ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE

 

UNA STRISCIA BIANCA

I fari della macchina cercano invano

di penetrare un muro di nebbia.

Ma il muro resiste e la luce si disperde

in mille raggi sfuggenti.

Una striscia bianca dipinta sull’asfalto

è l’unico contatto con la realtà.

Non rimane che affidarsi ad essa

sperando che un tratto

segua fedele quello che lo precede.

altrimenti non saprei dove andare,

dovrei rallentare ancora

e vado già così piano!!

 

Signore,

così è la mia fede.

Nella nebbia in cui spesso è avvolta la mia vita

la ragione cerca certezze,

vorrebbe conoscere la meta,

ma, simile ad una linea bianca al centro della strada,

c’è solo la Tua Parola che mi dice:

“ Vieni, fidati !!

Se c’è la linea

c’è anche chi l’ha tracciata.

Seguila senza paura.

Alla fine della strada mi troverai con il pennello

ancora fresco di vernice in mano.”

 

Piergiorgio Da Rold

 

VOCAZIONE e ACCOMPAGNAMENTO

 

            La relazione di accompagnamento fa emergere attraverso il colloquio spirituale e la reciproca confidenza il cammino da percorrere per ascoltare la Parola di Dio, leggere se stessi e interpretare la storia. Sono molti gli argomenti da affrontare per aiutare i giovani a conoscersi, ad amare la Chiesa, a esercitare un giudizio critico e costruttivo sul mondo. Le proposte della cultura contemporanea esigono di mettere a tema i modi e i linguaggi più comuni con cui ci si rapporta alla realtà. Pensiamo al valore e al limite delle sensazioni come strade per arrivare alle decisioni di vita e alla lora durata.

 

            Pensiamo a un affidabile esercizio del ragionamento e alla capacità di considerare lo spessore veritario dei principi primi e il senso ultimo delle realtà. Pensiamo alla questione della razionalizzazione di se stessi, alla ricerca generale del benessere in rapporto con esiti materialistici della vita, pensiamo al fascino delle comodità e del piacere. Tutte queste prospettive di pensieri e di comportamento vanno misurate con la tradizione spirituale cristiana nei loro aspetti positivi e nelle devianze.

 

            La relazione di accompangamento vigilerà sulla progettualità e sull’assestamento vocazionale. L’educatore nel suo confidente rapporto con i giovani metterà in luce da quale storia proviene l’ipotesi di una particolare vocazione. Penso all’importanza che può avere nella configurazione della personalità di un giovane la sua famiglia, gli studi fatti, le compagnie frequentate, le esperienze affettive precedenti, le inevitabili ferite e tutto ciò che ha condotto il giovane a interrogarsi seriamente circa il mistero di Dio nella sua vita.

 

            L’educatore si interroga davanti al suo interlocutore; si chiede che cosa cerca innanzitutto questo ragazzo o questa ragazza. Progressivamente si preoccupa di introdurlo alla preghiera, ordinata, precisa, obiettiva, fedele. Propone dei passaggi di crescita, dei libri da leggere, degli obiettivi particolari da raggiungere; illustra e avvia esperienze perchè sappia cogliere il rapporto tra la preghiera pubblica e quella individuale, tra il sentire liturgico e quello spontaneo, tra l’orazione e il lavoro.

 

            Nell’accompagnamento si introduce poi il giovane a qualche esperienza di carità. Viene valorizzata in lui la carità quotidiana, nei luoghi e con le persone più comuni. Accanto all’esercizio pratico della carità si dedica tempo e intelligenza spirituale per cogliere e contemplare le sorgenti cristiane della carità, così come emergono dal cuore di Dio e dai sentimenti di Gesù, motivazioni profonde che vanno ben oltre a un generico impegno per gli altri. Verrà verificata l’obiettiva condizione di libertà interiore del giovane che intraprende un discernimento vocazionale. A lui sarà fatta qualche proposta che lo possa mettere alla prova circa la sua capacità di fedeltà, di iniziativa, di sacrificio, di perseveranza. Possano venire alla luce quelli che sono i suoi modelli, le sue preferenze, le sue durezze, le sue ingenuità.

 

            La relazione di accompagnamento avrà modo di verificare il riferimento alla volontà di Dio prima che al progetto personale; la consistenza di un rapporto intelligente e affettivo con Gesù; la perseveranza della preghiera al di là degli stati emotivi; un’ordinata capacità di lavoro e raggiungimento degli obiettivi prefissati; la disposizione al coraggio e le strutture della decisione; la disposizione all’umiltà che libera dal narcisismo e dall’immagine di sè; un senso di iniziativa nel partecipare a esperienze di chiarificazione personale; la gestione dei distacchi affettivi, la gestione dei rapporti nuovi e delle relazioni più faticose.

 

            Così si costruisce una relazione spirituale. Scienze umane e teologia spirituale in essa si incontrano e trovano la loro espressione più adeguata nell’unità dell’atto pedagogico in cui si esprime questa relazione. Le scienze umane forniranno tutta la competenza analitica e la teologia spirituale farà sintesi della totalità del vissuto cristiano, affidando essa stessa alla Chiesa il riconoscimento della vocazione.

            Questa forma di relazione spirituale può avere un’importanza relativamente diversa a seconda delle età della vita. La direzione spirituale di un giovane è qualitativamente diversa da quella di un adulto; essa si trasforma e in genere passa da una relazione, che si configura ad alte tinte psicologiche, a un rapporto più propriamente spirituale, più libero, più obiettivo. E’ una relazione che parte molto spesso come rapporto di paternità e più si cresce nell’esperienza di fede più diventa simile a una sincera fraternità spirituale, perchè uno solo è il Padre e il Maestro.

 

            Una relazione spirituale deve essere estremamente precisa. Questo impegna molto gli interlocutori, sia il direttore spirituale come il giovane. Il colloquio chiede a entrambi preghiera, studio, preparazione, comprensione dei problemi. L’improvvisazione conduce alla banalità, alla perdita di tempo, a colloqui lunghi e spesso insignificanti. Se invece il colloquio è molto preciso, allora richiama i problemi, li mette in ordine, li legge, conduce a delle decisioni, anche quando ci vuole molto coraggio e molta umiltà. Solo così riesce a essere una relazione rasserenante nella fede, senza false consolazioni: un vero aiuto per continuare a convertirsi.

 

LE INTERRUZIONI  CHE MODELLANO

             Durante una visita all’Università di Notre Dame, dove avevo insegnato per qualche anno, ho incontrato un vecchio professore, pieno di esperienza, che vi aveva trascorso gran parte della sua vita. E, mentre passeggiavamo per lo stupendo campus, egli disse con una punta di malinconia nella voce: “Sai....per tutta la vita ho protestato perchè  il mio lavoro veniva interrotto continuamente, finchè ho scoperto che quelle interruzioni erano il mio lavoro:”

              Noi guardiamo forse spesso ai vari avvenimenti della nostra vita come interruzioni, grandi o piccole, che interrompono i nostri piani, i nostri progetti, i nostri disegni di vita?

           

            Non protestiamo internamente quando uno studente interrompe la nostra lettura, il cattivo tempo la nostra estate, la malattia i nostri progetti bene elaborati, la morte di un amico la nostra pacifica quiete mentale, e le svariate e discordanti realtà dell’esistenza i sogni che avevamo sognato? E questa serie di interruzioni senza fine non produce forse nel nostro cuore sensi di rabbia, di frustrazione e anche di vendetta, tanto che a volte ci appare realmente possibile che vecchiaia sia sinonimo di amarezza?

 

            Se invece le interruzioni fossero in realtà delle opportunità, se ci sfidassero ad una risposta interiore che dà luogo ad una crescita, facendoci giungere alla completezza dell’essere? E se gli avvenimenti della nostra storia ci modellassero come lo scultore modella l’argilla, per cui solo obbedendo assiduamente a queste mani che ci modellano si possa scoprire la nostra vera vocazione, diventando così persone mature? E se le interruzioni improvvise non fossero, di fatto, altro che inviti ad abbandonare i modelli di vita antiquati e fuori moda, dischiudendoci campi di esperienza nuovi ed inesplorati? Infine: se la nostra storia si rivelasse non come una sequenza cieca ed impersonale di eventi che non possiamo controllare, bensì come una mano che ci guida verso un incontro personale in cui tutte le nostre speranze e le nostre aspirazioni saranno soddisfatte?

            In questo caso, la nostra vita sarebbe una vita diversa, perchè il fato diventerebbe occasione, le ferite avvertimento, e la paralisi invito a cercare sorgenti più profonde di vitalità. In questo caso, potremmo cercare la speranza nelle città che piangono, negli ospedali in fiamme, nella disperazione dei genitori e dei figli. Allora potremmo respingere la tentazione a disperare, parlando invece dell’albero che fruttifica, mentre osserviamo la morte del seme. Allora potremmo in verità evadere dal carcere dell’anonima serie di eventi per prestare orecchio attento al Dio della Storia che ci parla dal centro della nostra solitudine, rispondendo al suo appello, sempre nuovo, per la nostra conversione.

                                                                       HENRY NOUWEN

 

 

CHE COSA E’ LA DIREZIONE SPIRITUALE  (DS)

 

            1. Compito della direzione spirituale è sostenere il credente nel vivere la realtà di ogni giorno con senso religioso. Evidentemente richiede un lungo processo di educazione e di comprensione della realtà, incominciando dalla propria vita, da se stessi. La DS diventa così uno strumento e un’occasione per imparare a vivere la realtà di ogni giorno con senso religioso.

 

            La spiritualità non è un piano costruito al di sopra e al di fuori della vita abituale, dell’esperienza quotidiana, della ricerca della propria identità. Costituisce invece il quadro portante di tutta l’esistenza. La spiritualità è nella vita. Staccarsi dalla vita è rigettare l’impegno spirituale. La vita spirituale costruisce l’ordito della trama di tutte le relazioni che ogni persona intesse.

 

            Non sarà mai sottolineata abbastanza l’importanza dell’adulto in tutto questo processo. Il ruolo della sua persona e della sua vita, il peso dello stile e delle modalità che adotterà, avranno incidenza determinante nella storia che il giovane vive.

 

            2. L’integrazione tra fede e vita non risulta sempre facile a quanti vivono periodi di transizione nella vita, come succede ai giovani. La scelta del proprio genere di vita non è agevole  per chi aprendosi alla storia e alla responsabilità sente il richiamo di mille voci e di numerosi desideri. non può essere imposto un comportamento; può essere richiesto un aiuto. Qui si affianca “l’accompagnatore spirituale”, che con il dono del consiglio orienta e sostiene le scelte.

 

 

* La direzione richiesta non può essere considerata che

“a termine”. Un aiuto, ma solo fino al punto in cui il diretto è capace di assumere personalmente la direzione della propria vita.

 

            * La direzione spirituale come non crea una dipendenza, così non richiede una delega in bianco. Lavora per la crescita delle persone. Ogni maturazione è misurata da un doppio criterio: quello della libertà interiore e quello della responsabilità dei comportamenti.

 

            * accompagnatore spirituale in quanto invitato a inserirsi nel dialogo con il proprio Signore da parte di un giovane, e in quanto mediatore di un servizio qualificato, e significativo, diventa in un certo senso, la figura simbolica di Dio che è presente e nascosto nello stesso tempo. Orienta, sostenendo e accompagnando. Muove, illuminando le situazioni e rapportandole alla chiamata profonda iscritta nel cuore di ciascuno. Dirige, mettendo al servizio dell’altro, la personale esperienza di Dio.

 

 DIREZIONE SPIRITUALE e CONFESSIONE SACRAMENTALE: QUALI DIFFERENZE?

 

            E’ diverso innanzitutto l’obiettivo. Nel sacramento si tratta di remissione dei peccati. Lo sguardo è rivolto al superamento del passato. Il servizio che si rende con la DS cerca nella decisione il futuro che attende.

 

            E’ diverso poi il senso globale dell’intervento. Il perdono sacramentale dei peccati è un evento oggettivo. Non dipende dalla sensibilità del confessore o della dirigibilità psicologica del penitente. Nella DS entrano in gioco vari elementi legati a fattori umani che vanno presi in considerazione per il compimento del cammino vocazionale.

 

            Infine sono diversi i soggetti interessati ai due processi.

In quello sacramentale, il sacerdote opera in persona di Cristo e con l’incarico dalla Chiesa. Nella DS, l’adulto nella fede opera perchè scelto da un altro credente come suo compagno di cammino.

La diversità non significa la incomunicabilità e la vicendevole noncuranza. Sottolineare però la diversità comporta richiamare una caratteristica interessante della DS: è una realta “laica”. Difendere questa affermazione significa espandere la responsabilità all’intera comunità e non riservarla unicamente al sacerdote. C’è qui ampio spazio per valorizzare i doni degli educatori e di quanti hanno un carisma particolare di orientamento e di accompagnamento nella fede. Resta sempre vero che non ci si può inventare nè guide spirituali di comunità, nè direttori spirituali di singoli.

 

QUALI METE di CRESCITA nel

CAMMINO di DIREZIONE SPIRITUALE?

 

1. Chiarire a se stessi il senso della vita cristiana, attraverso una conoscenza più profonda della vocazione dell’uomo e del mistero di Dio.

 

2. Maturare nella capacità di identificarsi con il Cristo, con i suoi valori (quelli del Regno), i suoi atteggiamenti (la povertà, l’obbedienza al Padre, il radicale abbandono a Lui), le sue scelte (donare la propria vita per gli altri).

 

3. Edificare la propria identità personale attorno alle virtù teologali di fede, speranza e carità, consegnando il  proprio progetto di vita al Signore Gesù e alla Chiesa.

 

4. Discernere l’orientamento della propria vita cristiana: verificarne la sincerità, prendere atto delle tappe di  crescita da raggiungere e comprendere le motivazioni che stanno a monte dei momenti di stasi o di  regressione.

 

5. Crescere nella propria consapevolezza ecclesiale, maturando la capacità di vivere il proprio Battesimo e la propria Confermazione come responsabilità di annuncio e di testiomonianza di fede.

 

6. Vivere gli atteggiamenti propri dell’Eucaristia, nella crescente attitudine al servizio, alla condivisione con i poveri, alla comunione con i credenti nella parrocchia, nell’associazione e nella diocesi. Apertura al mondo e        agli emarginati.

 

7. Imparare a distinguere ciò che è bene e male in senso oggettivo, secondo i criteri evangelici, e in senso      soggettivo (cioè bene o male “per me”, qui ed ora, a questo punto del mio cammino di crescita). Essere aiutati nel discernimento degli spiriti, per capire ciò che viene da Dio e ciò che è frutto di inganno.

 

 

IL SENSO di un CAMMINO DI DS verso la LIBERTA’: 

QUALE ITINERARIO ?

 

La DS intende guidare la persona e renderla in grado di maturare quattro atteggiamenti. Si tratta di aiutare l’individuo a interpretare i propri desideri, a diventare padrone del proprio destino, a vivere nella perseveranza  le scelte operate, ad accettare l’inevitabile dipendenza da Dio che costituisce il senso della fede e della libertà dell’uomo credente in Dio.

 

1. INTERPRETARE I PROPRI DESIDERI.  Una volta che la persona ha preso contatto con ciò che le piacerebbe fare o essere, occorre aiutarla a distaccarsi da quel contenuto per valutarlo. Sono desideri fiacchi, immeditati, spontanei? Oppure sono affettivi nel senso pieno, cioè con una qualifica simbolica trascendente? Riguardano obiettivi terra-terra che in fondo non aggiungono niente che già si è, oppure indicano un’aspirazione a diventare ciò che ancora non si è, ad andare al di là dell’immediato?

Da notare che questa non è una valutazione in termini morali: non si tratta di verificare la conformità tra desiderio e valore oggettivo per arrivare poi a catalogare il desiderio come buono o cattivo. La valutazione di cui parliamo è in termini di libertà interiore e di intensità di vita.

            Libertà interiore:  verificare se quel desiderio è invenzione nostra, farina del nostro sacco o se ci è stato propinato dall’ambiente e noi solo lo ripetiamo supinamente. Prima di giudicare un desiderio bisogna assicurarsi che dietro ad esso ci sia l’esercizio libero del cuore.

            Intensità di vita:  vedere se quel desiderio personale è davvero capace di assicurare pienezza di vita. Lo è se mette chi lo possiede nella situazione di poter essere di più, di situarsi in un orizzonte più grande e ambizioso di quello attuale.

La domanda valutativa è quindi questa: Chi è il padre di quel desiderio? Quanto è capace di dare significato duraturo e pieno a ciò che faccio? Che tipo di significato offre? Insisto sul carattere non morale della valutazione. In questo momento il messaggio della guida è questo: non so ancora che cosa tu scelga, ma l’importante è che tu faccia una scelta in prima persona, da non rimettere in discussione ogni tre mesi; una scelta di cui nel futuro tu possa dire: l’ho voluta io!!

 

2. PADRONI DEL PROPRIO DESTINO. La persona deve accettare l’inevitabilità della presa di posizione. Non si può sfuggire alla necessità della scelta. Ognuno di noi deve essere il creatore del proprio destino e - se è il caso  del proprio soffrire. La progettazione della propria vita non può essere lasciata al caso, all’influenza degli amici o genitori, frutto della moda, del capriccio o della disperazione attuale. Quella progettazione deve essere frutto della libera scelta. Alla domanda: “Chi te lo ha fatto fare?” la persona matura deve essere in grado di rispondere: “L’ho voluto io”. Nessuno deve essere succube di risposte che si impongono da sole, ma ognuno deve crearsi le proprie risposte. Ricordo di aver letto un romanzo di Ibsen che aveva più o meno questo passo:

 

“ Mi ritrovai un’ombra, non un corpo nè persona;

girai per casa e vidi per terra dei gomitoli;

mi dissero: siamo i pensieri che tu non hai svolto.

Andai nel bosco e vidi le foglie secche:

siamo le parole che non hai mai dette e che dovevi dire per la verità. Andai sui monti e udii i venti:

siamo le canzoni che non hai cantato per la felicità degli altri.

 Andai nei prati e vidi le gocce di rugiada:

siamo le lacrime che non hai mai pianto per amore “.

 

3. LA PERSEVERANZA.  Quando la persona accetta di progettarsi secondo una decisione liberamente scelta, deve poi esercitarsi nella volontà che ratifichi e dia continuità al desiderio. L’esercizio della volontà significa dare un consenso continuo alla scelta, concretizzandola in risposte abituali e arricchendola di nuovi contenuti. Se il desiderio non si attualizza nel concreto, si indebolisce e si trasforma in velleità. La forza di volontà non è al servizio della repressione ma è quella facoltà che permette di prendere decisioni e di impostare l’esistenza secondo quelle decisioni.

 

4. LA DIPENDENZA INEVITABILE. Liberati dai condizionamenti, recuperata la libertà di indirizzare il nostro cuore secondo i nostri desideri, siamo finalmente liberi di fare ciò che vogliamo. A questo punto bisogna ricordare che la libertà non è fine a se stessa ma va consegnata. L’uomo, libero di desiderare, si vede costretto ad affidarsi a qualcuno o qualcosa fuori di lui. Non si può vivere di pura libertà: o si ha un Dio o un idolo. Va ricordato che la dipendenza da Dio lascia liberi e che nel caso si voglia vivere di pura autonomia, prima o poi spunta un idolo che si impone e schiavizza. E’ l’accettazione del paradosso: essere liberi per rinunciare liberamente alla propria libertà!! L’alternativa è la schiavitù nel suo aspetto più avvilente: non poter desiderare di iniziativa propria.