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sr. Eugenia Bonetti

Dov'è tua sorella?
"La tratta delle nuove schiave interpella la Vita Religiosa nel Terzo Millennio; Quali risposte?"
Testimonianza di sr. Eugenia Bonetti, Missionaria della Consolata, per la conferenza di SEDOS, Roma, 17 ottobre 2003

Premessa

Ringrazio gli organizzatori di questo incontro SEDOS per l’opportunità di condividere in questa sede, con altre testimoni, l’esperienza vissuta di tante religiose che in questi ultimi 10-15 anni hanno saputo cogliere l’emergenza della "Donna immigrata, importata, sfruttata e schiavizzata sulle nostre strade per il" mercato del sesso" e ridare a questa stessa donna, per giustizia e non per carità la sua "dignità, identità e libertà".

La mia esposizione non vuole essere una conferenza teorica sul fenomeno della "tratta di esseri umani", bensì vuole far emergere il problema nella sua realtà di sfruttamento e alienazione, frutto di una personale esperienza, vissuta giorno per giorno a contatto con tante donne stigmatizzate, che lottano per recuperare il senso della vita e dei loro valori femminili, negati o deturpati. Desidero inoltre far emergere il prezioso servizio di 200 religiose impegnate in un centinaio di strutture, specialmente nel campo dell’accoglienza e della reintegrazione sociale delle vittime.

L’Incontro con una donna "prostituita"

Era una sera fredda e piovosa del 2 novembre 1993. Stavo lasciando il Centro Caritas di Torino, in cui lavoravo da alcuni mesi, dopo il mio rientro dall’Africa, per recarmi a Messa, quando una donna africana entrò con una lettera di un medico. La donna appariva timida ed imbarazzata. Dal suo portamento e abbigliamento compresi che forse era una delle tante donne che, di giorno o di notte, vendevano il proprio corpo sulle nostre strade. Mi trovai a disagio. Lessi la lettera e le feci qualche domanda. Le sue risposte erano a monosillabi. Era malata, bisognosa di un'operazione, ma, essendo priva di documenti, non poteva essere ricoverata in un ospedale pubblico quindi fu indirizzata al nostro Centro.

Maria aveva poco più di trent’anni ed era madre di tre bambini, lasciati in Nigeria per venire in Italia. Sperava di lavorare per aiutare la sua famiglia, ma si trovò sulla strada, vittima della tratta delle nuove schiave. Non capiva l’italiano quindi parlammo in inglese. Rievocando la sua storia e i suoi vincoli familiari, cominciò a piangere, dicendo: "Sister, please, help me, help me" (Suora, per favore, aiutami, aiutami!). Io ero molto confusa, non sapendo che cosa fare e che cosa dire. Ero anche preoccupata perché non volevo arrivare in ritardo a Messa: in quel momento, la Messa era più importante per me che occuparmi dei problemi di Maria! Le chiesi di ritornare il mattino seguente.
Maria volle accompagnarmi in chiesa. Per strada notavo quanto la gente fosse sorpresa al vedere una Missionaria della Consolata camminare per via con una "prostituta"! In chiesa Maria si inginocchiò nell’ultimo banco e la sentii singhiozzare. Mi scostai ma non riuscii a pregare. Mi venne in mente la parabola del Fariseo e del Pubblicano (Lc 18,9-14) e ricordai le molte volte in cui io stessa avevo personificato la parte del Fariseo. Quante volte avevo pensato che, essendo io una religiosa e missionaria, ero migliore di tante donne costrette a "battere" la strada!

Riflettevo inoltre sui miei sentimenti di ribellione provati quando mi fu chiesto di lasciare il Kenya, dopo 24 anni di missione, per un nuovo servizio in Italia. Ero così felice ed integrata in quell’ambiente africano, coinvolta in attività socio-educative-pastorali, specie con donne e con gruppi giovanili! Le donne africane, che ho conosciuto, avevano un profondo senso di gioia, di celebrazione, di ospitalità, di solidarietà e di condivisione; sapevano affrontare la vita con coraggio, resistenza e determinazione; erano orgogliose del proprio ruolo, della propria vita e dignità, nonostante vivessero ancora nell’indigenza e sottomissione maschilista.
Condividere con loro la lotta per migliorare le condizioni di vita, favorire l’istruzione e l’emancipazione, l’autocoscienza e l’auto-affermazione nella luce dell’annuncio di speranza e di liberazione portato da Cristo, erano gli ideali che mi avevano affascinata da giovane nella mia ricerca vocazionale e guidata nel mio inserimento missionario in Africa. Ma ora tutti i miei progetti, sicurezze, sogni, nostalgia di quello che avevo lasciato svanivano. Mi ritrovavo nel buio, come Paolo sulla via di Damasco. "Signore che cosa vuoi che io faccia?" (Atti 9:3-9). Signore, dove vuoi condurmi?

Ho passato una notte insonne; mi misurai con il "mio" Mistero Pasquale: dovevo morire ai miei interessi personali, per riscoprire la vita nuova della Pasqua, un modo nuovo di essere missionaria della Consolata, per Cristo e il suo popolo. Questa situazione mi sfidava, Maria mi metteva alla prova e interpellava la mia vita, la mia vocazione, le mie convinzioni, le mie motivazioni ed i miei valori.
Dentro mi risuonavano queste frasi: Eugenia, "Dove è tua sorella?" (Gn 4:9). "Dove è Maria?" "Dove sono questa notte tutte le 'Marie' della strada?". Il mio incontro con Maria mi costringeva ad una scelta più radicale nella mia sequela di Cristo. Sentivo che il Signore, che mi aveva precedentemente chiamata ed inviata in Africa, ora mi chiamava ad essere un segno profetico di speranza, di compassione e consolazione, uno strumento della sua misericordia e del suo amore per altre donne africane, sfruttate ed emarginate e non più in Africa, bensì nel mio Paese. Lui mi additava una nuova frontiera, per me sconosciuta.

Allora mi arresi. Il mio nuovo servizio missionario d’ora in poi sarebbe stato nel centro storico di Torino tra le donne immigrate. Con la suo forza ed aiuto ero ormai disposta ad affrontare la nuova sfida e pronta a pagarne il prezzo e se necessario a rischiare la mia stessa vita.
Maria si ristabilì, e non solo fisicamente. Con coraggio e determinazione, abbandonò la strada, entrò in una comunità di accoglienza, partecipò ad un corso di lingua e di preparazione professionale, trovò un’occupazione e intraprese una nuova vita. Divenne per me una guida discreta, perché mi aiutò ad entrare e capire il "mondo della notte".

La Tratta delle schiave: donne e minori in vendita

Il racconto di Maria, ci richiama al problema della prostituzione coatta di tante, troppe donne, che ogni giorno immolano la loro giovinezza sulle nostre strade. Questo problema, è sfida e provocazione per la società e per la Chiesa, ma lo è maggiormente per i religiosi e le religiose, chiamati per carisma e vocazione a difendere i diritti dei poveri e dei senza voce, di persone vulnerabili ed indifese, quali donne e minori a rischio.

Dalle tante inchieste fatte risulta che siano 500.000 le donne che ogni anno sono "importate" o che sono transitate in Europa da organizzazioni criminali e immesse sul mercato come merce. In Italia, ci ne sono dalle 50 alle 70.000 provenienti da paesi dell’Est Europeo o da Paesi in via di sviluppo, costrette a prostituirsi e sono ben visibili sulle nostre strade. Di queste il 40% sono minorenni, dai 14 ai 18 anni. Nonostante l’invasione di tante giovani dell’Albania e dell’Est Europeo il numero maggiore è ancora quello delle Africane: oltre il 50%, ma essendo clandestine è difficile dare dati accertati.
La maggior parte di queste donne, ridotte in stato di schiavitù per l’uso e consumo di milioni di clienti Italiani — 90% cattolici — provengono da paesi precedentemente evangelizzati dai missionari che tra queste popolazioni hanno condiviso fatiche e sofferenze per comunicare la fede cristiana, che è annuncio di speranza e libertà, dignità e giustizia, solidarietà ed emancipazione.

Ma queste popolazioni oggi, non sono più geograficamente lontane, oltre oceano, sono bensì in mezzo a noi e per di più sfruttate dai nostri sistemi di vita e di mercato. Come giustificare allora il nostro desiderio ed il nostro sforzo di aprirci alla missione, con nuove presenze in terre lontane se poi non scopriamo la presenza di migliaia di donne straniere sfruttate nel nostro paese e non ci preoccupiamo di spezzare le loro catene? Ingannata, schiavizzata e gettata sui marciapiedi, la donna "prostituita", è l’icona vivente dell’ingiusta discriminazione imposta dalla nostra società del consumo. E questa donna nel Terzo Millennio, chiede che i suoi diritti le siano accordati, la sua dignità restituita e la sua femminilità rispettata.

Sul mercato del sesso, dove attualmente vi è molta competitività, le Africane sono ancora una volta le più discriminate, perché considerate di seconda categoria: sono "nere", non sanno l’Italiano, sono meno giovani e snelle, quindi chiedono una cifra più bassa. Per una normale prestazione consumata in macchina si accontentano di € 10-15,00, le ragazze dell’Est non meno di € 25,00. Per saldare il loro debito, di € 40-50- 60.000 contratto con i nuovi negrieri, che le hanno reclutate e portate in Italia, devono sottoporsi a non meno di 4.000 prestazioni sessuali. Oltre al debito iniziale devono pagare le spese mensili: € 100, per il vitto, € 250,00 per l’alloggio, € 250,00 per la postazione di lavoro, oltre al vestiario, trasporto e necessità personali. Il debito dovrebbe estinguersi nel giro di 18-24 mesi lavorando tutti i giorni, o tutte le notti, sette giorni la settimana.

Catena e schiavitù

Simbolo di ogni schiavitù è e rimane sempre "la catena": strumento che toglie alla persona libertà di azione per sottometterla al volere di un’altra. E come la catena è formata da molti anelli, così è la catena di queste nuove schiave del ventunesimo secolo. Gli anelli hanno dei nomi e sono: le vittime e la loro povertà materiale, gli sfruttatori con i loro ingenti guadagni, i clienti con le loro frustrazioni, ricerca di piacere ed evasione dalle proprie responsabilità, la società con il suo benessere, permissivismo e carenza di valori, i governi con i loro sistemi di corruzione e di connivenze, la Chiesa ed ogni cristiano, religiosi compresi, con il silenzio e l’indifferenza. La nostra passività ed omertà di fronte alla dignità e libertà calpestata di tante donne, è già responsabilità.

Esiste un’accurata organizzazione di trafficanti, uomini e donne, che prendono contatto con queste vittime nel loro paese d’origine, dove la povertà è estrema, le famiglie sono numerose e i giovani non hanno opportunità e speranza per un futuro diverso. Sfruttando la situazione economica-sociale i nuovi schiavisti ingannano queste donne e le loro famiglie promettendo un lavoro remunerativo, non certo quello della "strada". Poi, come del resto avviene per tutte le vittime della tratta, le donne sono introdotte in Italia clandestinamente in vari modi, grazie anche alla corruzione e complicità di dipendenti e funzionari di ambasciate, aeroporti, finanze, ufficio immigrazione, agenzie di viaggio, proprietari di appartamenti, alberghi e tassisti. I guadagni sono ingenti ed il rischio è relativamente limitato e molte persone si arricchiscono distruggendo la vita di tante donne.
Giunte in Italia, dopo varie soste in diversi Paesi d’Europa, quali Grecia, Russia, Bulgaria, Olanda, Germania, Spagna e Francia, per menzionarne alcuni, e dopo settimane o mesi di viaggio via aerea o, di recente attuazione, via terra, attraverso il deserto del Sahara, per le Nigeriane, queste donne sono immediatamente private dei documenti — che del resto sono quasi sempre falsi o riciclati — perdendo così il loro nome, la loro identità e libertà. Semplicemente non sanno più chi sono. Dopo una simile esperienza quanto è difficile ricostruire in queste donne una vera identità!

Per le ragazze dell’Est il contatto e la gestione avviene quasi sempre tramite finti fidanzati che le assoggettano affettivamente, mentre per le Nigeriane la gestione pratica delle vittime è affidata alle maman, — donne Nigeriane che sono passate da sfruttate a sfruttatrici. Costoro le addestrano al lavoro di strada, le controllano, assegnano il pezzo di marciapiede, che sarà la loro postazione di lavoro, raccolgono i proventi, le puniscono in caso di ribellione e soprattutto le assoggettano con cerimonie voodoo — riti di magia nera — che esercitano sulle vittime una vera e propria violenza psicologica.
I rischi della strada
Oltre a vivere in assoluta sottomissione ai trafficanti ed alle maman e nella più assoluta clandestinità, queste donne sperimentano i rischi della strada, quali, maltrattamenti e abusi, incidenti stradali ed uccisione. Sono ormai centinaia le ragazze che ogni anno subiscono il loro martirio sulle nostre strade da parte di clienti, di maniaci o dai trafficanti per una resa dei conti. E chi può contare il numero di tante giovani morte durante i faticosi viaggi, via terra e via mare o sparite nel nulla? Quante famiglie attendono ancora notizie che non giungeranno mai!
C’è poi il rischio del contagio dell’AIDS — di cui il 10-15% risulta HIV siero-positiva — e quello delle gravidanze indesiderate con conseguenti aborti. Normalmente le ragazze dell’Est subiscono una media di 3 aborti ciascuna, mentre per una donna Africana, che considera la maternità il più grande valore, l’aborto non è solo l’interruzione di una vita nascente, bensì l’uccisione di una cultura. Molti sono pure i casi di coloro che soffrono per disturbi mentali, ossessionate dai riti voodoo e dalle continue minacce di ritorsioni perpetrate sulle famiglie lontane.

Sulla strada la "prostituta" perde completamente la sua identità psicofisica, la sua dignità personale, la sua libertà di scelta; vive l’esperienza di essere solo un oggetto, una cosa, una merce; deve convivere con la sua clandestinità e subire il disprezzo ed il rifiuto sociale e culturale. Le rimane una sola opzione: quella di farsi pagare per una prestazione sessuale anche se nulla trattiene di questo guadagno.

Le vittime: oggetto o persona?

Come è possibile aiutare una donna o un minore a riscoprire la propria personalità distrutta dalla mercificazione del proprio corpo? Quali le strategie d’intervento? Quali i cammini di accompagnamento? Quali gli ostacoli da superare?

Prima di tutto per raggiungere il vero obiettivo di un reale recupero dell’identità, della donna prostituita è necessario rivedere la nostra e la loro percezione da "vittime" a quella di "persone", quindi uniche, libere, irripetibili e inalienabili. In questa prospettiva, le varie esigenze che necessariamente accompagnano l’individualità di ogni essere umano non possono essere standardizzate. Contrariamente a ciò, le soluzioni che sovente sono state proposte si sono concentrate sul "problema" piuttosto che sulla "persona".

Lo sfruttamento sessuale abbruttisce la persona, la svuota dei suoi valori profondi e distrugge il suo stesso essere di donna, la sua femminilità, la sua auto stima, il suo concetto di amore e donazione, la sua bellezza interiore, i suoi sogni per un avvenire sereno. Sulla strada la persona assume un atteggiamento di autodifesa, che si esprime con il chiasso, la volgarità, la violenza e l’aggressività. Vive la realtà di tante contraddizioni: si sente cercata e ambita dai "clienti" e altrettanto giudicata, condannata e rifiutata dalla società del benessere e del consumo. Vive la solitudine e l’isolamento e porta in se un grande senso di colpa e di vergogna. Il riportare l’equilibrio e l’armonia è un’impresa assai difficile.

La domanda favorisce l’offerta: il consumatore

Nella catena delle schiave del terzo millennio il consumatore/cliente è certamente uno degli anelli più saldi, perché sostiene ed alimenta l’industria del sesso.

Nonostante l’evoluzione socioeconomico dei paesi ricchi che ha facilitato alla donna una notevole emancipazione in tutti i campi e l’ha resa indipendente, autosufficiente, competente, non più sottomessa passivamente all’uomo, l’uomo, invece, non ha fatto lo stesso percorso di crescita e di liberazione ed è rimasto ancorato nelle sue posizioni di dominio, di potere e di ricerca di piacere. Specie nel campo delle relazioni e dell’affettività, l’uomo ha preferito una scorciatoia rapida con relazioni maschiliste che non lo mettono in discussione, non lo impegnano, non lo fanno sentire a disagio. Queste relazioni pagate, non lo fanno crescere, perché non l’aiutano ad uscire dal suo egocentrismo e dalla sua sete di possesso dell’altro. L’uomo preferisce scegliere volutamente il sesso a pagamento perché, l’altro, la donna, non le interessa, non esiste, non è considerata persona, ma solo un oggetto su cui sfogare le proprie frustrazioni.
In questa evoluzione il sesso è stato banalizzato: non è più considerato come dono reciproco, comunicazione interpersonale, relazione affettiva, ma è diventato un vero business economico. Gli sfruttatori agiscono, quindi, sulla costante umana di attrazione eterosessuale, mettendo insieme la domanda e l’offerta. Se ci sono tante "prostitute" sulle nostre strade, costrette a vendere il proprio corpo, è perché vi è una grande richiesta. E la donna povera, indifesa, senza documenti e senza patria, è diventata la risposta per questa domanda.

I clienti sono normalmente persone tra i 18 e i 65-70 anni, di tutti i ceti e condizioni sociali, che regolarmente usano ed abusano di queste schiave della strada. Il 70% sono persone sposate oppure conviventi. Purtroppo, poco si conosce e si parla di chi, ogni notte, cerca la "prostituta", la usa e poi la butta, come spazzatura, o come, oggigiorno, la nostra società del consumo propone: "usa e getta". Questo fenomeno più che essere considerato un problema femminile dovrebbe essere affrontato come un serio problema maschile.

Le risposte della società

Come aiutare queste donne ad uscire da questo tunnel di morte? Che cosa offre la nostra società e la nostra legislazione?

Per quanto riguarda la donna sfruttata la nostra legislazione attuale offre tre soluzioni:

  1. La repressione, che mira a colpire la clandestinità delle ragazze, facendo retate sulle strade, dando un decreto di espulsione, accogliendo le vittime nei Centri di Accoglienza Temporanea in attesa di rimpatrio forzato di massa. Soluzione drammatica e deleteria psicologicamente per le ragazze che ritornano a casa a mani vuote e stigmatizzate come "prostitute". Molte di loro sono siero-positive e in patria non hanno possibilità di cure adeguate.
  2. Il rimpatrio volontario, di chi vuole tornare a casa per rifarsi una vita normale. A costoro è offerto assistenza e pagamento del biglietto aereo, nonché aiuti finanziari per progetti di reintegrazione della persona nel suo contesto.
  3. La reintegrazione nel tessuto sociale – attraverso l’applicazione dell’Art. 18 del Testo Unico sull’Immigrazione (D. L 286/98) che offre un permesso di soggiorno di 6 mesi, rinnovabile per motivi sociali a chi:
    - lascia la strada;
    - denuncia gli sfruttatori;
    - accetta un percorso di reintegrazione sociale in comunità di accoglienza.

Sono stati stanziati dei fondi dal governo per sostenere finanziariamente questi progetti finalizzati al contrasto delle organizzazioni criminali, alla prevenzione e al recupero delle vittime. In cinque anni dall’attuazione di questa legge, che è considerata la migliore in tutta Europa, si sono avuti ottimi risultati offrendo una completa reintegrazione sociale e lavorativa da 600 - 800 donne ogni anno, oltre che a collaborare al contrasto di organizzazioni criminali internazionali e transnazionali.

I contatti con le vittime per offrire opzioni alla strada avvengono attraverso:
* Unità di strada – per un primo contatto con le vittime effettuato dagli operatori di strada per offrire informazioni e soluzioni alternative alla prostituzione coatta;
* Numero Verde – attivo 24 ore su 24 in tutte le regioni d’Italia per dare risposte immediate a chi chiede aiuto: 800.290.290;
* Centri Ascolto – gestiti dai comuni, dalle associazioni, dalle Caritas diocesane o parrocchiali, per cogliere i problemi di donne in cerca di aiuto;
* Sportelli comunali – per problemi di salute, denuncie, richieste di fuga;
* Comunità di prima e seconda accoglienza – su tutto il territorio sono ormai moltissime le case di fuga e le comunità di accoglienza dove sono ospitate 6-8 persone per iniziare un lungo processo di reintegrazione psico-sociale. La maggior parte di queste case famiglia sono gestite da religiose le quali, con la loro costante presenza sono dei forti punti di riferimento per queste giovani donne distrutte dalla triste esperienza dello sfruttamento. La comunità di accoglienza diventa la nuova famiglia per chi non ha famiglia;
* Preparazione professionale – nelle comunità sono pure presenti figure professionali preparate per offrire sostegni adeguati affinché la vittima possa reintegrare il suo passato e progettarsi verso il futuro; le donne seguono corsi di lingua e di preparazione professionale per un inserimento lavorativo;

Sostegno spirituale – tutto il personale che opera in questo settore deve tenera presente la necessità di attivare e offrire alle vittime un ministero di guarigione profonda e di recupero della propria auto stima. Ciò avviene attraverso incontri professionali ma non dobbiamo sottovalutare il contatto con la Parola di Dio che ricrea e aiuta le vittime a riscoprire il dono della loro femminilità e della loro fede cristiana offuscata dall’esperienza vissuta; quasi tutte le nostre donne, specie le africane, vengono da famiglie cristiane e l‘esperienza della strada ha inciso profondamente anche sul modo di vivere la loro fede. Riscoprendo la loro fede riscoprono il valore delle loro origini.

Dov’è tua sorella? Le risposte della vita religiosa

Quale sfida pone alla vita religiosa, oggi, l’emarginazione di queste nostre sorelle? Quali risposte è chiamata a dare particolarmente la donna consacrata? Come rendere attuale "l’Epifania dell’amore misericordioso di Dio" che si china costantemente sui suoi poveri, sugli esclusi e sui disprezzati della società?

In più occasioni è stato notato come la vita religiosa, sebbene in un momento di invecchiamento e di diminuzione numerica, ha trovato la forza di rinnovarsi, rivisitando i propri carismi e mettendosi nella Chiesa e nella società al servizio di nuove povertà. Il consistente numero di religiose impegnate nel settore della "Tratta" è la testimonianza concreta della vitalità di tante comunità che, davanti a questa sfida, riscoprono l’attualità della loro missione nella chiesa e nel mondo contemporaneo. Quale sarebbe stata la risposta dei nostri Fondatori e Fondatrici di fronte ad un simile disagio sociale? Nonostante la povertà di forze nuove, le congregazioni hanno ancora tante risorse da condividere per esprimere pienamente le intuizioni profetiche dei loro fondatori e rispondere positivamente al nuovo Kairos. Dobbiamo avere il coraggio di sognare una nuova forma di vita religiosa basata anche su progetti inter-congregazionali ed in piena cooperazione e comunicazione tra paesi di provenienza e di destinazione delle vittime.

Dagli anni novanta quando il fenomeno della prostituzione di strada ha assunto in Italia proporzioni assai visibili e umilianti ed in crescente aumento le Congregazioni Religiose, insieme alle Caritas diocesane ed ai gruppi di volontariato furono tra le prime a leggere il fenomeno e ad offrire soluzioni alternative alla strada. Molte Religiose hanno scoperto e sviluppato una nuova Diakonia della Carità e della solidarietà offrendo agli "emarginati" di oggi accoglienza nelle proprie comunità. Oggi, queste nuove forme di servizio qualificano più che mai la vita religiosa.

Sfida e provocazione per la vita religiosa: alcune proposte operative

Il problema della "tratta di donne e minori" provoca quindi la vita religiosa e chiede risposte adeguate e urgenti. Offriamo alcune considerazioni, proposte e appelli.

Gli Istituti maschili - La vita religiosa femminile in Italia ha fatto notevoli sforzi ed ha raggiunto coraggiose mete in questo servizio, ma siamo tutti ben consapevoli come in questo campo è ancora quasi del tutto assente la vita religiosa maschile. Se rimane ancora molto da fare per ridare dignità e libertà alla donna sfruttata, rimane pur vero che c’è ancor tutto da esplorare e inventare a riguardo di colui che, con la sua costante richiesta, sostiene e incrementa il mercato del sesso a pagamento. Lo stesso "cliente" è vittima di un grosso disagio sociale, di una mancata formazione ai valori profondi della persona, di un sistema di vita consumistica, dove oggigiorno, tutto si può comperare, anche la stessa "povertà" di tante donne immigrate e persino il corpo di una minorenne indifesa. Anche la vita religiosa maschile deve assumersi le proprie responsabilità giacché il suo campo specifico di intervento è immenso. C’è un urgente bisogno del loro coinvolgimento specie nel campo dei consumatori di sesso a pagamento per formare e informare, per recuperare i valori del rispetto reciproco, della relazione interpersonale e familiare, per ritrovare l’equilibrio e l’armonia, specie nei rapporti tra uomo e donna. Non serve la repressione o la punizione se mancano progetti di informazione e formazione di giovani nelle scuole, parrocchie, seminari, case religiose per sapere affrontare il problema con competenza e responsabilità. Perché questo grosso problema non è mai toccato nelle nostre omelie domenicali? Non ci rendiamo conto che questo nuovo "stile di vita" sta minando la famiglia, la società ed anche la Chiesa?
Un altro problema che desidero menzionare e che sfida particolarmente la vita religiosa maschile è la pedofilia, il turismo sessuale e la prostituzione maschile nelle sue svariate e "giustificate" forme che, sul mercato del sesso, sta distruggendo migliaia di persone, sia di coloro che chiedono sesso a pagamento e sia di coloro che lo offrono o lo subiscono. In questo campo poco o nulla si sa, o non si vuol sapere, per non sentirsi interpellati.

Gli Istituti Missionari e Internazionali – Le congregazioni missionarie maschili e femminili dovrebbero essere in prima linea nella lotta contro la tratta delle donne e minori, provenienti proprio dai paesi dove i loro membri lavorano da molti anni per diffondere la "buona Novella" e promuovere la giustizia e i fondamentali diritti di ogni persona. Il loro coinvolgimento dovrebbe mirare all’informazione e prevenzione nei paese di origine nonché all’accoglienza e reintegrazione delle vittime che sono espulse e rimpatriate. Inoltre la loro competenza ed esperienza missionaria, la conoscenza delle lingue e delle culture sono strumenti indispensabili anche per un servizio di mediazione culturale e di pastorale per la reintegrazione di coloro che rimangono in Italia.

Le donne e gruppi femminili – Di fronte al dilagare di una cultura del corpo, del sesso e del piacere, nonché della strumentalizzazione della donna e del suo corpo, presentata dai mass media solo come oggetto di piacere, fonte di guadagno e di divertimento, ogni donna, religiose comprese, dovrebbero sentirsi indignate e ferite nella loro dignità messa in vendita a poco prezzo. Perché non denunciamo apertamente questa mentalità edonistica e non boicottiamo certi programmi televisivi di telenovela e pubblicità che presentano un ruolo assai scadente della donna? Come giustificare la nostra passività?

Le Congregazioni dei paesi di provenienza — Il nostro ruolo e i nostri interventi a servizio della donna nei paesi di destinazione non incidono se non sono in stretta collaborazione con le chiese locali e con le comunità religiose dei paesi di origine. Da alcuni anni abbiamo stabilito canali di cooperazione con la Conferenza delle Religiose di Nigeria e già si sono ottenuti notevoli risultati, mentre non siamo ancora riuscite a stabilire alcun contatto con le religiose dei paesi dell’Est Europeo. Questi contatti sono indispensabili per lavorare sui due fronti di prevenzione e di recupero.

Desidero menzionare la lettera Pastorale che la Conferenza dei vescovi di Nigeria, dietro forte pressione della Conferenza delle Religiose, hanno emanato lo scorso hanno sul "Ripristinare la Dignità della Donna Nigeriana". Tentativo di attenzione al problema ed alle sue devastanti conseguenze. Ci auguriamo che altre Conferenze Episcopali facciano altrettanto.

La vita religiosa verso una nuova Europa — In un contesto Europeo che si sta unificando ci auguriamo di metterci presto in rete con tutti i gruppi di religiose di Paesi Europei che già operano in questo settore, giacché solo lavorando insieme ed in sinergia potremo più facilmente raggiungere l’obiettivo di ridare ad ogni donna il posto che le compete nella famiglia, nella società e nella chiesa.

Conclusione: "DUC IN ALTUM!"
Per la Vita Religiosa il Giubileo continua

L’invito del Papa [Giovanni Paolo II, NdR], "Duc in Altum" al termine del Grande Giubileo interpella tutta la Chiesa e particolarmente le nostre comunità religiose invitandoci all’impegno dei nostri carismi a servizio della fantasia della carità ricordandoci che il Giubileo non si è ancora concluso, perché troppe persone sono ancora incatenate e attendono la liberazione. Il Giubileo doveva essere per tutti i disperati e umiliati della storia tempo di grazia e di liberazione. Purtroppo migliaia di donne e di minori rese schiave dai nostri sistemi di ingiustizia, di sfruttamento e di discriminazione, ci interpellano e ci chiedono di spezzare le loro catene di morte affinché anche loro possano godere di un vero «Anno di Grazia» inaugurato da Cristo stesso, che è venuto a:

"Portare il lieto messaggio ai poveri,
a proclamare la liberazione ai prigionieri,
a ridare la vista ai ciechi,
a porre in libertà gli oppressi" (Lc 4,18)

L’Alleanza stipulata da Yawheh nel Vecchio Testamento si è adempiuta in Cristo, il nuovo liberatore, che ha "proclamato l’Anno di Misericordia del Signore" perché,

"Oggi, si avvera, per voi che mi ascoltate, questa profezia" (Lc 4:19,21)

Possa questo messaggio realizzarsi per tutte le nostre "sorelle della notte" che hanno vissuto l’esperienza della "morte" perché riscoprano la gioia dell’incontro con il Cristo Risorto, come lo fu per la Maddalena al mattino di Pasqua, per sentirsi da lui chiamate, amate, liberate, perdonate e mandate ad annunciare il grande evento della sua Resurrezione, portatrice di pace, di giustizia, di uguaglianza e di vita nuova.

Grazie per la vostra attenzione.

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