che mi annunziavano la morte della mia cara genitrice....

Ah! dunque la mia madre non è più?... Dunque l'inesorabil morte troncò il filo ai giorni della mia buona madre?... Dunque voi siete ridotto solo soletto, dopo avervi veduto attorno una volta la felice schiera di sette figli, accarezzati ed amati da colei, cui Dio trascelse ad esser la compagna indivisibile dei vostri giorni?.. Sì; la cosa per divina misericordia è pur così. Sia benedetto in eterno quel Dio che volle così: sia benedetta quella provvida mano che si è degnata visitarci in questa terra di esilio e di pianto.

Oh! dolcissimo Padre mio! con quale lingua dovremo noi ringraziare la divina misericordia, che, malgrado i nostri demeriti, si degna di riposare con noi, di visitarci, di ricolmarci di benefizi?... La mia anima rimase oltremodo consolata allorquando lessi la vostra cristiana rassegnazione al beneplacito divino, che volle separarvi da quanto al mondo formava la vostra felicità. So che a certi momenti la debolezza dell'umana natura vi fa soccombere sotto il peso d'una grave malinconia: ma so ancora che la grazia del Signore, la preziosa assistenza della Vergine Immacolata, e l'efficace parola di quelle pietose anime che vi portano vero affetto, vi sollevano a più nobili pensieri, e fan sì che abbiate a lodare e benedire quella mano, che benefica si degnò visitarvi.

Sieno grazie adunque all'Altissimo che i pensieri di me e di voi felicemente s'accordano! Dio ce la diede quella buona madre e consorte; Dio ce la tolse. Noi dunque facciamo di lei un generoso sacrifizio al Signore, e godiamo sommamente perché Dio volle chiamarla a sé, per darle un premio ben meritato di quei patimenti e sacrifizi che ella sostenne durante la sua vita, e perché volle pietosamente porgere a noi una felice occasione di patire qualche cosa per amor suo. Sì, padre mio carissimo; ella ha finito di piangere su questa terra; ed ora finalmente si trova al possesso della gloria del cielo, a dividere co' suoi sei figli la gioia di un Paradiso che mai finirà, aspettando che noi, vinta la lotta di questo temporal pellegrinaggio, andiamo a congiungerci insieme con essi.

Io esulto di gioia, perché ora ella m'è più vicina che prima; e voi pure rallegratevi, che il Signore vuole esaudire i fervidi voti dei nostri cari, che ora pregano per noi e per la nostra salvezza al trono di Dio. Esultiamo ambedue, e direi quasi gloriamoci a vicenda, perché Iddio per sua infinita misericordia pare che si degni di farci sentire e mostrarci i contrassegni infallibili, ond'egli quai suoi teneri figli ci ama, e ci ha predestinati alla gloria. Noi siamo sommamente avven­turati, mentre Dio ci largisce, e benignamente ci porge mezzi ed occasioni di patire per amor suo.

Che sia così, volgete uno sguardo all'ordine della Provvidenza, al modo che tiene Iddio verso dei fedeli suoi servi, cui predestina all'eterna beatitudine. La Chiesa di Cristo cominciò sulla terra, crebbe e si propagò tra le stragi e i sacrifizi dei suoi figli, tra le per­secuzioni e tra il sangue de' suoi Martiri e Pontefici. Lo stesso suo Capo e Fondatore G. C. spirò sopra di un infame patibolo, vittima del furore d'una crudele ed empia nazione: i suoi Apostoli subirono la medesima sorte del Divino Maestro.

Tutte le Missioni, ove si diffuse la Fede, furono piantate, s'accrebbero, e giganteggiarono nel mondo tra il furore dei principi, tra i patiboli, e le persecuzioni che distruggevano i credenti. Non si legge di verun santo, che non abbia menato una vita tra le spine, i travagli, e le avversità: delle stesse anime giuste che noi pur conosciamo, una non v'ha che non sia tribolata, afflitta, e disprezzata. Oh la palma del cielo non si può acquistare senza pene, afflizioni e sacrifizi; e quelli che si trovano visitati con questa sorta di favori celesti, possono a buon diritto chiamarsi beati su questa terra, mentre godono della beatitudine de santi, pei quali fu somma delizia il patire gran cose per la gloria di Cristo.

E questi speciali favori, queste sublimi prerogative colle quali a Dio piacque di contraddistinguere i suoi servi, per discernerli dalla turba innumerabile dei figliuoli del secolo, che si studiano di erigere su questa terra la piena loro felicità, questi favori e prerogative per sua misericordia Iddio si compiacque di mostrare anche a noi. Ma noi non siamo degni, o padre carissimo, di tanti doni; non siamo degni di patire qualche cosa per amore di Cristo.

Ma Dio, che è Signore di tutte le cose, vuol beneficarci oltre ogni nostro merito. Coraggio adunque, amatissimo padre mio, oggimai siamo nel campo di battaglia in mezzo alla milizia di questa misera terra; oggimai ci troviamo assaliti dai più tremendi e furibondi nostri nemici: l'umana miseria vuole indurci a cercare quaggiù una peritura felicità; e noi combattendo da eroi, abbracciamo con generoso animo le avversità, i patimenti, l'abbandono.

L'umana miseria s'adopera a toglierci la pace del cuore, e la speranza d'una vita migliore; e noi al fianco di G. crocifisso che patisce per noi, tripudiamo in mezzo all'avversa fortuna, mantenendo intatta quella pace preziosa, che solo appiè della croce e nel pianto può trovare il vero servo di Dio. Siamo nel campo di battaglia, vi ripeto, e bisogna combattere da forti. A grandi premi e trionfi giungere non si può se non per mezzo di grandi fatiche, travagli e patimenti. Ci sia adunque di sprone e ci consoli la grandezza del premio che ci aspetta nel cielo; ma non ci sgomenti e non ci atterrisca la grandezza e la difficoltà della pugna.

Abbiamo al nostro fianco il medesimo Cristo che combatte e patisce per noi e con noi; e noi fiancheggiati ed assistiti da sì generoso e potente Capitano e Signore, non solamente potremo sostenere con gaudio e costanza quei travagli e patimenti che il Signore ci manda, ma sarà nostro perenne esercizio il chiederne di maggiori, perché solo con questi, e col disprezzo di tutto il mondo, si può fare acqui­sto dei preziosi allori del Cielo.

Coraggio, sempre vi ripeterò, che ancor poco ci resta ancora di vita, che la scena lusinghiera e vana di questo mondo presto dai no­stri occhi si dilegua, e siamo per entrare nella interminabil scena dell'eternità che ci aspetta. A corroborare poi quanto ora vi dico, ec­covi tre detti dei santi, coi quali io voglio convincervi che noi siamo avventurati su questa terra, allora specialmente che Dio vuole che appressiamo le labbra al calice delle avversità e delle tribolazioni.

S. Agostino afferma, che è indizio d'essere predestinati alla gloria dei Beati, il soffrire uno gran cose per G. C., e l'essere tribolato in questa vita: Coniectura est, cum te Deus immensis persecutionibus corripit, te in electorum suorum numerum destinasse.

Il Crisostomo asserisce essere una grazia veramente somma l'essere riputati degni di patire qualche cosa per Cristo; è corona veramente perfetta; è una mercede non inferiore alla mercede del Paradiso: est gratia vere maxima dignum censeri propter Christum aliquid pati: est corona vere perfecta, et merces futura retributione non minor.

S. Pietro d'Alcantara poi, dopo aver passato il corso della sua vita fra i triboli e le spine, pochi giorni dacché era spirato nel bacio del Signore apparve a S. Teresa nella Spagna, e così le parlò: Oh felice penitenza, o soavi patimenti e travagli, che tanta gloria mi hanno meritato: O felix poenitentia, quae tantam mihi promeruit gloriam! Così la discorrono i figliuoli di Dio: così la intendono i veri seguaci di Cristo.

Intendiamola così anche noi; gettiamoci totalmente fra le braccia amorose della Provvidenza divina, e combattiamo valorosamente fino alla morte all'ombra del glorioso vessillo della Croce; e la preziosa corona dell'eterna retribuzione è per noi.

Ora che vi scrivo io godo una perfetta salute. Dal 6 di aprile fino alla metà di agosto il Signore si degnò di visitarmi con fortissime e lunghe febbri che m'aveano estenuate le forze all'estremo, ma dopo la metà di agosto mi ristabilii in modo, che nel settembre potei intraprendere un viaggio ai Gogh nell'interno all'occidente del Fiume Bianco. Il giorno dopo ricevute le lettere d'Europa, cioè ai 14 corr.te fui assalito da fortissima febbre che durò 5 giorni continui, e pensai bene di mettere al sicuro l'anima mia.

Sennonché anche questa volta Dio non mi volle con lui. La stessa sorte di me ebbe il carissimo D. Angelo. D. Beltrame poi, nostro Superiore, ad eccezione di poche e leggere febbri sofferte al principio delle piogge, godette e gode d'una prospera salute. Sia benedetto il Signore. Ora ci troviamo tutti e tre veramente sani, e preparati a faticare colla divina grazia per la gloria di Cristo.

Io avrei molte cose da dirvi su questi paesi, su quello che abbiamo fatto ed intendiamo di fare in avvenire: ma di questo vi scriverò con più quiete, quando le nostre occupazioni ci permetteranno di farlo. Per ora sappiate che, essendo morti in soli quattro mesi cinque Missionari, tra i quali il Provicario Apostolico D. Ignazio Knoblecher, e D. Joseph Gostner Presidente della Stazione di Khartum, le quali morti hanno molto scemato gli Operai evangelici di queste missioni, le circostanze chiamano alcuni e forse tutti noi a Khartum, la cui Missione ora poggia sulle spalle del nostro Procuratore D. Alessandro.

E' morto altresì il fabbro ferraio, che noi abbiamo condotto da Verona. Sia benedetto il Signore. Non vi spaventate. La vita nostra è nelle mani di Dio. Ei faccia quel che vuole: noi l'abbiamo con irrevocabile dono sacrificata a Lui. Sia benedetto. Dalla sera alla mattina qui si muore. Non si ha tempo qui da apparecchiarsi per morire; bisogna essere sempre apparecchiati. Una febbre in poche ore vi riduce all'ultimo della debolezza sull'orlo del sepolcro. Dunque pregate per noi che possiamo trovarci sempre in grazia di Dio, e pronti a morire da un momento all'altro.

Ho ricevuto ai 13 corr.te tutte le vostre lettere e quelle della mamma dal dicembre dello scorso anno fino ai 7 di agosto del corr.te. Ho ricevuto ancora due lettere del Parroco di Voltino, una di Ant.o Risatti, una del Caporale etc. ed un gentile biglietto del Signor Pietro Ragusini, le quali mi furono carissime. Salutatemeli tutti di cuore; e quando avrò tempo scriverò a tutti. D. Giovanni, e D. Angelo m'impongono di salutarvi di tutto cuore; spesso discorriamo di voi.

Oh! la vostra sorte di poter soffrire per Xsto è veramente invidiabile! Salutatemi e riveritemi la famiglia Patuzzi, D. Bem, e specialmente il Sig.r Luigi, il Sig.r Beppo, l'amico Ant.o Risatti, il Sig.r Dottore il Sig.r Candido, il gentilissimo Sig.r Pietro, e suo zio Sig.r Bortolo Carboni, il Checcho e Barbara Rambottini che ricordo sem­pre con compiacenza, il Pittore, il Sig.r Consigliere e sua famiglia di cui ricevetti lettera, l'Arciprete di Tremosine, D. Luigi, il Parroco di Voltino, a cui certo scriverò, la Sig.ra Mariana Perini, Bettanini di Bassanega, i giardinieri del Tesolo e di Supino, la Sig.ra Minica e figlie, le buone famiglie di Pietro Roensa, Carlo, Sig.r Vincenzo Carettoni, D. Pietro Grana, i nostri parenti di Limone per parte della mamma, di Bogliaco, e di Maderno, il famoso Caporale, cui saluta anche D. Angelo, etc. etc. il Salsani etc. etc.

Addio, carissimo Padre. Il Signore sia con voi in eterno. Tali sono i voti di colui che v'ama: tali i sospiri di colui, che abbracciandovi affettuosamente, e dandovi mille baci di amore si dichiara

 

Vostro affez.mo e grat.mo figlio tutto povero

D. Daniele Comboni Servo dei negri

nella povera Africa Centrale

 

N.B. Non vi dispiaccia di ricevere questi due santini qui chiusi per memoria di me. Con questi io vi ho consacrato alla Patrona e Regina della Nigrizia Maria Vergine Immacolata. Nelle mani di questa voi state meglio che se foste assiso sul trono di un grande impero. Ella vi conforti per sempre.

L'altro santino nero qui incluso datelo allo zio Giuseppe. Vi partecipo pure che ho celebrate per voi e per la povera mamma N° 56 Messe che servono per le vostre anime e siccome aveva un presentimento che la mamma fosse morta, cominciando dal 17 di luglio io applicai per lei in particolare N° 17 Messe, del che ora mi godo. Il giorno dopo arrivate le lettere d'Europa, D. Giovanni volle che tutti noi celebrassimo la S. Messa per l'anima della Mamma. Lasciate poi fare a me a caricarla di messe in avvenire, quando potremo celebrare. Io però le applico sotto condizione, qualora ne abbia bisogno, perché altrimenti intendo che le mie Messe vadano a benefizio di voi e delle anime dei nostri consanguinei defunti. Ella è in Paradiso che prega per noi. Addio, mille volte addio nel nome di G. C.

Quanto a quelli che bramassero stampare le nostre relazioni come udii da alcune lettere che mi giunsero è cosa inutile, mentre il nostro Istituto fa stampar tutto, come fece finora che stampò ogni cosa che scrivemmo e che aveva qualche importanza.

Quando si presenterà l'occasione propizia spediamo all'Istituto un dente di elefante. Sono animali smisurati che giammai si videro: l'elefante che avea questo dente fu ucciso ai Gogh, ove D. Giovanni ed io peregrinammo nello scorso settembre: questo dente è N° 121 rotoli, che corrisponde a più di 6 pesi bresciani. Oh! le fiere e il selvaggiume, che qui si vede! certo che il Sig.r Ventura Girardi diverrebbe imparadisato in mezzo a queste solitudini, egli che sogna perfino di notte gli uccelli, ed i volatili. Ma basta.