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Nuovi stili di presenza

Articolo sulla missione scritto dai giovani

Essere comunità missionaria, oggi

Dall'indifferenza a un nuovo stile di presenza

 

Considerate le sfide e le provocazioni che ci provengono oggi dalla società in cui siamo immersi, sentiamo l'esigenza di un nuovo modo di essere cristiani, o meglio un nuovo stile di presenza, che consista nello stare insieme alle persone, nel loro essere individui in carne e ossa, in spirito di fraternità e senza pregiudizi.

Spesso, quelle che viviamo possono essere comunità con altri pregi, grande fraternità, amicizia, ma non vi è un vero compromettersi. Ci si sente più legati alla religione, intesa come rito, esteriorità, piuttosto che alla fede intesa in senso vero e proprio, come sequela di Gesù e del suo messaggio. Conseguenza di questa lettura alterata, ''finta'' è una chiusura delle comunità, ma va da sé che se si è chiusi non si può riuscire a evangelizzare. Bisogna mettersi alla pari degli altri, oppure si avrà unicamente l'atteggiamento di una missione colonizzatrice, se non si capiscono le ragioni dell'altro, infatti non ci può essere fraternità. Fa pensare come a volte il problema serio è che sono proprio le chiese stesse a produrre atei, e ad allontanare le persone con la loro disumanità e intolleranza. Bisogna inoltre considerare che non esiste una realtà ma una sua interpretazione, e a volte questa interpretazione diventa una via di fuga, e legittima pensieri come “I poveri magari non stanno così male...”. Le nostre interpretazioni sono segnate dai nostri ''filtri''. E anche all'interno della chiesa si vedono interpretazioni molto diverse della realtà. Quale può essere quindi una visione condivisa? (anche pensando al dialogo ecumenico, che ci mette in relazione con altri credo).

 Proprio partendo da questo presupposto, sentiamo che il Vangelo ci chiede di essere in tal senso considerato quale diritto fondamentale, capace di trasmettere un messaggio molto concreto e di cambiare la persona. Nel periodo storico in cui viviamo il Vangelo viene molto edulcorato, riportato per temi astratti, che non hanno quindi una applicazione concreta e soprattutto che non ci scuotono dentro (ma se non ti scuote dentro non è Vangelo). La fede cristiana ci dice cosa Dio fa per noi, non cosa dobbiamo fare noi perchè Lui sia contento di noi. E' in questa gratuità, che scopriamo la sua novità. Dobbiamo coltivare la fraternità, inoltre, perchè non possiamo fare nulla senza inserirci e rimanere immersi nella realtà, anche nella realtà ''banale'' in cui ci troviamo, nel nostro quotidiano, anche senza immediati risultati grandiosi. Come diceva Etty Hillesum a proposito della missione quotidiana: “Essere un cuore pensante è indicare agli altri dei piccoli segnali di speranza. Io non mi aspetto che la missione sia rivoluzionaria”. Una presenza fraterna è poi una presenza costante: Non si può vivere questa realtà a piccoli morsi, tornare nelle nostre case e poi vivere la missione a puntate senza farsi coinvolgere completamente.

Questo vivere assieme, lasciarsi coinvolgere completamente ci porta a comprenderci l'un l'altro per iniziare così un cammino assieme. La condivisione spezza barriere, avvicina. Bisogna sempre vedere l'altro con compassione, mettere il cuore nella sua miseria. Bisogna poi aprirsi e con mezzi nuovi. Non solo mezzi come internet, ma proprio parole nuove per parlare, ad esempio, ai ragazzi che si dicono atei in riferimento alla chiesa che vedono, ma che sono nel profondo dei veri credenti, e questo si capisce dal loro impegno nella società. Un nuovo stile di presenza come cristiani, in questo senso, ci richiede un impegno particolare, da declinarsi come ci viene naturale, nelle realtà che ci stanno a cuore, nello spirito di chi vuol contribuire, in quanto cristiano e perchè cristiano, al bene comune.

 (testo redatto dai giovani partecipanti al convegno "Dal gruppo virtuale alla comunità con i poveri"

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