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ALL'ASCOLTO DEI POVERI CHE FANNO LA STORIA. I CRISTIANI DI FRONTE ALLA GLOBALIZZAZIONE

in ascolto di Carlo Alberto Libânio Christo (Frei Betto)

 

ALL'ASCOLTO DEI POVERI CHE FANNO LA STORIA
I CRISTIANI DI FRONTE ALLA GLOBALIZZAZIONE


I giovani del GIM in ascolto di Frei Betto
(Quinto di Treviso, 7 marzo 2008)

Carlo Alberto Libânio Christo, Frei Betto, è una delle personalità di primo piano della chiesa latinoamericana. Brasiliano, domenicano, scrittore, teologo della liberazione, è entrato anche in politica a sostegno di Lula nel progetto Fame Zero.
L’abbiamo incontrato a Quinto di Treviso: è un uomo semplice, accogliente e sereno, che ci ha colpito per il suo essere voce profetica del nostro tempo. Ascoltiamolo e lasciamoci con-muovere…
La persona umana è relazione: con se stessa, con gli altri, con la natura e con Dio.
Per capire la centralità del prossimo nel messaggio di Gesù, partiamo da una delle due domande che più spesso gli sono rivolte: “Signore, che cosa devo fare per guadagnare la vita eterna?” (Mc 10, 17 ss). Mai questa domanda esce dalla bocca di un povero: è la domanda tipica dell’uomo ricco (Nicodemo, Zaccheo, i dottori della legge,…), che si è assicurato la vita terrena e quindi desidera assicurarsi anche l’aldilà. Gesù non ama questa domanda e risponde con una serie di comandamenti ridotta rispetto a quella cui siamo abituati (Gesù non ha fatto un buon catechismo!): Gesù non parla mai di Dio, i suoi comandamenti riguardano solo il rapporto con il prossimo. È nell’amore al prossimo che si riassume tutto l’insegnamento di Gesù: dar la vida por los pobres, questa è l’essenza della figura di Gesù e quello che Lui ci chiede di fare per metterci alla sua sequela. Amare il prossimo è l’unico modo per amare Dio e per conoscerlo: Dio non ha religioni, la fede serve solo per capire questa dimensione di amore. Dio è amore. Chi ama, conosce Dio: tutta l’esperienza di amore è esperienza di Dio.
Condizione necessaria per amare il prossimo è amare se stessi. Per amarsi occorre AUTOSTIMA, ma anche UMILTA’: dobbiamo rimanere con i piedi piantati nell’humus, nella terra. Chi si ama non si paragona agli altri, chi si ama non invidia gli altri, ma è invece capace di ammirare gli altri. Quanta fatica facciamo a elogiare gli altri! E con quanta facilità riusciamo invece a sparlare degli altri… Solo chi ama se stesso accoglie la differenza dell’altro, cogliendone la bellezza e la ricchezza.
Il modo in cui Dio ha pensato il nostro rapporto con la natura prevede una relazione da soggetto a soggetto. Una relazione di alterità. Noi però viviamo il rapporto con la natura con autorità: ci siamo posti come soggetto padrone dell’oggetto natura, col diritto di usarla e sfruttarla… stiamo stuprando Gaia! Non dobbiamo pensare alla creazione come a una perfezione originaria che è stata persa pian piano, ma come il sogno di Dio per la terra, è una prospettiva verso il futuro.
Anche il nostro rapporto con Dio va rilanciato. Oggi facciamo fatica a perdere tempo con Dio. Quando preghiamo, parliamo di Dio, parliamo con Dio, ma poche volte riusciamo a lasciar parlare Dio dentro di noi. Abbiamo paura dell’esigenza della conversione. La spiritualità deve essere mistica, piuttosto che contemplazione. La mistica è dinamica, è PASSIONE spirituale: è sentire l’altro dentro di sé.  A differenza delle altre passioni, l’oggetto della mistica sta dentro di sé.
La felicità viene dall’intensità dell’amore ed è dunque strettamente legata alla passione.
Dobbiamo vivere una espiritualidade no conflicto: possiamo costruire la pace non nell’assenza del conflitto, ma imparando a viverci dentro col cuore riconciliato. Tutta la vita di Gesù è conflitto permanente, ma Gesù vive la pace, che viene dal profondo dell’amore.
Così, la fede si lega inevitabilmente alla politica: è attraverso la fede che possiamo e dobbiamo trasformare la politica in uno strumento del Regno di Dio, in uno strumento che serva a costruire un mondo di pace. E questo è possibile solo partendo dai nostri gruppi, dai nostri movimenti, in cui dobbiamo creare una controcultura evangelica.
Si può leggere la Bibbia in due modi diversi: pensando di aprire una finestra su fatti interessanti del passato, o credendo di guardare se stessi in uno specchio, per capirsi qui ed ora, per leggere il presente. (E questo si traduce anche nel concetto di in-culturazione: Gesù ha vissuto la sua spiritualità inculturato, cioè secondo la sua cultura di ebreo, di quel tempo e in quel luogo, in quella realtà storica. Chi infatti di noi va ogni sabato in sinagoga? È importante quindi che ogni cultura e ogni popolo possano vivere la propria spiritualità inculturata).
Incarnare il Vangelo nella propria vita e nella propria realtà è ciò che cercano di fare le comunità ecclesiali di base in America Latina, coniugando la fede con l’anelito della liberazione. Questo perché è prima di tutto ai poveri che Gesù parla: sono loro a fargli la seconda domanda che si incontra spesso nei Vangeli: “Signore, come devo fare per avere vita in questa vita?”. “Le mie mani sono inerti, hanno bisogno di lavorare. Sono cieco, ho bisogno di vedere. Sono paralitico, voglio camminare. Mio fratello è morto, vorrei vivesse. Mia figlia è malata, vorrei che guarisse”. E Gesù risponde loro con misericordia e compassione: “Io sono venuto qui perché tutti abbiano Vita, e una Vita Piena”. La vita è il dono maggiore di Dio. La Parola di Dio illumina la realtà storica di oggi e ci dà la forza per trasformare e liberare la nostra storia dall’ingiustizia e dall’oppressione. Ed è la FEDE che sostiene la nostra lotta: il contrario della paura non è il coraggio, il contrario della paura è la fede.

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