Alessandro Zanotelli: Korogocho Se noi non riusciamo ad udire questo grido, non c'è nulla che avviene dentro di noi. Ecco l'importanza di scendere in un luogo come Korogocho, dove sperimenti davvero la sofferenza dell'uomo. E' quello a cui questo nostro sistema porta. E davvero è sofferenza. Cos'è Korogocho? Korogocho è una delle baraccopoli di Nairobi, ha centomila abitanti, è una delle tante, neanche la più grande. Si calcola, e sono dati dell'ambasciata americana confermati dallo stesso sindaco di Nairobi, che il 60% di Nairobi vive in baraccopoli. Questo vuol dire che su tre milioni di persone, un milione e settecentomila sono nelle baraccopoli. E non sono come quelle del Brasile, dove almeno c'è un po' di verde, lì non c'è nulla. A Nairobi avete un milione e settecentomila persone impacchettate, sardinizzate nell'1% della terra disponibile di Nairobi. Anche questo è un dato ufficializzato dall'ambasciata americana. E' incredibile la concentrazione che c'è. Le bestie che vedete nei parchi nazionali del Kenya sono trattate molto meglio dei poveri di Korogocho. Ciò che è ancora peggio è che questo 1% appartiene al governo, che non lo vuole cedere. Anzi, sembra ormai accertato che il governo abbia lottizzato questo 1% della terra a gente che ha i soldi, per cacciar via i poveri e mandarli più in là. Questo è l'eterno destino dei poveri: sono sempre più in là, perché sono poveri. E più grave ancora: non solo la terra non appartiene ai poveri, ma neanche le baracche. L'80% delle baracche di Korogocho, e lo stesso dato vale per buona parte delle baraccopoli di Nairobi, sono date in affitto. La gente paga l'affitto, con uno sfruttamento che è pauroso. Ci sono pochi ricchi signori che ricavano un sacco di soldi da questo giro, rendendo persino impossibile la solidarietà tra i poveri. In baraccopoli i poveri si dividono tra chi detiene la baracca e chi è in affitto. A questa mancanza di solidarietà si aggiungono tante situazioni di degrado morale, basti pensare che la popolazione di Korogocho è composta per il 60-70% da donne con bambini. Non esiste la famiglia. E non è solo Nairobi. Si dice che a Johannesburg ci sono due milioni di abitanti. E' vero, ma se si considera solo la Johannesburg bianca, bella, pulita! Dall'aereo si riesce a vedere la vera Johannesburg: sono sette milioni di abitanti! E si riesce a distinguere la bellissima Johannesburg bianca. Ma il resto, i tre quarti, chi sono, cosa sono? Sono lunghi immensi dormitori... dove per 100-150 anni i neri sono stati accatastati da soli, senza donne, che vivevano fuori e incontravano i loro mariti un paio di volte all'anno. E tutto per che cosa? Per l'oro, l'economia... uno sfacelo familiare, umano, culturale di tale dimensione che anche solo dall'aereo spaventa. E mi dico: è lì! E' l'economia che ci domina tutti, che ci strozza tutti. Korogocho è solo una piccolissima realtà, che però deve farci riflettere. Una volta che voi scendete qui dentro e sperimentate... Per esempio, il battesimo con i poveri: è un'esperienza che non si può dimenticare, che davvero ha la capacità di redimere, così come sta redimendo me. [Estratto da Esodo: ho udito un grido, in Alessandro Zanotelli, Leggere l'impero. Il potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La Meridiana, Molfetta 1996 (seconda edizione), alle pp. 38-40. Il libro raccoglie due meditazioni di Alex Zanotelli svolte in incontri tenuti a Bergamo con gli operatori della cooperativa "Il seme" impegnata nel commercio equo e solidale]. 5. Alessandro Zanotelli, Fili lillipuziani Ritornando in Italia da Korogocho la cosa che ho notato è che subito si respira nell'aria questo fenomeno sociale dell'"atomizzazione", dove ognuno fa per sé, si rinchiude nel proprio buco e vive la sua vita, generando disgregazione nella propria comunità e nella società. Direi che questo forse è il fenomeno che più spaventa e che più ci porta alla morte, non tanto la morte fisica, ma quella interiore propria di una società che vive in funzione di sé stessa, che ha fatto delle cose, dei soldi, il suo idolo, il suo dio. Non riusciamo neanche più ad esprimerci, a sentire la bellezza dell'essere insieme, del toccarci, di un cammino comune verso una meta. Ma l'umanità può esistere solo se la si coniuga al plurale: io ho bisogno degli altri, ho bisogno della verità degli altri, della loro esperienza culturale, di altre culture ed esperienze religiose. La cosa che mi ha rincuorato, girando per l'Italia, è che c'è volontà di rinascere, nelle parrocchie e fuori, nei quartieri, di rimettersi insieme, di creare piccole comunità: c'è un tentativo chiaro di risalire la corrente. A differenza del Sud del mondo, tuttavia, le nostre "comunità di resistenza" invece di essere unite vanno ognuna per la propria strada, pensando di fare una cosa importante contro l'impero del denaro, ma poi ci si scopre impotenti perché proprio tale individualismo, conseguenza di questo tipo di economia, lavora anche nelle "sacche di resistenza". L'impero dei grandi agglomerati economici, invece, riesce a collaborare e ad autoalimentarsi alla perfezione: è in questo meccanismo che pulsa il cuore della globalizzazione. Alla "globalizzazione economica" noi dobbiamo rispondere con una "globalizzazione dal basso", in chiave di "resistenza". Si tratta di mettere in atto una "strategia lillipuziana": i minuscoli lillipuziani, alti appena qualche centimetro, catturano Gulliver, il gigante predone, legandolo nel sonno con centinaia di fili. Di fronte alle soverchianti forze e istituzioni globali, la gente può, in modo analogo, utilizzare le modeste fonti di potere che ha in mano e combinarle con quelle in possesso di altri, partecipanti ad altri movimenti e in altri luoghi. La "strategia lillipuziana" intreccia molte azioni particolari, pensate per ostacolare il livellamento verso il basso -perché l'economia tende a spostare gli investimenti dove minori sono i costi- e spingere, invece, il livellamento verso l'alto, per permettere cioè ai poveri di elevarsi. Che cosa possiamo fare? Bisogna innanzitutto collegare gli interessi dei poveri con i nostri, le identità specifiche con comunità più ampie, le problematiche con i soggetti sociali, chi è minacciato con chi è marginalizzato; collegare diverse fonti di potere; collegare le lotte contro l'istituzione come oggetto di contestazione, la resistenza con il mutamento istituzionale; collegare questioni economiche e democratizzazione. Questa è la vera strategia politica, che dovrebbe nascere in Italia prima di tutto in chiave regionale. Da qui, dall'esperienza di coordinamento regionale, ci si potrà muovere verso un coordinamento nazionale, ed avere forse una piccola équipe, che potrebbe fare da connessione, senza comandare, ma esercitando al massimo grado, specialmente con gli strumenti offerti dalla telematica e da internet, un'amplissima rappresentatività democratica. La tecnologia che abbiamo a disposizione sarebbe meravigliosa se usata per l'uomo e non come esclusivo strumento del mercato. Dobbiamo, cioè, essere agenti di "vitalizzazione" (la filosofia africana la chiama "vitalogia", perché il cuore del sentire africano è la vita). Si può vivere solo in comunità, stare bene insieme, cantare insieme, celebrare insieme, vedere che si possono ottenere delle piccole vittorie. Gioire dentro una famiglia ci ridona la gioia di vivere, della relazione del volto, i volti dentro una comunità, la gioia della comunità, la gioia dell'incontro, della danza, della festa, della vita. Pablo Richard, un teologo della liberazione del Costa Rica, dice che "il tempo delle profezie è passato; oggi è il tempo dell'apocalittica". L'Apocalisse biblica è la letteratura di resistenza delle prime comunità cristiane, il libro in cui profetizzavano la caduta di quell'impero che le perseguitava. Anche noi dobbiamo abbandonare i sogni di un tempo, nei quali immaginavamo di prendere il potere. "Oggi, dice Richard, anche se si prende il potere non si va molto lontano. Alle soglie del Duemila, quando si può governare solo entro i limiti imposti dal Fondo Monetario, dalla Banca Mondiale, è irrilevante chi governi. La speranza si sposta dalla politica alla società civile, ai movimenti popolari, affinché costruiscano un nuovo potere dal basso. Qualcosa di alternativo, di bello, di gioioso, di felice, che, con grinta, crei nuove culture, nuove preghiere, nuove maniere di vivere insieme, nuove prospettive economiche, perché vinca la vita". [Estratto da Alex Zanotelli, Inno alla vita. Il grido dei poveri contro il vitello d'oro, Emi, Bologna 2000 (seconda ristampa), alle pp. 105-107]. |
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