Bologna
è una città simbolo per molti aspetti, alcuni dei quali
resistono nel tempo, mentre altri vanno sfumando con
l’incedere delle trasformazioni sociali in atto, guidate
dalla contraddizioni del modello economico escludente e
violento impostosi nel mondo globalizzato. Questa città è
stata un simbolo del modello solidaristico e della capacità
di fornire servizi pubblici efficienti e di qualità estesi a
tutti i cittadini, garantiti dalle sinergie fra cooperative
sociali, enti locali e associazioni. Attualmente, a causa
delle trasformazioni sociali ed economiche degli anni 90,
aumentano i problemi dei soggetti deboli, a partire dai senza
fissa dimora e dai migranti che vengono spinti ai margini
della vita sociale da un meccanismo di esclusione economico e
culturale.
Le
trasformazioni economiche in atto non hanno risparmiato
neanche la sua antica università che con centomila studenti
(1/5 dell’intera popolazione) potrebbe rappresentare una
ricchezza da valorizzare in termini di formazione, ricerca e
proposta culturale e che invece, specie negli anni 90, non si
è saputo valorizzare se non in termini di opportunità
economica rappresentata dalla forte richiesta di case e
servizi.
Le potenzialità della società
civile di questa città sono chiare quando si guarda alle
numerose associazioni a carattere locale e nazionali presenti
sul territorio sia laiche che di ispirazione religiosa.
Infatti, la coscienza civile di questa città e forte e ha
saputo rispondere anche in occasione di una pagina tragica
degli ultimi mesi, l’assassinio di Marco Biagi, opponendosi
alla violenza ed alle strumentalizzazioni e chiedendo verità.
Una verità cercata a ventidue anni di distanza anche sulla
strage del due agosto che ha segnato la storia della città e
che ancora vede impegnata una larga parte della società
civile.
Le
associazioni presenti risultano molto attive ed offrono una
molteplicità di proposte culturali e di impegno sociale,
tuttavia la collaborazione fra loro è spesso difficile ed il
quadro risulta frammentario. Molte associazioni ed ONG (come Aifo, Amici dei Popoli, Cefa, la cooperativo Ex
aequo del commercio equosolidale) agiscono a più livelli
effettuando interventi di educazione allo sviluppo nelle
scuole ma,
nonostante i tentativi, per ora non si è riusciti a costruire
una collaborazione che promuova educazione allo sviluppo e
formazione verso una cittadinanza attiva globale.
Molte associazione si occupano di pace e nonviolenza come
Percorsi di Pace, Pax Christi, il Gavci, le Donne in nero, il
Comitato Cittadino Contro la Guerra, ma anche in questo caso
la collaborazione fra i diversi soggetti deve essere
ulteriormente sviluppata.
Recentemente si sono moltiplicati i tentativi di costruire
reti multilivello come il nodo di Bologna della Rete lilliput,
in cui associazioni insieme a cittadini e cittadine si
mobilitano attraverso la strategia nonviolenta promuovendo
stili di vita alternativi, un’economia di giustizia e
politiche efficaci di pace. In questo ambito, in
collaborazione con Amnesty International ed altre
associazioni, è stata condotta la campagna contro il
commercio delle armi ed in difesa della legge 185/90 che è
riuscita a coinvolgere buona parte della società civile
facendo pronunciare in merito anche il consiglio provinciale e
regionale.
In ambito universitario il Centro Poggeschi ed il Centro
Studi Donati si pongono, da molti anni come luoghi di
riferimento, formazione e sensibilizzazione ai temi della
mondialità, dei rapporti Nord-Sud del mondo, dei migranti e
dei problemi sociali locali e nazionali.
Molte associazioni si occupano di problemi relativi alla condizione dei
migranti, tuttavia, le politiche cittadine degli ultimi anni
hanno subito la mancanza di un quadro d’intervento mirato
alla accoglienza ed all’integrazione che
consideri l’immigrazione come una ricchezza per la società.
Al contrario, i migranti sono stati privati della loro soggettività e
trattati come un “problema di sicurezza” in analogia con i
“disvalori” della legge Bossi Fini.
In questo ambito, una profonda indignazione ha attraversato
la città rispetto al problema dei Centri di Permanenza
Temporanea (CPT), per cui numerose manifestazioni ed
iniziative promosse nell’ambito del Bologna Social Forum e
da altre associazioni hanno portato molti cittadini ad opporsi
alla sua apertura. Forte è ancora la denuncia contro questa
struttura, vero e proprio carcere etnico, che offende i
diritti minimi e la dignità delle persone, rinchiuse fra
sbarre per il semplice fatto di aver cercato fortuna o rifugio
in Italia. Infatti, nonostante l’ampia mobilitazione, il CPT
è ora funzionante e costituisce una ferita aperta per la città
di Bologna.
Su
un altro piano, la chiusura della mensa della Caritas è stato
un triste segnale per chi vive nel disagio e nella povertà
assoluta ed è ora ancora più solo senza un punto di
riferimento e di accoglienza. Nonostante l’attività degli
ordini missionari e di alcune
associazioni religiose che promuovono l’annuncio
evangelico di pace e giustizia, la situazione attuale richiede
di ribadire la "scelta preferenziale per i poveri e per
gli ultimi" come chiave per l’intervento caritativo e
pastorale della chiesa in tutte le sue articolazioni. Così
come è necessario che lo spirito ecumenico incida nelle realtà
parrocchiali, al
di fuori degli
incontri che si tengono nelle settimane dell'unità dei
cristiani riportando lo "spirito di Assisi” al centro
del rapporto con le altre religioni.
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