Tappa di
Mestre

Diario della Piccola Comunità Itinerante di Resistenza

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Scrivo a te,

con gioia amico che a Mestre stavi con noi

e a te che non sei voluto venire perché dovevi trovarti con gli amici,

e a te che credi che sia tutta roba da comunisti.

 

Scrivo a te,

prete di campagna che ieri hai pianto quando Valdenia ha raccontato la sua storia,

scriva a te, missionario, che hai gioito mentre Magouws spiegava la liberazione del Sudafrica,

scrivo a te, mamma, che, rapita nell’ascoltare Alex, ti sei dimenticata che tuo figlio aveva sonno.

Scrivo a voi ragazze e ragazzi che vi siete abbracciati come gesto di accoglienza e avete ricevuto la forza delle parole di Ciotti.

 

Scrivo a voi per dirvi grazie.

Grazie perché avete avuto il coraggio di indignarvi. Di indignarvi di fronte ad un’Italia che si chiude sempre più e che sta perdendo il valore della legalità e dell’accoglienza, un’Italia sempre più invischiata nel controllo delle mafie e sempre più infangata da un capitalismo selvaggio che trasforma le pecore in cammelli, i maschietti in bambine, la guerra in pace.

Grazie perché avete pianto, grazie perché avete cantato, grazie perché avete applaudito.

Grazie perché vi siete arrabbiati della situazione attuale, di una guerra possibile contro l’Iraq, di un mercato che costringe ad una guerra infinita. Grazie per tutte quelle firme.

 

E a te che non c’eri,

grazie perché la prossima volta ci sarai.

 

 

Ieri sera a Mestre, più di una volta ho sentito le parole di Valdenia rivolte soprattutto a noi giovani.

Ci ha ricordato che poter studiare è un dono che ci dà l’opportunità di dare voce ai senza voce. Troppe volte lo studio viene considerato un semplice mezzo per raggiungere solo una posizione nel mondo del lavoro.

 

Noi giovani siamo chiamati a porci delle domande, a voler conoscere per esempio chi c’è dietro gli oggetti artigianali che tanto attirano e provengono dai Paesi del Sud del mondo. Affinché i popoli e i luoghi del mondo diventino dei volti non possiamo non avere il coraggio di guardare negli occhi, di dare un nome ai tanti immigrati che incontriamo nelle nostre città. Poiché dietro ad ogni volto c’è una storia che si deve rivelare nell’incontro con l’altro.

 

Valdenia ha invitato tutte le donne presenti nella sala ad essere le prime a saper accogliere le ragazze vittime della prostituzione e a denunciare tale schiavitù. E allora non possiamo permetterci di giudicare, ma solo di guardare l’altro con uno sguardo pieno di rispetto e compassione, una compassione che non è pietà ma un com-patire cioè soffrire insieme.

 

Perché come ci ricorda Gutierrez:

Guai a coloro che Dio troverà con gli occhi asciutti!”.