Carcere e giustizia
Gli aspetti del disagio, gesti, impegni e segni di
speranza per la comunità cristiana
Il
punto
Nel
corso degli ultimi anni, l’universo carcerario è radicalmente cambiato, sia a
livello quantitativo che per quanto si riferisce alla composizione interna delle
presenze. Dal 1990, la popolazione carceraria è aumentata di oltre 27mila unità,
passando dai 25.804 detenuti del 1990 agli oltre 53mila presenti nel mese di
aprile del 2000. Le donne detenute sono risultate 2.196, pari al 4,1% del
totale.
L'analisi
del titolo di studio e dell'anno di nascita può aiutarci a definire meglio
l'identikit dei detenuti presenti nelle carceri italiane. Su quasi 28.000
persone entrate in carcere dallo stato di libertà nei primi quattro mesi del
2000, il 48% è costituito da persone sotto i 30 anni di età. Solamente il 6%
dei nuovi arrivi è composto da persone sopra i 50 anni di età, a dimostrazione
che il fenomeno della detenzione è rinforzato in massima parte da soggetti
giovani, che costituiscono quindi la porzione più cospicua dell'universo della
devianza e della presunta criminalità. Allo stesso modo, quasi del tutto
irrilevante il numero di donne in carcere, pari al 4% del totale. Si conferma,
in questo senso, la scarsa propensione alla devianza e al comportamento
criminale da parte del sesso femminile.
Per
quanto riguarda invece il titolo di studio, oltre il sessanta percento dei
detenuti ha un basso livello di scolarizzazione, uguale o inferiore alla licenza
elementare (gli stranieri hanno livelli di scolarizzazione più elevati degli
italiani). Il possesso di una scolarizzazione avanzata continua quindi a
costituire un importante fattore preventivo rispetto al coinvolgimento in
episodi di criminalità o devianza.
Un
capitolo a parte si riferisce al fenomeno della progressiva "etnicizzazione"
delle carceri italiane. Storicamente, i gruppi sociali a maggiore rischio di
povertà ed emarginazione sono anche quelli che, in ogni epoca, hanno affollato
in modo più significativo le galere e le carceri. Nel caso italiano, ormai da
alcuni anni un numero crescente di detenuti proviene da paesi in via di
sviluppo. Alla fine del mese di aprile del 2000, i detenuti stranieri di
provenienza non comunitaria erano 14.313, pari al 26,8% del totale. Per dare
un'idea dell'incremento del fenomeno, basti pensare che dieci anni fa gli
stranieri costituivano solamente l'11,4% della popolazione carceraria
complessiva e che in soli 4 mesi, da gennaio ad aprile del 2000, gli stranieri
in carcere sono aumentati del 4,7% (la proiezione per il 2000 prevede quindi un
aumento complessivo degli stranieri in carcere pari al 23,5% in un anno). Tra i
detenuti stranieri, la componente etnica più numerosa è costituita anche
quest'anno da cittadini del Marocco (22,4%), seguita dall'Albania (15%) e dalla
Tunisia (14,6%).
Interessanti
al riguardo le statistiche: su 100 italiani denunciati ne vengano arrestati 15
mentre su 100 stranieri gli arresti sono oltre 75 perché le forze dell’ordine
ritengono che sussista il pericolo di fuga (cfr. “Studi e immigrazione” n.
131, 1998 – CSER, Roma).
Gli
stranieri risultano una categoria di detenuti fortemente emarginata, che vive
l'esperienza della detenzione in modo drammatico, senza disporre dell'appoggio
di una rete di sostegno all'esterno del carcere. In particolare, la mancanza di
alloggio e di riferimenti stabili all'esterno ostacola l'accesso degli stranieri
alla concessione delle misure alternative al carcere previste dalla nostra
legislazione (semi-libertà, affidamento al servizio sociale, arresti
domiciliari, ecc.).
Anche
se le riforme penitenziarie del 1975 e del 1986 hanno contribuito ad un
miglioramento delle condizioni di detenzione, favorendo un più stretto rapporto
del carcere con il territorio, le testimonianze provenienti dal carcere
evidenziano un gran numero di problemi tuttora irrisolti: sovraffollamento,
vaste aree di disagio, conflittualità crescente, condizioni sanitarie scadenti,
violazioni dei diritti umani. Alcuni dati relativi all'anno 1999 possono essere
utili per comprendere meglio la situazione: 10.686 detenuti in esubero rispetto
alla capienza regolare, 6.536 episodi di autolesionismo, 920 tentati suicidi, 53
suicidi, 83 decessi, 5.522 scioperi della fame, 685 astensioni dal lavoro, 4.832
episodi di astensione dalle terapie.
Sul
problema specifico delle condizioni di salute dei detenuti, da alcuni anni i
medici penitenziari denunciano l'incompatibilità tra le detenzione e le
malattie gravi. Nello specifico, i dati del Dipartimento dell'Amministrazione
Penitenziaria aggiornati al primo gennaio 2000 stimano la presenza di 3.024
detenuti sieropositivi all'interno degli istituti di pena, di cui 360 in gravi
condizioni (secondo l'Amapi, l'associazione dei medici penitenziari, sarebbero
oltre 5.000 le persone sieropositive in carcere). Ricordiamo che in Italia il
test Hiv all'ingresso in carcere è tuttora facoltativo, per cui vi è
certamente un "numero oscuro" di soggetti sieropositivi non rilevato
dalle statistiche ufficiali.
Oltre
ai soggetti sieropositivi, è presente in carcere un gran numero di detenuti
tossicodipendenti. Complessivamente, i detenuti tossicodipendenti costituiscono
il 28% del totale. I dati aggiornati alla fine del 1999 dimostrano l'aumento dei
detenuti tossicodipendenti, che sono passati dalle 13.567 presenze del 1998 alle
14.840 del 1999.
Un ultimo aspetto di approfondimento riguarda le
conseguenze della detenzione nella dimensione familiare. La carcerazione
determina una serie di gravi conseguenze anche sul piano delle relazioni
familiari. Se si osserva lo stato civile dei detenuti, si apprende che alla fine
del 1998, la maggior parte della popolazione detenuta (il 56%) era celibe o
nubile, mentre il 30% circa era coniugato/a. Inoltre, circa il 36% dei detenuti
ha, o dichiara di avere, uno o più figli.
La detenzione di un familiare comporta sempre gravi
squilibri all'interno della famiglia, che si deve attrezzare per sostituire, in
qualche modo, l'assenza del familiare. Tale è assenza è particolarmente grave
nel caso in cui il detenuto coincide con il capofamiglia o con un percettore di
reddito. A questo proposito, oltre alle spese per la difesa, uno dei problemi più
rilevanti per le famiglie è costituito dai viaggi che si rendono necessari per
andare a visitare il parente detenuto. Secondo gli ultimi dati disponibili, una
percentuale pari a circa il 60% della popolazione vede riconosciuto il principio
della territorializzazione della pena, mentre per tutti gli altri la detenzione
comporta e richiede ai familiari che intendano mantenere contatti con il proprio
congiunto sforzi economici ingenti, necessari per il sostegno dei viaggi, spesso
lunghi, faticosi e costosi.
Le
problematiche relative alla carcerazione non riguardano solamente le condizioni
di detenzione ma si riferiscono alla fase del reinserimento sociale degli
ex-detenuti. In questo senso, nel corso degli ultimi anni, il carcere si è
aperto sempre di più al territorio. È cresciuta l’esigenza di stabilire una
rete di contatti tra il carcere e il territorio, anche in vista della
liberazione del detenuto e del suo reinserimento nella società. Una nota
positiva, a questo riguardo, è costituita dalla presenza di una serie di misure
alternative alla detenzione per mezzo delle quali il detenuto può scontare la
pena al di fuori della realtà carceraria, impegnandosi in opere di contenuto
sociale che ne favoriscano il reinserimento nella vita civile. Dal 1987, hanno
potuto usufruire delle misure alternative 106.187 soggetti, di cui 50.904 hanno
potuto godere del beneficio senza passare per il carcere, con tutti i vantaggi
facilmente immaginabili sul piano psicologico e del reinserimento nella società
libera.
Infine, un microcosmo particolarmente dolente è
rappresentato dalla realtà degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. In questi
contesti, gli internati sono presenti anche per lunghi anni in strutture che
sono carceri mascherate da ospedali, regolate da ordinamenti penitenziari che
solo la eventuale sensibilità dei Magistrati di Sorveglianza, dei Direttori e
degli Operatori vari può adattare alle condizioni di salute mentale e fisica.
L'attuale struttura dell'OPG necessita di un radicale cambiamento, a partire
dalle leggi che la regolano. A questo riguardo, lo scenario iniziale configurato
dalla legge di riforma penitenziaria, che ben lasciava sperare per un
superamento dell’istituzione psichiatrica giudiziaria verso nuove forme di
trattamento più aperte alla realtà esterna, è stato quindi sostituito da un
atteggiamento culturale di rinnovato rigore nei confronti dell’universo
carcerario, che poco lascia sperare per una riforma radicale dell’istituto,
avvertita come urgente da più settori nell’ambito della giustizia. In
particolare, a parte le necessarie ristrutturazioni edilizie, il miglioramento
generale delle condizioni di vita degli ospiti e il potenziamento degli organici
a disposizione degli OPG, il principale sforzo di riforma dovrebbe essere
rivolto alla rottura dell’isolamento di tali strutture rispetto alla realtà
territoriale circostante. Si tratta di trovare nuove formule di “custodia
attenuata” che, fatte salve certe esigenze minimali di “difesa sociale”
oltre le quali l’attuale ordinamento penitenziario non consente di spingersi,
si orientino verso una separazione delle attività sanitarie da quelle di
controllo, introducendo metodologie trattamentali aperte all’esterno, in
collaborazione con le strutture sanitarie locali e le realtà informali di
volontariato e di care operanti sul territorio.
Il carcere, questione
pubblica e di società civile
La
riforma penitenziaria del 1975, e la successiva legge Gozzini del 1986, non sono
mai state applicate completamente. Anche se nel suo impianto originario la
riforma del 1975 e la successiva del 1986 contenevano elementi condivisibili,
che andavano nella direzione di una più grande attenzione alla persona
detenuta, con il trascorrere degli anni è successo che - sulla scia di
pressioni emotive continue dell'opinione pubblica - si è andato disperdendo lo
spirito positivo della riforma. Per questo motivo, è importante sottolineare
che più che ampliare le riforme del 1975 e del 1986 sarebbe più auspicabile
una loro integrale applicazione. E' questo un compito dello Stato, del Ministero
della Giustizia, in particolare dell'amministrazione penitenziaria, ma anche e
soprattutto delle amministrazioni locali, delle comunità territoriali, che
devono prendere in carico, secondo la loro competenza, il fenomeno carcere,
soprattutto a livello di prevenzione e di reinserimento sociale.
-
Al Parlamento si chiede di produrre leggi che prevedano l'uso di pene differenti dal
carcere. Perché il carcere non sia più lo strumento centrale dell'esecuzione
penale, ma divenga extrema ratio, soluzione estrema per fermare la
violenza. In questo senso, si chiede una pronta scrittura del nuovo codice
penale.
-
All'amministrazione della Giustizia si chiede quindi di
applicare in modo intelligente le leggi esistenti, attuando la depenalizzazione
dei reati minori; riproponendo con forza il tema del lavoro, della formazione,
dei percorsi alternativi; studiando forme di trattamento diverso per
tossicodipendenti, malati e immigrati reclusi per reati comuni.
In
particolare, alcuni aspetti di fondamentale importanza riguardano l'ampliamento
delle misure alternative al carcere e l'attenzione al reinserimento nella società
civile. Già adesso, rispetto al passato. il settore delle misure alternative ha
conosciuto una grande espansione. Tuttavia, c'è ancora molta strada da
percorrere per fare in modo che il carcere diventi finalmente una estrema ratio
nell'ambito delle risposte collettive ai comportamenti antisociali.
In
particolare, data l'importanza del tema, sulla questione specifica delle misure
alternative, si possono individuare alcune possibili aree di intervento e di
riforma a carico dell'amministrazione penitenziaria centrale e periferica:
·
definire modalità di collaborazione e progetti comuni da realizzare con
l’apporto dei vari attori sociali (Cssa, volontariato, Enti Locali, ecc.).
·
sviluppare rapporti di collaborazione tra le Scuole di Servizio Sociale,
le Università e le realtà impegnate nelle misure alternative, al fine di
promuovere una più adeguata conoscenza del territorio attraverso studi e
ricerche (favorire la presenza di tirocinanti nei Cssa, incrementare la
produzione di tesi di laurea e di dottorato, inserire il tema delle misure
alternative e dell’esecuzione penale in genere all’interno di seminari
universitari e dei programmi accademici).
·
sviluppare attività di formazione integrata tra gli operatori delle
diverse realtà, eventualmente anche attraverso l’apporto delle sedi
universitarie.
·
per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse del territorio, il
contributo del volontariato potrebbe consentire una più adeguata conoscenza
delle stesse, in quanto esso è più a contatto diretto con il tessuto sociale
di riferimento. Appare utile, a questo riguardo, la predisposizione di vademecum
e mappe di risorse destinati agli attori privati e pubblici impegnati
nell’applicazione delle misure alternative.
-
Alle organizzazioni sociali, al volontariato, al privato
sociale, si chiede di porre con maggiore forza la dimensione penale e
della giustizia al centro dei rispettivi programmi di attività. Non
dimentichiamo infatti che il carcere oggi in Italia è un contenitore di
situazioni di povertà, miseria ed emarginazione che si incontrano all'esterno,
nelle fasce sociali più deboli. In altre parole, molte delle persone in
difficoltà che entrano in contatto con le realtà socio-assistenziali del
territorio sono le stesse che poi hanno un'elevata possibilità di rimanere
coinvolti in situazioni e meccanismi di devianza e di criminalità, contribuendo
ad ingrossare le fila della popolazione detenuta.
Per
questo motivo, un'azione sociale sul territorio, prima, durante e dopo
l'esperienza del carcere potrebbe ridurre significativamente il tasso di
carcerizzazione, limitare il numero delle recidive, contribuire ad una migliore
qualità della detenzione, assicurando un legame tra il carcere e la società
esterna. Tra i vari settori di intervento possono essere evidenziati il lavoro
con le famiglie dei detenuti, l'assistenza morale e materiale ai reclusi, la
preparazione del momento delle dimissioni, la formazione e la preparazione di
percorsi guidati di reinserimento sociale, ecc. Inoltre, è importante non
dimenticare la possibilità di influire a livello culturale, in diversi ambiti:
nel dibattito sulla riforma del sistema penale; nella trasmissione di
un'immagine non punitiva o di rifiuto degli ex-detenuti; nella costruzione di
una nuova idea del carcere e di un nuovo modello di pena, rispettosa
dell’uomo. Evidenziamo inoltre alcuni aspetti critici sui quali il
volontariato potrebbe dedicare particolare attenzione, tenendo presente che
:l’attivazione all’interno di una strategia di rete significa maturare un
salto di qualità, in diverse dimensioni:
§ ampliare
gli spazi di intervento del volontariato, dal settore carcerario al settore
delle misure alternative;
§ sviluppare
un volontariato associato e organizzato più che individuale, per meglio
esprimere il ruolo politico e culturale del cambiamento, oltre alla progettualità
degli interventi;
§ attenzione
ai problemi delle vittime del reato dove il volontariato può svolgere un ruolo
di mediazione sociale;
§ formazione
specifica alle tematiche penitenziarie e della devianza e alle metodologie di
intervento sociale;
§ partecipare
alle attività di coordinamento e di rete sul territorio, a pieno titolo e non
occasionalmente.
Il
carcere, questione di Chiesa
Da
sempre, facendo suo l’invito a “visitare i carcerati”, la Chiesa ha dato a
queste parole un pregnante significato di doveroso interessamento, vicinanza e
presenza operativa nel carcere. Presenza diversificata nei modi e nelle forme,
secondo i tempi e i diversi modelli culturali, ma sempre mossa dal desiderio di
porre il valore della persona al centro della vicenda detentiva, portando una
“parola” di liberazione per mitigarne le sofferenze e le pene ed offrendo
adeguata assistenza materiale e spirituale.
Il
carcere è un ambiente ad “istituzione totale” che per la sua stessa natura
rischia di ripiegarsi sempre più su se stesso, nel suo isolamento, divenendo
luogo di esclusione e di rifiuto, amministrato da rigidi regolamenti finalizzati
alla custodia e retto da pratiche che sanno sempre di repressione, “misure
limitative e privative della libertà”.
La Chiesa,
chiamata a promuovere e a difendere la dignità e i diritti della persona, e
quindi a porsi dalla parte dei più deboli, non può ignorare che nel carcere ci
sono persone in situazione di sofferenza e di bisogno, private della libertà e
bisognose, soprattutto, di un annuncio di speranza, di misericordia, di
comprensione e di solidarietà.
I
temi biblici dell’alleanza e della liberazione, che sono esperienze
fondamentali nella storia della salvezza e formano il messaggio centrale nella
vita della Chiesa, devono trovare nel carcere uno dei luoghi privilegiati della
loro proclamazione e realizzazione.
Non
dimentichiamo inoltre che questi temi biblici di liberazione trovano compimento
in Gesù e quindi nel Giubileo cristiano proclamato da Gesù stesso nella
sinagoga di Nazareth: «Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi
ha convocato e mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annunzio, ad
annunciare ai prigionieri la liberazione e il dono della vista ai ciechi, per
liberare coloro che sono oppressi e inaugurare l’anno di grazia del Signore»
(Lc 4,18-19).
Diventa così
logico, in questo anno giubilare, gridare il precetto di "liberare i
prigionieri”.
Non si può
nemmeno ignorare il precetto evangelico di “visitare i carcerati”
proposto ai credenti nelle cosiddette opere di misericordia corporali e
spirituali. Matteo lo richiama per ben quattro volte nel cap. 25 del suo
vangelo.
Il
mandato missionario impegna a portare l’annunzio evangelico a tutti e ovunque,
anche al mondo del penale e quindi a tutte le persone che vivono l’esperienza
del carcere, siano esse detenute o preposte all’amministrazione della
giustizia, sia a chi è addetto alla custodia come a chi è in espiazione di
pena: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni
creatura…”.
L’Evangeli
Nuntiandi al n.6 ci ricorda di “proclamare di città in città,
soprattutto ai più poveri il gioioso annuncio del compimento della promessa e
dell’Alleanza proposta da Dio: tale è la missione per la quale Gesù si
dichiara inviato dal Padre”, avendo ben presente che anche il carcere è
parte della città e della vita della comunità.
La
presenza della Chiesa nel carcere, attraverso i propri operatori pastorali, può
essere segno e figura profetica di un Dio che è Padre e mantiene vivo nel suo
popolo prigioniero la fiducia e la speranza, di un Dio che riscatta i suoi figli
dal peccato, dalla violenza e dal sopruso (Sal. 62).
Ma
soprattutto la Chiesa è tenuta a seguire il modello del suo Maestro e a
camminare sulla via che Cristo stesso ha percorso. Lui che “è venuto a
cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc. 19,10); che per questo
entra in casa dei peccatori (Lc. 19,7) e siede a mensa con i pubblicani e i
peccatori (Mt.9,10-13), che perdona la peccatrice (Lc. 7,36-50), che non
condanna, ma salva e libera l’adultera (Gv. 8,3-11) che salva uno dei due
malfattori che sono stati condannati con Lui alla medesima pena capitale (Lc.
23,42-43).
Percorsi
e proposte per la comunità cristiana
La
presenza e l’azione di evangelizzazione e promozione espressa dalla comunità
cristiana nei confronti dei carcerati deve sgorgare dall’insegnamento
evangelico dell’amore, del perdono e della riconciliazione per tradurre il
comando di Gesù in atteggiamenti e gesti concreti di vita: “Sapete che è
stato detto: ama i tuoi amici e odia i tuoi nemici. Ma io vi dico: amate anche i
vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt. 5,43-44).
Il
soggetto della pastorale carceraria, come di ogni pastorale, è la comunità
cristiana tutta, sotto la guida del suo pastore. Non può quindi essere delegata
alla sola persona del Cappellano o a qualche gruppo e associazione di
volontariato, ma deve nascere dalla comunità e coinvolgere la comunità stessa
nelle sue diverse espressioni, dentro e fuori il carcere.
Si
tratta di studiare, con gradualità, cammini legati non a sporadiche ed
episodiche iniziative per e con i carcerati. Il carcere va considerato come
parte della comunità: le sue problematiche e le iniziative in risposta ad esse
devono essere considerate nei programmi pastorali ordinari delle diocesi e delle
parrocchie. Per questo alle Caritas Diocesane si chiede di partecipare,
stimolando anche la presenza della comunità cristiana, a tutte quelle
iniziative di vicinanza, solidarietà e di comunione promosse nelle Diocesi e
dai cappellani in occasione della celebrazione del Giubileo nelle carceri
La
Chiesa è sempre stata molto impegnata nel mondo del carcere e lo è ancora. È
presente istituzionalmente con i cappellani, con molti gruppi di volontariato,
suore e associazioni che si occupano dei carcerati e dei dimessi dal carcere,
vengono promossi notevoli servizi di accoglienza o cooperative di lavoro... Ma
questo impegno, ancora limitato ai soli addetti ai lavori o ad alcuni del mondo
dell’associazionismo o di alcune Caritas, non è partecipato da tutta la
Chiesa e non appare sufficiente per far fronte alle richieste e alle esigenze.
La comunità in genere è insensibile e indifferente culturalmente, é contraria
al mondo del carcere, alla riconciliazione e all’accoglienza della persona
detenuta.
Per
quanto riguarda il tema del volontariato si dovrà innanzitutto osservare che si
tratta di un volontariato che va accuratamente preparato e seguito, un
volontariato che sia:
-
capace e preparato ai nuovi compiti, che sappia operare secondo obiettivi e
progetti ben definiti in collaborazione con l’istituzione penitenziaria, con i
cappellani e con l’ente pubblico;
-
capace di superare la tentazione di privilegiare il lavoro all’interno degli
istituti rispetto al lavoro nel territorio, dove invece sono presenti i reali
problemi del carcerato nel suo vero habitat. Una partecipazione particolare va
posta alla collaborazione sul territorio con i Cssa;
-
la partecipazione e il coinvolgimento della comunità esterna, attraverso
l’apporto e lo stimolo del volontariato, manifesta l’impegno di superare la
visione di carcere chiuso «luogo di segregazione e di reclusione»: il carcere
e le persone che vi sono ristrette gli appartengono, per cui deve essere
riattivato il circuito di vita sociale e comunitaria;
-
per rispondere a questi impegni il volontariato dovrà superare la fase
dell’improvvisazione per darsi una pur minima struttura organizzativa ben
definita: gruppo o associazione, con una sua ben chiara identità, capace di
assumere impegni, stipulare convenzioni, intese di collaborazione... senza mai
rinunciare ai valori e alle proprie finalità istitutive o statutarie.
Il
volontariato diventa una proposta possibile per chiunque abbia intenzione di
impegnarsi concretamente in questo difficile campo del mondo del penale. Qui,
tra l’altro, diventa proposta educativa e di crescita di quei valori cristiani
che lo promuovono e lo animano per dare testimonianza in un ambiente di «non-valori»,
violenza, ingiustizie, egoismo, sopraffazione dei più deboli... E' proprio in
questo ambito che il volontariato cristiano trova uno spazio meraviglioso.
La
promozione e la formazione del volontariato nel campo del penale va assunta ed
espressa come coscienza di partecipazione e presenza della Chiesa locale. Per
questo motivo ci sembra importante fare riferimento alla Caritas diocesana e ai
cappellani ai fini di una maggiore qualificazione, programmazione e
coordinamento delle risorse del volontariato come risposta ai bisogni dei
detenuti e degli ex-detenuti. Questo anche in riferimento all’impegno e ai
problemi che si presentano e che vanno affrontati confrontandosi e interagendo
non solo con gli Istituti penitenziari e i Centri di Servizio Sociale Adulti ma
anche con gli enti locali e tutte le risorse pubbliche e private presenti sul
territorio.
La
Caritas Italiana sostiene l’azione delle Caritas diocesane attraverso diverse
opportunità di formazione e animazione: momenti seminariali, di collegamento,
scambio di esperienze e di studio.
A titolo di
esempio ricordiamo tre esperienze significative in atto a livello nazionale: la
Conferenza Nazionale del Volontariato carcerario, la “Fondazione Carcere e
lavoro” e il gruppo di lavoro su carcere e giustizia promosso dalla Caritas
Italiana.
•
Dopo un cammino preparatorio che ha richiesto oltre tre anni di lavoro,
si è costituita nel maggio del 1998 la Conferenza Nazionale Volontariato
impegnato nell’ambito della Giustizia, un tavolo di lavoro comune promosso
dal Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario (Seac),
Arci-Ora d’aria, Caritas Italiana, con la collaborazione della Fondazione
Italiana per il volontariato. Sul territorio sono inoltre presenti sette
Conferenze regionali, in collegamento con l'organismo nazionale. Nel mese di
maggio si è inoltre aggiunta l'Associazione Antigone.
Le finalità
della Conferenza risultano sono le seguenti:
- il
confronto e il dialogo tra gli organismi nazionali di volontariato, per
promuovere politiche di giustizia, sia sul territorio nazionale che
internazionale, e coinvolgere il maggior numero di organismi locali per un
confronto ed un dialogo a livello regionale e territoriale;
- rappresentare
gli organismi aderenti, operanti nei diversi settori dell’intervento sociale e
volontario nell’ambito della giustizia, nei rapporti con lo Stato, il Governo,
le istituzioni pubbliche e private a livello nazionale.
•
Nel giugno 1998 è sorta la “Fondazione Carcere e Lavoro”, con sede a
Roma, presso la Caritas Italiana. Le forze promotrici sono alcune significative
realtà impegnate, da tempo e in vario modo, anche sui problemi carcerari:
Caritas Italiana, Caritas Ambrosiana, Compagnia delle Opere non profit,
Fondazione Exodus, Gruppo Abele.
Scopo della Fondazione è la promozione e lo sviluppo della dignità
della persona dei carcerati, degli ex carcerati e di tutti coloro che si trovano
in situazione di emarginazione sociale, attraverso un processo di recupero,
riabilitazione e reinserimento sociale e culturale articolato su diversi piani
di intervento. In particolare:
- la
promozione e lo svolgimento di iniziative sociali, culturali, formative e
informative, tese alla “diffusione nella popolazione della coscienza
dell’esistenza delle problematiche relative alla dignità e al recupero dei
carcerati, e in generale alle condizioni di vita nelle carceri, compresa la
predisposizione o sollecitazione di iniziative e proposte a livello legislativo
e nei confronti degli Enti pubblici”;
- l’assunzione
e promozione di iniziative per “la formazione, la riqualificazione lavorativa,
il miglioramento delle abilità funzionali e sociali dei carcerati, ex carcerati
e comunque di persone in situazioni di emarginazione”;
- il
reperimento di “occasioni e possibilità di lavoro compatibili con la
condizione di carcerato o comunque sottoposto a misure restrittive della libertà,
sia con la gestione diretta di attività e strutture a ciò destinate, sia
mediante la promozione e il sostegno di iniziative di tale genere gestite da
soggetti terzi;
- la
predisposizione di percorsi di reinserimento sociale e lavorativo sul
territorio;
- la
ricerca concreta di possibilità di lavoro per detenuti ed ex-detenuti mediante
il coinvolgimento di enti e imprese disponibili.
Attualmente la Fondazione
Carcere e lavoro, attraverso l'opera di due consorzi regionali, offre posti
lavoro con regolare assunzione a duecento detenuti.
Nel
gennaio 2000 si è costituito un gruppo di lavoro su carcere e giustizia
promosso dalla Caritas Italiana come supporto alle Caritas diocesane. Fanno
parte del gruppo, con alcuni rappresentanti della Caritas Italiana,
dei referenti delle Caritas
Diocesane più impegnate nel settore specifico. Il gruppo di lavoro si è
proposto alcuni obiettivi: garantire il coordinamento delle Caritas diocesane già
impegnate sul tema; costituire un luogo di confronto, proposta e animazione per
le Caritas diocesane già attive o che intendono impegnarsi per la prima volta
in questo settore; promuovere segni concreti di solidarietà e carità nel
territorio.
Allo
scopo di progettare e definire meglio il proprio programma di attività, il
primo passo del gruppo è stato quello di avviare un percorso di ricerca
qualitativa, con lo scopo di approfondire le motivazioni profonde
dell’intervento Caritas in questo settore, le finalità dei progetti in corso,
la valutazione dell’attuale modello culturale dominante riguardo a “colpa e
pena". Attualmente, la ricerca è in corso attraverso alcune interviste in
profondità con direttori e responsabili di Caritas diocesane, in cinque regioni
ecclesiastiche. I risultati del percorso di ricerca saranno disponibili a
partire dal mese di settembre. In autunno è previsto un seminario di studio e
presentazione dei dati.
L'emergenza
carcere e i "segni di clemenza"
Non
si possono chiudere ulteriormente gli occhi sulle condizioni di vita all'interno
delle carceri.
La
situazione nelle carceri italiane è sempre più insostenibile, le lentezze
della giustizia e il sovraffollamento stanno sempre più mortificando la dignità
delle persone, aumentando il senso di risentimento dei detenuti verso lo Stato,
percepito più come nemico che come strumento regolatore della vita civile. Si
rafforza così l'appartenenza all'illegalità come scelta di campo e come
rafforzamento della propria esclusione sociale. Inoltre, come sopra accennato,
la presenza all'interno delle carceri italiane di un gran numero di persone
malate, tossicodipendenti e in cattive condizioni psico-fisiche evidenzia la
gravità di una situazione verso la quale è necessario intervenire attraverso
provvedimenti strutturali, attenti alle esigenze di giustizia, alla dignità e
ai diritti umani dei detenuti, ma anche alle possibilità concrete di una loro
riabilitazione e un loro reinserimento sociale
Sulla
base di queste motivazioni negli ultimi tempi, in coincidenza dell'anno
giubilare, da più parti - in seguito anche all'appello del Papa e del Cardinale
Camillo Ruini, all'assemblea dei Vescovi italiani - si è levata la voce a
favore di "gesti di clemenza", che consentirebbero di alleggerire il
carico di sovraffollamento e riportare la situazione in termini numerici più
ragionevoli.
Da
parte della Caritas Italiana, ci sembra importante sottolineare che i gesti di
clemenza non possono essere in nessun modo riconducibili alle sole amnistia o
indulto. Se vogliamo che non si riducano a semplici valvole di sfogo della
pressione carceraria, dobbiamo assicurare un profilo alto a questi gesti di
clemenza, inquadrandoli in un'ottica giubilare di riconciliazione, intesa come
ricostruzione di lacerazioni e divisioni sociali, nel segno del perdono e della
solidarietà.
In
questa prospettiva "pedagogica" è chiaro che allo Stato non possono
essere chiesti provvedimenti di sola emergenza, se non si vuole che tutto si
riduca ad effimeri provvedimenti-tampone, con la quasi sicurezza che chi ne
beneficia oggi, domani sarà di nuovo dentro e che subito dopo sarà rimesso il
tappo sulla polveriera carcere per chissà quanto altro tempo.
E'
necessario invece essere consapevoli che anche le misure di clemenza invocate
hanno ragione d'essere se inquadrate in radicali e innovative riforme
strutturali dell'intero sistema penitenziario. La vera sfida per la società
civile e la comunità cristiana è che il carcere sia parte viva della comunità,
altrimenti non ha senso parlare di gesti di clemenza, né tanto meno di
risocializzazione, reinserimento, riconciliazione e accoglienza.
In
questo senso, il tempo del Giubileo può essere la stagione più opportuna per
porre mano a riforme radicali e sostanziali in tema di giustizia. Allo stesso
tempo, il gesto di clemenza trova valore se legato a qualche riforma e deve
rappresentare per il beneficiato anche la coscienza di un cambiamento di vita.
La stessa comunità civile, in particolare le comunità locali, devono farsi
carico di percorsi di integrazione che siano attenti alla dimensione del lavoro
e dell'accoglienza, specialmente nei confronti dei soggetti maggiormente
sprovvisti come i tossicodipendenti, le persone affette da patologie
significative, gli immigrati.
In
occasione del Giubileo del 2000, la Caritas Italiana propone quindi un atto di
pacificazione sociale sostenuto da alcune serie misure di intervento strutturale
nel carcere, di seguito riportate*.
Questo gesto di clemenza e di misericordia non significa perdonismo unilaterale
ma cammino comune di cambiamento, dove la libertà ridonata può costituire
occasione di scelta per il bene comune, salvaguardando al tempo stesso le
esigenze di sicurezza sociale e la funzione risocializzante della pena.
Le
proposte per un gesto di riconciliazione nell'ambito penale sono così
riassumibili:
·
Indulto: per tutti degli sconti di pena, per chi esce dal carcere una
forma di probation, unita ad una compensazione della vittima laddove la
persona ne abbia le possibilità;
·
Disposizioni di trattamento per i tossicodipendenti che abbiano
manifestato la volontà di aderire a programmi di accoglienza in comunità,
ricollocando in comunità anche coloro che da essa provengono e sono stati
rinchiusi in carcere per una pena superiore ai quattro anni;
·
Espulsione dal nostro Paese per gli stranieri che ne fanno richiesta con
condanne definitive al di sotto dei quattro anni;
·
Possibilità di trattamento in comunità anche per i detenuti stranieri
che ne fanno richiesta, creando un fondo nazionale per le sovvenzioni alle
comunità.
·
Concessione della semilibertà o affidamento in prova, a chi è già nei
termini, verificatasi la possibilità di lavoro e casa, previo accordo di
risarcimento danni alla vittima concordato attraverso un'opera di mediazione.
Dove non sia identificata la persona fisica il risarcimento potrebbe
incrementare il fondo per le vittime.
·
Costituzione di un fondo nazionale da ripartire in quelle Regioni che
finanzino anche con fondi propri inserimenti lavorativi, nuovi centri di
accoglienza, case per la semilibertà, progetti di accompagnamento sul
territorio, anche ad opera del volontariato.
Gesti,
impegni e segni di speranza
Sono
numerose le Caritas diocesane impegnate sul tema del carcere e della giustizia.
Una semplice panoramica sulle attività realizzate dalle Caritas diocesane e
dalle realtà associative ad esse collegate, consente di rilevare un ampio
spettro di iniziative e di esperienze di testimonianza della carità, sotto
diverse finalità e modalità operative, che vanno dalla semplice presenza
all'interno del carcere alla promozione di luoghi e momenti di confronto sul
tema del carcere, dalla sensibilizzazione della comunità locale fino alla
promozione di cooperative sociali e l'offerta di percorsi guidati di
reinserimento sociale e lavorativo degli ex-detenuti.
Nel
complesso, è possibile individuare una serie di ambiti di attività, attorno
alle quali si stanno sviluppando le principali tendenze evolutive dell'impegno
delle Caritas diocesane nell'ambito della giustizia: l’educazione e la
sensibilizzazione ai temi del carcere, dei diritti umani e della giustizia; il
lavoro nel territorio; l'offerta di
momenti di accoglienza a ex-detenuti e famiglie; il lavoro e il reinserimento
sociale, ecc.
Un'analisi
critica di tali esperienze consente di evidenziare la presenza di un processo di
graduale trasformazione qualitativa e quantitativa nell'impostazione e nel
modello operativo alla base delle numerose attività realizzate. Nello
specifico, da una fase iniziale caratterizzata in gran parte dal rapporto
diretto con il detenuto all'interno dell'istituzione carceraria, si è passati
con il tempo alla definizione di linee progettuali più ampie, attente
all'assetto generale di welfare del territorio e alle esigenze di
reinserimento e integrazione sociale della fase post-carcere. In questa linea,
nei contesti locali dove con più forza si è acquisita tale consapevolezza, le
esperienze più mature hanno posto al centro dell'attività progettuale
l'apertura al territorio e al lavoro di rete, la promozione di luoghi e momenti
di incontro e scambio con gli operatori della giustizia, la necessità di
stabilire una corrente comunicativa con le parrocchie e le altre risorse della
comunità locale, l'importanza della formazione dei volontari dentro e fuori il
carcere, la rinnovata attenzione all'area esterna e all'esecuzione delle misure
alternative, ecc.
Allo
stesso tempo, la trasformazione qualitativa dei progetti di assistenza sul
territorio non ha impedito la permanenza di azioni caritative rivolte
all'erogazione diretta di beni materiali e servizi di accoglienza immediata,
anche temporanea, per persone e famiglie in situazioni di particolare necessità
e precarietà. Va sottolineato che nelle situazioni più mature e significative,
tali tipologie di presenza non sono motivate da finalità di supplenza dei
doveri dell'ente pubblico, quanto dall'esigenza di promuovere dei segni visibili
di coscienza critica nei confronti della comunità e come stimolo alla
realizzazione della giustizia.
In
coincidenza dell'anno giubilare, è possibile individuare alcune piste di lavoro
da realizzare nell'ambito territoriale, che offriamo alle Caritas diocesane come
possibilità di impegno per stimolare un dibattito - se e dove possibile anche
in occasione del Giubileo dei detenuti - sul tema e rispondere alle esigenze dei
fratelli in difficoltà. Si tratta di mettere in atto alcune semplici iniziative
che favoriscano l’avvicinamento e la considerazione della realtà carceraria
come parte del cammino di chiesa:
·
promuovere incontri sul
tema del carcere, allo scopo di approfondire insieme il problema e individuare
possibili strade di lavoro comuni: il tema del carcere può essere inserito nei
contenuti delle lettere o delle visite pastorali; il Vescovo, specialmente in
occasione della celebrazione del Giubileo nelle carceri, può farsi portavoce
delle istanze dei detenuti di fronte alla comunità cristiana e nei confronti
delle amministrazioni pubbliche, locali e della giustizia; mettere a
disposizione una parte del patrimonio immobiliare della diocesi per
l'organizzazione di una casa di accoglienza, ecc.
·
•
iniziative varie di informazione e sensibilizzazione sulla situazione e
le problematiche presenti nella realtà carceraria;
·
•
incontri di approfondimento e di sensibilizzazione sulle esigenze e le
possibilità di risocializzazione dei detenuti;
• percorsi di
formazione di gruppi di volontariato, che, per l’ascolto-assistenza, entrino
in modo continuativo in carcere;
• azione di
collegamento e coordinamento di tutte le realtà (gruppi, associazioni,
cooperative, istituzioni,..) che sul territorio, a titolo diverso, sono attente
e impegnate nei confronti di detenuti ed ex-detenuti per condividere, in modo
arricchente riflessioni, iniziative, risposte e proposte;
•
iniziative varie di ascolto, sostegno e relazione con le famiglie di
detenuti della propria comunità parrocchiale per aiutarle ad affrontare
esperienze così pesanti e isolanti, a orientare e sostenere il loro rapporto
con il familiare in carcere e a evitarne l’isolamento sul territorio rispetto
alla comunità di appartenenza
• ricerca di
opportunità di reinserimento lavorativo, sociale e comunitario di detenuti nel
rispetto delle opportunità offerte dalla legislazione carceraria
• predisposizione
di piccole “opere segno” per l’accoglienza di quei detenuti che non
possono usufruire delle opportunità di reinserimento offerte dalla legge perché
non hanno riferimenti sul territorio (soprattutto per detenuti immigrati o per
detenuti che sono completamente abbandonati a se stessi). Una delle opere
segno di maggiore utilità potrebbe riguardare la possibilità di
allestire dei luoghi di accoglienza per detenuti in misura alternativa o per le
famiglie visitanti.
• inserimento nei
momenti liturgici e nei cammini catechistici delle parrocchie di alcune
preghiere e riflessioni ricavate da contenuti biblici e dall’insegnamento
della Chiesa per educare, con
gradualità, la comunità a cammini di riconciliazione e di accoglienza
• costruzione di
cammini formativi per quanti, operando nella giustizia e nelle realtà di
servizio alle carceri, vivono ogni giorno a contatto con i detenuti.
PICCOLO VOCABOLARIO
Custodia cautelare = stato di limitazione della libertà personale
imposto all’imputato a fini cautelari, i cui effetti decorrono dal momento
della cattura, dell’arresto o del fermo. Si considera in stato di custodia
cautelare anche l’imputato sottoposto agli arresti domiciliari.
Magistratura di sorveglianza =
è chiamata ad assicurare il rispetto della legge nell’esecuzione delle
sanzioni penali. Ha funzioni di vigilanza, controllo e provvede ad atti di
natura amministrativa e giurisdizionale (esecuzione delle misure di sicurezza
personali, esame delle istanze o dei reclami di detenuti e internati,
concessione di licenze e permessi, ammissione al lavoro esterno, ecc.). Essa si
articola in Tribunali di sorveglianza, uno per ogni Distretto di Corte di
Appello, con competenza su tutto il Distretto, e Uffici di sorveglianza, che
hanno sede nelle città con i Tribunali ordinari più importanti, con competenza
su uno o più circondari di Tribunale.
Misure alternative alla detenzione =
complesso di istituti previsti dal diritto penitenziario che offrono la
possibilità di scontare in tutto o in parte la pena detentiva fuori del
carcere. Le misure alternative alla detenzione sono oggi quattro: affidamento in
prova al servizio sociale; semilibertà; detenzione domiciliare; liberazione
anticipata.
Ordinamento penitenziario =
complesso di norme e provvedimenti legislativi che regolano lo stato di
detenzione. L’ordinamento penitenziario definisce gli organi dell’esecuzione
penitenziaria, il trattamento penitenziario, le fattispecie modificative del
rapporto di esecuzione e le procedure previste per i vari provvedimenti.
Reinserimento sociale =
in riferimento all’art. 27 della Costituzione, si stabilisce che nei confronti
dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo
che tenda, attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento
sociale degli stessi.
AMNISTIA =
provvedimento emanato dal presidente della Repubblica su delega delle due
Camere, con il quale lo Stato rinuncia a punire determinati reati. L'amnistia è
causa di estinzione del reato. Solitamente, i reati per
i quali è concessa l'amnistia vengono indicati attraverso la durata
della pena astrattamente prevista dal codice (es.: "è concessa amnistia
per i reati puniti sino a 3 anni di reclusione"). Ai fini penali l'amnistia
si distingue in propria e impropria. L'amnistia propria è quella concessa prima
che sul reato sia stata pronunciata la sentenza definitiva. In questo caso
l'amnistia ha un effetto estensivo completamente ampio, in quanto cancella
completamente il reato. L'amnistia impropria è quella che interviene dopo la
condanna definitiva e fa cessare sole le pene principali e quelle accessorie,
lasciando in vita gli altri effetti penali della sentenza di condanna.
INDULTO =
consiste nel condono della pena principale, attraverso un decreto del presidente
della Repubblica, in seguito a legge di delegazione della Camera. E' simile
all'amnistia ma se ne differenzia in quanto l'indulto, a differenza
dell'amnistia, condona solo la pena principale.
* Cfr. l'appello dei cappellani della Lombardia