Durante la riunione
del Coordinamento America Latina
e Carabi, svoltosi in Caritas Italiana il 17 maggio 2005, al
teologo Clodovis Boff abbiamo rivolto otto domande a partire
dallÂ’America Latina:
DOMANDA
1: (Silvana Piccinini, Caritas di Genova)
Dal
concilio in poi c’è stato molto interesse in Italia nel
confronto della chiesa latinoamericana. La chiesa in America Latina oggi, che cosa ha di diverso rispetto al tempo in cui
hanno cominciato a esistere le comunità ecclesiali di base? Di
quelle scelte, quelle opzioni che per me sono state un
orientamento nella mia vita come persona inserita nella chiesa,
cosa è rimasto oggi e cosa è cambiato in bene e in male?
P.
CLODOVIS BOFF
Queste
grandi opzioni che sono lÂ’opzione per i
poveri, la dimensione
liberatrice della fede, della predicazione, della pastorale, e
la organizzazioni delle comunità ecclesiali di base sono state
in gran parte assimilate dalle istituzioni non solo
latinoamericana ma anche della chiesa mondiale. Il discorso dei
poveri è anche il discorso dell’episcopato italiano, di
quello tedesco, americano. La dimensione dÂ’impegno e di
trasformazione, che noi in America Latina chiamiamo liberazione,
è anche assunta da tutte le chiese perché tutte sentono la
necessità che il mondo cambi, perché non possiamo portare
avanti un mondo cosi con grandi contraddizioni, con questa
globalizzazione asimmetrica. C’è una richiesta proveniente
dai giovani, dalle forze nuove, movimenti sociali, ONG, ecc. che
chiedono una globalizzazione alternativa. La chiesa ha
anticipato questa richiesta a partire dagli anni ‘60,
cominciando gia a parlare di un altro
mondo, di un’altra società . Questi temi sono diventati il
discorso in gran parte di tutti i giorni, la normalità . Ad
esempio, un vescovo, davanti agli immigrati che stanno qui, deve
prendere la decisione dellÂ’accoglienza, evidentemente dentro
una certa legalità perché ogni società ha le sue esigenze. La
chiesa italiana ha dato il grande esempio di essere una chiesa
accogliente e molto attenta ai diritti degli immigrati, ha
organizzato molte iniziative e
bellissime attraverso la Caritas e altri movimenti, pero
non ci impressiona nemmeno più di tanto perché questo è
diventato il discorso naturale, quotidiano di gran parte nella
chiesa: di questo non c’è dubbio.
Vedete
ad esempio quello che succede riguardo alla teologia della
liberazione, quando la gente a volte mi chiede: “Che teologia
insegni tu? La teologia della liberazione o qualche altra
teologia?”. Io insegno la teologia cristiana e ogni teologia
ha bisogno d’essere liberatrice. Se non è liberatrice, che
teologia è? Una teologia alienante? Una teologia per opprimere?
Questo non sarebbe cristiano per cui coerentemente, bisogna
dirlo, la buona teologia autentica, coerente e vera bisogna che
sia liberatrice. Non c’è scelta diversa se sei evangelico, se
sei cristiano. A meno che tu non leggi il Vangelo o lo leggi
solo in parte!
Abbiamo
ogni anno in Brasile un incontro tra teologi e studiosi della
Religione: 300 teologi circa ci incontriamo di solito a Belo
Horizonte. La gente allora chiede quali teologi siamo, se siamo
teologi della liberazione. Sono tutti teologi quelli che vanno
li, e non c’è nessuna preclusione perché non si esige
niente, eccetto il titolo e il costo della partecipazione.
Un
altro ambito è il tema che riguarda l’impegno, la
liberazione, il fatto di appoggiare propose e iniziative per la
vita contro la fame, contro la demarcazione delle terre indigene
e per appoggiare i Sem terra, per dire che si usano meno
le etichette e si pratica di più l’apostolato. I libri stessi
che si scrivono portano sempre meno sulla copertina lÂ’idea
della liberazione ma non c’è sempre bisogno di dirla, ridirla
e ripeterla perché, una volta che la si è affermata, non
bisogna più pronunciarla e si va avanti e, di conseguenza,
tutti vengono dietro. Non dico che proprio tutti stanno a questo
livello, con questo atteggiamento ma la grande maggioranza sì,
e la teologia della liberazione è la teologia dominante, la
teologia normale. Mi trovo a insegnare in uno studio teologico
che non è particolarmente avanzato, ma il vescovo locale, un
collega mio teologo, prima di essere vescovo insegnava proprio
teologia della liberazione. Dopo che lui ha terminato, io ho
detto che non è necessario creare una disciplina specifica
perché questa dimensione della liberazione deve attraversare
tutti i trattati della teologia: lÂ’escatologia, la mariologia,
il trattato sulla grazia, sul peccato, la lettura della Bibbia e
così via
EÂ’
anche vero che c’è un certo calo della dinamica della
tensione profetica e liberatrice: senza dubbio. Sono però molti
i fattori da prendere in considerazione per spiegarne il perché.Il
primo fattore a livello mondiale è l’avanzare del
neoliberalismo, che è potente. Poi la propaganda americana, le
sette che penetrano e hanno un potere molto grande di
coinvolgere la gente a fare in modo che non sia portata di fatto
alle forme dellÂ’impegno concreto: lo avvertiamo noi stessi.
Come terzo elemento che costituisce un problema è la condizione
dei giovani che spesso si lasciano ammagliare da queste proposte
di consumismo, disimpegno, rock, e così via. Ma sono presenti
anche dei fattori interni alla chiesa: la mancanza per esempio
del dialogo, una designazione di vescovi che non corrispondono
alle necessità della gente o alle aspettative della gente,
vescovi che a volte non hanno una forza d’impegno, né la
forza di guida, mancano di leadership: mentre è evidente che la
chiesa vive anche di questa spinta dei vescovi, dei pastori, qui
bisogna riconoscere che si è abbassato di un po’ il livello.
Adesso in Brasile vescovi di spicco, quasi non si vedono mentre
nel passato cÂ’erano grandi
figure, e non erano figure
individuali ma rappresentavano
tutto il movimento della chiesa. Ora, invece, si vede un profilo
basso e speriamo ora che il nuovo papa Benedetto XVI possa
stabilire criteri per una scelta dei vescovi che corrispondano
meglio alle proposte e alle necessità della base, secondo la
tradizione della chiesa in America Latina
DOMANDA
2: (Anna Isabel Bécares, Caritas Italiana) Quali sono i limiti
da superare, presenti al giorno dÂ’oggi nella chiesa in America
Latina?
P.
CLODOVIS BOFF:
EÂ’
chiaro, ci sono anche dei grandi limiti che posso individuare
alla seguente maniera.
Il
primo limite è la presenza delle sette: un grande limite. Sono
in crescita non solo per lÂ’abbandono economico e sociale
presente nell’emarginazione estrema, perché esse offrono una
via d’uscita in certo modo esistenziale, però anche per
lÂ’abbandono pastorale, non dico colpevole, ma conseguenza del
fatto che manca la spinta missionaria, lÂ’ardore di andare
dalla gente con coraggio profetico, in modo da coinvolgere
questi emarginati che sono il pubblico, destinatario del
discorso delle sette.
Inoltre
questo si verifica anche - un secondo limite - per mancanza di
quadri pastorali, di sacerdoti, di operatori pastorali che
riescano ad arrivare fino a questa gente. Oggi nelle città la
situazione si presenta così: mentre la periferia è stata più
o meno penetrata dalle comunità di base, quella che è invece
“la periferia della periferia” costituita dunque dalle nuove
fasce sociali di coloro che vengono dalle campagne, ossia - i più
esclusi ancora - i poveri, i disoccupati miserevoli è il luogo
dove imperano le sette, perché noi non abbiamo gente che vada
fino alla periferia della periferia, o sono pochi quelli che vi
arrivano. Noi parliamo ai poveri, ma non parliamo ai
miserevoli,
ai più poveri di tutti perché le sette lavorano propriamente
con coloro che sperimentano l’estremo della difficoltà di
sostenersi nella vita. Le sette parlano a coloro che hanno
bisogno, per così dire, di un trattamento intensivo per
sopravvivere, che stanno nel “reparto trattamento intensivo”
della vita sociale. E a costoro le sette promettono il paradiso:
la soluzione di tutti i problemi avverrà nel momento stesso in
cui sarà espulso il diavolo perché – esse
spiegano - è il diavolo che sta provocando la loro
disoccupazione, la loro malattia, e così via. Ho parlato in
modo un po’ schematico, facendo la caricatura, per dire però che manca
proprio da parte della chiesa una presenza di gente che sia in
grado di rispondere a queste domande.
Le sette stanno crescendo, però non tanto come esse
fanno credere: l’ultima statistica svolta dal più grande
Istituto di sondaggi del Brasile, lÂ’Istituto Brasiliano di
Geografia Statistica (IBGS) dimostra che le sette sono cresciute
in 10 anni del 15% , mentre esse dicevano di essere cresciute di
un 30-40%, e che stavano forse arrivando a raggiungere la metÃ
dei Brasiliani – il che non è vero anche se sono in crescita.
La chiesa cattolica, invece, in 10 anni è diminuita di 10
punti, passando dallÂ’83%
al 73%. Questo certamente preoccupa, ma i numeri devono
essere interpretati teologicamente anche perché rimanere nel
numero non dice niente. Bisogna invece vedere la qualità di ciò
che i numeri rappresentano. EÂ’ chiaro che sono meno i
cattolici, ma si vede che ora vi sono cattolici più convinti,
che si impegnano, presenti nella chiesa non per pressione o per
tradizione ma perché ci
credono. Qualitativamente, quindi, è
cresciuta senza dubbio l’intensità della partecipazione
cristiana, sociale dei cattolici. Le sette gridano molto, perché
hanno in mano i mezzi di comunicazione sociale.
Ecco
un terzo limite della chiesa Brasiliana, che non è molto
presente nei mass media, mentre le sette e i pentecostali
sono molto presenti, hanno una potente rete di radio e
televisioni ma anche i loro spazi dentro le altre emittenti,
perché hanno un discorso che coinvolge e in certa maniera
strega la gente promettendo la soluzione ai loro problemi, alle
situazioni drammatiche. La chiesa cattolica ora sta crescendo
nell’ambito dei media, dispone della Rete “Vida” che pero
lascia tecnicamente molto
a desiderare: si dice che è noiosa, manca di dinamismo, di un
po’ di vita, ed è meglio vedere la rete “Globo che è più
alienante pero più interessante. C’è anche la televisione
“Sigo XXI” che sta crescendo, di Padre Marcelo Rossi. Mentre
molti lo criticano, io sono uno dei pochi che lo difende, perché
rappresenta la presenza della chiesa nei media, da persona
qualificata che riesce a tener attento il pubblico, cosa che non
può fare chiunque. Inoltre lo criticano per i contenuti perché
dicono che è superficiale, però per una massa abbandonata
bisogna tenere presente che il minimo di elementi che egli rende
vivi è già utile! Egli dice: “Lasciate la droga e mettetevi
a pregare”: questo è già una salvezza, una gran cosa. Quando
parla sono 600 mila persone presenti ad ascoltarlo, anche se
nella rete “Globo” ci sono 70 milioni, ma per un popolo che
vive di cose elementari va
bene così. A volte ci sono teologi che chiedono che lui
faccia teologia della liberazione, ma io dico che ogni cosa va
al suo posto, ogni
discorso è per la persona e a seconda del pubblico. Ci sono
sacerdoti che sono stati miei allievi, che vogliono imitare
padre Marcelo Rossi, mettersi a cantare, avere un pubblico
grande. Bisogna utilizzare queste vanità umane per indirizzare
la predicazione sociale di Cristo.
Di
un altro grande nostro limite mi rendo conto facendo il paragone
con l’Italia. In Italia c’è una serie di intellettuali
cattolici robusti, che si rendono presente nei dibattiti
pubblici. Assisto al dibattito fra il pensiero laicista e il
pensiero cattolico a proposito delle radici dellÂ’Europa, con
storici, filosofi, teologi, antropologi cattolici di spessore
che si rendono presenti e si fanno rispettare anche dal pubblico
laico che si toglie tanto di cappello. Mentre in Brasile ci
manca una serie di intellettuali laici che abbiano rilievo e
siano un’autorità culturale. Abbiamo molti laici cattolici
buoni, dinamici, poveri di classe media, in qualità di agenti
pastorali, ma non una presenza di laici
intellettuali. LÂ’ultimo grande intellettuale cha
avevamo è stato Cristian de Ataide Amoroso Lima,
rispettato anche dal governo militare perché non hanno
mai messo le mani su di lui perché era una specie di papa
dell’intellettualità cattolica. Però, dopo la sua scomparsa
sono rimasti altri, come Candido Mendez, Pedro DÂ’Oliveira,
Gomez Dr Souza e altri ancora. Sono personaggi di rilievo
ma non è un corpo, non è una presenza forte, collettiva.
Un
ultimo limite, lo esprimo come opinione mia personale: credo in
quanto chiesa impegnata, e
movimenti impegnati, tanto i teologi della liberazione
come le comunità di base, dobbiamo approfondire le radici
spirituali dellÂ’impegno sociale. La mancanza di un ritorno
alle fonti, alle radici spirituali bibliche, cristologiche,
mette in pericolo il futuro dellÂ’impegno sociale. Io ho molta
paura che questo processo vada nella direzione del processo giÃ
sperimentato in passato, ossia la secolarizzazione
dell’intellettualità cattolica per mancanza di nutrimento
spirituale dalle radici. Ad esempio, si è svolto il “Forum
mondiale della Teologia della Liberazione” a Porto Alegre in
gennaio. I militanti dicevano che si parla troppo di teologia
mentre vogliamo più liberazione. I teologi, invece, dicevano
che vogliono parlare di teologia perché occorre articolarci tra
noi per aiutare la liberazione. Io dico che c’è’ il bisogno
di parlare di Cristo, dobbiamo parlare della Parola, dobbiamo
parlare dello spirito, dobbiamo parlare dÂ’adorazione. - Ma tu
sei un bigotto! -, mi dicono. Fratello, se tu non capisci
questo, il tuo futuro è già messo in pericolo: se tu non curi
le redici che sono invisibili, l’albero non produrrà più
frutti, marcirà e cadrà . Per cui ecco l’allarme che viene da
questo papa: sottolinea molto che per essere buoni pastori, per
essere impegnati con la gente dobbiamo essere uomini di
preghiera e centrati in Cristo.
Io
ho discusso parecchie volte con dei teologi che dicono che il
centro sono i poveri. Ma chi è che ha inventato che il centro
è il povero? Il povero è centrale, certamente, perché Cristo
è povero e ha scelto i poveri, però è in nome di Cristo che
io faccio la teologia della liberazione e allora ho bisogno di
quelle radici profonde.
Ho
scritto un articolo “Ritorno all’Arké” Arké è la
base, il principio perché la teologia della liberazione è nata
dalla spiritualità , è nata dalla fede. Ma ha bisogno che la
fede sia nutrita perché mantenga la vitalità , perché se non
si nutre la fede e si pensa solo: “Organizziamo la lotta
contro Bush, contro la guerra in Iraq, contro il neoliberalismo,
contro questo... contro quello...”... se però tu non guardi a
cosa c’è dietro e sostiene e nutre tutto questo, se tu non
hai un incontro con quello che è il vero povero che è il
Cristo crocifisso, non vai troppo avanti. Proprio questa è una
debolezza che non è abbastanza avvertita, a mio parere. Non
sono sicuro che fra 20 anni costoro saranno ancora teologi della
liberazione. Saranno, chissà , ministri di qua e di là , anche
buoni, impegnati nell’umanitario. Il riferimento però a
Cristo, che è essenziale e vitale, sarà forse perso, se non è
stato sostenuto. Non dobbiamo dare per scontato questi aspetti
ma occorre ricuperarli ogni giorno. Alcuni mi dicono: - Clodovis,
questo è evidente! -. Io dico che non è evidente, perché ogni
giorno ognuno deve riconquistare questÂ’evidenza.
Quelli
che parlano di impegno sociale, al contrario, dicono che la
spiritualità è andare indietro. Il che vuol dire che secondo
loro chi si occupa di questo sta bloccando il cammino. Io credo
che bisogna capire bene cosa significa “spiritualità ”, ed
essi hanno una idea distorta di ciò che è spiritualità . E’
vero che c’è una spiritualità alienante, c’è una
spiritualità di fuga e questa è una critica che già è stata
fatta, ma c’è una spiritualità che è condizione di
sopravivenza della fedeltà .
Sono
stato anche ad un incontro di militanti cristiani in Brasile
all’interno del Paranà : seimila presenti. Si è parlato molto
dÂ’impegno, ma bisognava parlare anche di questa radice che
sostiene tutto, mentre invece non se ne è parlato. Io penso che
qui c’è un limite. Bisogna percepire questo come limite e
rispondere a queste percezioni perché è una questione vitale.
Chiaro che voi siete qui a titolo di cristiani, e se voi perdete
questa identità cristiana e andate a lavorare in un’altra o.n.g.
che ha un’altra identità , con il tempo perderete anche
interesse per questo marchio, per questa differenza, questo
colore tipicamente evangelico.
DOMANDA
3: (Moacir Silveira, brasiliano studente di teologia )
Ritornando
alla teologia della liberazione, sappiamo che qui in Europa
molte volte non è bene capita né bene
interpretata. In questi ultimi giorni in seguito
allÂ’elezione del Cardinal Ratzinger a papa, il nostro papa
Benedetto XVI, molti commentatori hanno ricordato in modo
particolare, tra le cose da lui svolte in passato, la
soppressione della teologia della liberazione, e hanno
qualificato questa teologia come espressione di un ideale
comunista, di un pensiero marxista. Vorrei capire il perché di
questo.
P.
CLODOVIS BOFF:
Si
è diffusa nei mass media internazionali, così come
nellÂ’opinione pubblica, che Roma, e specificamente Ratzinger
da cardinale, abbiano condannato la Teologia della
Liberazione.
Dove è scritto questo? Fatemelo vedere nero su bianco!
Al
contrario, l’ha approvata. Virgilio Levi, che è stato vice
direttore dellÂ’Osservatore Cattolico, ha scritto un editoriale
bellissimo, dove ha detto: “Giovanni Paolo II ha salvato la
Teologia della Liberazione contro quelli che volevano
schiacciarla, distruggerla”: la destra fuori della chiesa e i
conservatori dentro la chiesa. Come ha fatto per salvarla?
Certamente l’ha salvata, perché ne ha salvato il progetto,
lÂ’idea che bisogna che esista la teologia della liberazione.
Scrivendo ai vescovi brasiliani in una lettera prima del 1984,
Giovanni Paolo II diceva così: “la Teologia della Liberazione
è utile, opportuna e necessaria”. L’ultima volta che è
andato in Brasile nel 1991, per il raduno internazionale delle
famiglie, in aereo un giornalista gli ha chiesto: “Santo
Padre, la teologia della liberazione adesso è morta?”. Lui ha
risposto: “Come fa a essere morta? La teologia della
liberazione è viva! E deve vivere ancora per rispondere alle
grandi sfide del terzo mondo”. Conservo questa risposta,
uscita sul giornale “O Globo” del Brasile.
La
teologia della liberazione è stata duramente criticata, questo
è vero!! Per esempio nelle due grandi critiche che hanno fatto
qui da Roma con il documento Libertatis Nuntius
del 1984 e il documento Libertatis Conscientiae
del 1986, entrambi della Congregazione per la Dottrina della
Fede.
Quali
sono le due critiche?
La
prima critica è la riduzione della missione della chiesa al
politico. La riduzione della missione della Chiesa al politico
è sbagliata, ma la politicizzazione della fede è giusta. La
fede, infatti, ha una dimensione urgentemente politica, in modo
integrato politica e in modo continuativo politica, perché se
tu non sei in quanto cittadino nello stesso tempo cristiano, tu
non sei un cristiano tutto intero ma ti manca una dimensione,
una dimensione che finirebbe invece per essere “paganizzata”
nella persona, ossia riempita di valori che sarebbero valori non
cristiani.
La
seconda critica che è stata pronunciata è: “Attenzione la
marxistizzazione”, ossia attenzione a che questo dialogo con
il marxismo non porti a trasformare la fede in marxismo – a
marxistizzare la fede, ossia introdurre nella fede elementi
eterogenei, sopratutto la lotta di classe, lo scontro, lÂ’odio,
l’aggressività , la violenza.
Ecco
le due grandi critiche che sono state fatte, per cui io sempre
dico che Ratzinger, come grande teologo ha fatto passare
lÂ’esame ai teologi della liberazione, dando loro un voto in
trentesimi che è compreso tra i 24 e
i 25 trentesimi, ossia i teologi sono stati “probati”
– approvati, ma
non 30 su 30! - perché aveva delle riserve gravi. Ma non
riprovati, ossia bocciati. Però i giornalisti hanno detto
che sono stati riprovati - bocciati! Che la teologia della
liberazione sarebbe condannata! E’ ridicolo tutto questo, è
uno sbaglio, un errore! Non esiste nessuna condanna, per cui noi
portiamo avanti la teologia della liberazione insegnandola con
questa dimensione integrata, con la benedizione del nostro
episcopato e anche da Roma. D'altronde il Papa Giovanni Paolo II
si è sentito molto ferito quando un teologo una volta ha detto
che lui non era un papa della liberazione, ma un papa
dellÂ’oppressione. Giovanni Paolo II in unÂ’intervista
pubblica ha reagito così, dicendo: “Io sono un papa della
liberazione. Mi sono scontrato con il laicismo, mi sono
scontrato con il comunismo, e adesso con il neoliberalismo, con
la guerra, e così via!”.
DOMANDA
4: (Moacir Silveira, brasiliano studente di teologia )
Secondo
un teologo del Costa Rica occorrerebbe un nuovo modo di
comprendere e vivere la Chiesa e, tra i diversi aspetti sarebbe necessario vivere un
“sincretismo sano”. Ma mi lascia dei dubbi: come sarebbe
possibile questo?
P.
CLODOVIS BOFF:
Questa
proposta del sincretismo mostra un altro limite del nostro modo
di essere cristiani, un modo influenzato dal sincretismo, un
modo di essere cristiani debole di fronte alle proposte della New
Age, ma anche di fronte alle proposte delle sette che
mescolano elementi cattolici, come fa ad esempio la terza ondata
della Chiesa universale del Regno di Dio che con facilitÃ
prende con dal simbolismo cattolico lÂ’acqua benedetta,
lÂ’olio, la croce, il battesimo, ecc. facendone tutta una
mescolanza. EÂ’ bene chiarire che il sincretismo, un
antropologo può studiarlo perché non ha alcun giudizio da
esprimere: egli costata, e può anche meravigliarsi di questa
ricchezza del sincretismo. Però l’errore teologico consiste
nel fatto di avvallare una situazione di questo tipo, dove vari
elementi tra loro eterogenei sono così mescolati: in questo
consiste propriamente il sincretismo, nella mescolanza
dell’eterogeneità . E lo sbaglio teologico consiste
soprattutto in questo, che lÂ’asse centrale della
fede, che è
la fede in Cristo, non è più al centro ma i santi sono messi
al centro e Gesù è un santo tra i santi: qui si vede la
mescolanza. Questo è lo sbaglio teologico, anche se
l’intenzione è buona, di trovare la pace tra le religioni.
Però in che cosa realmente consista l’unità delle religioni,
anche il papa Benedetto XVI recentemente eletto lo ha subito
ribadito, quando allÂ’inizio ha parlato ai cardinali sul
dialogo tra le religioni e sullÂ’ecumenismo dentro il dialogo
interreligioso. L’unità delle religioni è la sinfonia delle
differenze, la convivenza dell’identità , ma il buddista
occorre che sia buddista e continui ad essere buddista, l’indù
che sia indù, il cattolico che sia cattolico e così via, vivendo però insieme, imparando l’uno dall’altro,
ascoltandoci lÂ’un lÂ’altro, ma senza fare una mescolanza di
tutto con tutto. Altrimenti, verso quale direzione staremmo
andando? La soluzione della mescolanza del tutto col tutto non
soddisferebbe nessuno, né gli uni né gli altri.
Anche
a mio fratello Leonardo a volte succede di giustificare
il sincretismo. In un libro ha detto che uno dei più
grandi contributi che la chiesa latinoamericana può dare alla
chiesa mondiale è il sincretismo. Questo è un sbaglio, perché
il sincretismo è un’inculturazione mal fatta, un’inculturazione
fallita. Perché l’inculturazione è invece la fede che assume
i valori, che incorpora questi valori per creare una nuova
sintesi, mentre il contrario di una tale sintesi è il
sincretismo. Abbiamo definito in forma molto pedagogica la
differenza tra la sintesi e il sincretismo, in questo modo: la
sintesi è il matrimonio fra il cielo e la terra, mentre il
sincretismo è il matrimonio fra il cielo e l’inferno. Questo,
per dire che esso mette insieme elementi contradditori.
Equivale, per esempio, a dire che tu credi in Cristo e nella macumba
e negli orishá nel Brasile, nella Vergine e nella dea
delle acque, e tutto questo è gradito. C’era un sacerdote
della religione tradizionale africana, Padre Dos Santo si
chiamava, che veniva sempre in chiesa, e io un giorno gli ho
chiesto: “Tu sei sacerdote della religione tradizionale, o sei
cristiano?”. Lui mi rispose: “Io sono tutt’e due”. “Ma
come fai - gli ho chiesto - se i due non puoi metterli
insieme?” “E’ meglio essere tutt’e due - mi ha risposto
- che uno solo, perché quando fallisce uno dei due percorsi io
ricorro all’altro. E’ più vantaggioso”. Ecco perché io
ritengo che il sincretismo è una cosa sbagliata.
Il
sincretismo equivale, inoltre,
a non capire che Cristo è aperto, perché anche se
abbiamo unÂ’idea rigida di Cristo che ci offre il dogma, in
realtà Cristo è tanto aperto che può vedersene
l’associazione con Buddha, come pure con qualche orishá così
come si può integrare con
altre religioni, essendo il Cristo il Verbo di Dio eterno che
incorpora ogni elemento di verità , di giustizia e di pace,
essendo Colui che illumina ogni uomo che vive in questo mondo.
Così che tutti i raggi di verità che Buddha ha proclamato, e
che hanno affermato tanto Freud come Marx e tutti gli
altri, appartengono al Verbo di Dio, sono dello Spirito di
Cristo. Ecco, perciò, che occorre riconoscere la presenza di
Cristo anche lì, per cui io sono veramente cattolico quando
convivo con i raggi di verità mrntre integro il bene. Dobbiamo
essere cattolici non sincretisti, ma integrativi, aperti, sì
inclusivi ma nel senso così delineato sempre intorno all’asse
Cristo, altrimenti si perde la propria identità .
Ma
chi è Buddha? E’ un grande profeta, un servo di Dio. Chi è
Maometto? Anch’egli è un grande profeta, un servo di Dio, ma
non è il figlio di Dio. Dio ha solo un figlio. Ma perché
questo figlio deve essere Cristo e non Buddha? EÂ’ qui dove si
esprime la positività della storia: vi sono discussioni di
teologia fondamentale su questo punto, e qui trova espressione
la testimonianza della fede. Per concludere, ecco la mia
reazione: dobbiamo sì convivere ed essere aperti e generosi,
però dobbiamo anche farlo rispettando le differenze e le
identità .
DOMANDA
5: D. Guido Miglietta (Caritas Italiana):
EÂ’
importante, come lei insegna, il ruolo di mediatori, da
svolgersi tra le diverse culture e i vari
modi di sentire; tra le nostre società occidentali e
quelle dell’America Latina, tra ricchi e poveri, e così via.
Nella Caritas sentiamo che dobbiamo svolgere proprio questo
ruolo da mediatori, questo servizio, tra la chiesa in Italia con
le nostre diocesi da una parte, e la chiesa in America Latina
dall’altra; così, ugualmente, rispetto alle nostre rispettive
società . Ci può consigliare uno stile pratico per svolgere
al meglio il nostro lavoro?
P.
CLODOVIS BOFF:
Il
ministero della mediazione è essenziale oggi, in un mondo dove
le differenze rischiano di diventare contrasti, opposizioni,
conflitti. Perché devo scontrarmi con un musulmano per il fatto
che lui è
musulmano? Se convivo con lui, è un fratello. Perché devo
scontrarmi con un protestante, o un pentecostale? Convivo invece
con lui come fratello! Per questo servono persone che aiutino a
questo incontro, perché non diventi conflitto ciò che è
appena una differenza che arricchisce lÂ’uno e lÂ’altro.
Essere mediatori è una vera missione per me. Nella chiesa,
sacramentalmente, i pastori sono i mediatori nati: un vescovo
deve unire la chiesa, il papa deve unire tutte le forze vive
della chiesa, uomini, donne, monaci contemplativi con militanti
pratici, europei con latinoamericani e così via.
Però
al livello del mondo, della vita civile, chi fa da mediatore?
I
governi si schierano gli uni
contro gli altri... Così rende più acuta la lotta di
classe, lo scontro. Ci sono vincitori e vinti, e tutti perdono
perché nessuno si arricchisce. Si uccide la ricchezza insieme
con lÂ’oppositore!
Mi
pare, allora, che sia fondamentale che gli operatori pastorali
che lavorano con i poveri siano persone che aggregano le forze,
che portino più gente a collaborare e non che allontanino
quelli che si dispongono ad aiutare. Perché dovrebbero essere
allontanati? Perché sono ricchi, perché sono di un’altra
ideologia, perché sono di un’altra religione...? Chi ne
perderebbe sono i poveri, che non hanno una risorsa in più, che
non hanno un aiuto in più. Questa mediazione è allora molto
importante, ma per questo è necessario conoscere i due mondi,
avere un piedi qui e un piede là : avere un piede in mezzo ai
poveri, sapere come pensano, come reagiscono; ma anche un piede
in mezzo ai non poveri, agli intellettuali, alla classe media,
alle persone agiate persino. Noi dobbiamo scommettere
sull’umanità delle persone, anche se è un ricco, anche se è
un Berlusconi, anche se è un banchiere, sono sempre delle
persone. Cosa vuol dire persone? Ecco, una cosa che i cristiani
hanno dimenticato è la libertà , la capacità di cambiamento.
Dio scommette sulle persone, perché Dio ha creato le persone.
Noi invece no, noi inquadriamo tutti, diciamo che quello è
irrecuperabile e allora se ne vada fuori. Non scommettiamo sulla
capacità della persona di sorprenderci. Persona vuol dire
mistero. Noi chiudiamo il rapporto, ma quando riusciamo a
penetrare nella dimensione personale della libertà e della
capacità di cambiamento della persona, l’aiuto che la persona
può portare ai poveri è immenso. Prendete il caso di Paolo:
Paolo era un fariseo, nemico dichiarato dei cristiani pero
quando è stato conquistato ha dato una dimensione immensa al
cristianesimo, ha portato Gesù nel mondo greco, perché lui era
di quel mondo, era stato educato lì e ha portato una ricchezza
cultuale immensa. Figuratevi se Berlusconi porta tutte le sue
ricchezze per lo sviluppo dei poveri italiani; è un caso
limite, solo la grazia di Dio può realizzare questo! Dio è
onnipotente... Ma ho fatto questo paragone per scherzare!
Prima
io ero radicale, non accettavo i borghesi che volevano lavorare
con i poveri. Io dicevo: “Tu non sei capace, tu sei piuttosto
un oppressore del popolo, convertiti prima”. Dopo ho capito
che essi partono da un grande impegno e cambiano, diventano
alleati, diventano compagni. Dicono a se
stessi: “Anch’io devo cambiare la mia vita. Non posso
continuare così se vado a lavorare con i
poveri. Non posso
avere tutti i vantaggi a casa”. Cambiano. Quante persone che
lavoravano con me sono cambiate! Hanno modificato anche il loro
stile di vita, mi hanno raccontato che hanno ricuperato la fede.
CÂ’era perfino un economista ebreo buono, che mi ha detto
questa frase: “Non è impunemente che si lavora con i
poveri” e anche lui si è convertito. Era specialista in
problemi di fame, per cui era stato invitato lì per parlare di
questo, delle radici della fame. Subito è rimasto incantato
dalla gente e in seguito è entrato a far parte della comunità .
Ora,
concretamente bisogna avere un carisma per fare questo. Non è
che tutti lo sappiano fare ma bisogna avere una capacitÃ
dÂ’iniziazione. Bisogna essere persone che introducano a questo
mondo complesso dei poveri, e non è facile. C’è gente che ha
questo tatto, quest’abilità di coinvolgere, di fare lavorare
e creare un cammino. Si tratta di un carisma straordinario e io
ho trovato molte persone con questo carisma che è un dono che
Dio, di coinvolgere le persone e cambiarle. Si deve approfittare
di queste persone che fanno un lavoro meraviglioso.
A
Rio di Janeiro, io avevo una persona meravigliosa, Teresiñha,
assistente sociale in pensione e dedicava 24 ore su 24 a
lavorare con i poveri. Riusciva
però a coinvolgere tanta gente non povera nei lavoro con i
poveri. Anche al taxista, quando prendeva un taxi, chiedeva:
“Cosa fai? Puoi dare qualche ora al giorno o alla settimana
per lavorare in questo o quel progetto?” E dopo li incantava,
prendeva il loro indirizzo, il telefono,e approfittava di tutte
le occasioni.
A
Curitiba, dove io lavoro attualmente, unÂ’altra signora, Mauri,
ha questa stessa capacità , per esempio di andare
all’università a convincere gli studenti ricchi – notate
bene che nel Brasile i ricchi sono molto vanitosi e per loro i
poveri sono bestie –, a coinvolgerli, portarli dai poveri,
parlare loro, incantarli, fare loro veder come si lavora e poi
farli lavorare per i poveri. Bisogna individuare queste persone,
che lo Spirito Santo suscita e noi a volte non valorizziamo,
queste persone che sono i mistagoghi, gli iniziatori. Non
è un lavoro facile ma è decisivo.
LÂ’anteriore
vescovo di San Paolo ha svolto dei gemellaggi tra i centri
cittadini ricchi e le parrocchie povere della periferia, con il
vincolo che dovevano visitarsi reciprocamente. I ricchi del
centro di San Paolo dovevano andare a visitare le parrocchie
povere della periferia, andare alla messa, agli incontri
pastorali, vedere il lavoro sociale. Perciò è necessario
muoversi perché solo il contatto può cambiare le persone,
mentre stando lontani nessuno cambia, - neanche Dio, che ha
dovuto mandare il suo figlio qui per cambiarci, e venendo dal
cielo ci ha salvato. E, in direzione contraria, i poveri delle
parrocchie di periferia dovevano venire alle grandi e belle
chiese dei borghesi che vivono in città , partecipare alle
messe, leggere le proprie preghiere di domanda alla preghiera
pei fedeli: per l’acqua nel quartiere, e così via...
E gli altri cominciavano ad ascoltare, unÂ’altro tipo di
discorso liturgico più concreto, più reale. Allora si faceva
questÂ’incrocio meraviglioso, tra la periferia e il centro, e
in parte questo ha rotto quel muro di separazione tra il centro
dinamico di San Paolo e la periferia maledetta, abbandonata.
A
Rio de Janeiro questo invece manca. Neanche nella mia
Parrocchia, per metà di favelas e metà di classe media,
non si è riusciti a fare questo intreccio perché i sacerdoti
non erano sensibili.
C’è
perfino un grande scrittore brasiliano, Fernando Savil, che ha
scritto un grande libro dal titolo “Una città divisa” (Uma
cidade partida) - ma non esistono ancora progetti pastorali
che facciano da ponte. Come mai è invece possibile portare
avanti è una pastorale di favelas da una parte, e una
pastorale urbana dallÂ’altra? Il capitalismo ha creato queste
divisioni. perché tutti i servizi sono al centro mentre per la
periferia non esiste niente. Se si vuole in servizio educativo
scolastico, se si vuole un servizio
medico, bisogna andare al
centro. Perché non portare i servizi vicino alla gente? Se lo
stato divide, perché la chiesa - che è sacramento di unità -
non rompe con proposte così di cerniera, con una
pastorale-cerniera? Esistono i gemellaggi che si fanno tra una
città e l’altra, e voi conoscete queste esperienze. Per fare
un esempio, quell’uomo pieno di lungimiranza che è stato La
Pira, negli anni ‘50 ha stabilito il gemellaggio tra Firenze e
Kiev, la capitale dellÂ’Ucraina comunista, per rompere con la
guerra fredda e il suo muro di separazione. Dobbiamo quindi
rompere i muri, quello della miseria ma non solo: anche muri
fisici. Non hanno forse creato un muro là , tra Stati Uniti e
Messico, perché i Messicani non entrino? Israele non sta
creando un muro con i Palestinesi? Gli spagnoli non hanno creato
un muro a Gibilterra, perché gli africani non passino? I muri
sono fisici, di
mattoni e ferro: sono così i muri che si alzano contro i
poveri, ma la chiesa deve abbattere i muri, non creare né
benedire i muri. Ecco perché è necessario creare questi
collegamenti!
DOMANDA
6: Marisol Flores (Programma
radiofonico “Hola mi gente”)
Quale
è il suo messaggio per le migliaia di Latinoamericani che
lasciano lÂ’America Latina in cerca di migliori condizioni di vita e se ne vanno altrove?
P.CLODOVIS
BOFF:
A
questi immigrati io direi innanzitutto che hanno il diritto di
muoversi in questo mondo, di andare dove essi vogliono. EÂ’
questo un diritto elementare, riconosciuto dalla Dichiarazione
dei Diritti Umani, e si tratta qui di un diritto economico,
quello di cercare lavoro. Il mercato moderno neoliberista dÃ
solo diritto al capitale di andare dove vuole, soprattutto al
capitale finanziario, perché tu investi dove guadagni più
soldi. Al contrario, la forza lavoro, ossia le persone umane,,
non possono muoversi ma incontrano mille filtri prima di poter
entrare in un Paese. Le persone, però, anche se non hanno i
documenti a posto - ma devono cercare di metterli a posto per
inserirsi e non avere impicci, hanno il diritto naturale di
muoversi, e si tratta di un diritto che i governi devono
riconoscere. I governi devono essere aperti allÂ’immigrazione,
tanto più che questo movimento del terzo mondo verso il primo
per cercare lavoro è il frutto dello sfruttamento e del
colonialismo che il primo mondo ha creato nel terzo mondo. Così
è stato in Africa, così è stato in India e in America Latina,
nei luoghi dove il primo mondo ha tolto tutte le ricchezze, poi
si è trincerato qui e non vuole che i poveri vengono qui a
partecipare di questa ricchezza che è stata creata dal terzo
mondo. Di conseguenza, è anche un loro diritto storico venire
qui perché hanno partecipato con la loro sofferenza e la
distruzione delle loro culture allo sviluppo e allÂ’abbondanza
e alla ricchezza del primo mondo. Di questo non c’è dubbio:
gli storici mostrano che all’inizio dell’età moderna
l’economia medievale è stata messa in crisi, e solo si è
rilanciata con il colonialismo imposto allÂ’America Latina, con
la schiavitù in Africa e lo sfruttamento dell’India. Hanno
portato qui un fiume di ricchezze, che poi hanno rilanciato il
capitalismo moderno, il che vuol dire che il capitalismo moderno
si è costruito sopra i cadaveri degli indios che sono
stati distrutti, sopra la schiavitù dei neri che sono stati
sottomessi, e sulla base dello sfruttamento delle loro ricchezze
naturali. I popoli europei devono perciò essere grati a questi
popoli cha hanno contribuito al loro sviluppo ed essere più
generosi. Mentre gli immigrati, da parte loro, devono sentire
che non stanno violando nessuna legge perché secondo la legge
naturale il mondo è di tutti, è la patria di tutti. Noi, prima
di essere cittadini di questo Paese o di quellÂ’altro Paese,
nasciamo figli di Dio. Solo dopo andiamo a dare il nostro nome
all’anagrafe e prendiamo una nazionalità , ma prima di tutto
siamo membri dell’umanità . L’umanità , perciò, è la prima
nostra cittadinanza; dopo viene la cittadinanza seconda, quella
di essere Italiani, Brasiliani, Ecuadoriani, ecc. Prima siamo
tutti figli del genero umano perché nasciamo esseri umani; solo
dopo diventiamo cittadini di una nazione.
Vorrei
dire anche questo ai Latinoamericani, che essi stanno venendo
qui non per portare il loro contributo nei servizi più umili,
ma che svolgono un meraviglioso lavoro umanistico in favore dei
nostri nonni, delle nostre mamme. Un altro loro grande
contributo è che essi portano sangue nuovo, che rende possibile
ad una società che invecchia di andare avanti. Essi portano qui
anche la loro fede, perché manca molta fede qui.
Ecco qui i nostri Señor de los Milagros, la
nostra Señora de Guadalupe, la nostra Señora
Aparecida. Voi
Europei ci avete portato tanti santi europei e noi li amiamo; i
missionari ci hanno portato i santi cattolici e noi li abbiamo
adottati. Adesso gli immigrati portano i loro santi
latinoamericani e questo è un vero e proprio scambio cattolico,
un contributo bellissimo che essi portano qui con tutta la loro
gioia, la loro devozione. Sottolineo la parola devozione, perché
il cristianesimo europeo è troppo intellettualista, tropo
astratto, tropo teologico, tropo di idee. Manca di viscere,
manca dÂ’affetto, manca di cuore, manca di devozione. Qua manca
il senso del meraviglioso, tutto quello che è vita, emozione,
esperienza, incontro. Qui si fa grande teologia, però manca la
devozione, “devozione” nel
senso originale ossia la devotio, il sentimento più
sacro. La presenza di Dio essi la avvertono, per cui io
incoraggio gli immigrati, a motivo delle ricchezze che portano
qua. EÂ’ chiaro che i governi devono essere anche generosi,
devono essere allÂ’altezza di questa sfida. Con tutta la loro
tradizione umanistica europea hanno le
condizioni per capire che dobbiamo aprire le porte anche
a questi nostri fratelli più poveri e trattarli con nobiltà ,
con grandezza come fanno i grandi anfitrioni. Dobbiamo trattarli
secondo il codice dÂ’onore degli ospiti quindi trattarli bene,
così come è stato per gli europei in America Latina dove li
abbiamo ricevuti come degli déi. I Messicani credevano che gli
spagnoli erano degli déi e li hanno ricevuto a braccia aperte,
si sono inginocchiati davanti a loro. Vediamo se gli Europei
sono capaci di inginocchiarsi davanti ai poveri, che sono il
sacramento di Gesù Cristo. Sto un po’ portando all’estremo
le mie posizioni, ma per farmi capire!
DOMANDA
7: Marisol Flores (Programma
radiofonico“Hola mi gente”).
Lei
ha detto cha gli immigrati contribuiscono inoltre con il loro
lavoro alla crescita economica del paese dÂ’accoglienza, e le
loro tradizioni sono anche
una ricchezza di valorizzare. La chiesa, secondo Lei,
cosa potrebbe fare perché
l‘ immigrazione sia vista non più come
una minaccia bensì come una risorsa?
P.
CLODOVIS BOFF:
EÂ’
vero che il terzo mondo non è più lontano, è vicino a noi,
viene a noi nella presenza di queste persone. Come ha detto
Paolo VI, loro portano con sé la loro sapienza, la tradizione
della fede, la tradizione artistica, lÂ’amore per i bambini,
per la natura: tutte queste sono ricchezze, che realmente fanno
sviluppare la cultura. La chiesa europea ci sta persino
guadagnando grazie a questo contributo, anche perché risveglia
la partecipazione dei laici e delle comunità in essa presenti.
Accennavo
prima alla teologia della liberazione. La chiesa italiana,
davanti alle sue sfide, ha sviluppato un discorso sociale più
sostenuto si è schierata in maniera più coraggiosa su questa
problematica urgente, perché la teologia della liberazione ha
contribuito anche al fatto che la chiesa europea scoprisse la
dimensione sociale del Vangelo, la dimensione profetica, la
dimensione della misericordia, la dimensione della liberazione.
Questo è un grande contributo dato dalla teologia della
liberazione, come da un teologo latinoamericano è stato
ribadito nellÂ’incontro mondiale dei teologi. Il problema oggi
è globale: gli esclusi si trovano in ogni angolo della terra.
Prima erano concentrati nel terzo mondo, mentre adesso il mondo
è scoppiato. Ora, perciò, il problema sta qui. Le soluzioni
sono anche in parte qui. La teologia della liberazione, perciò,
ha smosso un poÂ’ anche la letargia di questa chiesa, che ha
dato veramente la sua bella testimonianza quando qualche anno fa
ha difeso, ad esempio, quegli
Albanesi che entravano e il governo non voleva accoglierli, come
ho assistito nel periodo in cui mi
trovavo qui in Italia. La chiesa qui ha svolto delle
grandi pressioni sui governi perché abbiano una politica più
aperta. Anche qui si soffrono le pressioni provenienti dagli
Stati Uniti, ma la chiesa qui svolge una contro-pressione e dÃ
certamente un grande contributo in questo senso. La chiesa
integra, inoltre, di più le differenze ossia diviene meno
italiana e più multiculturale ,su di una base certamente
italiana ma si arricchisce delle espressioni culturali degli
altri popoli, diventando dunque più cattolica.
DOMANDA
8: Marisol Flores (Programma radiofonico
“Hola mi gente”).
Qui
in Europa, in particolare in Italia c’è un dibattito sulla presenza
dei simboli religiosi a scuola. Che cosa pensa al riguardo?
P.
CLODOVIS BOFF:
Credo
che il pensiero laicista non ha capito che questi simboli non
sono una ricchezza esclusiva della chiesa cattolica. Gesù non
è cattolico, Gesù è dell’umanità , di tutti gli uomini e di
tutte le donne. La sua morte in croce per noi ha un senso che
riguarda la salvezza. Per quelli di altre fedi, invece, un uomo
che si è donato per i grandi ideali dell’uguaglianza, della
fraternità , della bontà , della verità , è un simbolo che
parla a tutti, anche agli islamici, ai buddisti, agli indù.
Ecco che allora gli
indù tengono a volte l’immagine di Cristo, del Sacro Cuore
nelle loro case perché essi ci vedono la presenza del Divino lì.
Noi non dobbiamo essere troppo confessionali in questo
dibattito, perché è sbagliato mettere il problema in questi
termini, tanto da parte cattolica come da parte laicista. Ad
esempio, l’immagine della Vergine è quella una donna povera,
che ha avuto un grande ruolo nella storia, una donna semplice e
umile come tutte le nostre nonne, che ha mantenuto la fedeltà ,
ha seguito suo figlio. Non diversamente da tutte le donne essa
ha dato il suo figlio al mondo. Si trova
qui un profondo senso di umanità che è valido per
tutti.
Quali
sono i simboli più diffusi e più eloquenti dell’Occidente?
Sono la croce e la Vergine. Non ne esistono altri. Non sono i
simboli dellÂ’Occidente ma sono stati diffusi dallÂ’Occidente.
Sono però i simboli del mondo, sono rivolti a tutti, parlano a
tutti. Usciamo fuori, perciò, da questo steccato tra cattolici
e laici. Parliamo di umanità , parliamo del simbolo umano, di
uno che si sacrifica per gli altri, non importa che questi altri
siano cattolici, siano massoni o spiritisti. Tu sei capace di
sacrificarti per lÂ’altro? Allora tu sei una persona che dona e
non sei un egoista. EÂ’ chiaro che un cattolico vede in Cristo
uno che è morto per i suoi peccati, ma questo non esclude il
senso umano più ampio e più generico. Questo simbolo parlerÃ
anche ad un ateo.
Trascrizione
di Marisol Flores C. 08 06 2005. Editing di G. Miglietta 15 06
2005
|