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Appello Carovana Sud: contro gli inceneritori, senza se e senza ma

Appello Carovana Sud: contro gli inceneritori, senza se e senza ma

 

Contro gli Inceneritori, senza se e senza ma

Appello accolto e diffuso dalla Carovana SUD

 

     Vorrebbero farci credere che gli inceneritori siano utili anzi necessari. Che bruciando milioni di tonnellate di rifiuti, risolveremmo in modo "ecologico", il problema dell’accumulo di questi “ingombranti e fetidi residui” prodotti dalla civiltà dei consumi, eliminando anche le discariche.

Non è vero: gli inceneritori rappresentano una "scorciatoia" (in particolare sono visti come una semplificazione dei problemi gestionali a carico degli amministratori pubblici, indolenti o con conflitti di interessi: realizzo l'inceneritore e non ho bisogno di cambiare nulla nel sistema di raccolta dei rifiuti) che porta soltanto in un vicolo cieco. Vediamo perché.

In natura non esistono “rifiuti”, ma materiali di diversa provenienza, che vengono continuamente riutilizzati/riciclati assumendo ogni volta un ruolo nuovo nell’ECOSISTEMA. Così il "cerchio si chiude".

Con l'incenerimento il "cerchio" rimane aperto, riversando nell'ambiente quantità ingenti di sostanze tossiche e perpetuando una economia fondata sullo spreco, lo sfruttamento e la distruzione della Natura, con i relativi impatti ambientali di tutto il ciclo di estrazione e di produzione. E’ il trionfo definitivo ed accelerato dell’entropia.

L'incenerimento trasforma materiali ancora potenzialmente utili e preziosi in effluenti (solidi, liquidi, aeriformi) derivanti dalla combustione più tossici dei rifiuti di partenza, in quanto le sostanze prodotte dai processi termochimici che avvengono in questi impianti sono più pericolose per l’ambiente e per la salute dell’uomo: micro-particolato, metalli pesanti, diossine e furani che escono dai camini, finiscono nelle discariche, comunque necessarie per i residui solidi della combustione, andando ad accumularsi col tempo nell'ambiente e tornando all'uomo in particolare attraverso la catena alimentare. Molte sostanze emesse dagli inceneritori possono causare tumori, disturbi endocrini, patologie respiratorie croniche ed acute, che colpiscono in particolare i soggetti più deboli, bambini ed anziani.

Un impianto di incenerimento emette circa 250 differenti sostanze inquinanti e di queste solo una quindicina sono teoricamente monitorate, con controlli assolutamente inadeguati, per ammissione degli stessi enti preposti. I sostenitori degli inceneritori tralasciano di parlare di quel 30% di scorie e ceneri che si generano dalla combustione e che a loro volta sono assai più pericolosi dei rifiuti di partenza, giacché concentrano gli inquinanti e necessitano di trattamenti particolari e di discariche per rifiuti speciali.

Vorrebbero farci credere che incenerire è un modo semplice, economico e vantaggioso per trasformare materiali inutili e nocivi in energia. Ma anche questa è una menzogna.

Se venissero conteggiati tutti i costi, l'incenerimento costerebbe più che ridurre, riutilizzare, riciclare. Ciò sarebbe ancora più evidente se nelle merci venissero "interiorizzati" tutti i costi ambientali della loro produzione e questi non venissero scaricati su soggetti diversi dagli utilizzatori finali. Inoltre la normativa considera impropriamente l'incenerimento dei rifiuti come una "fonte rinnovabile di energia" e vi destina risorse che altrimenti potrebbero essere utilizzate per il risparmio energetico, per l'uso efficiente dell'energia e per le energie rinnovabili a basso impatto (solare, eolico, geotermico, idroelettrico, etc).

Gli attuali programmi di incenerimento si pongono in aperto contrasto con quanto prescritto dalle direttive comunitarie che assegnano la priorità alla riduzione e alla prevenzione della produzione dei rifiuti, seguite dal recupero di materia (raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio) e solo in ultima istanza dalle forme di smaltimento.

Bruciare rifiuti equivale ad uno spreco energetico giacché, nella migliore delle ipotesi, si può recuperare solo parte del potere calorifico che rappresenta meno di ¼ dell’energia complessiva incorporata nei materiali utilizzati per la produzione delle merci. E’ possibile recuperare molta più energia mediante il riciclaggio, il riuso e la riparazione (allungamento del tempo di vita) delle merci: anziché di “termovalorizzazione”, bisognerebbe parlare allora di “termospreco”!

Basti pensare che le frazioni cellulosiche e le materie plastiche rappresentano oltre il 70% del potere calorifico dei rifiuti urbani: una loro raccolta differenziata finalizzata al riciclo eliminerebbe ogni ragione per realizzare inceneritori, i rifiuti rimanenti avrebbero un potere calorifico così basso che per bruciare avrebbero bisogno dell’ausilio di combustibili tradizionali.

Ma allora che senso ha incenerire e soprattutto CHI CI GUADAGNA?

Incenerire non ha alcun senso ed è incompatibile con una visione di riduzione dell’impatto ambientale delle attività antropiche. Siamo inoltre di fronte alla solita “logica delle grandi opere”, il cui impatto sugli ecosistemi locali, ed in ultima analisi sull’intera biosfera e sulla salute della gente è semplicemente catastrofico. A guadagnarci sono soltanto i politicanti, le ditte appaltatrici e le mafie locali che organizzano e gestiscono il business.

E che ruolo hanno l’opinione pubblica e la società civile in tutto questo?

In genere nessuno. Le decisioni vengono prese al di fuori di qualsiasi confronto democratico e contro la volontà della gente. Solo quando vi è stata una forte opposizione auto-organizzata si è riuscito, almeno parzialmente, a bloccare nuovi impianti e a imporre l’attuazione di politiche gestionali fondate su forme di raccolta differenziata efficienti.

Ora la sfida, per le realtà più avanzate, è quella di interventi, anche locali, per la riduzione/prevenzione dei rifiuti, in primo luogo spostando la responsabilità di una gestione corretta su chi ricava profitto dalle merci: i produttori. “Un altro modo per interpretare questo metodo (del “Sistema Produttivo Intelligente”) è quello di immaginare un sistema industriale che non ha bisogno di discariche, di depuratori, ecc. Se un’industria sapesse che niente di ciò che entra nei suoi impianti può essere buttato e che tutto ciò che produce deve alla fine ritornarle, come progetterebbe i suoi prodotti? La domanda non è solo un’ipotesi teorica, perché la Terra lavora esattamente secondo queste modalità” (P. Hawken, A. Lovins, L. Hunter Lovins, “Capitalismo naturale”). Ogni inceneritore costruito allontana questa prospettiva che non è una opzione tra quelle possibili, ma la necessità per mantenere un livello di vita decente sul nostro pianeta in un futuro sempre più prossimo.

Per evitare che tali richieste diventino sempre più pressanti, si raccontano falsità; si creano le situazioni d’emergenza; si cerca di convincere l’opinione pubblica della necessità e dell’urgenza di opere pericolose e distruttive per l’ambiente e per la salute. E quando l’operazione di convincimento non riesce si passa alle maniere forti, come ad Acerra.

L’unica risposta valida è quindi la attivazione da subito di politiche di responsabilizzazione della società civile, che antepongano il bene collettivo (tutela dell’ambiente e della salute) alle esigenze speculative delle lobbies politico-economiche a partire dalla realizzazione degli obiettivi proposti nei documenti ufficiali (Agenda 21, Valutazione Ambientale Strategica, direttive europee) che prevedono la trasparenza e il coinvolgimento diretto dei cittadini in tutte le decisioni ambientali strategiche, nonché la responsabilità “estesa” dei produttori sulle merci (e sul modo di produrle) per il loro intero ciclo di vita.

Adriano Rizzoli – Nimby trentino

Marco Caldiroli – Medicina Democratica

Massimiliano Variale - WWF Toscana

Ernesto Burgio – Attac Italia

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