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DIREMO NO, COME GANDHI
del card. SILVANO PIOVANELLI*
tratto dal Corriere della Sera
Il tema della globalizzazione è sul banco di prova del mondo intero. È un
argomento di formidabile difficoltà ed è posto con urgenza alla riflessione
dei responsabili dei popoli e di tutti i politici. A seconda della
soluzione, si decide un futuro diverso per l'umanità intera. C'è una
globalizzazione che corrisponde al disegno di Dio sull'umanità. Dopo la
Torre di Babele l'umanità divisa e dispersa è spinta da Dio in molti modi a
ritornare una sola famiglia, secondo la profezia della Pentecoste. Per questo il
quotidiano Avvenire poteva scrivere provocatoriamente quindici giorni fa: «Cattolici,
il G8 è affar nostro!».
Non era già scritto nella rivoluzionaria Enciclica del Papa Paolo VI
Populorum progressio , quando ancora non circolava la parola globalizzazione?:
«È un umanesimo plenario che bisogna promuovere. Che vuol dire questo, se non
lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini?».
Non sarebbe vera globalizzazione quella che escludesse, nell'uomo, o la
dimensione fisica o quella intellettuale o quella affettiva o quella spirituale.
Non sarebbe vera globalizzazione quella che non abbracciasse, di proposito o di
fatto, tutti i popoli e tutti gli uomini. Una vera globalizzazione non potrà
non accettare le sfide dell'ecologia, della giustizia sociale, dell?etica. Nell'ecologia
si tratta di garantire la salvaguardia del creato secondo le direttive e lo
spirito dell'Assemblea ecumenica mondiale di Seul del 1990. La giustizia
socio-economica deve superare da una parte la rigidità del collettivismo e i
suoi fallimenti storici e dall'altra gli egoismi miopi di un capitalismo
assolutista e accentratore. L'etica, nei suoi rapporti con la politica, l'economia,
la scienza, sceglie come metro l'uomo intero nella sua vita e nella sua dignità,
in un quadro dove i cristiani ripropongono l'universalità dello specifico
cristiano del Dio dell'amore.
E' questa la globalizzazione che s'imporrà al vertice di Genova? Il cosiddetto
«Popolo di Seattle» contesta la globalizzazione selvaggia e senza regole che
è attualmente in atto e che impone un modello di sviluppo radicalmente centrato
sul consumismo, che pone come legge assoluta quella del mercato e trasforma la
globalizzazione in una unificazione della ricchezza del mondo in mano a pochi in
grado di gestire ogni aspetto della vita, brevettandone le forme e
determinandone il futuro.
La situazione del mondo sembra dar ragione a coloro che, giornalisticamente,
sono detti «tute bianche».
Appena 400 plurimiliardari concentrano da soli nelle proprie mani più della
metà della ricchezza
totale destinata ai sei miliardi di abitanti del nostro pianeta. Il 20 per cento
della popolazione mondiale è 60 volte più ricca dell'80 per cento della
popolazione povera. E' vero: la miseria è stata sempre presente nel mondo. Ma
oggi una nuova barbarie si affaccia alle porte, guidata dal potere mondiale e
anonimo della grande finanza e da uno sviluppo biotecnologico posto a servizio
solo o quasi degli interessi materiali. Se il G8 vuole imporre un mondo unico,
dove domina l'unica ideologia del denaro e dei corpi, allora, per fedeltà al
Vangelo, ci mettiamo dalla parte delle «tute bianche» e diciamo:
«No» al G8! Ma diciamo «No» senza violenza, senza
contrapposizioni frontali, senza integralismi. Diciamo «No», non proponendo
modelli di organizzazione politica, ma proclamando orizzonti
valoriali. Il valore primo ed immediato per chiunque è l'uomo: tutto l'uomo e
tutti
gli uomini. L'umanesimo esclusivo, che rifiuti l'interezza della persona o non
scelga la totalità degli uomini, è un umanesimo inumano.
Il secondo valore, indispensabile per far crescere le persone, è la
partecipazione. Su temi che coinvolgono tutti occorre l'ascolto più ampio
possibile. Giovanni Paolo II, all'inizio del nuovo millennio dice alla sua
Chiesa che è necessario fare nostra l'antica sapienza che sapeva
incoraggiare l'ascolto di tutti. La sapienza che suggeriva a San Benedetto di
dire all'Abate: «Spesso ad uno più giovane il Signore ispira un parere
migliore»; e San Paolino da Nola esclamava: «Prendiamo dalla bocca di
tutti i fedeli, perché in ogni fedele soffia lo Spirito di Dio».
La terza indicazione è quella del «Buon Samaritano»: non passare oltre chi ha
bisogno, ma diventare prossimi di chi non ha i beni indispensabili ad una
vocazione umana fondamentale. Una politica rispettosa di ogni uomo e della sua
storia, che voglia un avvenire di pace e di progresso, sa che,
per uscire dalle acque tempestose dei conflitti e dalla crisi dei valori,
bisogna cominciare dagli ultimi.
Nella lettera apostolica a conclusione del Giubileo Giovanni Paolo II ha
scritto: «Bisogna governare con decisione i processi della globalizzazione
economica in funzione della solidarietà e del rispetto dovuto a ciascuna
persona umana».
Infine, dopo un millennio di tante guerre, che è finito col sangue di due
guerre mondiali e col trionfo e poi la crisi dei totalitarismi ideologici, è
indispensabile, per un cammino nuovo dell'umanità, il rifiuto della violenza.
Non soltanto perché il fine non giustifica i mezzi, ma perché sarebbe davvero
deprecabile che la violenza, pur intesa come intervento per aiutare i poveri e
la loro liberazione, impedisse di fare tutti i passi possibili per un'inversione
di tendenza e l'avvio di una fase nuova.
Ai contestatori del G8 vorrei dire: avete fatto da amplificatore a problemi che
vanno affrontati; continuate con le vostre iniziative a tenere desta l'attenzione
e a spingere a soluzioni possibili; ma non impedite con la violenza che i
problemi vengano affrontati e che chi ha ragione passi, a
causa della violenza, dalla parte del torto. Perché non passare alla storia
come coloro che, all'inizio del nuovo millennio, hanno indicato con chiarezza la
strada da percorrere?
Non sarà possibile ricordare la lezione della non-violenza lasciataci da
Gandhi?
E noi cristiani, come possiamo dimenticare che il Signore Gesù ci ha
consegnato la forza rivoluzionaria dell'amore, che si manifesta in chiunque
realizza la propria vita con gli altri e per gli altri?
Forse questo è uno di quegli «impossibili» per i quali occorre la fede
quanto un granello di
senape e la preghiera che importuna anche Dio.
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