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p. John Waliggo: Una politica per l'Africa

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UNA POLITICA PER L'AFRICA

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Aiuterebbe molto riprendere l'intervista a Jean Marc Ela: "Se l'Africa libera Dio"


Di fronte ai tanti drammi del Continente nero – Aids, guerre, povertà, tribalismo – la Chiesa sembra troppo concentrata sulle proprie faccende e poco attenta alla vita politica. Ma così, spiega un teologo, commette un grave peccato d’omissione.

Laureato in storia, profondo conoscitore della realtà africana e in particolare del suo Paese, l’Uganda, padre John-Mary Waliggo è uno dei teologi più apprezzati del Continente. Oggi ha 65 anni; dopo aver contribuito nei primi anni ’80 alla fondazione dell’Università Cattolica dell’Africa Orientale a Nairobi, a partire dal 1988 si è impegnato nel processo di ricostruzione e di democratizzazione del suo Paese. Prima commissario e poi segretario generale della Commissione costituzionale ugandese, ha dato un contributo importante alla stesura dell’attuale Carta fondamentale del Paese, approvata nel 1995. Dal ’93 al ’96 ha fatto parte della Commissione per i diritti umani, un tipo di impegno che ora porta avanti come responsabile della Commissione "Giustizia e pace" della Conferenza episcopale.

  • Dopo la caduta del Muro di Berlino si è parlato di un nuovo vento di democrazia in Africa, che ha visto la Chiesa impegnata in prima linea. Ora, a dieci anni di distanza, sembra prevalere il distacco, e la Chiesa è come ripiegata su sé stessa.

«Credo che la Chiesa cattolica stia trascurando la dimensione politica in gran parte degli Stati africani. Ma così ignora che il Continente ha bisogno di nuovi leader, di persone che devono essere opportunamente formate, e dimentica una parte fondamentale della sua missione. Senza un impegno sociopolitico, diventa del tutto inutile scandalizzarsi perché i nostri governanti non hanno alcun riferimento etico e si rendono responsabili di massicce violazioni dei diritti umani. È la gente stessa che ci stimola e ci spinge ad assumerci le nostre responsabilità come Chiesa; come clero, siamo parte di un’élite che non può più permettersi di peccare di omissione. In questa nuova era di faticosa democratizzazione la Chiesa deve svegliarsi, deve prendere coscienza del proprio ruolo e, anche a livello ecumenico, intervenire nei processi politici e sociali dei propri Paesi, anche là dove non siamo invitati dal potere, anche là dove siamo sgraditi o scomodi. A dieci anni dalla caduta del Muro di Berlino, possiamo fare un bilancio in chiaroscuro e dobbiamo ammettere che non sempre abbiamo saputo scendere nell’arena politica con una preparazione adeguata».

  • Come dovrebbe agire la Chiesa nelle molte aree di crisi del Continente africano?

«Ci si dovrebbe concentrare sulla formazione civile della popolazione. Se, ad esempio, si crea un’associazione indipendente di donne, esse sapranno quale può essere il loro ruolo, e nel processo di pace sapranno dare concretezza al loro impegno. Tutto il popolo di Dio deve essere coinvolto nelle dinamiche sociali, deve poter far sentire la propria voce e agire insieme ai propri leader. Stare con la gente è l’unica via da seguire; bisogna essere capaci anche di correre dei rischi».

  • Quali sono secondo lei le ragioni per cui in molti Paesi africani non ci sono autorità o movimenti cristiani coinvolti con un certo peso sulla scena politica?

«Sfortunatamente, all’interno della Chiesa non ci sono state molte figure profetiche e carismatiche in questo senso, persone capaci di prendere atto dei cambiamenti e di formare laici in grado di interpretare la realtà e di diventare a loro volta protagonisti del cambiamento. In secondo luogo, la convinzione che ci sia una completa separazione tra Stato e Chiesa continua a essere molto profonda. In particolare la Chiesa istituzionale


di Renato Kizito Sesana

Tratto da Jesus

 

 

 

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