Una carovana, tre piste
editoriale Nigrizia, settembre 2002

 

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Una carovana, tre piste

 

L'editoriale di Nigrizia su La pace nelle nostre mani. «Un evento? Troppo poco. Un movimento? Troppo generico. Società civile? Ecco, sì, una porzione di società civile viva e organizzata, di matrice cattolica, con ampie presenze di cultura laica, nonviolenta».

 

Ventimila persone convergono sui temi della giustizia e della pace, non solo per ascoltare relatori qualificati su temi internazionali e nazionali (padre Zanotelli; Magouws dal Sudafrica e Valdênia dal Brasile, donne; don Luigi Ciotti; padre Arturo Paoli; il procuratore Caselli; Giulietto Chiesa, giornalista; il vescovo Bregantini; Moni Ovadia, attore - vedi pag. 27), ma per dire come stanno mettendosi in gioco personalmente nei loro territori per arginare una deriva sociale fatta di consumismo e individualismo spesso conditi con un cristianesimo di facciata.

Come lo vogliamo chiamare? Un evento? Troppo poco. Un movimento? Troppo generico. Società civile? Ecco, sì, una porzione di società civile viva e organizzata, di matrice cattolica, con ampie presenze di cultura laica, nonviolenta. E che tiene per orizzonte il mondo: la qualità della vita della gente – degli impoveriti anzitutto – e dell'ambiente toccatole in sorte.

Dopo la positiva esperienza del Giubileo degli oppressi del 2000, sono stati i missionari comboniani a volere la carovana della pace. Ma a muoverla, dal 5 al 15 settembre, sono state le associazioni e i gruppi attivi da Verona a Mestre, da Trento a Milano, da Genova a Firenze, da Terracina a Molfetta a Pesaro a Bologna.

Una carovana che ha percorso e svelato almeno tre piste.

  • A giudicare dalla qualità e dalla quantità della partecipazione, dall'entusiasmo e dalle modalità spicciole con cui la gente si è incontrata e si è guardata in faccia (balli, canti, abbracci), si deve dedurre che occasioni come questa rispondono al bisogno di rinvigorire le proprie ragioni e di ricaricarsi. Stare insieme non semplicemente per capire, per scambiarsi idee. E invece per respirare un'appartenenza, una progettualità prima di tutto esistenziale, per vivere una "spiritualità ecumenica", direbbe Alex Zanotelli.

  • Dentro la società civile, e siamo alla seconda pista, stanno emergendo realtà che fanno scelte radicali, molto decise e, al dunque, molto politiche. Sono qualcosa di più di un gruppo o di un'associazione. Sono piccole comunità, per lo più cristiane, che provano a vivere in maniera alternativa rispetto a quello che propone e impone l'ideologia dominante. Comunità alternative per il modo di consumare, per l'impiego del tempo, per le relazioni fraterne che instaurano. Comunità di resistenza, anche culturale - tutt'altro che avulse anzi ben radicate nel territorio dove vivono – che possono aiutare a ricostruire quel tessuto comunitario che non di rado manca alla stessa società civile.

  • La terza pista ci dice che là dove questa società civile sa mettersi in rete e lavorare con coesione diventa interlocutrice delle amministrazioni locali. Diventa cioè in grado di orientare la progettualità politica, di ampliare i diritti di cittadinanza, di portare contributi originali nei campi della cultura, della formazione, dell'informazione.

La primavera scorsa scrivevamo, proprio in questa pagina, che «una società civile incapace di incidere nel paese reale e rinchiusa in una riserva a contemplare il proprio ombelico» risulta sterile. Quell'editoriale, ma non solo quello, ha aperto un dibattito. È chiaro che tanti interrogativi rimangono aperti: che cosa intendiamo veramente per società civile, chi ne fa parte, come si struttura, chi parla per lei, il ruolo delle chiese e dei sindacati… C'è tanto da lavorare. Ora però abbiamo la conferma che tanta gente è disposta a farlo.