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Vedere, capire, agire con la globalizzazione 30 marzo 2001 Una
storia indiana narra di un grande elefante che se ne sta davanti ad un
saggio immerso nella meditazione. Il saggio guarda e dice: “Questo non è un elefante”. Dopo un po’ l’elefante si volta ed incomincia ad allontanarsi lentamente. A questo punto il saggio si chiede se per caso non possa esserci in giro un elefante. Alla fine l’elefante se ne va. Quando è ormai sparito, il saggio vede le orme che l’animale ha lasciato e dichiara con sicurezza: “Qui c’era un elefante”. Nell’elefante
invisibile del racconto noi vediamo un’efficace immagine del fenomeno
della globalizzazione. Esso è tanto grande e complesso che troneggia su
di noi, come un elefante, e tuttavia è elusivo come una fragile e
trasparente libellula, che accompagna le minuzie della vita di ogni
giorno. Non
si tratta solo della pochezza dei nostri strumenti conoscitivi. E
neppure del fatto che nella vita di ogni giorno la comprensione viene
spesso a posteriori, dopo i fatti, come l’elefante che è
riconosciuto dalle orme, anziché dalle zanne o dalla lunga proboscide. Il
senso del racconto è che l’elefante, come la globalizzazione, è REALMENTE
INVISIBILE, se non si sa cosa guardare, mentre diventa INCOMBENTE come una
montagna che riempie l’orizzonte se solo abbiamo idea di ciò che
dobbiamo guardare. Vorrei
iniziare con una premessa doverosa: questo non vuole essere assolutamente
una conferenza esaustiva sullo sconfinato tema della globalizzazione,
piuttosto un’occasione di incontro e confronto con voi, su un tema così
attuale e importante per il nostro futuro, cercando di fornirvi alcuni
strumenti per leggere il nostro tempo, segnato da continui cambiamenti,
non sempre sinonimi di progresso, come gran parte dei media vorrebbe farci
credere. Questa
parola, globalizzazione appunto, così di moda negli ultimi anni, di
origini anglosassoni, è stata in qualche modo coniata attorno alla metà
degli anni ottanta, per indicare in sostanza un abbattimento inevitabile e
progressivo di tutte le frontiere, non solo politiche, ma anche
economiche, culturali e scientifico-tecnologiche. Quindi non possiamo
nascondere la nostra soddisfazione di fronte al processo, dopo una sua
lettura abbastanza superficiale. Tuttavia
siamo davvero certi che la globalizzazione, annunciataci quasi come una
sorta di buona novella dai suoi apostoli, ovvero le grandi istituzioni
finanziarie internazionali, e le aziende multinazionali, sia quella sorta
di Eden che l’uomo da sempre sta cercando? Prima
di addentrarci nella conoscenza, speriamo più approfondita di tale
fenomeno, vogliamo precisare che lo riteniamo un processo storico già in
atto, e non vogliamo assolutamente sostenere l’assurda ipotesi che sia
possibile rifiutarlo; piuttosto accogliamo la sfida di modificarne la sua
evoluzione, partendo però ribadiamo da un’analisi dettagliata. La
linea guida di queste due serate vuole essere allora “Vedere, Capire, Agire”, guardarci insomma intorno, capire le cause
di certi fenomeni che non avvengono mai per caso, e poi sporcarci le mani
in questa storia per non finire ad infoltire il già nutrito gruppo di
pessimisti che abitano la nostra società. Prima
ancora che di globalizzazione, credo che al giorno d’oggi si possa
parlare di “pensiero unico”, espressione abbastanza felice per
definire il regno quasi incontrastato di una concezione del mondo fondata
sul liberismo economico più rigoroso. Credo che si possa tranquillamente
affermare che è in atto da tempo un’ uniformizzazione planetaria che va
a braccetto con l’occidentalizzazione del mondo. L’economia
capitalista è mondiale di sua natura. Lo sviluppo senza precedenti delle
imprese e dei mercati sovrannazionali, spinto dalla proliferazione dei
mezzi di comunicazione e dallo straordinario abbattimento dei loro costi,
non attendeva che la caduta del muro di Berlino per annunciare
ufficialmente l’avvento trionfale della “modernità-mondo” fino
allora solo latente. Il
pensiero unico è allora il pensiero di un mondo unico, di un’umanità
senza altra prospettiva che l’apoteosi del Mercato. L’omnimercificazione
del mondo rende incontestabili, perché ormai inscritti nella carne viva
dei popoli come nell’immaginario dell’umanità, il vangelo della
competitività, l’integralismo ultra-liberale e il dogma dell’armonia
naturale degli interessi. E tutto ciò, nonostante l’orrore planetario
generato dalla guerra economica mondiale e dal saccheggio senza ritegno
della natura. Questo
liberismo puro e duro ci riporta così indietro al XIX secolo, e allo
sfruttamento sanguinario, e questo in nome di una marcia dell’umanità
verso più libertà e più unità. Una restaurazione preparata con cura e
da tempo nei dipartimenti di economia delle università americane che
hanno popolato con i loro studenti i gabinetti economici degli ultimi
presidenti degli Stati Uniti, gli staff della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario Internazionale. Questa ondata reazionaria poi non sarebbe stata
possibile senza la crescita di potenza dei nuovi padroni del mondo, le
imprese multinazionali, per le quali la concorrenza e il mercato mondiale
sono una maniera abile di imporre la loro legge monopolista. Tuttavia
quali “controindicazioni” ha questo nuovo ordine mondiale? Disfunzioni
di ogni genere sono se vogliamo aprire gli occhi, sotto gli occhi di
tutti: disoccupazione, esclusione, povertà materiale e più ancora
miseria morale, disastri ecologici sono e saranno sempre più
insopportabili continuando con questo sistema. A tal proposito vogliamo
guardare insieme questa video cassetta che chiarisce alcuni dei problemi
causati da questo sistema economico. Per
semplificare, proviamo ad individuare in tre punti quali sono gli effetti
più evidenti della globalizzazione: 1.
La globalizzazione crea un aumento di diseguaglianze. L’80% del
mondo vive in paesi dove le diseguaglianze sono fortissime e stanno
aumentando. Nella Russia attuale l’indice di diseguaglianza è
raddoppiato e la speranza di vita media è sceso di 7 anni. 2. La globalizzazione porta a spostare il potere dal basso verso l’alto. Ai governi di fatto si chiede principalmente di deregolare, di liberalizzare al massimo, dare lavori solamente precari, non garantire nulla. Il potere sale verso l’alto fino a raggiungere solo il livello internazionale, andando ancora una volta ad accentrare le decisioni nelle mani di FMI e WTO. E lì noi non possiamo influenzare neanche minimamente le scelte. 3.
La globalizzazione sta creando una serie infinita di perdenti. Si
prende il meglio e si lascia il peggio. Degli individui, delle nazioni,
dei continenti. La logica di Davos non ci parla dei perdenti, la nostra
società emargina i perdenti. Seattle invece si occupa di loro e dei loro
diritti. Quelli umani ma anche quelli ambientali. Di ambiente si parla
solo come di una fonte da sfruttare. A Seattle si è detto che vi sono
aree come la sanità, l’istruzione, la cultura che non devono essere
commercializzate. Occorre garantire delle sicurezze come quella
alimentare, idrica, pubblica, che deve restare alta.
Tuttavia ci sembra molto importante evidenziare anche le conseguenze di tale fenomeno a livello politico. Il collasso dei paesi dell’Est ha trascinato con sé il crollo di quelli del Sud del Mondo come forza politica sullo scenario politico internazionale. Gli uni e gli altri sono in pieno sbandamento economico, corrosi dal cancro del debito, in preda a problemi insolubili, dalle carestie alle catastrofi ecologiche, passando per lo scatenamento di forze centrifughe. Il gioco delle “leggi “ del mercato può svilupparsi ora a livello planetario praticamente senza freni né limiti. Gli Stati nazionali non hanno più la voglia né i mezzi per opporvisi. Le imprese multinazionali sono di nuovo le grandi beneficiarie della dissoluzione dei blocchi. La verità è che gli stati vedono il loro ruolo ridotto a “corteggiare” le potenze economiche del momento per captare il massimo dei flussi di ricchezza, prelevare le loro decime d’imposta e amministrare bene o male la sicurezza sociale, l’ordine pubblico e la riproduzione della forza lavoro per consentire alle imprese di fare i loro affari. Mai l’economia aveva avuto un tale ascendente sull’insieme della società; e mai così evidente era stata l’impotenza della politica sull’economia. L’economia insomma è soggiacente ed onnipresente. Anche la carità internazionale, riconosciuta da tutti come necessaria per garantire la sicurezza dei ricchi ed un minimo di pace civile nelle aree a grande concentrazione di potere e di ricchezza, è sempre più affidata all’iniziativa privata. Le Ong in fondo non servono spesso a favorire un o sviluppo ma ad eliminare le sacche o gli aspetti più sconvolgenti dell’esclusione, di trattenere e calmare le ribellioni più destabilizzanti. Il FMI è il gendarme economico di un mondo in decomposizione. Di
fatto ampie zone di mondo, dietro la facciata, vivono già in competa
anarchia: è il caso di gran parte dell’America Latina e della quasi
totalità dell’Africa nera. Questo porta ad un aumento peraltro dei
particolarismi, dei nazionalismi più spinti che sta creando sotto gli
occhi di tutti continui conflitti non solo nel Sud del mondo ma anche
nell’area balcanica qui in Europa. Ma quale la vera ragione di questa
progressiva dissoluzione dello stato nazione a cavallo dei due millenni? Il
mercato contiene i fermenti più forti di dissoluzione della coesione
sociale. La ricerca sfrenata del profitto, la concorrenza accanita, il
culto generalizzato del successo e dell’efficienza minano le basi stesse
della convivenza e della solidarietà elementare di ogni collettività.
Tuttavia in questi due secoli l’emergere di una vita civile molto
effervescente ha costituito un insieme di contropoteri molto forti e
temibili. Perciò si era giunti alla conclusione che il mercato era
regolato dallo Stato e lo fecondava, lo Stato era limitato dalla società
civile. Purtroppo la generazione degli anni sessanta si è in qualche modo
addormentata credendo di essere in cammino per il paradiso…cioè la
società dei consumi e della produzione di massa, l’aumento continuo dei
salari, i sussidi sociali, le pensioni comode e sicure. Cullandosi sugli
allori, al generazione precedente aveva preso un abbaglio sulla portata
dei suoi successi, dimenticando il prezzo al quale erano stati comprati.
Il dominio dell’occidente sul resto del mondo e il saccheggio
sconsiderato della natura con una devastazione dell’ambiente. Ora
stiamo pagando le conseguenze di tutto questo.
Soprattutto
nei paesi del sud del Mondo i governi ormai non hanno più alcun potere:
non possono decidere le politiche sociali, non possono scegliere come
investire, perché, a causa del debito estero sono nelle mani dei Piani di
Aggiustamento Strutturali del FMI, che portano ad un’occidentalizzazione
delle economie con un inevitabile peggioramento delle condizioni di vita
delle fasce deboli della popolazione. Quando uno stato non ha più potere
conseguentemente non ha controllo sui cittadini. Questo porta ad un
aumento di deterritorializzazione, con conseguente rischio di guerre
etniche. Bisogna ricordare che a esempio in Africa, i confini, degli stati
nazionali erano stati “sapientemente disegnati” in modo da favorire
possibili scontri tra etnie storicamente ostili e nemiche fra di loro.
Questo per avere un’arma in più da giocare poi in fatto di spartizioni
delle materie prime. Tutte le guerre nella regione dei grandi laghi sono
originate da interessi economici, e spesso dietro le diverse etnie ci sono
le grandi potenze occidentali, prevalentemente Stati Uniti e Francia. Ci
sembra opportuno a questo punto affrontare il terzo aspetto su cui
influisce la globalizzazione, un aspetto che ci riguarda sempre più da
vicino, e cioè gli effetti devastanti che ha sull’ambiente e sul clima. L’ambiente naturale finisce di fatto con il trovarsi
espulso dall’economia. Per
l’economia capitalista la natura è concepita come una “madre avara”
, per cui la scarsità occupa un posto centrale nel dispositivo
economicistico. La scarsità della natura non è affatto naturale; essa è
sconosciuta alle società tradizionali ed è stata generata dalla società
individualista. Sono la rottura della solidarietà tradizionali e la
solitudine dell’uomo moderno di fronte al destino a far apparire
l’avarizia della natura ed il fenomeno della scarsità come cronici. La
scarsità è in primo luogo , l’effetto dell’egoismo di chi si
accaparra dell’abbondanza naturale. Il secondo paradosso è che questa
natura ostile è spogliata di valore. L’avarizia della natura non si
fonda tanto sui limiti delle materie prime quanto sulla necessità della
loro trasformazione mediante un faticoso lavoro. Inizialmente si pensava
alle ricchezze naturali come ad inesauribili. Poi Maltuhs e Ricardo furono
i primi a parlare della finitezza del carbone, e quindi dei limiti della
crescita. Nonostante la spinta ecologista, il capitale naturale è
considerato in gran parte sostituibile, e la natura è ridotta ad un
serbatoio di materia inerte e ad una pattumiera. Poiché la natura non è
strutturata conformemente alle leggi del mercato, può e deve essere
saccheggiata e distrutta, per poi eventualmente essere ricostruita e
prodotta dall’uomo conformemente a
tali leggi. A questo punto l’offerta di “natura artificiale” sarà
pagata al giusto prezzo, generando legittimi profitti per i suoi
produttori e non più rendite abusive per oziosi indigeni che ne erano
custodi di fatto. Tutto ciò indica la convinzione dell’uomo occidentale
di essere padrone e possessore della natura. La convinzione che sembra
prevalere è quella che occorre smetterla di combatterci gli uni contro
gli altri per litigarci la misera torta, uniamo i nostri sforzi per
strappare alla natura enormi porzioni, affinché tutti abbiano la loro
parte e ciascuno ne abbia a sufficienza. Questo è il mito
dell’Occidente ! Che la terra sia una discarica per la nostra società
tecnologica è sotto gli occhi di tutti: è interessante leggere un
documento confidenziale scritto nel 1992 dal vicepresidente della BM
Lawrence Summers che sosteneva come fosse necessario usare i paesi del Sud
del Mondo come discariche perché sottoinquinati. Abbiamo
concluso la nostra analisi teorica sul fenomeno della globalizzazione, e
soprattutto sugli effetti più evidenti ed importanti. Crediamo allora di
poter affermare che siamo molto lontani da quell’immagine che vorrebbero
proporci di un’intera umanità che cammina mano nella mano verso la
terra promessa, piena di buoni sentimenti. Purtroppo però gli effetti di
cui abbiamo parlato finora non colpiscono enti astratti ma persone, intere
popolazioni che ogni anno noi immoliamo al dio denaro. Vediamo insieme
allora questa videocassetta, un altro utile strumento per realizzare
quanto questo sistema, che ripetiamo viene spacciato per l’unico sistema
possibile, è di fatto un sistema di morte che va arrestato. Alla fine di
questo video riteniamo utile presentare l’altra faccia della
globalizzazione, una g. che parte dal basso e crede che un altro mondo sia
possibile!
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