STORIE DI PACE
…perché
tutti possiamo fare pace
Una Carovana
della Pace, che ha toccato 10 città d’Italia in 11 giorni,
incontrando 18.000 persone, tantissimi giovani, in ascolto della
società civile. 20 persone tra giovani, collaboratori e
testimoni, a
raccogliere in un’unica mappa le strade di Pace aperte nelle
varie città d’Italia, sulla memoria dei nostri profeti di pace
e di impegno.
Da
Verona a Trento, Mestre, Milano, Genova, Firenze, Terracina,
Molfetta, Pesaro, e infine Bologna dove si è tenuta la
giornata conclusiva: i testimoni sempre presenti erano p.
Alex Zanotelli (missionario comboniano tornato dal Kenya),
Valdênia (avvocatessa brasiliana del Centro di Difesa dei
Diritti dei Bambini e Adolescenti), Magouws (impegnata nella
Commissione Giustizia e Pace del Sudafrica). Nelle varie
tappe si sono successivamente uniti don Luigi Ciotti
(sacerdote presidente di Libera e fondatore del Gruppo
Abele) fr. Arturo Paoli (Piccolo Fratello di Charles de
Foucauld) mons. Rodolfo Cetoloni (vescovo Francescano di
Montepulciano) mons. Giancarlo Bregantini (Stimmatino
vescovo di Locri-Gerace). |
Dall’eredità della carovana si
riparte oggi, con nuovo entusiasmo e rinnovata consapevolezza, per
dimostrare che la pace è possibile: che ognuno, “famoso” o
sconosciuto, grande o piccolo, non può ritenersi escluso
dall’impegno vitale per la pace. E’ venuto il tempo
dell’azione, di muoversi, di impegnarsi, seguendo
l’esortazione di don Tonino Bello: “in piedi costruttori di
pace”!
Il video Storie di pace
racconta esperienze di vita dai quattro angoli del pianeta. Sono
le storie semplici e quotidiane di chi dedica la propria esistenza
alla costruzione della pace. E sotto climi diversi e latitudini
lontane, la parola pace assume, di volta in volta, un significato
particolare, unico, perché al di sopra di tutto vinca la vita!
ITALIA
Pace è ACCOGLIENZA
In Italia non cadono bombe, non si spara,
non ci sono cecchini sui tetti, né mine sui sentieri. Eppure la
guerra non è solo missili e bombe intelligenti, la guerra è
anche egoismo, chiudersi indifferenti nel proprio mondo,
rifiutarsi di conoscere, di capire, di informarsi. Genera
conflitto chi si ritiene superiore, chi pensa alla propria cultura
come l’unica giusta, chi sbatte la porta in faccia a chi non è
uguale a lui. Paola
è cristiana ed è nata a Verona, Mustafà è marocchino e
naturalmente mussulmano. Diversi in tutto: colore, religione,
cultura, tradizioni. Eppure hanno due figlie, Sara e Amina, e le
crescono insieme, trovandosi d’accordo sui valori di fondo,
sulla libertà, il rispetto, la dignità, l’impegno. La pace non
la si fa solo nelle trattative dei capi di stato o nei programmi
delle associazioni internazionali, la pace di Paola e Mustafà è
capirsi, incontrarsi, discutere e mettersi d’accordo. La pace è
volersi bene. E
per Mario, uomo qualunque, la pace è aprire la porta di
casa lasciando fuori i pregiudizi, è la normalità di una vita
passata a prendersi il tempo per gli altri, senza bisogno di
comitati o proclami, con semplicità. Pace per Mario è la fedeltà
agli affetti, la condivisione di quel che si ha, l’accontentarsi
di poco pensando che c’è chi non ha nemmeno quello.
Mario
non è un eroe da copertina, la pace di Mario è nel quotidiano,
come quella di molte persone che s’impegnano tutti i giorni e
passano inosservate. Eppure sono tanti i Mario, basta sforzarsi di
riconoscerli.
ITALIA
Pace è IMPEGNO
Di
fronte all’effervescenza fisica delle manifestazioni per la
pace, dei cortei, delle sfilate, sembra che chi è disabile sia
escluso, inutile. In realtà nessuno può considerarsi escluso
nella costruzione attiva della pace. Ci sono i momenti dei grandi
entusiasmi, dello sventolio delle bandiere e del trionfo degli
slogan, ma c’è anche il momento della prosa e dell’impegno
quotidiano, faticoso e a volte poco gratificante. Enzo è
paralizzato da trent’anni. Ed è anche consigliere comunale nel
comune di Besenello (Trento). Il suo modo di fare pace è
aggiornarsi, studiare, scrivere e discutere,
fare politica, che per lui significa adoperarsi per il
bene comune. Enzo, come molti in Italia, la guerra non
l’ha mai conosciuta dal vivo. Però le conseguenze della guerra,
che sono mutilazioni e ferite, le sperimenta tutti i giorni sulla
sua pelle. Allora per lui, che la sofferenza la vive, diventa
logico e naturale impegnarsi affinché altri non vengano feriti
inutilmente.
“Ho
dei limiti” dice “ma sono una persona che ragiona e credo che
per fare la pace prima che con il corpo bisogna essere presenti
con il cervello”.
BRASILE
Pace è GIUSTIZIA
SOCIALE
“Non c’è pace senza giustizia”
ha detto don Ciotti alla tappa di Trento della carovana. Valdênia,
avvocato ‘di strada’ a São Paulo in Brasile, risponde
concretamente: non c’è pace se la gente della favela Santa
Madalena non ha
diritto ad un piatto di riso e fagioli al giorno. Non c’è pace
finchè ci sono persone che vivono nelle favelas, senza servizi, né
fogne, né scuole, né ospedali. Valdênia difende chi nel
sistema non conta: prostitute, bambini abbandonati, ragazzi
nei guai con la polizia. Grazie al suo contributo è nato il
CEDECA, progetto
culturale in cui un obiettivo è tenere i ragazzi lontano dalla
strada, canalizzando la loro energia in danza, canto, musica,
pittura. In Brasile sono milioni i bambini e gli adolescenti che
vivono in situazione di povertà. Una famiglia su cinque, con
figli minorenni, ha un reddito pro capite inferiore al salario
minimo (115 dollari) e di queste il 40% vive in abitazioni senza
allacciamento fognario e senza acqua potabile. In una tale
situazione sono i bambini e gli adolescenti a pagare il prezzo più
alto: nel 1990 a San Paolo venivano assassinati 805 minori. Alcuni
di loro cadevano vittime di "giustizieri" assoldati per
sopperire alle carenze della Polizia locale.
La pace che Valdênia insegue e insegna è quella di una
legge uguale per tutti, di diritti uguali per tutti e di una
giustizia che ridoni dignità.
THAILANDIA
Pace è RISCATTO
La Thailandia, sulla carta,
era una delle più aggressive “tigri asiatiche”, per la sua
vivacità economica, per la spregiudicatezza nella conquista dei
mercati mondiali e per lo sviluppo delle tecnologie informatiche.
Sono sorte nuove forme di povertà ed il divario tra poveri e
ricchi è aumentato considerevolmente. La migrazione verso le città
ha portato la distruzione delle tradizioni del villaggio e delle
strutture familiari. Il 60% della popolazione oggi vive di
agricoltura, soprattutto nelle campagne, e un terzo di essa vive
sotto la soglia di povertà. Il 13% dei bambini sotto i 5 anni è
denutrito. In tale contesto in Thailandia si è sviluppato il
fenomeno del turismo sessuale per il quale il paese è tristemente
famoso: Bangkok è la capitale anche di questo squallido
commercio. Si calcola che in Thailandia ci siano dai 200 ai 250
mila bambini prostituiti, 3 milioni di prostitute di cui 800 mila
minori di 16 anni. Con l’aumentata richiesta di
prostituzione di bambini, il traffico è diventato un affare
lucroso ed i bambini sono portati a Bangkok dai paesi limitrofi,
in particolare dalla Birmania, dal Laos, dalla Cambogia e perfino
dalla Cina meridionale. Inoltre, sempre più frequentemente, le
famiglie del Nord e del Nord-Est della Thailandia vendono le loro
figlie ai trafficanti che promettono di trovare loro dei lavori
ben pagati. E’ l’ignoranza e la disperazione che conduce i
genitori a questo passo.
Legato
al turismo sessuale, l'Aids. Secondo l’OMS, alla fine del 1999
avevano contratto infezione da virus HIV 755.000 persone, tra le
quali 305.000 donne e 13.900 bambini.
Lalai è stata una di queste bambine,
violentate e costrette a prostituirsi. Quando fu sbattuta fuori
dal giro, perché a 30 anni era troppo vecchia per attirare gli
uomini come prima, incontrò un italiano che non era né un
turista né un cliente. Era padre
Adriano, con il quale ha iniziato il suo riscatto e da prostituta
è diventata la mamma di 60 bambini orfani della baraccopoli di Teuk
Deng.
Nessuno è escluso dalla possibilità di
fare pace. Per Lalai ha significato cambiare vita, per questi
bambini significa scoprire una carezza e la possibilità di
sentirsi amati.
ITALIA
Pace è LEGALITA’
L’Italia
è il paese delle 4 mafie: Cosa nostra, Camorra, ‘Ndrangheta,
Sacra Corona Unita. I comuni di Platì, Misafrico, Bovalino,
San Luca, sono incastonati sui pendii dell’Aspromonte, fra
tesori della magna Grecia e le bellezze naturali
della Calabria. I cartelli stradali che ne indicano la
direzione sono crivellati di colpi e i loro nomi riportano alla
memoria fatti di cronaca nera. La
’ndrangheta è nata e si è sviluppata in queste zone
nella seconda metà dell’800, trovando una regione dal tessuto
economico fragile, priva di un significativo apparato industriale
e con deboli ceti imprenditoriali, condizioni che le fanno
scontare una forte disoccupazione, la mancanza di
progettualità e il perpetuarsi di una cultura fatalista. La
regione vive una situazione di marginalità, dovuta a
collegamenti lontani, che contribuiscono alla sensazione di
scollamento, di spaccatura rispetto al contesto nazionale, quasi
si fosse in una zona franca,
dove sono sospese le regole dello stato. La ’ndrangheta
si è dedicata ad attività illegali di ogni genere: estorsioni, rapine, traffico di
droga, omicidi, commercio di armi, fino ai sequestri di persona,
un tempo impronta caratteristica delle cosche dalla Locride, (si
ricordi il nome di “triangolo
degli incappucciati”). La mafia, però, in Calabria, non uccide
solo quando spara; uccide molto
prima: quando fa pensare in senso vittimistico, quando porta alla
mafiosità, intesa come stile di vita, abitudine, fatta di piccole
violazioni, dal non fare la coda, al non pagare le tasse, dal
chiedere la raccomandazione, al non rilasciare lo scontrino
fiscale.
La Locride ora non è solamente
una zona di faide e latitanti, di agguati e morti ammazzati,
adesso è anche terra di frutti di bosco. 400 mila metri quadri di
serre coltivati a lamponi, ribes, e mirtilli, hanno cambiato una
faccia dell’Aspromonte. Sono le coltivazioni delle cooperative
nate nel 1996, su idea del vescovo trentino Giancarlo Maria
Brigantini. Dalle risorse della terra ripartono posti di lavoro,
una progettualità nella logica cooperativistica. La mafia non è
un destino: esistono altre strade verso una vita
dignitosa. E onesta.
KENYA
Pace
è BUONA NOVELLA
Le
sagome di una trentina di grattacieli tutti diversi, vasti
quartieri di ville bianche circondate da giardini e una cintura
residenziale di casette a schiera, strade ben asfaltate, negozi
con invitanti vetrine. Questa
è Nairobi, una delle più ricche capitali dell'Africa Nera. Però
circa due milioni di persone (il 55% degli abitanti) sopravvive in
oltre 100 baraccopoli: gente stipata nell’1,5% della superficie
totale, con la paura degli sfratti forzosi e delle demolizioni
delle baracche, nemmeno di loro proprietà.
Korogocho è uno degli slums di Nairobi:
qui vive il missionario comboniano p. Daniele Moschetti, in
continuità con p. Alex Zanotelli. Korogocho è drammaticamente
sovraffollato, insicuro, privo di infrastrutture urbane
(elettricità, acqua potabile, sistema fognario). L’acqua si
paga 10 volte più del normale; i servizi igienici sono
inaccessibili al 95% della popolazione, con una latrina ogni 50
abitanti. Le immondizie si accumulano, favorendo il diffondersi di
colera, tubercolosi e tifo. Le baracche e la gente sono ammassati:
cinque o sei persone in quattro metri quadrati.
La
criminalità è fortissima e la gente e' abituata a farsi
giustizia da sola: un
ladro colto in flagrante è lapidato o bruciato. Da qui spesso
nascono scontri etnici fra comunità diverse. La famiglia non dà
protezione ai bambini, molti dei quali diventano street
children, abbandonati in ‘bande’ alla vita di strada. La
prostituzione coinvolge ragazzine a partire dai 9 anni e l’Aids
è in fortissima espansione.
Le
baraccopoli possono essere paragonate a una sorta di campo
profughi permanente, invisibile. Dalle strade della capitale non
si vedono, i media non ne parlano ed è rarissimo che la politica
nazionale sia toccata dalle loro problematiche.
P. Daniele, nella piccola chiesa di St. John, quando celebra la messa,
parla della preferenza di Dio per gli esclusi, i vinti, i
disperati: un Dio che vivrebbe in baraccopoli. La parrocchia è
divisa in piccole comunità particolari: quella dei lebbrosi, dei
cercatori di rifiuti nella discarica, degli alcolizzati. La pace
per questa gente è speranza, solidarietà, buona novella. Pace è
l’impegno e lo sforzo a fare insieme, scoprendo la solidarietà.
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