El
Salvador, 1980. Nella piccola nazione del Centramerica,
la guerra civile – ormai decennale – ha giÃ
causato più di 75mila morti e un milione e mezzo di
rifugiati. Il regime al potere, sostenuto dagli Usa,
è stato definito «colpevole di genocidio» dalla
commissione sulla verità dei fatti, voluta dalle
Nazioni unite. La sera del 24 marzo, mentre celebra
lÂ’Eucaristia, mons. Oscar
Romero, arcivescovo della capitale San Salvador,
è ucciso da un sicario.
Pochi
minuti prima, concludendo l’omelia, ha detto: «Uno
non deve mai amarsi al punto da evitare ogni possibile
rischio di morte che la storia gli pone davanti. Chi
cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo,
ha già perso la propria vita».
Romero
è stato una sorpresa della storia. I poveri
salvadoregni non si sarebbero mai aspettati di
vederselo al proprio fianco. Né le élite ecclesiali
e di governo di vederselo “contro”. Era stato
nominato presidente della conferenza episcopale
proprio perché ritenuto un conservatore.
Ma,
tre settimane dopo quella nomina, il fatto che cambiò
radicalmente la sua vita: lÂ’assassinio di padre
Rutilio Grande, il suo più stretto collaboratore, da
parte di sgherri del regime. Romero capì da che parte
stare: dalla
parte dei poveri. E i poveri divennero per lui
coloro senza i quali vivere non sarebbe stato più
vivere. E lui divenne per il potere un traditore.
Da quella morte iniziò per Oscar Romero un cammino di
liberazione. Che lo portò al martirio. Ma la sua
morte fu un canto di resurrezione: «Non credo a una
vita senza resurrezione. Se mi uccideranno, risorgerò
nel popolo salvadoregno».
Ha lasciato un segno nella chiesa latino-americana e
del mondo intero. Ricordare il suo martirio, 25 anni
dopo, significa “far memoria” delle cause per le
quali fu ucciso, ma soprattutto del suo instancabile
impegno a fianco degli ultimi.
In un mondo in cui la guerra e le dottrine sulla
“sicurezza nazionale” stanno sempre più
diventando strumento di risoluzione dei problemi,
Romero invita a rifiutare
le logiche del potere e della violenza,
proponendo, con lÂ’esempio della sua vita, la strada
della non violenza.
Lui, che il giorno prima di essere ucciso, invitò i
soldati a «disobbedire a ordini che ingiungono di
uccidere», perché «sono ordini di peccato»,
invita, anche ai giorni dÂ’oggi, caratterizzati da
tante “missioni di pace” condotte con le armi, a
considerare lÂ’obiezione di coscienza come opzione
cristiana.
E
se, oggi come nel 1980, in El Salvador i poveri sono
sempre di più ai margini della società , mons. Romero
ci invita a fare una scelta di parte: «Il mondo dei
poveri ci insegna che la liberazione arriverà quando
questi nostri fratelli poveri non staranno più dalla
parte di chi riceve le elemosine dal governo e dalle
chiese, ma saranno essi stessi protagonisti della loro
lotta per la liberazione».
Dal giorno della sua morte la gente lo chiama, lo
prega, lo invoca come san Romero dÂ’America. La sua
gente l’ha già proclamato santo. Il suo processo di
canonizzazione è cominciato quella sera di primavera
del 1980. Oggi san Romero vive nei cuori e nelle lotte
di tanti popoli. Il luogo della sua canonizzazione non
è più la Piazza San Pietro di Roma, bensì tutte
le piazze del mondo, dove si condivide e si lotta
per la dignità degli uomini e delle donne.
Anche lÂ’Africa ha avuto i suoi san Romero: il
cardinale di Brazzaville, Emile Biayenda, ucciso nel
1977; mons. Christophe Munzihirwa, arcivescovo di
Bukavu (Rd Congo), assassinato dai militari ruandesi,
il 29 ottobre Â’96; mons. Pierre Claverie, vescovo di
Orano (Algeria), ammazzato il 1° agosto 1996; e poi
tanti cristiani, sacerdoti, religiosi, religiose e
laici, che hanno dato il loro sangue perché credevano
in un modo diverso di essere chiesa.
Quando un popolo è capace di produrre martiri, vuol
dire che la resurrezione e la liberazione si sono
fatte più vicine.
Facciamo
nostre le parole che mons. Tonino
Bello disse in ricordo di mons. Romero: «Noi
tÂ’invochiamo, vescovo dei poveri, intrepido
assertore della giustizia, martire della pace!
Ottienici dal Signore il dono di mettere la sua Parola
al primo posto. Aiutaci a intuirne la radicalità e a
sostenerne la potenza, anche quando essa ci trascende.
Liberaci dalla tentazione di decurtarla per paura dei
potenti, di addomesticarla per riguardo di chi
comanda, di svilirla per timore che ci coinvolga.
Non permettere che, sulle nostre labbra, la Parola
di Dio sÂ’inquini con i detriti delle ideologie.
Ma dacci una mano, perché possiamo coraggiosamente
incarnarla nella cronaca, nella piccola cronaca
personale e comunitaria, e produca così storia di
salvezza. Aiutaci a comprendere che i poveri sono il
luogo teologico dove Dio si manifesta, il roveto
ardente e inconsumabile da cui egli ci parla. Prega,
vescovo Romero, perché la chiesa di Cristo, per amore
loro, non taccia».
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