La III Conferenza Generale
dell'Episcopato latinoamericano svoltasi a Puebla (Messico, 27 gennaio - 13
febbraio 1979) avrà un influsso molto forte sull'evoluzione della Chiesa in
quel continente e, a più lunga scadenza, sulla Chiesa universale. Dieci anni
prima, a Medellin (Colombia) la II Conferenza aveva fatto compiere alle Chiese
dell'America Latina una svolta radicale, con scelte che hanno poi influito su
tutto il mondo cristiano (la scelta per i poveri, le comunità ecclesiali di
base, i ministeri laicali, la denunzia profetica delle ingiustizie...). A Puebla
queste scelte sono state non solo confermate, ma approfondite, giustificate
teologicamente e soprattutto tradotte in decisioni molto concrete nei vari
settori della vita e della pastorale cristiana. ma Puebla non solo è una
conferma: altre parole sono state dette, altri semi gettati, che verranno a
germogliare in ogni comunità . Puebla fa già intravvedere il volto di quella
che sarà la Chiesa dell'anno duemila.
LA SCELTA PREFERENZIALE PER
«GLI ALTRI»
Volgendo lo sguardo, Cristo osservava alcuni ricchi che
gettavano le loro offerte nel tesoro.
Vide pure una povera vedova che vi lasciò cadere due piccole monetine, e
disse: « In verità vi dico che questa povera vedova ha messo più di tutti gli
altri; perché tutti gli altri hanno dato del loro superfluo, mentre costei
nella sua indigenza, ha dato quanto le restava per vivere ».
(Lc 21, 1-4)
Il
Concilio nella Costituzione Ad Gentes
ci
ha ricordato che la Chiesa è essenzialmente missionaria, trovandosi tutta e
dappertutto in missione. Dieci anni
più tardi, Paolo VI (Evangelii
Nuntiandi)
ripeteva la stessa cosa con altre parole: la ragione d'essere della Chiesa
è l'evangelizzazione.
Entrambe
le affermazioni, fondamentali per qualsiasi apostolato, rivestono un'importanza
ancora più specifica se applicate all'America Latina, dove la Chiesa riunitasi
a Puebla ha riaffermato la propria scelta per l'evangelizzazione (è da notare
che nel corrente linguaggio pastorale latinoamericano i termini «
evangelizzazione » e «missione» sono praticamente equivalenti, e ciò è
del tutto ammissibile, sempre che « evangelizzazione » sia intesa in tutta la
sua dimensione missionaria: sia « all'interno » che « all'esterno »).
Si
completa, infatti, a Puebla quello che era stato iniziato a MedellÃn: mettere
la Chiesa in stato di missione. EÂ’
a Puebla, in particolare, che tale scelta viene svolta anche come suo tema
centrale: « l'evangelizzazione nel nostro presente e nel nostro futuro », e il
suo documento finale è stato elaborato in base a tale linea di forza, indicando
criteri perché l'evangelizzazione sia autenticamente cristiana, o indicando
scelte e applicazioni perché l'evangelizzazione conservi tutta la sua
dimensione missionaria: rivolta cioè di preferenza ai più bisognosi, ai più
scristianizzati, ai più lontani. In
una parola, a «gli altri ».
La
missione. Postulati teologici
1. Che cos'è teologicamente la missione
(l'evangelizzazione)? La missione
è l'azione di Cristo, unico missionario del Padre, per mezzo della sua Chiesa.
EÂ’ il dinamismo di Cristo nella Chiesa. Nella Chiesa come Corpo di Cristo nella storia, come
sacramento di Cristo salvatore universale.
Il dinamismo missionario scaturisce dall'essere stesso della Chiesa, come
Corpo vivo di Cristo risorto, che tende a espandersi in mezzo a tutti gli uomini
e in tutti i luoghi sino alla fine della storia. Perciò la missione è qualcosa
di vitale e non di puramente giuridico nella Chiesa. LÂ’invio missionario o ministeriale, che la Chiesa realizza
ad ogni generazione mediante la « missione canonica », non fa che rendere
attuale l'invio missionario di Gesù. Tale
invio non è altro che l'esplicarsi del dinamismo interno di Cristo risorto
nella sua Chiesa. « Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad
osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fìno alla fìne del
mondo » (Mt 289 19-20).
2.
La missione, in quanto dinamismo di Cristo che abita nella Chiesa, deve
per sua stessa natura seguire la legge dell'incarnazione.
La misericordia salvifica di Dio si incarna in Gesù, di cui la Chiesa è
oggi Corpo e sacramento visibile. La Chiesa è l'incarnazione storica primordiale del Dio che
salva. Questo Dio, pienamente rivelato in Gesù Cristo, ha operato la
salvezza incarnandosi. Ciò
significa due cose: che Gesù salvatore ha assunto la condizione umana in tutto,
tranne che nel peccato; ha assunto la condizione del suo popolo, la sua
situazione e la sua cultura. Significa
anche che Gesù salvatore ha annunciato, iniziato e dato impulso al Regno a
partire dalla cultura, dalle aspirazioni e dalla religione del popolo che
evangelizzava, il popolo ebraico.
Per
la Chiesa la legge dell'incarnazione nella missione comporta l'esigenza
dell'inserimento nei singoli popoli, dell'accettazione e dell'evangelizzazione
di ogni situazione culturale. Comporta
pure il rispondere in maniera evangelicamente liberatrice alle sfide presentate
dalle varie realtà umane, ponendo sempre l'accento sulla scelta a favore dei
poveri e degli oppressi, e per la riconciliazione nella giustizia (Lc 4, 18 ss).
3. La maniera
propria con cui la missione prolunga l’incarnazione salvifica di Gesù
consiste, in primo luogo, nell'impiantare e nell'incarnare la Chiesa, comunitÃ
e sacramento di liberazione. La
missionologia postconciliare è unanime nell'affermare che obiettivo essenziale
della missione è impiantare e consolidare la Chiesa.
Impiantare e far sì che la Chiesa metta saldamente radice, con tutte le
sue conseguenze: chiamando i non credenti alla fede cristiana e ad essere
pienamente partecipi di Cristo e dei beni del suo Regno; divenendo essa stessa,
in tale ambiente umano, il segno pieno e attraente della misericordia salvifìca
di Dio e della verità e vita di liberazione che Gesù ci offre già nella
storia.
Dire che la missione si propone, come fìne primario, di impiantare e consolidare la Chiesa, cornunità visibile, è lo
stesso che andar oltre l'idea della missione come «portare la salvezza alle
genti» (idea molto discussa tra i missionologi) e, al tempo stesso, mantenere
viva e attuale l'urgenza della missione. Tale
urgenza è stata messa in discussione a partire dall'affermazione teologica che
« fuori della Chiesa visibile anche i non cristiani (i « gentili ») possono
salvarsi », oppure, detto in altro modo, che « grazia e valori del Regno si
danno anche fuori della Chiesa visibile ». Affermazioni di questo genere
sembravano mettere in dubbio la necessità e l'urgenza della missione verso i
non cristiani. Oggi esiste accordo
sul fatto che la missione - e la fede che essa genera - non è necessariamente
una questione di salvezza o di dannazione, di vita o di morte, bensì piuttosto
di pienezza di grazia e di umanizzazione, assunta già sin d'ora in piena
coscienza qui, sulla terra. La
vocazione dell'uomo non è solo nel dilemma vita o morte, ma nella pienezza di
vita (Gv 10, 10 ss). Non è
chiamato a vivere solamente alcuni valori del Regno, ma la sua stessa pienezza.
Non è
chiamato appena ad una salvezza ultraterrena, ma alla salvezza raggiungibile
storicamente e coscientemente (Mt 25, 31 ss).
Per tale fìnalità completa è necessaria la presenza visibile della
Chiesa, come pienezza del Regno e dell'azione salvifìca di Gesù, « luce delle
genti ».
La missione consiste dunque nel rendere storicamente
realizzabile la liberazione di Dio incarnata nella Chiesa.
La missione è il passaggio dal Dio «che illumina» al Dio «incarnato». In quanto fonte di luce, lo Spirito di Dio raggiunge tutti gli
esseri umani e «ricopre la faccia della terra». Lo Spirito di Gesù, Colui
che illumina, offre a tutti gli esseri la possibilità della redenzione e della
conversione all'amore (Gv 1, 4.5.9). Ma Dio ha voluto che la sua salvezza fosse
storica e incarnata, per offrircela in tutta la sua pienezza.
Accedere a questa salvezza piena e incarnata prende il nome di
cristianesimo. Questo entrare nella salvezza si realizza nella Chiesa: la
missione consiste nell'impiantarla. In
essa Iddio che illumina ogni uomo si fa evento storico.
Ciò significa che il Regno comincia a presentarsi nella sua
anticipazione visibile, con tutte le suoi conseguenze: liberazione e giustizia
per gli oppressi, nuove relazioni fraterne tra gli uomini, possibilità della
fede e dellÂ’esperienza di Dio, liberatore universale.
4. Quando è da considerarsi impiantata la Chiesa?
Quando è completata la missione nelle sue tappe fondamentali?
La Chiesa è suffìcientemente impiantata e radicata in un luogo, societÃ
o cultura non quando abbia semplicemente potuto moltiplicare delle presenze
materiali (templi, istituzioni, comuni di cristiani), alla maniera di un'impresa
che moltiplica succursali. Dal
punto di vista della missione, la Chiesa si trova impiantata fondamentalmente
quando la sua sacramentalità , testimonianza e parola evangelica sono
sociologicamente significative per una data regione o cultura.
In questo senso si suol dire, sia pure con le debite riserve ed
eccezioni, che Chiesa è impiantata in Europa e in America, mentre non lo è
ancora in Africa e in Asia (potrà anche darsi che i cristiani d'Africa siano più
ferventi di quelli d'Europa e che, a lungo andare, la missione ridondi dal Terzo
Mondo su Europa e Nordamerica; per ora, tuttavia, la differenza di fondazione
delle rispettive Chiese è ciò che costituisce la differenza).
Per questo Africa ed Asia sono ancora considerate « territori di
missione » nel significato fondamentale della parola.
Ed è sempre per questo che l'America Latina non è, in linea di fondo,
«territorio di
missione», nonostante la sua relativa carenza di clero: la Chiesa in America
Latina è ampiamente e signifìcativamente impiantata e radicata nel suo mondo
socio-culturale. Se l'America
latina ha bisogno di missionari da fuori, non è per le stesse ragioni dell'Asia
e dell'Africa, bensì, paradossalmente, proprio per il fatto di essere un
subcontinente cristiano, dove gli evangelizzatori sono in numero insufficiente
per soddisfare alle necessità dei battezzati sempre più numerosi.
Infìne,
una Chiesa sufficientemente impiantata e consolidata si va proporzionalmente
rendendo responsabile di se stessa e aperta, a sua volta, alla missione.
Non solo verso se stessa ma anche, parimenti, verso l'esterno, «ad
gentes». Una Chiesa locale ben radicata diventa immagine della Chiesa
Universale.
«
Gli
altri »: alla frontiera della missione
Dicevamo
che in una Chiesa impiantata - e lo stesso sarebbe da dire di qualsiasi comunitÃ
cristiana - che cresce in maturità , la missione acquista tutte le sue
dimensioni: all'interno e all'esterno. Missione
all'interno, missione all'esterno sono esigenze permanenti per la Chiesa locale
a un duplice livello.
1. Il primo è dato nell'ambito dei confini della Chiesa locale o della
Chiesa particolare (comunità di base, parrocchia, diocesi, nazione, continente
latinoamericano). Missione
all'interno: «noi». Si rivolge a noi che siamo già membri della Chiesa. «Noi» dobbiamo essere continuamente evangelizzati, educati alla fede e
all'impegno, spinti alla missione. Missione
all'esterno: «gli altri». Si rivolge a gruppi umani, culture subalterne o
settori geografici scristianizzati, lontani, non credenti.
Infatti ogni Chiesa locale, sia pure ormai con solide fondamenta e con
una lunga storia cristiana, ha delle situazioni socio-culturali e geografiche
tipicamente missionarie. Sono «gli altri». La Chiesa è al tempo stesso comunità («noi») e fermento
(verso «gli altri»). Entrambe
le dimensioni devono svilupparsi insieme. E
ciò non si verifica senza tensioni. «Noi» possiamo essere autosufficienti e
dimenticare «gli altri». È una tensione antica nella storia del
cristianesimo. Ne abbiamo il primo sintomo nella disputa neotestamentaria
tra coloro che volevano evangelizzare innanzitutto gli ebrei e gli altri che
volevano contemporaneamente fare lo stesso con i gentili. Il Concilio di
Gerusalemme risolse il problema in favore della missione universale.
2. C'è un secondo livello nel modo di intendere e realizzare missione
all'interno e missione all'esterno, «noi» e «gli altri». In questo caso
la missione all’esterno - «gli altri» - si dà come relazione di una
Chiesa impiantata e consolidata (pur dovendo affrontare numerose situazioni
missionarie al primo livello) con Chiese non ancora fondate o con aree non
cristiane del mondo. La missione all'esterno è qui la missione «ad gentes».
«Gli altri» sono i popoli, le società e le culture che non hanno ancora
ricevuto (o che stanno ricevendo solo ora) la prima evangelizzazione.
In concreto, Africa e Asia (ad eccezione delle Filippine).
Riassumendo,
una Chiesa locale o particolare, sufficientemente impiantata e consolidata nella
sua cattolicità , deve assumersi la missione a entrambi i livelli:
l'evangelizzazione degli «altri» pone l'esigenza di evangelizzare le proprie
situazioni interne, gruppi umani, culture subalterne o territori
scristianizzati; e di proiettarsi, insieme, nella missione «ad gentes». La
missione implica sempre di andare oltre le frontiere della Chiesa e
dell'influenza del cristianesimo. La
capacità che ha l'evangelizzazione di penetrare di fatto in zone al di lÃ
delle frontiere della Chiesa e l'effettiva preoccupazione delle Chiese locali
per il mondo estraneo alla fede costituiscono criteri decisivi per valutare la
maturità e la cattolicità di tali comunità , insieme alla loro vitalitÃ
missionaria. Una Chiesa è fiorente
o decadente in proporzione alla sua missionarietà , o meno, al di là delle
proprie frontiere, verso « gli altri ».
Gesù
ha lasciato ben ferma questa intenzione missionaria, realizzatasi nella sua vita
come ricerca degli uomini che vivevano fuori della religione, dei peccatori e
dei perduti. Dedicò molti sforzi alla formazione intensiva dei Dodici, ma per
inviarli «in terra straniera ». Egli stesso si considera « inviato alle
pecore perdute della casa di Israele » (Mt 15, 24); di Lui hanno bisogno «non
i sani, ma i malati » (Mt 9, 12); per questo, ancora, v'è più gioia in cielo
per la conversione di un lontano (un « altro ») che non per tutti quelli che
non hanno bisogno di conversione (Lc 15, 7.10).
Gesù
«è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19, 10): la
fedeltà alla missione consiste nell'essere fedeli a questo progetto del
Signore, con tutte le sue conseguenze. La
Chiesa deve uscire dal suo ambiente cattolico per portare la salvezza ai
peccatori, agli abbandonati, agli increduli e ai non cristiani.
L'apostolo
che meglio ha capito la missione ai suoi tempi è stato S. Paolo.
Per lui, l'annuncio di Cristo è per i pagani, ai quali si è votato con
tutto se stesso e verso i quali ha orientato le energie cristiane delle Chiese
che aveva fondato. « Colui che mi scelse
fin dal seno di mia madre... si compiacque di rivelare a me suo
Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani («ad gentes» - Gal 1, 16). Tale annuncio voleva dire strappare la Chiesa nascente
dall'ambiente ebraico (dal «noi») per farla penetrare nel mondo pagano (in
mezzo a «gli altri»).
Va fatto notare, infine, che le comunità che inviano
Paolo e i suoi collaboratori a fondare la Chiesa nel mondo pagano sono comunitÃ
nascenti e giovani, ancora alle prese con problemi di crescita.
Non hanno aspettato, però, che tutto fosse risolto al loro interno, né
di vedersi comodamente dotate di mezzi e di personale evangelizzatore, per
lanciarsi nella missione esterna. Andare
«ad gentes» si presentava loro come una richiesta viva della loro fede, come
qualcosa di inerente alla loro realtà di cristiani.
La missione verso «gli altri», alle frontiere, «ad gentes », non è
nella Chiesa il
risultato di «ciò che sopravanza». La Chiesa non è alla stregua di
produttività e di amministrazione qualitativa.
Per questo il Concilio afferma: « È conveniente che le nuove Chiese
partecipino sollecitamente e di fatto alla missione universale della Chiesa,
inviando anch'esse dei missionari a predicare dappertutto nel mondo il Vangelo,
anche se soffrono per scarsezza di clero » (AG 20).
La
qual cosa vale in modo particolare per le Chiese d'America Latina.
EÂ’
missionaria l'America Latina?
Si
è discusso a lungo se l'America Latina sia o no un subcontinente di missione, o
non piuttosto carente di clero; se sia o non un subcontinente cristiano, e fino
a che punto; e quale senso abbia la venuta di numerosi evangelizzatori
stranieri. È ormai tempo di chiedersi se le Chiese latinoamericane hanno senso
missionario, e fin dove.
A
questo riguardo occorre segnalare che le Chiese d'America Latina hanno
sviluppato, negli ultimi tempi, un intenso dinamismo missionario di fronte alle
situazioni ed aree « missionarie » riscontrabili al loro interno (missione
verso « gli altri » al primo livello, sopra indicato).
A tale scopo si è dovuto superare a poco a poco la pastorale
predominante di « conservazione cattolica». È su questa linea missionaria che
si sono decisamente collocate MedellÃn e Puebla, e sono ben note le loro
realizzazioni, promettenti anche se agli inizi: le comunità cristiane di base,
i ministeri laicali, diaconali e femminili, la pastorale degli indigeni, la
pastorale popolare, la scelta a favore dei poveri, ecc.
Anticipatori di tali realizzazioni sono stati i movimenti di Azione
Cattolica (in particolare quella specializzata), con intenzioni e metodi di
evangelizzazione chiaramente missionari (IOC - Gioventù Operaia Cattolica, ACU
- Azione Cattolica Universitaria, ecc.).
È però la situazione
missionaria «
all'esterno », al di là delle frontiere delle Chiese locali (missione «
ad gentes », al secondo livello), a far sorgere dubbi inquietanti sulla maturitÃ
missionaria, e quindi cattolica, dell'America Latina.
Così dice lo studio preparatorio alla Conferenza di Puebla, dell'Ufficio
missionario del CELAM:
«Quando questa Chiesa si assumerà la responsabilità più
visibile e impegnata della missione "ad gentes ", ad altri
paesi e continenti? Verso il 2000
la popolazione mondiale sarà di circa 6 mila milioni di persone, la maggioranza
di esse in Africa e in Asia. Il
numero dei non cristiani in questi due continenti sarà in quel momento
superiore al rimanente della popolazione mondiale.
In quello stesso momento della storia i cattolici (quelli almeno che sono
nominalmente tali) d'America Latina raggiungeranno i 600 milioni, un decimo
dell'umanità . Per la prima volta
nella storia il centro di gravità del cristianesimo non si troverà più nel
bacino del Mediterraneo né nei paesi situati ai due lati dell'Atlantico del
Nord (situazione attuale), bensì in America Latina (eventualmente con l'Africa
occidentale). Quale sarà la qualitÃ
missionaria di questo nuovo centro del cristianesimo e del cattolicesimo?
Sarà ancora in gran parte dipendente dalle forze missionarie provenienti
dall'Europa e dal Nord America ... o si interesserà piuttosto a comunicare
quello che ha ricevuto dal Signore alle grandi maggioranze non cristiane degli
altri continenti?
«
Molti addurranno l'argomento che, quanto all'evangelizzazione, così grandi sono
ancora le sfide all'interno dell'America Latina che è impossibile pensare
attualmente di fare una sortita fuori. Tale
argomento, però, tende a trasformarsi in un'autogiustificazione, dando luogo a
una mentalità che rimanda sempre il momento di lanciarsi in un'evangelizzazione
universale. Come la società in
generale e le persone in particolare, così anche la Chiesa può adagiarsi in
una routine di apatia e di passività . La
coscientizzazione verso una missionarietà universale è nel suo insieme un
processo lento, è vero, ma senza l'impulso che viene da iniziative concrete e
attuali, sarà un processo il cui scatto iniziale verrà indefinitamente
rimandato. I vescovi responsabili
dei settori missionari delle Chiese latinoamericane credono fermamente che tale
processo debba già iniziare in questo ultimo quarto del secolo ventesimo ».
Per
questo Puebla affermerà più tardi: «Finalmente è arrivato il tempo, per
l'America Latina, di intensificare i mutui servizi fra le Chiese particolari e
di proiettarsi al di là delle proprie frontiere... È vero che noi stessi
abbiamo bisogno di missionari; ma dobbiamo dare dalla nostra povertà » (Puebla
368).
La
missione «ad gentes» non è, d'altra parte, una novità assoluta per queste
Chiese. Negli ultimi decenni sono
stati fondati Istituti per le missioni estere in Colombia e in Messico. In Brasile
molte diocesi «centrali» stanno
inviando degli evangelizzatori in Amazzonia (sempre parte, tuttavia,
dello stesso Brasile), mentre congregazioni femminili di fondazione locale si
stanno aprendo all’Africa. Però
il numero totale di missionari è estremamente ridotto se confrontato con la
popolazione cattolica (oltrechè sacerdotale e religiosa): tali vocazioni
missionarie finiscono per sembrare qualcosa di eccezionale.
Per i cattolici latinoamericani è un fatto naturale che il «missionario» sia l'europeo o il nordamericano che lavora nel suo paese, e non
un latinoamericano inviato in altre parti.
C'è da aggiungere che l'America Latina ha cominciato a ricevere
missionari dalla Corea e missionari dall'India, senza prospettarsi seriamente la
paradossalità di tale situazione e la necessità di uno scambio reciproco con
l'Asia e l'Africa.
EÂ’
molto probabile che le urgenti necessità pastorali delle Chiese latinoamericane
negli ultimi vent'anni abbiano accentuato l'insensibilità nei confronti della
missione «ad gentes». Si è avuto un afflusso senza precedenti di missionari
nel nostro subcontinente. Non v'è
nulla da obiettare a questo, e nemmeno a che l'America Latina seguiti a ricevere
dei missionari. Ne ha bisogno.
Ma ciò non è incompatibile con l'invio di evangelizzatori
latinoamericani «ad gentes». «Dobbiamo dare dalla nostra povertà », dice
Puebla. Il pericolo delle Chiese
che ricevono sempre è di non giungere alla propria maturità .
Non arrivare a diventare pienamente missionarie, vale a dire, cattoliche.
Corriamo il pericolo di trasformarci in Chiese indefinitamente
dipendenti, al di là del ragionevole. Si
pensi, inoltre, al massiccio aiuto in denaro da parte di Chiese ricche e di
fondazioni, che viene a far parte del preventivo abituale della nostra
evangelizzazione, anche nelle « basi ». In questo esiste indubbiamente un
valore: è cristiano che le Chiese che hanno
di più aiutino quelle che hanno di
meno; il grado, tuttavia, in cui ciò si realizza in una Chiesa tradizionalmente
dipendente e poco aperta all'esterno, pone interrogativi inquietanti.
Ci troviamo di fronte alla sfida missionaria o di «dare dalla nostra
povertà » o di restarcene chiusi nella nostra povertà a tempo indefinito.
Esiste
una relazione profonda di fecondità reciproca tra missione all'esterno e
missione interna, tra evangelizzazione de «gli altri» e feconditÃ
vocazionale del «noi». Questa relazione ha le sue radici nell'essenza stessa
della Chiesa e nella sua esperienza secolare.
E
presente, però, un dinamismo dello Spirito in America Latina che ci porta a ben
sperare. La Chiesa vi ha avuto una
maturazione straordinaria quanto a coscienza missionaria all'interno delle
proprie frontiere, e la missione «ad gentes» non tarderà a presentarsi come
fedeltà a questa maturazione.
I
poveri o «gli altri»: un falso
dilemma
Qual
è attualmente la coscienza missionaria delle Chiese d'America Latina?
Ci riferiamo alla coscienza in generale, quale si rivela nella pratica
abituale della pastorale rinnovata. Di
fatto, la missione in America Latina si rivolge fondamentalmente ai poveri e
agli oppressi, missione ufficialmente dichiarata a Puebla come «scelta
preferenziale per i poveri».
In
America Latina «gli altri» sono soprattutto i poveri e le sfìde provenienti
dalla disumanizzazione degli oppressi si presentano come più urgenti che non
quelle dei non credenti. La
liberazione ed evangelizzazione dei poveri hanno costituito il primo esodo missionario di una Chiesa che esce dalle proprie
frontiere. Comunità religiose,
sacerdoti, evangelizzatori laici lasciano progressivamente il « loro mondo »
sociale e istituzionale per inserirsi nel mondo de «gli altri », i poveri.
E questo è un fatto missionario. Poveri
e lontani coincidono in gran parte: i poveri si trovano anche ai margini della
Chiesa, e per integrarveli alla «nostra» maniera non basta la loro
religiosità . Miseria e scristianizzazione
sono processi simultanei.
La scelta preferenziale per i poveri è una scelta che, oltre a
significare l'impegno della Chiesa per la giustizia e la liberazione integrale
dei poveri e degli oppressi, significa al tempo stesso la scelta di
evangelizzare le grandi maggioranze di popolo lontane dalla Chiesa, anche se
fondamentalmente credenti. La
missione all'interno dell'America Latina avrà sempre un carattere di
ri-evangelizzazione, e in ciò sarà sempre differente dalla missione «ad
gentes» e non la potrà sostituire.
La
missione tra i popoli ha portato, a poco a poco, a forme sempre più specifiche
di missione «all'interno». Essa ha fatto prendere coscienza di situazioni
territoriali e di culture popolari subalterne assai scarsamente evangelizzate,
che richiedono uno sforzo missionario particolare (classe operaia, gruppi
indigeni, ecc.). Questo è stato il secondo
esodo della Chiesa latinoamericana: l'andare a «gli altri», poveri nella
loro maggioranza, come a situazioni o luoghi in cui la Chiesa non è ancora
significativamente impiantata. Questo
esodo missionario è un esodo culturale. Così
si esprime, al riguardo, il documento dell'Ufficio missioni del CELAM sopra
citato:
«
La sfida missionaria è più chiara in certi casi particolari, senza con questo
riferirci a piccoli gruppi marginali. Vi
sono grandi settori umani (appartenenti generalmente ai gruppi etnici e
culturali che la cultura occidentale o quella creola ( Cultura dei discendenti
degli Europei, nati in America - ' criollos '). generalizzata non hanno mai
potuto assimilare) che, per certi fattori storici, si trovano praticamente in
una situazione di «prima evangelizzazione». Queste persone si contano non a
migliaia, ma a milioni. In America
Latina vivono attualmente dai 26 ai 43 milioni di indigeni, alle cui radici
culturali non è ancora penetrato il vangelo.
A questo numero è da aggiungere un 50 milioni di afroamericani (37
milioni in Brasile, altri 15 milioni nelle
isole e lungo le coste dei Caraibi, senza contare quelli delle zone calde
del Sudamerica) che rimangono al margine della pastorale
generale.
Esistono poi alcuni milioni di asiaticoamericani... La religione
tradizionale di buona parte degli indigeni e della maggioranza degli asiatici
non è cristiana. Nel caso delle maggioranze degli indigeni andini e
centroamericani e degli afroamericani (neri e mulatti), la religione consiste in
un miscuglio sincretistico di elementi esteriori della cristianità iberica con
altri elementi pre-cristiani e sono tali elementi a imporre gli schemi di
interpretazione e valutazione della realtà ... e non vogliamo qui menzionare gli
altri milioni di « post-cristiani » affetti dalla secolarizzazione, dal
materialismo e dalle ideologie.
«Riassumendo, esistono in America Latina circa 100
milioni di persone (in particolare indigeni e
afroamericani) che sono in una
situazione tale da richiedere una prima evangelizzazione: un subcontinente di
non evangelizzati. Si tratta di un
numero varie volte superiore al totale degli abitanti d'America all'epoca della
scoperta e della conquista... I non evangelizzati sono generalmente i « morenos
» (uomini di colore scuro): indigeni e afroamericani, le culture dei quali sono
rimaste ai margini dell'azione evangelizzatrice. I non evangelizzati sono generalmente i più poveri, coloro
che più soffrono delle varie forme di oppressione e sfruttamento sociale,
economico e politico... ».
Le Chiese latinoamericane si vanno sempre più assumendo
la responsabilità di tali situazioni missionarie, soprattutto nei paesi che ne
sono maggiormente interessati. Questo
secondo esodo verso « gli altri » diventa una realtà . In questo esodo il problema culturale (evangelizzare le
culture è essenziale alla missione) è significativo, e apre alle Chiese una
prospettiva missionaria più integrale. Così
lo Spirito ci viene preparando al terzo
esodo missionario, il più decisivo, ancora da compiersi: quello della
missione fuori dell'America Latina, là dove «gli altri» sono anch'essi i
poveri, anch'essi di un'altra cultura, ma non cristiani. Qui la missione giungerà alla sua maturità : trasmettere a
«gli altri» l'esperienza della fede e la ricchezza della pienezza del Regno
di Dio. Nella missione «ad gentes
la scelta preferenziale per i poveri acquista tutta la sua dimensione: i poveri
dell'Asia e dell'Africa sono anche non cristiani: manca loro l'unica ricchezza
che possono esibire i loro fratelli d'America Latina: la fede in Gesù Cristo.
Sono, in certo modo doppiamente poveri.
Dice
il già citato documento dell'Ufficio missionario del CELAM: « L'attuale
rinnovata evangelizzazione dei gruppi in situazione missionaria in America
Latina va preparando e abilitando questa Chiesa alla sua missione universale.
La stessa esperienza di evangelizzare culture non occidentali rafforza la
coscienza e lo spirito missionario e inculca il senso di una specie di gara
apostolica, di fiducia e di gioia nel rispondere a una missione più vasta.
Il risultato di tali sforzi è un insieme di conoscenze teoriche e
pratiche che contribuisce alla comprensione evangelica delle culture e offre una
guida all'azione missionaria. In
concreto, la Chiesa latinoamericana può offrire alcune intuizioni ed esperienze
originali che possono contribuire alla vitalità missionaria della Chiesa
intera: ad esempio, le comunità di base, i nuovi ministeri, la dimensione
liberatrice dell'evangelizzazione. E
come frutto dei recenti sforzi per evangelizzare popoli abbandonati o di altra
cultura, vanno nascendo nuove comunità e Chiese locali, dotate di ministri e
vita apostolica propri. Sono
altrettante risorse per l'apertura missionaria ad altri gruppi e ad altre terre.
La missione universale migliorerà la qualità della vita evangelica, e
ciò si ripercuoterà sull'apostolato all'interno del continente.
Come dice un vescovo uruguayano: " finché continueranno ad essere
in crisi i nostri sentimenti missionari a favore dei paesi pagani, non vedo
speranza alcuna, alla luce della fede, di poter cristianizzare veramente
l'Uruguay ". Tali parole sono applicabili a tutti gli altri paesi ».
E
potremmo aggiungere noi: la ragione di ciò sta nel fatto che missione e zelo
per la diffusione della fede in Gesù Cristo sono un'unica cosa.
Se la missione interna è intensa e fervida, essa si proietta
necessariamente «ad gentes ». E la missione « ad gentes », a sua volta,
crea una corrente di grazia e di vocazioni apostoliche all'interno della Chiesa
locale.
Il
dinamismo itinerante della missione
Abbiamo
stabilito che la mistica della missione è l'esodo verso «gli altri» in
tutte le sue forme, verso i mondi geografici e culturali al di là delle nostre
frontiere. Alla mistica della
missione è essenziale la «mistica dell'esodo»: partire da una Chiesa, da
una comunità , da un mondo dove il cristianesimo è sufficientemente impiantato,
per andare a piantare e far attecchire la fede della Chiesa nei mondi non
evangelizzati. Questo compito non
permette di installarsi: una volta piantata e consolidata la Chiesa, si aprono
nuove frontiere missionarie a questa medesima Chiesa, e l'esodo deve
continuare.
Per questo si è
detto che la vocazione missionaria, nel suo senso specifico, è essenzialmente
itinerante. Nella sua mistica e nel
suo obiettivo. Non ogni attivitÃ
pastorale od ogni vocazione apostolica nella Chiesa è, né deve essere,
itinerante. Sono importanti le
vocazioni apostoliche che prendono piede e si impegnano in una comunità o
Chiesa locale in modo permanente, ed è questo certamente l'atteggiamento
abituale. Ma accanto a questo, caratteristico del carisma missionario (in quanto
vocazione a lasciare la propria Chiesa locale per farle mettere radici in un
altro luogo) e di un istituto missionario l'atteggiamento di provvisorietà e di
itineranza.
Cosa
vuol dire questo? È il vangelo
stesso e la prassi missionaria di Gesù a darci una chiave per la risposta.
Nel vangelo di Luca leggiamo: « Le folle lo cercavano (Gesù), lo
raggiunsero e volevano trattenerlo perché non se ne andasse via da loro. Egli
però disse: " Bisogna che io annunzi il Regno di Dio anche alle altre città ;
per questo sono stato mandato " » (Lc 4,42 ss).
Gesù non si concentra esclusivamente in un luogo.
La sua attività missionaria è itinerante: non si installa.
Una volta che ha fatto dei discepoli in
una città , passa in un'altra a fare lo stesso.
Su più vasta scala il carattere itinerante della missione di Gesù sarÃ
riprodotto in seguito dai primi Apostoli, in particolare da S. Paolo: una volta fondata una Chiesa, se ne
partivano per fondarne un'altra. Le
Chiese fondate non venivano abbandonate; sorgevano in esse ministeri che le
aiutavano a crescere e a diventare missionarie a loro volta.
La mistica itinerante è stata propria di tutti i grandi missionari e
delle migliori imprese missionarie del cristianesimo. Si pensi, ad esempio, a S. Francesco Saverio, a S. Francesco
d'Assisi, a S. Domenico. Si pensi
alla prima evangelizzazione dell'America: l'incredibile estensione geografica
che essa ha abbracciato in poco tempo non si può capire senza il criterio della
missione itinerante e della mistica dell'esodo missionario.
Tale criterio e tale
mistica, d'altra parte, sono sempre minacciati dalle tendenze alla «installazione
missionaria ». Può capitare che la missione, una volta riuscita con gli anni a
impiantare in maniera sufficiente una Chiesa (nel senso che essa possiede ormai
un proprio dinamismo, pur necessitando ancora di aiuto), vi si stabilisca a
tempo indefinito senza proiettarsi oltre. Il
missionario, l'istituto missionario ha perso allora la propria dimensione
universale, il costante dinamismo verso «gli altri», e si è «localizzata». Si è ridotto a far parte esclusivamente di « noi ».
Rinnovare lo spirito della missione è anche ricuperare la
sua mistica del carattere di itineranza e provvisorietà .
Questo rinnovamento è richiesto in modo permanente nella vita della
Chiesa. Gruppi, congregazioni,
istituti appositamente creati per la missione, per andare oltre le frontiere a
fondare la Chiesa in mezzo alle genti, finiscono spesso per «localizzarsi»,
chiusi nel luogo di cui si prendono indefinitamente cura con una pastorale
ordinaria e una Chiesa stabilita. Nell'assumere
un territorio non evangelizzato («territorio di missione») l'istituto o
congregazione missionaria, invece di incentivare i ministeri e le comunitÃ
locali, in modo da potersi progressivamente ritirare dal territorio (a beneficio
sia della Chiesa locale, che va consolidando le proprie radici con le sue stesse
risorse, sia della Chiesa che attende di essere fondata da un'altra parte),
tende a identificarsi per interi decenni col territorio medesimo.
Sembra invece un criterio più coerente con la natura e la mistica della
missione, quello che attualmente viene prevalentemente praticato da molti
istituti missionari nell'assumere « territori di missione » per periodi di
tempo ragionevolmente limitati, con l'impegno di lasciarvi comunitÃ
sufficientemente radicate e in crescita.
« Dare dalla
nostra povertà »
La
missione è una sola, a diversi livelli (missione all'interno e «ad gentes»;
a «noi» e a «gli altri») che sono tra loro inseparabili.
Non solo inseparabili, ma anche interdipendenti l'uno dall'altro.
La
grande tentazione della vita cristiana è di separare quello che nel dinamismo
della fede si trova profondamente unito o collegato: contemplazione e impegno,
fede e compiti profani, comunità e
missione, ecc. La stessa cosa
succede pure con i diversi livelli della missione, e ogni separazione indebita
porta a lungo andare alla decadenza di quegli elementi che occorre tenere uniti.
È
parimenti una tentazione corrente quella di rendere incompatibile nella pratica
ciò che è invece compatibile: la pratica della preghiera e dei sacramenti e
l'incarnazione della fede; la giustizia e la misericordia; le lotte e la
riconciliazione. Nella missione può
succedere lo stesso: vocazioni alla Chiesa locale e vocazioni «ad gentes»;
necessità di ricevere aiuti missionari e, al tempo stesso, invio di
evangelizzatori a Chiese e territori più bisognosi; rispondere alle nostre
urgenti necessità e rimanere aperti al resto dell'America Latina e alla
missione universale. La fede e la
secolare esperienza evangelizzatrice della Chiesa ci dicono, invece, che tali
aspetti non solo non sono praticamente incompatibili, ma si rafforzano
reciprocamente. Torniamo a ripetere che la debolezza della missione «ad gentes» in America Latina si ripercuote nella mancanza di vocazioni
per le Chiese locali e nella mancanza di una mistica più robusta per poter
affrontare le proprie situazioni missionarie.
Pare
dunque necessario che le Chiese in America Latina sviluppino, in quest'ultimo
scorcio del secolo ventesimo, la loro ricca potenzialità missionaria,
rispondendo a quelle sfide che in particolare le coinvolgono nell'impegno per la
missione «ad gentes». Tale impegno è un debito nei confronti della
cattolicità della Chiesa, debito che dovremo progressivamente saldare a partire
dalla nostra stessa situazione di necessità e di povertà .
A
questo riguardo occorrerebbe segnalare che:
1. Nei paesi latinoamericani l'animazione missionaria «ad gentes» non
dovrebbe rimanere un'attività isolata e altamente specializzata (come avviene
attualmente), ma diventare parte integrante dell'attività missionaria ordinaria
delle nostre Chiese. Le situazioni missionarie all'interno delle nostre Chiese e
la missione «ad gentes» sono complementari.
Le Pontificie Opere Missionarie, esistenti nei nostri paesi per desiderio
della Santa Sede, e ridotte spesso alla colletta del mese d'ottobre per le
missioni, dovrebbero essere integrate nella pastorale organica (pur mantenendo
la propria autonomia), assumendosi un ruolo di animazione e di presa di
coscienza della missione « ad gentes » nell'apostolato ordinario delle
diocesi.
2. L'animazione missionaria «ad gentes» deve essere in relazione, in
modo coerente, con la problematica e il pensiero pastorale e teologico sull'evangelizzazione in America Latina. Non
dovrebbe apparire come un distrarsi
o un evadere dai nostri problemi più urgenti, ma come qualcosa che fa parte
delle nostre risposte missionarie, come un maturare della nostra stessa
evangelizzazione.
Su
questo punto ci siamo già dilungati abbastanza prima.
Le grandi questioni della pastorale latinoamericana, come la scelta
preferenziale per i poveri, la liberazione e la giustizia, l'evangelizzazione
delle culture, la comunione e la partecipazione, ecc., trovano nella missione «ad
gentes » la loro continuità e la loro pienezza. I poveri dell'Africa e dell'Asia sono, tra i poveri, i più
poveri; così pure le loro servitù e ingiustizie. Le loro culture sono più distanti dal vangelo di qualunque
sottocultura latinoamericana. La
comunione e la partecipazione non sono
pienamente cattoliche se non sono solidali con la sorte del vangelo al di là delle frontiere dell'America
Latina.
3. Le congregazioni religiose specificamente missionarie che hanno messo
radice in America Latina, potendo ormai contare su un forte numero di vocazioni
latinoamericane, dovrebbero ricuperare il proprio senso missionario «ad gentes
». Capita che molte congregazioni missionarie, quando arrivano in America
Latina, si «localizzino» in breve, assumendo dei compiti che rientrano nella
pastorale ormai stabilita. Le loro
vocazioni latinoamericane rimangono nel proprio paese mettendosi in linea con la
pastorale ordinaria, indefinitamente. Bisognerebbe
a poco a poco aiutare tali congregazioni a ricuperare il loro carattere
itinerante, e le loro vocazioni locali a capire che il carisma loro proprio è
la missione (cf. AG 40). Missione «ad gentes» per alcuni, missione verso
situazioni o territori missionari dentro il proprio paese, per altri.
4. Tuttavia la presenza di congregazioni non è la cosa più significativa
ed importante in una Chiesa che si proietta nella missione esterna.
Lo sono, invece, i suoi vescovi insieme al clero secolare.
Finché un clero secolare non genera vocazioni missionarie, e alcuni dei
suoi membri non lasciano la propria diocesi per andare «ad gentes» o a
Chiese più bisognose d'aiuto, e questo con il pieno appoggio dei vescovi, una
Chiesa non può considerarsi giunta a maturitÃ
missionaria e cattolica. La
misura della missione è data dalla Chiesa locale diocesana: vescovo, clero
secolare, evangelizzatori laici. È la loro prova del fuoco. È lì che il dare
dalla propria povertà acquista tutto il suo senso e tutto il suo merito.
Il Concilio Vaticano Il è molto esplicito al riguardo.
I primi responsabili, in una Chiesa sufficientemente consolidata,
dell'animazione e dell'assunzione della missione «ad gentes» sono i vescovi
e il clero secolare (AG 38 e 39). Nella
Presbiterorum Ordinis leggiamo: «Qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della
missione affidata da Cristo agli Apostoli ... Ricordino quindi i presbiteri che
a essi incombe la sollecitudine di tutte le Chiese.
Pertanto... si dimostrino disposti ad esercitare volentieri il proprio
ministero ... in quelle regioni, missioni e opere che soffrano di scarsezza di
clero» (PO 10). Questa medesima
sollecitudine il Concilio chiede ai laici, alle parrocchie di cui fanno parte,
ai loro movimenti e comunità (AG 35-37).
La
scelta a favore de «gli altri», per i mondi culturali e geografici non
ancora evangelizzati, è essenziale a ognuna delle Chiese che fanno parte della
cattolicità , nella misura stessa in cui tendono alla maturità .
Indipendentemente dalla mancanza o abbondanza di clero. È evidente che
l'abbondanza di clero facilita la missione «ad gentes» rendendola più
efficace, ma la questione numerica non può essere decisiva. È troppo
sociologica per essere ecclesiale. Andare
a «gli altri» non significa dare ciò che sopravanza, ma anche dare di ciò
di cui si ha bisogno. In tal caso
il contributo sarà modesto, talvolta solo simbolico, ma ciò che importa è la
solidarietà e la dimensione missionaria universale che anche pochi inviati
arrecano alla loro Chiesa come grazia di dinamismo, creatività e cattolicità .
Dare
di ciò che è necessario è dare dalla
povertà .
Come l'obolo della povera vedova del vangelo, che fu lodata da Gesù non
per la quantità che essa diede (meno degli altri offerenti), ma per il fatto
che mentre gli altri davano del loro superfluo, lei dava dalla sua povertà («
tutto quanto aveva per vivere »: Lc 21, 1-4).
L'obolo della vedova è stato poco più che simbolico, ma agli occhi di
Dio esso aveva più significato delle ben più consistenti offerte recate da
persone che davano del loro superfluo.
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