Il libro di Giona
offre spunti di riflessione essenziali per noi missionari comboniani
che viviamo in Europa. Perciò l’abbiamo scelto per l’Avvento 2006:
sono quattro capitoletti, un capitolo per ogni settimana. Noi
chiediamo che la comunità comboniana locale si ritrovi una volta
alla settimana per leggere insieme la Parola, interrogarsi
personalmente e come comunità e poi condividere quello che la Parola
del Signore suscita dentro di noi. Il libro di Giona è il secondo
più breve dell’Antico Testamento, dopo quello di Abdia; un libretto,
che però è stato definito da qualcuno “la bomba atomica dell’Antico
Testamento”. Infatti è una parabola molto provocatoria, scritta nel
momento in cui la comunità ebraica, tornata dall’esilio, si
riorganizzava e cercava di distinguersi dagli altri popoli. Il
popolo eletto doveva mantenersi puro e separato dagli altri, dai
pagani. I matrimoni misti erano proibiti. Questa comunitÃ
essenzialmente e ritualmente pura attendeva il giudizio di Dio sui
popoli impuri, sugli imperi. È il momento in cui la comunità si
rinchiude in sé stessa, arrabbiata e triste. Il libro di Giona è
scritto proprio per punzecchiare la comunità postesilica. Gli
studiosi pensano che questo libretto sia stato scritto tra il 500 e
il 400 a.C. Ma il libro di Giona è anche una grande provocazione
per noi missionari che lavoriamo in Europa. Per spiegare ciò,
dobbiamo fare una piccola presentazione delle persone e dei luoghi
di questo libro.Il protagonista del libro è il Signore: “Fu rivolta a
Giona questa parola del Signore...”. Dio è davvero la figura
principale di tutta questa parabola. Il termine “Signore”, che
traduce “Yahweh”, viene usato ben 25 volte; “Dio” 13 volte; la
parola “Signore Dio” una volta. Quindi abbiamo 39 riferimenti alla
divinità in solo 44 versetti che compongono il libro. Questo è
importante: il cuore di tutto è Dio, e vale anche per noi
missionari. Il secondo personaggio è Giona, figlio di
Amittai. Questo profeta viene menzionato anche nel secondo Libro dei
Re (II Re 14,25); visse allÂ’epoca del massimo splendore del regno di
Israele, sotto Geroboamo II (786-746 a.C.). Giona era originario di
Gat-Chefer, una città non lontana dalla riva occidentale del mare di
Galilea. Il nome “Giona” significa “colomba”. A volte questo nome è
usato come metafora per il popolo d’Israele. Giona è profeta di Dio.
Il Signore, che è l’agente principale, invia il suo profeta,
messaggero inviato al popolo con una parola forte per quel momento
storico. La terza figura è Ninive, una grande città con
più di centoventimila abitanti, una metropoli talmente estesa che ci
volevano tre giorni di cammino per attraversarla (Giona 1,2; 3,2;
4,11). La sua popolazione è descritta anche in termini qualitativi
come incline alla malvagità e alla violenza. Ninive, come risulta
dagli scavi archeologici, era situata sulle rive del Tigri,
nell’attuale Iraq del nord. Città tra le più antiche del mondo,
conobbe il suo apogeo nel corso dellÂ’VIII secolo. Sotto il famoso re
Sennacherib (704-681 a.C.) divenne la capitale dellÂ’impero assiro e
nel 612 fu distrutta da Medi e Caldei. Ninive era ben conosciuta nel
Medio Oriente come una delle città più violente, criminali,
oppressive, dell’antichità . Gli Assiri erano un popolo feroce.
Quando conquistavano dei territori, ne deportavano lÂ’intera
popolazione rimpiazzandola con unÂ’altra. LÂ’esercito assiro era noto
per la sua crudeltà . Ninive era l’emblema dell’empietà ,
dellÂ’oppressione, dellÂ’efferatezza, del militarismo. Basti leggere
il profeta Naum: Guai alla città sanguinaria, piena di
menzogne, colma di rapine... Chiunque sentirà tue notizie
batterà le mani. Perché su chi non si è riversata Senza tregua
la tua crudeltà ? (Naum 3,1.19b).
Ninive era la prostituta, la cittÃ
sanguinaria, il centro del terrore, il nemico per antonomasia. Il
popolo ebraico aveva sperimentato la brutalità degli Assiri: furono
quelli di Ninive a distruggere Samaria, la capitale del Regno del
Nord, nel 722 a.C. Gli Israeliti conoscevano molto bene Ninive e la
sua politica ed è chiaro che chiedere al profeta Giona di andare a
predicare il perdono a una città come quella era una richiesta
sconvolgente. Proviamo a immaginare come sarebbe stato, alla fine
dellÂ’anno 1945, chiedere a un ebreo che avesse perso la famiglia nei
campi di sterminio di andare in Germania ad annunciare che Dio ama i
tedeschi...
Prima settimana (Giona
1)
La storia di Giona inizia con un ordine impartito dal Signore al
profeta: “Alzati,
va’ a Ninive”. Giona si rifiuta e s’incammina nella direzione
opposta, per fuggire a Tarsis (probabilmente situata nellÂ’odierna
Spagna), “lontano dal Signore”. Non solo il profeta va in
direzione opposta a quella comandatagli da Dio, ma, mentre il
Signore gli ha detto di alzarsi, lui scende sempre più in basso.
Fuggire lontano dal Signore significa scendere. Il testo dice che
Giona “scese a Giaffa”, il porto da cui partivano le navi dirette a
Tarsis. A Giaffa s’imbarca e in seguito scende “nel luogo più
riposto della nave”. È il rifiuto chiaro e tondo di andare in
missione dove il Signore lo manda. Giona alla fine dovrà rendersi
conto che è impossibile fuggire dalla presenza di Yahweh. Il salmo
139 potrebbe esprimere bene questi sentimenti: “Dove andare lontano
dal tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo,
là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti”. Nel profondo del mare,
nel ventre del pesce, nei sobborghi di Ninive, ci si può mai
allontanare da Dio? La storia di Giona ci dice che è impossibile
sottrarsi ai compiti assegnati da Dio. Le fatiche del profeta a
questo scopo sono inutili, come le spese ingenti (un biglietto da
Giaffa a Tarsis non doveva essere economico) e i rischi per la sua
vita. Ma non è la fine della storia. Il profeta non è ancora sceso
abbastanza in basso. Mentre Giona se ne sta rannicchiato in fondo
alla nave, Dio manda una grande tempesta. Sulla nave ci sono dei
marinai, simpatici, devoti, pacifici. Essi provano una paura
tremenda davanti a questa enorme tempesta, ma restano sul ponte,
lottano per salvare lÂ’imbarcazione. Giona, invece, dorme
profondamente nella stiva. I marinai, pagani, pregano i loro dei, ma
da parte di Giona non viene una sola parola di preghiera. I marinai
si affannano per salvarsi la vita, Giona vi rinuncia, preferisce
morire. I marinai agiscono, Giona si limita a reagire: si alza
quando viene svegliato, risponde alle domande. I marinai venerano il
Signore, Giona sta scappando da Lui. La situazione descritta in
questo primo capitolo è incredibile. Giona, israelita,
rappresentante del popolo di Dio, sprofonda sempre più in basso. La
religiosità di Giona è tutta di superficie, perché se è in grado di
parlare di Dio, a differenza dei marinai non parla a Dio. Ciancia di
teologia, ma non prega. Sa fare osservazioni teologiche, ma non
obbedisce. In fondo è un uomo che fugge dalla propria esperienza
religiosa, mentre i marinai, pagani, pregano, passano
allÂ’azione. Secondo una tradizione ebraica, lÂ’equipaggio della
nave che trasportava Giona era costituito dai rappresentanti di
tutte le settanta nazioni del mondo. Il miscuglio della ciurma
corrisponde al crogiolo di razze che si poteva trovare nella cittÃ
di Ninive. In questa storia i popoli pagani dimostrano di essere
formati da persone compassionevoli: ne è una riprova la loro
reazione quando scoprono che la tempesta è dovuta al fatto che il
profeta di Dio sta fuggendo: fanno di tutto per salvargli la vita,
non vogliono sacrificare una persona. Vogliono bene anche a Giona.
Sono uomini pratici, umili, devoti, compassionevoli, e sono pagani!
Invece il profeta Giona fa la figura dello sciocco e per di più non
pratica la sua fede. E noi comboniani in Europa? Siamo provocati
fortemente da questa Parola. Il profeta Giona si rifiuta di andare a
Ninive e fugge lontano dal Signore. Forse anche noi Comboniani in
Europa stiamo fuggendo dalla missione che il Signore ci ha dato? Noi
pensiamo di andare a evangelizzare le tribù dell’Africa o gli indios
dellÂ’America Latina o i cinesi e Dio invece ci invia nel cuore
dell’impero, nell’Europa che, insieme agli Stati Uniti, è il cuore
dellÂ’impero economico e finanziario di oggi. Ci rifiutiamo di
andare in missione in Europa? Perché continuiamo a parlare di fare
animazione missionaria o di animare missionariamente le comunità e
non parliamo invece di missione? Il Signore ci manda in missione, ci
manda a proclamare a Ninive, a
New York, a Londra, a
Roma, a Madrid, a Berlino: o lÂ’impero
cambia e si converte dalle sue vie perverse o sarà la fine. E
perché ci rifiutiamo di compiere questa missione? Perché viviamo
anche noi fuggendo dal Signore? Molti di noi manifestano la
cosiddetta “sindrome del pitone”: il grande serpente, dopo avere
mangiato una capretta, rimane per tre o quattro giorni disteso al
sole a digerire. Anche noi ritorniamo come soldati dal fronte e ci
riposiamo. In Europa ci addormentiamo, stiamo tranquilli, non
vogliamo sporcarci. Siamo in riposo, abbiamo già fatto il nostro
dovere. Non stiamo forse anche noi fuggendo dalla nostra
missione? E perché abbiamo tanta paura di dire la Verità alla
città ? Perché questa paura delle grandi città , delle megalopoli? Il
mondo ormai va verso lÂ’urbanizzazione: gran parte dellÂ’umanità vivrÃ
in enormi megalopoli, durante questo ventunesimo secolo. Perché
abbiamo così tanta paura di scegliere? E non solo fuggiamo dal
Signore e fuggiamo dalla nostra missione, ma fuggiamo anche dalla
scelta dei poveri, degli ultimi, di chi non conta. Perché non
abbandoniamo tutte le nostre grandi strutture per vivere più
semplicemente e poveramente, a fianco degli emarginati delle grandi
città , proclamando all’impero le sue iniquità , la sua oppressione e
dicendo: “Ti rimane poco tempo, convertiti”? Questa è la missione
a cui siamo inviati oggi. È la missione che è in crisi? O siamo noi
ad essere in crisi? Come Giona, fuggiamo lontano da Dio, non
vogliamo accettare la grande missione che il Signore ci ha dato di
andare nel cuore dellÂ’impero. Forse abbiamo studiato molta teologia,
ma non sappiamo irradiare questo Dio che ha una passione enorme
anche per lÂ’impero. Questo Dio non vuole che nulla sia distrutto,
non vuole che nessuno vada perduto. È chiaro che Dio non può
accettare Ninive così com’è. L’impero deve cessare di essere impero,
deve diventare una comunità umana. A questo siamo inviati oggi dai
poveri del Sud del mondo nel cuore di questa Europa. La realizziamo
questa missione? Oppure siamo in fuga come Giona? La fuga di Giona è
la storia di una continua discesa. Il profeta che fugge lontano dal
Signore scende prima a Giaffa, poi scende nella nave, poi giù nella
stiva, poi nel ventre del grande pesce. Povero Giona, povero
missionario...
Seconda settimana (Giona 2)
Giona scende nelle profondità del
mare. La missione scende davvero in basso (più in basso di così non
si può). Arrivato al fondo, Giona mormora una preghiera e recita un
salmo che si ispira al salmo 30: Nella mia angoscia ho invocato
il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi
ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce. Mi hai gettato
nellÂ’abisso, nel cuore del mare e le correnti mi hanno
circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati
sopra di me. Nella situazione disperata in cui Giona si trova,
l’unica cosa che si può fare è pregare. I marinai lo sapevano e
lÂ’hanno fatto. Il profeta lo ha dimenticato e solo ora, mentre
precipita verso il fondo del mare, ha il tempo di mormorare una
preghiera (Giona, 2,10-12): Ma io con voce di lode offrirò a te
un sacrificio e adempirò il voto che ho fatto; la salvezza
viene dal Signore. Dio è un Dio che salva. Anche il suo
missionario che pensava di portare la salvezza alle genti deve
scoprirsi salvato. Questa pure è una parola potente per noi. Il
profeta sprofonda, il missionario sprofonda, la missione sembra
andare a pezzi, sembra che tutto frani, sembra che più niente abbia
significato, sembra perfino che il profeta (e missionario) non sia
più capace di pregare, sembra che i marinai e i popoli pagani siano
più credenti del missionario, del profeta... È incredibile che il
missionario conosca la teologia, sappia fare riflessioni teologiche,
parlare di Dio, ma che non riesca a parlare a Dio, se non alla fine,
quando tutto sembra crollare. Penso che queste siano domande gravi
per noi missionari comboniani. Ammettiamolo: la missione in Europa
ci manda in crisi. Ci domandiamo se abbia ancora un senso fare
missione, essere missionari... Ma Dio è ben più grande di noi! È
bellissimo notare che la salvezza che viene a Giona, il missionario,
gli viene tramite la balena. Nel mondo biblico questa non è altro
che la trasformazione – come avviene nel libro di Giobbe – del
Leviathan, il mostro marino coperto di dure scaglie, simbolo
dell’impero, dei poteri forti che schiacciano, che uccidono. Dio può
cambiare questo terribile drago, e lo trasforma in una balena. E la
balena salva il profeta. Anche noi missionari incominciamo a capire
come Giona che stiamo facendo tanti discorsi teologici, ma forse non
siamo capaci di irradiare Dio, di riflettere i raggi della sua luce,
di pronunciare la sua parola non per fare teologia, ma per parlare
di una persona viva, compassionevole, come di un papà , di una
mamma. Riusciamo a pregare, noi missionari? O preghiamo nel
profondo solo quando tutto crolla? Riusciamo a parlare a Lui, a Dio,
come a un papà , una mamma che ama appassionatamente tutti i popoli,
che ama tutti, che vuol salvare tutti? Ma che razza di Dio
proclamiamo noi? Dopo anni di missione siamo diventati forse più
duri, acidi, scorbutici, arrabbiati? Forse i marinai pagani sono più
compassionevoli di noi, forse hanno più cuore di noi
missionari? Che missione facciamo in Europa?
Terza settimana (Giona 3)
Dio è più grande delle nostre
chiesupole, delle nostre ideologie, delle nostre teologie. Dio non
si stanca, il profeta invece si stanca e fugge. Dio fa di tutto per
mandare il suo profeta dove non vuole andare: a Ninive, nel cuore
della città sanguinaria. Giona per la seconda volta sente questa
parola del Signore: “Giona, alzati, va’ a Ninive, la grande città e
annunzia a loro quanto ti dirò”. Stavolta il profeta ci va e si
ritrova davanti all’immensa, sanguinaria città , e proclama quello
che Dio gli dice: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarÃ
distrutta”. Inaspettatamente i cittadini di Ninive credono in Dio
e iniziano a digiunare tutti, grandi e piccoli, persino gli animali.
Ninive si converte dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che
è nelle sue mani. “Chissà che Dio non cambi, si impietosisca,
deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?”. E Dio fa
proprio così. Ma non è sufficiente formulare il “mea culpa”: bisogna
cambiare vita e fare opere di giustizia. Ogni impero è costruito
sulla violenza. “E Dio si impietosì riguardo al male che aveva
minacciato di fare loro e non lo fece”. Scrive James Limbury nel suo
bel commentario a Giona, nei Dodici profeti: Dio ama la
città , Dio ama gli uomini che vivono nell’impero. Non tollera
l’impero perché schiaccia e uccide, ma ama appassionatamente gli
uomini e vuole trasformare lÂ’impero in uno strumento che permetta a
tutti di vivere in dignità di figli. Il sogno di Dio è che il
Leviathan diventi una balena. Questa parola esorta il popolo di Dio,
coloro che fanno parte della sua Chiesa, a interrogarsi in merito al
proprio atteggiamento nei riguardi delle genti e delle grandi cittÃ
del mondo, città come Calcutta, Caracas, San Paolo, Nairobi, New
York, ma soprattutto dello stesso impero, il cuore dellÂ’impero, e lo
invita a tenere a mente che essa esiste, il popolo di Dio esiste per
il bene dei popoli del mondo e lo ammonisce a non assumere una
mentalità arrogante “da dentro a fuori”. Rivolge una critica anche a
un popolo che preferisce raggomitolarsi su sé stesso e ripiegare
(come Giona nella nave) sulla sicurezza dei propri gruppi, anziché
occuparsi del compito al quale era stato chiamato da Gesù:
“Andate!”. Le domande qui ci piovono addosso come missionari
inviati a fare missione in Europa. Siamo pronti ad affrontare le
grandi città ? Siamo pronti a sfidare l’impero finanziario di oggi?
Siamo pronti a proclamare la buona novella nel cuore dellÂ’impero?
Cinquemila anni dÂ’impero che hanno fatto distruzione, guerre, morti,
non ci bastano? Quando muteremo condotta e rinunceremo alla violenza
nelle nostre mani? Siamo capaci di provocare lÂ’impero in questa
maniera? Siamo capaci di proclamare lÂ’amore di Dio nel cuore
dellÂ’impero? Siamo missionari che invocano fulmini e saette
sullÂ’impero? O siamo capaci davvero di proclamare lÂ’amore
compassionevole di Dio che ama tutti, che non vuol perdere nessuno?
Saremo pronti ad ascoltare la Parola che non è un pezzo di libro, ma
è un Dio che vive, un Dio passionale, un Dio che ama, un Dio che
cammina nella storia, un Dio che si china sul povero, sul reietto,
sullÂ’emarginato, sulla prostituta? Come missionari, siamo capaci
di rileggere le Scritture? Il profeta che ha scritto il libro di
Giona ha riletto le antiche profezie, le invettive contro le
nazioni, la distruzione di Ninive e di Babilonia, perché ha scoperto
che Dio ama tutti. Com’è possibile che noi, dopo anni di lavoro con
i poveri nel Sud del mondo, ritorniamo dalla missione così
arrabbiati? Perché ritorniamo con così poca misericordia? Quando la
smetteremo di aspettare il giudizio di Dio sulle nazioni? Dobbiamo
incominciare a capire che non dobbiamo aspettarci nessun giudizio da
parte di Dio dentro questa storia: è il Dio dell’amore, il Dio della
misericordia, il Dio che vuol bene a tutti, il Dio che accoglie
tutti. Quando riusciremo a ripensare la nostra stessa tradizione di
Chiesa che per millenni ha guardato con disprezzo gli altri popoli e
le altre religioni? Quando cominceremo a capire che Dio è il
Creatore di tutto e di tutti? È il Dio che ama appassionatamente al
di là di credi, ideologie, religioni; ama ogni uomo. Quello che gli
interessa è che questo uomo pratichi la giustizia. Quando la nostra
missione diventerà una missione universale? Quando diventeremo
davvero missionari in Europa?
Quarta settimana (Giona 4)
Quando Giona vede che Dio perdona
gli Assiri e la città di Ninive, ne è profondamente sdegnato e
borbotta: “L’avevo detto che sarebbe andata a finire così”. Il
profeta non vuole che la grazia di Dio si estenda agli Assiri. Il
Signore, per Giona, è troppo tenero con i peccatori. Il profeta
desidera letteralmente fulmini e saette su Ninive. E invece Dio è
“misericordioso”, “clemente”, “di grande amore” e si lascia
impietosire. Il libro di Giona usa la parola rehem, che
denota lÂ’utero materno e per estensione lÂ’amore viscerale della
madre per il figlio. Giona non riesce assolutamente a capire e ad
accettare tutto ciò, perché il suo Dio è il Dio della pioggia di
fuoco e zolfo, dei castighi, delle punizioni, del giudizio. E il
profeta se ne va, sale su una collina per vedere che cosa accadrÃ
alla città . Per proteggersi dal sole si costruisce un riparo con un
po’ di frasche. Dio è molto tenero anche con Giona, facendogli
crescere una pianta di ricino. Giona si sente sollevato, ma il
giorno dopo quel ricino si secca e Giona sbotta esasperato: “Meglio
per me morire che vivere”. “Ti sembra giusto, Giona, essere così
sdegnato per una pianta di ricino?”. E il profeta risponde: “Sì, è
giusto; ne sono sdegnato al punto di invocare la morte”. E Dio,
prendendo il suo profeta per il bavero, gli dice: “Tu ti dai pena
per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e
che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una
notte è perita, e io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande
città , nella quale sono più di centoventimila persone che non sanno
distinguere tra la mano destra e la sinistra (poveri, derelitti), e
una grande quantità di animali?”. Tu, profeta, ti arrabbi per un
ricino? E non capisci che io ho compassione per la grande
città ? Peggio di così un profeta non poteva comportarsi. Si
comporta da non-profeta. Il libro di Giona mette totalmente in
ridicolo il profeta d’Israele, il profeta del Dio vero. È importante
sottolineare come la comunità ebraica sia capace di prendere in giro
anche il suo missionario, inviato ad annunciare misericordia ai
Niniviti, ma che non ne vuole assolutamente sapere. Quanto è simile
questa figura a noi missionari inviati da Dio a convertire lÂ’Europa!
Altroché missionari, altroché profeti! Sopravviviamo con la
“sindrome di Giona”, il rifiuto di compiere questa missione; la
sindrome del rifiuto degli altri, nella speranza di vedere
finalmente fulmini e saette da parte di Dio su questa Europa a cui
siamo inviati. Tutti noi siamo colpiti dalla sindrome di Giona.
Ricordo con grande commozione lÂ’ultima sera passata nella
baraccopoli di Korogocho
a Nairobi. Era il 17 aprile 2002. Il giorno dopo sarei uscito da
Korogocho per l’ultima volta. La gente è venuta a chiamarmi: “Padre
Alex, non possiamo lasciarti partire se prima non preghiamo su di
te”. “Eccomi” risposi. Siamo entrati nella stanzetta che serve per
la preghiera e hanno cominciato a pregare su di me. Alla fine della
preghiera qualcuno ha detto: “Padre Alex, inginocchiati”. Mi sono
inginocchiato. Un altro ha detto: “Imponetegli le mani”. Mi sono
sentito centinaia di mani sulla testa che mi pesavano come piombo e
un pastore di una chiesetta indipendente africana ha incominciato a
pregare in maniera carismatica. Verso la fine della preghiera ha
detto: “Papà , ti prego, dona a padre Alex il tuo Spirito Santo – e
sentivo queste mani che mi schiacciavano a terra – donagli con forza
il tuo Spirito Santo perché possa adesso tornare alla sua tribù
bianca e convertirla”. Io sono stato inviato dai poveri del mondo a
convertire la mia tribù bianca. Forse noi missionari dobbiamo
cominciare a capire che oggi il primo appello alla conversione deve
essere rivolto ai ricchi del mondo. Sono i poveri che ci inviano ai
ricchi per dire loro – a questa tribù bianca che si considera
all’80% cristiana – che ha invece bisogno di convertirsi. La prima
conversione è aiutare l’Europa a capire che fa parte integrante di
un sistema economico-finanziario che ammazza la gente. Questo
sistema permette al 20% dell’umanità di consumare l’83% delle
risorse del pianeta e così facendo ogni anno uccide 50 milioni di
persone per fame. Per mantenere le proprie
abitudini di consumo, il 20% del mondo ha bisogno di armarsi
fino ai denti. LÂ’anno scorso abbiamo speso oltre mille miliardi di
dollari in armi, e questo significa guerra e nuovi morti. Infine,
questo stile di vita del 20% del mondo che sperpera le risorse della
terra e investe immense somme per difendersi dai “barbari” sta ora
pesando talmente tanto sullÂ’ecosistema che siamo sullÂ’orlo di una
paurosa crisi
ecologica. È la vita stessa che ne è minacciata. Noi facciamo
parte di un sistema di morte che ammazza per fame, ammazza per
guerra, ammazza il pianeta. Abbiamo bisogno di convertirci. Come ha
fatto Giona, dobbiamo andare nelle grandi città dell’Europa, a
fianco dei più poveri, e proclamare “Quaranta giorni e Ninive sarÃ
distrutta”, nella certezza che Dio vuole la conversione, vuole
perdonare, vuole che tutti si salvino, vuole che tutti vivano in
pienezza la loro vita. L’Europa deve cambiare. L’Europa non è mai
stata cristiana. Erich Fromm aveva ragione ad affermare che noi
europei abbiamo verniciato di cristianesimo le strutture che però
sono rimaste profondamente pagane. Questo richiede una conversione
radicale anche da parte nostra. Noi siamo eredi di una grande
tradizione, la tradizione cristiana, ma questo non ci dà il potere
di giudicare tutti, di scomunicare gli altri. Invece noi missionari
dobbiamo davvero iniziare a sentire compassione per lÂ’altro. Verso i
rom, verso gli impoveriti, verso gli emarginati. Quanta sofferenza!
Dobbiamo davvero prendercene cura. Dio dice a Giona: “Se tu sei
arrabbiato per una pianta di ricino che è perita, non dovrei io
avere pietà di Ninive, quella grande città nella quale sono più di
centoventimila persone e una grande quantità di animali?”. È questa
compassione di Dio che noi missionari dobbiamo fare nostra con
un’apertura a 360 gradi. Il Dio di Giona è il Dio di tutti e Gesù ce
lo ha rivelato in modo perfettamente chiaro. Non è il Dio di una
razza, non è il Dio di un impero; è il Dio di tutti, è il Dio che
vuol bene a tutti. Dobbiamo veramente, come missionari, renderci
conto che la missione in Europa e la missione nel mondo comporterÃ
sempre di più quella che il grande Pierre Claverie di Orano (Algeria),
ucciso nel 1996. Sono giunto alla convinzione personale che
non c’è umanità se non al plurale e che, quando pretendiamo –
allÂ’interno della Chiesa cattolica ne abbiamo triste esperienza nel
corso della storia – di possedere la verità o di parlare in nome
dell’umanità , cadiamo nel totalitarismo e nell’esclusione. Nessuno
possiede la verità , ognuno la ricerca. Ci sono certamente veritÃ
oggettive ma che sono al di là di noi tutti e alle quali non si può
accedere che attraverso un lungo cammino ricomponendole a poco a
poco, prendendo dalle altre culture e da altri gruppi umani quello
che altri hanno cercato e acquisito nel loro lungo cammino verso la
verità . Non si possiede la verità , e io ho bisogno della veritÃ
degli altri.
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