Uomo, dove sei?
INTERVENTO di DON LUIGI CIOTTI
Castello dei Comboniani , Venegono Sup.
19 Gennaio 2002

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Volevo partire nella mia riflessione da una domanda che mi sembra importante: “Uomo dove sei ?”. E quando dico uomo intendo ciascuno di noi … dove siamo? Questo interrogativo ci richiama all’interrogativo di Dio a Caino: “Dov’è tuo Fratello?” Nessuno di noi sa veramente dov’è se non si relaziona con l’Altro. Questa dovrebbe essere una chiave di lettura per ciascuno di noi: nessuno di noi sa veramente dov’è se non si misura coi suoi Fratelli.

Nella storia del Dio biblico, ognuno di noi è definito dall’altro. Significa che ognuno di noi può sapere chi è e dov’è solo se si interroga su dov’è suo fratello. È una grande provocazione quella che ieri e che oggi continua a farci Cristo nel chiederci dove sono i nostri fratelli, perché solo dall’incontro con gli altri sappiamo dove siamo e chi siamo. Allora Dio domanda a Caino non dove sei, ma dov’è tuo fratello e questo non deve mai, ma proprio mai, scappare dalla nostra testa e dalle nostre vite. Noi riusciremo a vivere bene se stiamo dentro a questa relazione.

La seconda considerazione è nel Vangelo di Luca al cap. X, che indica come un cristiano dovrebbe creare un percorso nella sua vita. Io non sempre riesco a vivere questo, ma credo che Gesù qui ci indichi la sua grande sfida, la sua grande proposta. Negli episodi del Samaritano, di Marta e Maria e del Padre Nostro vi è un’autentica profezia: la strada è la grande protagonista di tutto il Vangelo.

Per 113 volte nel Vangelo c’è il grande richiamo alla strada.

La strada deve essere l’impegno di tutti noi. Per ritrovare l’ordine che il Signore ci suggerisce occorre proprio cominciare dalla strada, dal Samaritano.

Il Signore di fronte alla domanda che gli viene posta, “Chi è il mio prossimo?”, racconta una parabola e capovolge tutto: sei tu che devi farti prossimo. Il Samaritano, che non è né un sacerdote né un Levita, soccorre e  provvede subito a dare ospitalità al viandante e, pensando anche un po’ al futuro di quella persona, se ne va prima che si risvegli per non creare un minimo di dipendenza. Questa è una pagina dura, pesante che ci deve interrogare tutte le volte. È un pugno nello stomaco la grandezza di questo invito a farsi prossimo. Oggi il Samaritano sarebbe l’albanese, il nigeriano. Sarebbe uno di quei 50.000 immigrati che stanno difendendo i loro diritti, di fronte a chi vuole modificare la legge Turco – Napolitano con la proposta di legge Bossi – Fini, che vuole trattare l’immigrato come “usa e getta”, solo in funzione del proprio benessere, della gestione del proprio lavoro e senza favorire i ricongiungimenti familiari di persone che sono qui da vent’anni.

Io trovo che questi meccanismi umiliano, semplificano e non tengono conto che la legalità è uguale per tutti e non solo per i signori potenti e sempre sapienti. La giustizia non dovrebbe fare sconti a nessuno! L’Italia è l’unico paese d’Europa che non ha trovato un meccanismo legislativo sull’asilo politico. Noi siamo, con il Lussemburgo e con la Grecia, le tre nazioni dell’Unione Europea che per concedere il visto di cittadinanza impieghiamo 10 anni, anziché 5 come invece fanno tutti gli altri paesi della UE.

Io credo che non dobbiamo mai dimenticarci l’attenzione alle persone, ai loro bisogni: che vuol dire uguali diritti, servizi, spazi, opportunità, riferimenti concreti.

 

 

 

Il Vangelo di Luca inserisce subito dopo Marta e Maria.

L’invito è a riflettere, a non essere superficiali, a non fermarsi al sentito dire, ad essere persone che si documentano. Io dico sempre che la grande vittima di ogni guerra è sempre la stessa: la verità. Come il primo grande vincitore di ogni guerra è sempre nascosto dietro altre ragioni: vi sono altri giochi, altri interessi, altri motivi oltre a quelli politici.

Non si costruisce giustizia senza ricerca della verità. Noi abbiamo proprio bisogno di guardarci dentro anche per cogliere la Verità, per non essere superficiali e non dimenticarci che la povertà non è mai una condizione naturale o un fatto biologico. La politica deve creare le condizioni affinché possa prevenire la povertà.  Perché, ancora oggi, sono troppi quelli che vanno a mangiare alla tavola dei poveri. Tutti i potenti e le grandi multinazionali vanno al “banchetto” dei Paesi del Sud del mondo. Siamo chiamati a riflettere, a essere persone che ci mettono testa, che non vivono di sentito dire.

Mai, come in questi ultimi anni,nella storia dell’Italia abbiamo avuto una presenza di una popolazione carceraria così numerosa. Dobbiamo sapere che nelle carceri italiane per i grandi reati c’è il 15% della popolazione carceraria; mentre la stragrande maggioranza sono poveri cristi che non hanno grandi avvocati, non hanno gli strumenti per difendersi o per frenare il percorso della giustizia come qualcuno fa. Abbiamo bisogno di una giustizia giusta, veloce e soprattutto il carcere come estrema ratio. Lo stesso Papa, voce coraggiosa,  ha chiesto, a Regina Coeli, ai governanti del mondo un atto di clemenza rispetto alla forte situazione delle carceri. Perché, mai come in questo momento, ci ricorda che non c’è pace senza giustizia, senza perdono.

E allora il riflettere, il non semplificare, il documentarsi, significa cogliere le domande aggressive o mute di chi ha avuto a che fare con le droghe, di chi è alcolista, disperato.

Chi avrebbe parlato anni fa in Italia della depressione nel mondo giovanile? I giovani devono essere espressione di vita, eppure ora ci si trova di fronte a casi quali anoressia e bulimia. Solo l’anno scorso in Italia ne sono stati diagnosticati ufficialmente114.000 di bulimia e oltre 25.000 situazioni di anoressia e depressione. Chissà quelli non diagnosticati. I numeri ci devono far riflettere profondamente, devono interrogarci ma non dobbiamo dimenticare che ogni numero è una persona che ha un nome e un cognome: è una vita.

Un altro problema del mondo giovanile è la tossicodipendenza. All’Osservatorio Europeo sulle droghe, di Lisbona, ci dicono che oggi la droga meno usata in Europa è l’eroina che resta un problema serio poiché coinvolge migliaia di persone. Ma attenzione perché in Europa è la sostanza meno usata, il che vuol dire che il resto della popolazione tossicodipendente usa altre sostanze. In Italia le nuove droghe sono arrivate da 10 anni. Abbiamo una generazione nuova di ragazzi quattordicenni e quindicenni che usano ormai altre sostanze che non sono l’eroina, hanno superato l’ecstasy e cercano altro e altre modalità di fuga. Dove sta il problema? Siamo noi il problema: noi che siamo ancora legati alla vecchia concezione della droga. Infatti i giovani che usano altre sostanze, non vanno nei servizi quali il S.E.R.T. , non si riconoscono in questo mondo e necessitano di altre proposte. Il servizio non deve pretendere di cambiare la persona. Deve “agganciarla” con l’obiettivo di far scattare quella molla di positività in più.

Dobbiamo prendere questo impegno di coscienza per essere persone serie, che non danno nulla per scontato. Marta e Maria ci invitano ad una riflessione dentro di noi e anche a guardarci intorno. Dobbiamo chiedere a Dio di darci la speranza per scuoterci, per andare avanti e fidarci di Lui, perché ne abbiamo tutti bisogno.

 

Passiamo ora al Vangelo del Padre Nostro, al legame tra Terra e Cielo. Io dico sempre ai miei amici, con umiltà, che chi è fedele solo a Dio o chi è fedele solo alla Madonna diventa fanatico. Chi è fedele solo agli altri diventa l’eroe della solidarietà, ma si svuota del senso del servizio, non si confronta, non ha quel faccia a faccia che salva la propria dimensione. Chi è fedele solo a sé stesso diventa narcisista. La proposta di Cristo, che io sento mia anche se non riesco a viverla fino in fondo, è la capacità di donarsi, la fedeltà agli altri, a Dio e anche a sé stessi. Una proposta stupenda: la Terra che si salda al Cielo. La preghiera, l’ascolto, il silenzio, la riflessione: è  questa la sintesi che il Signore ci propone con estrema forza.

Un altro messaggio che voglio condividere, che io ho imparato lavorando e a volte sbagliando in questi 35 anni di Gruppo Abele, è che non si può lavorare da soli. Molti di noi che si dedicano agli stessi progetti hanno creato il C.N.C.A. (Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza).

Nel 1995 è nata “LIBERA”, composta da 800 gruppi, che rappresentano la società civile che si è organizzata contro la criminalità, contro la corruzione e i poteri occulti. Un Vescovo, ha aderito con la sua diocesi dicendo:  “Io non ho paura di sporcarmi le mani con altri”. Il Vescovo ha aderito come Diocesi, come Chiesa che non teme. È importante questo: l’altro, qualunque altro, non può essere mai una minaccia per il proprio Credo, la propria cultura, i propri principi, mai. L’altro, qualunque altro è sempre una ricchezza senza la quale il Vangelo non ha più senso. E’ bello lavorare insieme, ognuno con le proprie sofferenze, coi propri riferimenti; ognuno deve fare la propria parte, portare avanti la propria identità. Si lavora per fare dei progetti insieme, per quell’obiettivo che  resta chiaro: la giustizia. Qualcuno dice che il nostro obiettivo è la legalità, qualcuno la solidarietà, ma in realtà sono le due facce di un’unica medaglia che si chiama giustizia, e la legalità e la solidarietà sono i due strumenti per costruirla. Il Signore non perdeva tempo con giri di parole: ha parlato di fame e sete di giustizia. Non c’è pace senza giustizia. Vi ricordo che già Paolo VI aveva detto: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. In questo senso io credo che da cristiani dobbiamo imparare a lavorare sulle “E” e non sulle “O”: l’impegno e l’unione, la concretezza e la riflessione, la legalità e la giustizia, la solidarietà e la giustizia. Nelle nostre realtà dobbiamo lavorare con gli altri, mettendoci insieme, per non essere navigatori solitari. Abbiamo bisogno anche del rapporto con le istituzioni.

Un altro passaggio che si impone è che noi non  abbiamo bisogno solo di parole di bontà, non abbiamo bisogno solo di uomini buoni ma di parole e uomini giusti. La bontà è importante perché di fronte alla sofferenza non si può discutere, la si accoglie e basta. Dobbiamo  fare in modo che a questa bontà, che deve esserci, segua l’impegno concreto per costruire condizioni di giustizia, che è la parte più scomoda e più difficile.

Oggi in Italia si è aperto un grande dibattito, il dibattito delle città sicure. Tale dibattito parte dal diritto sacrosanto che tutti i cittadini hanno: il diritto alla sicurezza. Non è messo in discussione questo diritto. Una ricerca O.C.S.E, ha rilevato che in Italia 120.000 persone vivono in alloggi impropri, di fortuna, baracche, grotte, containers; oltre 60.000 immigrati vivono in forme di coabitazione forzata; oltre 100.000 sono quelli che dormono ogni notte nei dormitori d’Italia e oltre  40.000 sono privi di qualsiasi risparmio: però noi siamo nel G8! Ma intanto il nostro Paese destinerà 2.066 miliardi per la nuova portaerei italiana. Quest’anno sono stati stanziati 40.000 miliardi, 15% in più rispetto all’anno scorso, per l’esercito e abbiamo venduto armi per 600 miliardi di lire. Dalla fonte del Ministero degli Esteri emerge che il 65% di queste armi vendute sono state esportate in molti paesi del Sud del mondo.

Ancora 56 Paesi non hanno aderito al trattato contro le mine antiuomo, e tra questi vi sono Russia, Cina e Stati Uniti che sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. E non posso dimenticare che in questo momento 250 milioni di mine sono immagazzinate negli arsenali di 115 paesi.

Il diritto alla sicurezza nelle nostre città è un diritto sacrosanto. Molte paure sono delle paure reali che la gente ha, ma molte altre sono paure rappresentate.

Questo è un problema grave ma che deve essere ridimensionato. Infatti tale questione è scoppiata alla vigilia di un grande processo per Mafia. Per distogliere l’attenzione da questo processo, che toccava grandi personaggi della politica italiana, bisognava spostare i riflettori da un’altra parte. E allora nasce e cresce il tema della sicurezza nelle città.

Noi non dobbiamo lavorare per le città sicure, ma dobbiamo darci da fare come associazioni, come Comunità Cristiana, come singoli cittadini per creare città vivibili. Perché il grado di vivibilità non lo si misura solo  dall’area  di vincolo al traffico o dal grado di inquinamento, ma lo si misura dalla capacità di avere relazioni umane e aggregazioni sociali. Dobbiamo recuperare un’anima nelle città. Abbiamo bisogno di città vivibili perché diventino anche città sicure, il che non vuol dire che non ci attrezziamo anche per una maggiore sicurezza. Oggi educare è questo: c’è veramente bisogno del concorso di tutti per rimettere al centro delle nostre città e dei nostri territori la questione E-DU-CA-TI-VA.

C'è una data, dopo l'11 settembre, che ferisce i più deboli, e chi è impegnato, come società civile, nella lotta alla criminalità e alle mafie. Questa data è il 3 ottobre 2001,quando è stata approvata la legge sulle rogatorie. Frenare la costituzione di prove, non facilitare la collaborazione tra diversi Stati per cercare di costruire la giustizia è una pagina molto amara. Tutto questo contrasta con il Trattato di Roma  del 18/07/98, firmato da 124 nazioni del mondo per costruire rapporti internazionali corretti  e per vigilare e colpire chi non li ha. Ma perché il Trattato entri in vigore bisogna che almeno 64 nazioni firmino, ratifichino. Dopo oltre 4 anni non è ancora entrato in vigore perché non ci sono ancora le firme sufficienti perché questo avvenga. A parole tutto è facile. Il presidente Clinton, tra le ultime cose che ha fatto nel suo mandato ha firmato a favore. Dopo di che il nuovo presidente, Bush, appena arrivato, ha detto che non riconosceva la firma. Questa è la verità. Il nostro obiettivo è la giustizia.

Vorrei continuare la mia riflessione con cinque passaggi.

Il primo: non dimenticarci mai che la povertà è in stretta connessione con l'ingiustizia infatti  il povero è reso povero da privazioni, mancanze e disuguaglianze.

Il secondo: se troppi poveri sono lontani dalle nostre comunità cristiane e dalle nostre istituzioni è anche perché sono tenuti lontani con i nostri atteggiamenti, linguaggi, incoerenze. Dovremmo smettere di dare etichette. Quante volte si è tentati di classificare le persone: i tossicodipendenti, gli alcolizzati, i detenuti, i matti, le prostitute. C'è troppa gente che classifica, che dimentica di rendere i bisogni della gente diritti.

Terzo: mai dimenticarci che noi siamo chiamati ad incontrare le persone, a conoscere e affrontare i problemi. Non dimenticarci mai dei loro volti e ricordarsi che prima di essere poveri sono persone. Le persone vanno aiutate in silenzio, non usandole per la propria passerella.

Quarto: siamo chiamati ad accompagnare senza portare. Questo significa condividere. Senza soffocare la libertà dell'altro, ma camminando insieme. Il nostro dovere è scommettere sulla persona, non rinchiuderla in una formula o in un errore ma offrire l'opportunità perché possa alzare la testa e voltare pagina.

Quinto, combattere una malattia mortale oggi: l'indifferenza e la troppa superficialità.

Io ringrazio Dio perché mi ha permesso di trascorrere parte della mia vita, a dormire sui treni di Porta Nuova a Torino, che mi hanno cambiato la vita. Una cosa è parlare di giustizia e un altro è viverla.Dobbiamo abitare i luoghi della esclusione sociale e della marginalità, quei luoghi che tutti  siamo chiamati a fare propri, a conoscere.