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RIFLESSIONE. GIUSEPPE FLORIO: L'AUTORITA' DELLE VITTIME
[Ringraziamo Antonio Bruno per averci trasmesso questo intervento di
Giuseppe Florio.
Giuseppe Florio, teologo e biblista, e' impegnato nella ong Progetto
Continenti]

Dopo l'evento di Genova, il G8, anche nel nostro paese, gli ambienti
politici ed intellettuali si premurano a scrivere di globalizzazione.
Le reazioni sono disparate, ma, come si suol dire, l'importante e' che se ne
parli, nella speranza che cresca una coscienza comune su un fenomeno che ci
riguarda tutti.
Purtroppo si deve constatare che la stampa in genere, rivolgendosi proprio
ai nostri ambienti della solidarieta', non ci risparmia accorati appelli o
acidi suggerimenti, a seconda dei casi, mettendoci in guardia prima di tutto
dalla violenza.
All'improvviso, quanta passione per la nonviolenza!
In Europa, gli organismi di cooperazione allo sviluppo e di solidarieta'
internazionale sono almeno ottocento, e francamente non risulta che ci siamo
mai distinti per sfasciare vetrine o attaccare le forze dell'ordine. Semmai
abbiamo rivolto la nostra attenzione alla grande violenza strutturale in
atto da decenni, che colpisce soprattutto il sud del mondo; violenza che
produce vittime innocenti.
Non e' violenza quella che vede ogni giorno 50 mila persone morire di fame o
di malattie che nel nord del mondo si risolvono con l'assunzione di un
antibiotico? Forse queste vittime hanno anche il torto di non rappresentare
oggetto di "notizia"?
*
Veniamo poi messi in guardia dalla protesta fine a se stessa. Pare che
abbiamo solo ideali ma non idee, e questo, se possibile, sarebbe ancora piu'
disdicevole.
Ma e' proprio cosi'? Sono anni che proponiamo, senza omettere di specificare
modalita' concrete di attuazione, la riforma dell'ONU, della Banca Mondiale,
del Fondo Monetario Internazionale. E ancora, non e' da oggi che chiediamo
l'applicazione della Tobin tax; sono anni che proponiamo l'annullamento del
debito estero dei paesi poveri e la revisione dei meccanismi del debito. E
la lista potrebbe continuare...
Inoltre, sono decenni che le nostre associazioni lavorano per realizzare
progetti di sviluppo coinvolgendo la nostra societa' civile e anche le
nostre istituzioni.
Quanti progetti sono andati a buon fine, quanti interventi, piccoli e
grandi, pur non avendo posto fine allo scandalo della poverta' hanno
tuttavia contribuito a far crescere la coscienza della dignita' e del
diritto, fatto maturare i cosiddetti beneficiari che in molti casi si sono
trasformati in veri e propri soggetti attivi, capaci di agire autonomamente
per lo sviluppo del loro paese.
Insomma, qualche idea l'abbiamo avuta  e le cose fatte sono li' a dimostrare
che i nostri ideali non sono fuori dalla realta'.
*
I piu' sottili, si fa per dire, ci accusano anche di marxismo che nelle
intenzioni dovrebbe raggiungere chi ne e' colpito dall'infamia mescolata al
ridicolo, e quindi al disprezzo di chi sia minimamente dotato di buon senso.
E cosi', l'accusa, sostenuta da tutto il peso di un verdetto gia'
pronunciato dalla storia, assumerebbe i connotati di un giudizio senza
appello, definitivo, capace di  mettere noi e i nostri ideali, le nostre
parole e i nostri fatti, fuori gioco per sempre. Ormai il marxismo e' stato
definitivamente consegnato alla storia, cioe' al passato. Personalmente non
sono mai stato marxista, ma ho sempre guardato con attenzione e rispetto a
quel filone di pensiero che poneva con forza il tema dell'uguaglianza e
della giustizia sociale. Come credente e come teologo ho imparato proprio
dalle tante pagine che nella Bibbia  guardano alla storia umana con ideali e
con forti idee che non e' possibile costruire un'economia su di una societa'
distrutta; che le strutture sociali ed economiche che ci diamo sono
"rivelazione" di quello che siamo e di quanto intendiamo trasmettere alla
future generazioni. (Ricordate il significato del giubileo biblico?). La
bibbia e' veramente un "personaggio" dotato di grande esperienza in tema di
"strutture" socio-economiche, e anche sui messianismi (politici e non) ha
ancora qualcosa da dirci.
E allora mi chiedo: che rispetto dovrei mai avere per questo nostro
capitalismo chiamato selvaggio non solo dal Papa o da Fidel Castro ma anche
da un convinto capitalista come George Soros ? E cosa dovrei pensare quando
in una banconota come il dollaro americano leggo scritto "In God we trust",
"noi abbiamo fiducia in Dio"? Ma di quale Dio si tratta ? -mi chiedono gli
amici non credenti. Nessuno di noi sarebbe contrario all'attuale forma di
capitalismo globalizzato se realmente si riscontrasse una riduzione della
poverta'. E invece sono le stesse Nazioni Unite a denunciare che le
disuguaglianze aumentano e i poveri aumentano. I poveri aumentano anche nel
nostro paese dove la natalita' e' ormai sotto zero.
Non sara' che da un'economia ed un mercato tutto e solo fondato sul profitto
per il profitto non ci si puo' aspettare altro?  Quando e' questo che si
verifica, Mammona diventa un idolo indiscusso e non puo' che mietere
vittime. Ne abbiamo viste tante.
*
Ma forse non si tratta di violenza o di mancanza di idee o di marxismo.
Ho semplicemente il dubbio che molti giornalisti e uomini politici non
abbiano una conoscenza concreta e diretta del cosiddetto capitalismo
globalizzato.
Semplicemente non l'hanno visto in faccia e quindi non hanno potuto
misurarne le devastanti conseguenze sulla maggioranza dei popoli della
terra. O forse non hanno saputo o voluto vedere.
Aver visto in paesi piccoli come il Salvador, il Nicaragua o il Guatemala
cosa significhi dare spazio agli investimenti stranieri senza alcuna
garanzia di rispetto dei diritti elementari per i lavoratori mi ha dato la
chiave di lettura dell'attuale liberismo economico.
Sono le maquilas, fabbriche realizzate con investimenti asiatici e
nordamericani, dove la situazione in particolare delle donne lavoratrici e'
disumana.
A Santo Domingo, paradiso di vacanze per molti occidentali, ho visto con i
miei occhi in che modo vive mezzo milione di lavoratori haitiani impiegati
nelle grandi estensioni coltivate a canna da zucchero proprieta' di una
multinazionale francese.
Condizioni di vita paragonabili a quelle di un lager di triste memoria, ai
limiti della schiavitu'.
E che dire delle cosiddette tigri asiatiche, il cui appellativo, promessa di
futuro radioso, ormai appartiene al passato ? Cosa e' diventato il lavoro in
Tailandia, in Indonesia, nelle Filippine? Occorre vedere per credere; e per
capire.
In Cambogia sono testimone oculare dell'inumanita' che caratterizza i nuovi
insediamenti industriali alla periferia della capitale. Un capitalismo dalla
violenza inaudita e feroce; e mi limito a  menzionare solo paesi che conosco
personalmente nell'impegno di solidarieta' internazionale.
Per il resto basti pensare ai 250 milioni di bambini lavoratori.
A volte si leggono sui giornali riflessioni che si pretendono accreditate,
secondo le quali per accedere a condizioni minime di sviluppo e quindi per
percorrere le tappe obbligate del capitalismo occorre comunque iniziare da
forme di limitazione della democrazia  (leggi schiavitu') per arrivare poi
al riconoscimento di qualche diritto. Quello che e' certo e' che se dovesse
essere come dicono, o auspicano, saremmo di fronte al fallimento della
"famiglia umana" sognata dalla Carta dei Diritti delle Nazioni Unite firmata
nel 1948.
*
Se parliamo di globalizzazione dobbiamo parlare delle cose vere, della
violenza di questo capitalismo senza freni e senza regole. E delle sue
vittime. Cominciamo, anche sui giornali e nei partiti politici, a parlare di
globalizzazione vista dal basso.
Troviamo il coraggio di dire che questa poverta' e' la forma di violenza
piu' duratura e sistematica che esista. Che questa poverta' non venga
coperta da bugie "istituzionalizzate" attraverso l'uso di un linguaggio
inadeguato e fuorviante, come quando si continua, contro ogni evidenza, a
parlare di "paesi in via di sviluppo", o di "popolazioni di scarse risorse".
L'ingiustizia e le contraddizioni presenti negli attuali processi di
globalizzazione hanno di che rendere indignato ogni essere umano, prima
ancora che ogni cristiano. L'ingiustizia che grida vendetta al cielo e' di
dimensioni planetarie e nessuno puo' fingere di ignorarla.
*
Alla ricerca di un'etica mondiale e di una coscienza politica nell'era della
globalizzazione, a me sembra doveroso chiedermi, chiederci, quale autorita'
hanno su di me, su di noi, le vittime; quale autorita' ha su ciascuno di noi
il dolore di coloro che patiscono ingiustamente.