GIEMME FIRENZE 

IMPARARE LA LIBERTA'...
 

 

 

...nella notte....
 

 

 

Es. 1,1-12; 2, 1-25

Israele in Egitto: benedizione e asservimento

 

I figli di Giacobbe e di Giuseppe sono benedetti da Dio. Sono un piccolo popolo, una minoranza, ma Dio li fa prosperare, com’è detto in modo iperbolico in Es. 1,7: “prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto potenti e il paese ne fu ripieno”.

Ø      La paura del Faraone

 

Le frontiere dell’Egitto all’Est sono sempre minacciate da popoli semiti con i quali gli Ebrei sono imparentati. Questa minoranza che si sviluppa, può prendere coscienza della sua forza, unirsi di più e organizzarsi e fare il gioco degli Asiatici e dei Libici contro l’Egitto.

Meglio prendere misure di precauzione: assoggettarli e servirsene con un piano che li paralizzi politicamente e che procuri allo stato i frutti della loro utilizzazione automatica

Ramses ha bisogno di manovali per il trasporto dei massi giganteschi, per gli sterri enormi delle sue costruzioni, per la fabbricazione di milioni e milioni di mattoni.

Per gli Ebrei inizia il tempo della durezza e dell’amarezza eppure, quando saranno liberi, rimpiangeranno l’abbondanza di beni che avevano in Egitto (Es. 16,3; Num. 20,5).

Nonostante l’asservimento, il popolo cresce e diventa come un incubo per gli Egiziani che allora aumentano l’indigenza, l’afflizione e l’umiliazione degli Ebrei.

La storia che comincia, è la storia della formazione che Dio fa al suo popolo, del distacco da sé per una disponibilità – attraverso lo spogliamento, la sofferenza e l’umiliazione – a rimettersi tutto a Dio.

ü      Sai identificare nell’oggi queste paure e questi asservimenti?…Quale speranza di liberazione per “Egiziani” ed “Ebrei” del nostro mondo?

    Ø      Eliminazione dei bimbi degli Ebrei

 E’ un racconto pieno d’anomalie, ma due levatrici, Sifra e Pua, resistono, fanno nascere i bambini perché hanno il “timore di Dio” che è rispetto religioso ma anche attenzione nel fare la volontà di Dio, nell’amarlo, nel fare il bene, nel servizio.

Il senso del cap. 1 preso globalmente è chiaro: nella sofferenza e nella schiavitù si realizzerà la salvezza del popolo di Dio e, per prima cosa, nascerà l’uomo che sarà lo strumento divino di questa salvezza.

ü      Conosci qualche esempio di “resistenza” ai tiranni d’oggi (uomini o istituzioni)? E qual è la mia resistenza a quanto va contro la vita e il piano d’amore di Dio per l’umanità?

 

Mosè: il primo salvato (Es. 2, 1-10)

Il racconto della nascita e dell’adozione di Mosè vuole mostrare da una parte la sua appartenenza al popolo ebraico, dall’altra il carattere eccezionale della situazione che l’attende in Egitto.

Dio la sceglie per diventare la tribù “santa” fra tutte, il bene particolare di Dio (Es.32,26-29; Dt.33, 8-11; Num. 3,6-13 e 8,14-19). La tribù di Levi testimonia così la grazia e la potenza di Dio: “Ciò che è debole…e che si disprezza, ecco quello che Dio ha scelto” (1Cor. 1,27-28). E’ ciò che hanno cantato tutti i poveri del Signore (Anna, Magnificat..) e tutti i peccatori che la grazia ha rigenerato (sal. 51) e che Dio ha reso suoi fedeli servitori.

spinte dal timore di Dio e dal rispetto-amore alla vita: le levatrici, la mamma e la sorella di Mosè, la figlia del Faraone. Resistono allo strapotere del male e il frutto è l’inizio della salvezza.

(Gen. 6,14): come al tempo di Noè (Gen. 6-9) è in causa la salvezza del futuro popolo di Dio; essa è affidata ad un mezzo fragile, ma Dio veglia salvando dalle acque mortali colui che ha scelto.

ü      Qual è la mia reazione di fronte alla constatazione delle mie debolezze e di quelle degli altri? Abbattimento o speranza nell’apertura all’accoglimento della salvezza che viene da Dio?

 

Mosè si reca dai fratelli e vede

Mosè cresce alla corte del Faraone, “istruito in tutta la sapienza degli Egiziani” (At. 7,22). Sta bene, è felice e potente. Sa d’avere origini ebree, ma non sa niente dei suoi fratelli, finché non esce, non si reca da loro, e vede la loro oppressione.

Mosè va in crisi, da quest’uscita nasce la sua solidarietà con loro. Si accende nel suo cuore una fiamma che solo più tardi diventerà un fuoco liberatore. Ritrova la sua identità. Quegli Ebrei sono suoi fratelli. Per questo non esita ad uccidere il capo egiziano che maltrattava un ebreo. Poi, uscì di nuovo, nasce un bisogno di rivedere, di stare con i suoi. S’imbatte in due ebrei che litigano. S’interpone e rimprovera quello che aveva torto, spinto dal suo senso di giustizia.

Ma scopre con amarezza di non essere accettato dai suoi e che l’uccisione dell’egiziano è risaputa. Mosè ha paura. Svaniscono i suoi sentimenti di solidarietà, di giustizia, di liberazione e..fugge. Il perseguire la libertà personale e il voler diventare liberatore per altri, non dura quando è basato solo sui sentimenti, non resiste nello scontro con una realtà ostile.

ü      Io, dove sono ‘uscito’? Che cosa ho ‘visto’? Come mi sono coinvolto?Sono rimasto o sono fuggito? Perché? Ricorda……..

Mosè scoprì che il suo altruismo aveva fatto di lui un nemico e non un alleato. Si scopre vulnerabile. La sua violenza per attuare la giustizia non ha portato alcuna liberazione. Per salvarsi la vita deve fuggire, come ogni altro rifugiato politico. Il suo fallimento era iniziato con il tradimento del suo connazionale che aveva rifiutato non solo la sua autorità ma anche la sua richiesta di giustizia. Mosè doveva essere rinviato in Egitto con una autorità diversa e con una nuova missione.

 

Mosè in Madian

 Mosè fuggiasco, rifiutato dai suoi, si siede vicino ad un pozzo, nel deserto di Madian. Qui ancora il suo senso di giustizia lo fa intervenire contro dei pastori crudeli e ingiusti, in difesa di deboli donne. E questa volta avrà una sincera gratitudine da parte di Ietro e delle sue figlie. Si guadagnerà da vivere facendo il pastore, si farà una famiglia, condurrà una vita tranquilla, borghese, diremmo oggi. C’è ben poco del campione della fede che decide per Dio, di cui parla la lettera agli Ebrei! Ma resta in lui un tarlo che lo rode, il suo essere esule, straniero, tanto che chiamerà il suo figlio “Gherson”, che significa “sono straniero qui”.

E’ tuttavia nel deserto che Mosè ritrova la condizione dura e libera della vita nomade, la vita dei suoi lontani antenati ebrei, e impara, a fianco di Ietro, a conoscere il Dio dei suoi padri. Dimentica l’Egitto e si adagia nella vita tranquilla del pastore… per 40 anni!

ü      Come so leggere e integrare i miei fallimenti? Diventano motivo di un ripiegamento su me stesso o uno sprone a superarmi? Come vivo il mio ‘deserto’?

Dio entra nella storia

In Egitto, la condizione di schiavitù degli Ebrei, dopo la fuga di Mosè, era diventata ancora più dura. Il loro dolore diventa ‘grido’ che ‘sale’ fino a Dio. E Dio ascolta, ‘si ricorda’, guarda, ‘conosce’, prepara il suo piano di liberazione. Là dove l’uomo era annientato, dove la speranza era morta, Dio interviene per aprire una nuova strada di salvezza.

ü      Nei nostri discorsi e progetti di liberazione e di lotta per la pace e la giustizia, in che misura facciamo entrare Dio e la Parola di Vita di Gesù?