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I quattro interventi sono nell'ordine di:
1 Maurizio Meloni
2 Enrico Euli
3 Pasquale Pugliese
4 Roberto Mazzini



1) MAURIZIO MELONI
faccio queste considerazioni schematiche unite a domande così per aprire
piste di riflessione, premettendo che sono stato a Genova martedì per il
forum e sabato per la manifestazione, non c'ero venerdì

1. sul piano dei contenuti, per quello che visto io, il forum mi è sembrato
deludente. Non si fa un passo in avanti sulle riflessioni da molti anni(per
dire: Napoli 94 era certamente già su quei problemi, se non più avanti).
I relatori sono i soliti e sempre più ideologici (certamente nel mondo delle
idee che oggi fanno dibattito e interrogano davvero criticamente sul
presente e il capitalismo attuale la George e Walden Bello non sono al primo
posto, lo dico con amicizia verso entrambi)

2. Le persone che partecipano al Forum sono sempre le stesse. I protagonisti
della piazza e dei media non partecipano invece affatto, dimostrando la
totale scollatura tra contenuti e conflitto, divaricazione che si è aperta
chiaramente almeno dopo Praga e che mi fa porre la seguente domanda: non è
che sta succedendo che qualcuno cavalca i nostro striminziti e deboli e
minoritari contenuti (perché di questo si tratta se abbiamo ancora occhi per
vedere e non scambiamo la realtà per le foto sui giornali) per rifare il
solito lavoro di sempre? (mi riferisco a rifondazione, Tute bianche,
estremismi vari, in attesa che arrivi fassino, ma sarà per la prossima)

3. "il popolo di Seattle" in quanto tale è un prodotto dei media (una merce
del mercato delle immagini). Tra questa icona e la realtà dell'arcipelago di
associazioni come le nostre esiste lo stesso scarto che c'è, ad esempio, tra
una partita di calcio trasmessa alla TV (cinquanta telecamere, ventimila
replay del goal) e la stessa partita vista allo stadio dove le super icone
della domenica calcistica sono semplici ragazzotti che corrono appresso ad
una palla su un prato. L'oggettiva sopravvalutazione di questo movimento è
data inoltre dall'amplificarsi vicendevole di alcuni fattori: il fatto che
gli altri (g8 e compagnia) politicamente e culturalmente stanno peggio; il
fatto che tanta sinistra è alla ricerca disperata di nuovi nemici e nuove
battaglie; il fatto che dietro i discorsi trionfalistici sull'occidente c'è
un fortissimo senso di disagio e colpa verso il resto del mondo che può
facilmente essere evocato come leva per attaccare la cultura dominante.

4. mi pare che, a causa di nostre debolezze e altrui forze per così dire, il
ruolo dei portavoce e di altre figure abbia rapidamente tracimato diventando
altro. Agnoletto è un'ottima persona e ha fatto un gran lavoro (anche se non
saprei giudicare il suo legame con Rc di cui è stato candidato
recentemente), ma io ricordo che si era partiti dicendo di avere due
portavoce a rotazione alla volta e ora ci ritroviamo capi e leader che già
dettano l'agenda futura e le condizioni e i modi della partecipazione.
A proposito del discorso sulla legittimità rinfacciato al G8, forse qualche
domanda sulla legittimità interna nostra e sulla democrazia potremmo
farcela. Non prendetela come una cattiveria personale ma come una
riflessione su come i media distorcono la politica e la democrazia
tradizionale: Walden Bello nelle filippine ha fatto un partito che prende il
2,7%, però è leader ideologico di un movimento mondiale che detta agenda e
dà e toglie legittimità ai governi. Si potrebbero fare altri esempi. Come
vedete la crisi dei meccanismi tradizionali della politica vale per tutti e
attanaglia pure noi. Volete negare che tanti movimenti delle stesse
dimensioni di Lilliput valgono assai più di noi perché hanno capi
carismatici, urlano di più e rispondo al target che i media chiedono per
queste sacre rappresentazioni?

5. Ho visto i lillipuziani con tanto di maglietta per le strade di genova.
Sono tanti, giovani, mi ha sorpreso scoprire di conoscene così pochi. Vuol
dire che c'è un grande nuovo afflusso o un grande turnover. Questo ci pone
anzitutto un problema: come garantire identificazione a queste persone?
come dargli un medium che non sia solo una sigla dentro cui poter trovare
una casa: il sito, la mailing list, i nodi locali, Altreconomia, i seminari
tematici o cos'altro?
E l'organizzazione? Dei portavoce?

6. Scontiamo limiti organizzativi ma anche un certo stile (che io rivendico
come positivo). Non avere leader, non esporre qualcuno alle fauci dei media,
non muoversi come un esercito, significa in questa fase anche giocare a fare
il vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro. Dunque a farsi male, non solo
metaforicamente. Può essere una scelta anche questa. Però dovremmo esserne
più consapevoli, non subirla solamente. Se scegliamo così poi non possiamo
piangere che altri decidono per noi.

7. Infine: brutalmente: quanto diamo e quanto prendiamo da tutta questa
baraonda? ognuno può dare la sua valutazione soggettiva. La mia è che diamo
molto: contenuti, intelligenza politica, legittimità morale, tutte cose
senza cui questo movimento sarebbe il solito estremismo di sinistra in salsa
postmoderna (le tute bianche anzichè gli eskimi).
Riceviamo parecchio pure: i nostri temi sono oggi sotto i riflettori della
politica. Ma da ora in avanti questo scambio, tattico per così dire,
funziona ancora? Dobbiamo continuare questa strada insieme o tornare a
riscrivere una nostra agenda a prescindere da questo baraccone mediatico
rispetto a cui, il meno che si possa dire, è che non si riesce assolutamente
ad immunizzarlo dalla violenza e dal cavalcamento di vecchie (vecchissime)
idee e stili politici?
Attenzione: io credo che a poche altre sigle oltre il nostro giro (lilliput,
attac, ngo varie, public citizen) interessino davvero i temi per cui è noto
questo movimento e abbiano competenza a gestirli. Sul resto vedo molta
confusione e voglia di captare predatoriamente nuovi temi, per ricostruire
nuove macchine politiche dentro cui rischiamo di fare il fiore all'occhiello
quando serve, per essere buttati via alla prima curva. La stessa sensazione
l'ho vissuta rispetto al modo in cui è stato gestito il forum e la
controagenda.


2) ENRICO EULI ( documento scritto come Lettera aperta al GSF)

E' martedì 24 luglio e sono a Genova. Ho scelto di restare qualche giorno
per godermi questa bella città, ancora sconvolta, ma più quieta, tornata a
quella normalità chiamata, a torto, pace.
Tutte le immagini, le emozioni, le ambivalenze di questi giorni mi
attorniano ed attraversano, alcune gustose, digeribili,anche dolci; altre
ancora indigeste, nauseanti, opache.

Sono giorni che lasciano il segno, che nessuno potrà dimenticare. Saranno
giorni che, nel bene e nel male, si porranno come soglia tra una fase e
un'altra, appena iniziata, della politica italiana. Nella confusione, lo
sento con sufficiente chiarezza.
Siamo agli esordi, forse anche in ritardo, ma qualcosa -finalmente- si è
mosso, ed anche la superficie si increspa, dopo tanti anni di lavoro
silenzioso e sommerso.
Cerchiamo di non perdere questa nuova, preziosissima occasione.
Mi pare che nella 'rete di reti', nel 'movimento dei movimenti' che si sono
espressi a Genova si possano rintracciare alcuni nodi di consapevolezza
davvero comuni, alcuni 'fondamenti' condivisi e 'radicali' tra tutti e
tutte:
1. la percezione diretta di una democrazia senza qualità, che ha superato la
soglia di decadimento e di involuzione, che degrada verso derive regressive
ed autoritarie, verso un regime regolato da monopoli informativi e
decisionali (per la costruzione del consenso-assenso) e da repressioni
aperte (per la rimozione-criminalizzazione dei conflitti).

2. la percezione diffusa di uno sviluppo distruttivo ed insensato, che non
lascia scampo alla vita, alla natura, alle culture, che ha superato la
soglia di tollerabilità e si avvicina rapidamente al rischio di catastrofi
irreversibili e a condizioni di 'non ritorno'.

3. la percezione verificata di una ripresa massiccia della cultura di guerra
che, dalla Guerra del Golfo a quelle balcaniche, ha tracciato l'ultimo
decennio, dopo le speranze aperte dal Movimento per la Pace e dalla
perestroika negli anni 80.

4. la voglia di resistere con tutte le nostre forze a tutto questo, a
lottare, insieme e diversi.
E' un patrimonio enorme proprio perchè è comune e va salvaguardato, perchè è
davvero prezioso, con pazienza, ascolto, fiducia, attenzione. La domanda da
cui ora partirei, definiti i punti comuni, è sul punto che ci differenzia di
più e sul quale rischiamo di crescere o di saltare insieme:
'COME resistere, COME lottare ?'.
In questi giorni la creatività dei movimenti si è espressa: dalla preghiera
alle spranghe, dalle animazioni teatrali alle parate con tute e caschi, dai
blocchi nonviolenti dei varchi agli assalti mortali.
Ognuno rischia di trarre le sue conclusioni da solo, per la sua parte e, in
condizioni di incomunicabilità reciproca, il 'movimento dei movimenti' non
ci sarebbe più e tutto questo lavoro comune, anzichè a crescere, andrebbe a
disfarsi ancora una volta.

Vorrei perciò offrire alcune riflessioni personali, alla ricerca di un
confronto con tutti/e:
1. Non possiamo in questo momento fare qualcosa per cambiare la polizia o i
black blockers o i rapporti tra loro: sono organizzazioni troppo
ideologizzate e strutturate, troppo poco trasparenti, come devono essere le
formazioni militari, più o meno legali.
Credo che possiamo e dobbiamo lavorare solo su di noi: se lo faremo
produrremo dei cambiamenti anche nei contesti esterni e nei potenziali
alleati-avversari.
2. Per quanto ci riguarda quindi, è decisivo, anche solo tatticamente, non
favorire in alcun modo la ripresa del perverso circuito della violenza e
della guerra.
E' importante ed urgente: - non mostrificare nessuno, non creare capri
espiatori, non trasferire colpevolezze totali in una sola parte; assumersi
ciascuno la propria responsabilità in termini di azione o di omissione.
-non utilizzare la violenza diretta e strutturale degli altri per
giustificare la propria o quella dei propri alleati; criticare comunque la
violenza e la distruzione della vita da chiunque provenga. -non mitizzare i
caduti, solo perchè sono morti e sono stati uccisi dal nostro avversario; se
ci dissociamo dalle loro azioni in vita, dobbiamo farlo anche in morte (il
che non significa che non piangiamo e che non ci arrabbiamo per una vita
spezzata).
3. E' fondamentale che, nei prossimi mesi: - l'area rosa (nonviolenta e
non-violenta) accresca i suoi livelli di consapevolezza, di formazione e di
organizzazione, in vista di metodologie ed azioni che siano capaci di
maggiore
SICUREZZA-RASSICURAZIONE COMUNICAZIONE-VISIBILITA' EFFICACIA-EFFICIENZA
CREATIVITA'-NOVITA'.
Ho riscontrato ancora (ma è ovvio, siamo davvero agli inizi !) un livello di
improvvisazione e di inconsapevolezza troppo alto, che -se non corretto- ci
porterà a rischi tali da indurre molte persone desiderose di 'esserci' a
stare a casa, ad abbandonare il campo.
E' invece il momento di diffondere la nonviolenza attiva, di renderla ancora
più ricca di esempi e di sperimentazioni, di unire in essa la capacità di
allargare l'area delle persone coinvolte e le differenti radicalità
convergenti nell'azione stessa.  -l'area gialla (disobbediente
anti-violenta) rifletta sulle sue scelte e su come stare nella rete.
Ho assistito con piacere e speranza (a differenza di quanto scrive
'Repubblica' nell'intervista di venerdì scorso) allo sviluppo di tattiche
creative e meno violente rispetto alle origini fatte proprie dai Centri
sociali di cui Luca Casarini appare come portavoce.
Sono fiducioso sul fatto che la riflessione tra le tute bianche ci sarà e
che la scelta fatta nel recente passato non sarà rinnegata, perchè ha le sue
motivazioni non solo tattiche, ma anche strategiche.
Credo e spero che saprà tenere insieme consenso e conflitto.
Sono preoccupato però da alcuni atteggiamenti e da alcune scelte fatte qui a
Genova e che proseguono a manifestarsi sui mass media in questi giorni.
Temo una regressione dell'area gialla verso il circuito perverso descritto
al punto 2. Sarebbe un passaggio involutivo gravissimo tale da generare la
crisi prematura e forse letale del movimento unito nel GSF.
Non solo non permetterebbe la diffusione della cultura anti-violenta (che
resta, mi pare, anche dalle dichiarazioni fatte da tutti alla conferenza
stampa del 22 luglio, uno degli obiettivi comuni del GSF), ma rischierebbe
un ritorno al già visto, con effetti disastrosi sul movimento e sui suoi
programmi.

4. per favorire processi positivi ed evitare rischi di questa portata
proporrei al GSF di organizzare subito dopo l'estate, su questi temi, un
seminario-training di riflessione comune e di confronto tra le due aree, per
evitare fratture e derive divergenti, ma anche confusioni ed ambiguità.
Mi dichiaro disponibile sin d'ora a collaborare per questo e per altri
momenti di incontro tra noi e con altri.
La fase è molto delicata e la nostra esperienza è davvero giovane e nuova,
in gran parte sconosciuta e inaspettata. Siamo però usciti dalla palude
politica e culturale in cui ci siamo trovati per anni. E' vero: la violenza
ed il sopruso, da tempo covati, ora escono alla luce. Ma credo che sia un
bene. Ognuno può vederli, considerarli, scegliere. Ci vediamo, a Genova, in
Italia, in Sardegna, davanti alle prefetture o dove sia, tra poche ore.
Buona estate a tutti e a tutte


3) PASQUALE PUGLIESE
Nonostante il dolore, l'amarezza e la rabbia per quanto avvenuto a Genova
nei giorni passati, cerchiamo di non perdere la lucidità e abbozzare una
prima analisi per provare a capire il perchè di quanto accaduto, a leggere i
nostri errori e a trovare la strada da percorrere adesso.

   La trappola
   Il Potere da sempre, quando è o si percepisce minacciato, reagisce con la
massima violenza di cui è capace: se necessario spara. Lo fa nella maggior
parte del mondo, lo ha già fatto anche in Italia e lo farà ancora e, se
questo non dovesse bastare, scatanerà la repressione feroce e
indiscriminata.
   Il potere politico e militare nel nostro paese è in mano ad un governo
liberista-mafioso-fascista e, per chi ne aveva qualche dubbio, il
comportamento della polizia prima e del suo braccio mass-mediatico poi lo
comprova definitivamente.
   Questo potere non aspettava altro che l'occasione per poter sfoderare
tutta la violenza di cui è capace nei confronti di un movimento solido,
vero, dal basso e dalla parte della verità e della giustizia, perciò
fortemente minaccioso. Non aspettava altro che qualcuno gliene fornisse
l'occasione o, almeno, gli fornisse l'opportunità di crearsi l'occasione.

   Se l'occasione immediata è stata data dai criminali neri, sia che fossero
sia che non fossero in combutta con la polizia, l'opportunità più profonda è
stata data dal clima di tensione che si è venuto a creare ed è montato
intorno al vertice dei G8: le botte di Napoli, il ragazzo ferito a Goteborg,
l'attenzione mediatica ossessiva su tutto quanto si preparava per Genova, la
mobilitazione dell'esercito, l'annuncio dell'arrivo a Genova da parte di
coloro - antimperialisti, insurrezionalisti e quant'altro - che non si
riconoscevano nelle raccomandazioni del Genoa Social Forum, la farneticante
"dichiarazione di guerra" del portavoce delle tute bianche (salvo
dichiararsi pacifista all'ultimo minuto, ma qualcuno forse a ventanni l'ha
presa sul serio: attenzione, le parole sono pietre e si porta la
responsabilità delle loro conseguenze!), il susseguirsi di esplosioni nella
settimana del Vertice.
   E poi l'illusione, da parte del GSF, di poter tenere insieme -
all'insegna del tutti a Genova - ma separate e distinte, in così poco
spazio, tutte le forme di testimonianza e azione, dalla preghiera
all'assalto alla zona rossa, dalle azioni dirette nonviolente ai vandalismi
annunciati: una forma di mobilitazione e contaminazione che ha favorito
l'emergere e l'imporsi, da tutte e due le parti della barricata, di coloro
che sguazzano nel torbido e danno sfogo - in queste occasioni dove si
possono confondere nella massa - alla violenza più brutale di cui sono
capaci. E nessuna azione sembra essere stata prevista per neutralizzali.
   E' stata una battaglia campale e, come tutte le battaglie giocate sul
piano militare, ha avuto la meglio chi ha colpito più ferocemente, più
subdolamente, alle spalle e di nascosto.
   E i nostri temi e le nostre proposte azzerate dalla violenza.
   E' stata una trappola e noi ci siamo cascati. Se ne dovrà parlare ancora,
ma adesso bisogna venirne fuori.

   La Rete di Liliput
   Con i fatti di Genova il movimento emerso a Seattle entra nella fase
acuta del conflitto. In Italia, rispetto ad altre fasi storiche di lotta di
piazza, questa volta c'è la novità delle Rete di Lilliput: centinaia e
centinaia di associazioni - che quotidianamente lavorano sui temi sociali ed
ecologici - le quali, riunite nei nodi locali, hanno fatto la scelta della
nonviolenza.
   La Rete di Lilliput all'interno del movimento di lotta ha, e deve
mantenere e rinforazare, un proprio ruolo fondamentale, delicato e
insostituibile: quello di percorrere la strada stretta che passa tra
l'assenza di conflitto da un lato e il conflitto violento dall'altro (che
conduce alla repressione e ad una nuova stabilizzazione) ossia di lavorare
alla trasformazione del conflitto in senso nonviolento, .
   La Rete di Lilliput deve investire le proprie energie per impedire che un
conflitto che coinvolge l'umanità e la natura intera venga condotto nel cul
de sac dello scontro con la polizia (nel quale il potere vuole condurlo ed
ha dimostrato di saperlo fare benissimo); per trovare la via d'uscita dalla
polarizzazione tra due soggetti antagonisti (contestatori vs forze
dell'ordine) che consente al resto del mondo di rimanere spettatore; per non
concedere a nessuno la possibilità di restringere il conflitto ad affare tra
noi ed il potere, ma lavorare per estenderlo, generalizzarlo, portarlo tra
tutti ,coinvolgendo la gente affinchè cominci, grazie alle nostre azioni, a
sentirsi interiormente in conflitto con se stessa ed il proprio stile di
vita e di consumo.
   Si tratta di trasformare, lentamente ma profondamente, il consenso che
sostiene il sistema in dissenso ed il dissenso in azione.

   Che fare?
   Se questo è il servizio prezioso che la Rete di Lilliput può svolgere è
necessario, a mio avviso - soprattutto e urgentemente dopo Genova - compiere
alcune scelte strategiche necessarie alla trasformazione nonviolenta del
conflitto.
   Gli obbiettivi di mantenere la possibilità di agire nelle piazze, di
ridurre al massimo la possibilità di degenerazioni violente, di mettere il
potere nell'impossibilità - o nella difficoltà estrema - di utilizzare il
suo apparato repressivo e di comunicare a più persone contemporaneamente le
nostre ragioni, possono essere tenuti insieme oggi, a mio avviso, solo
declinando la modalità lillipuziana reticolare, adottata come forma
organizzativa della Rete, anche come strumento di mobilitazione.

   A tal fine bisogna, per un verso, lasciare modalità di azione ormai
usuali ma sempre più inefficaci o addirittura controproducenti:
    1) abbandonare la rincorsa dei vertici del potere: uscire dalla
subalternità degli spazi e dei tempi di manifestazione imposti dalle loro
agende, che ci portano a scendere in piazza dove e quando vogliono i
potenti;
   2) uscire dalla logica della uguaglianza nella diversità, e della
contemporaneità, delle forme di lotta, adottata dal GSF: le forme che non
sono coerentemente nonviolente nei mezzi, nei fini, nella comunicazione,
nell'immaggine, fanno il gioco del potere. Non bisogna manifestare dove
manifestano compagni di strada che non condividono le nostre forme.
   3) uscire dalla logica delle manifestazioni di massa che, in questa fase,
sono il ricettacolo di coloro che intendono sfidare il potere sul piano,
reale o simbolico, della forza e sempre più si trasformano in campi di
battaglia, a tutto vantaggio di chi vuole criminalizzare il movimento.

   Per altro verso, bisogna strutturare una modalità di azione nuova,
nonviolenta, lillipuziana, reticolare:
   1) creare presso ogni nodo, o insieme di nodi limitrofi, un gruppo di
azione nonviolenta GAN (dove sono stati costituiti gruppi di affinità tanto
meglio, che non si sciolgano);
   2) avviare un programma di formazione per ciascun GAN serio e e
approfondito, teorico e pratico, sul metodo nonviolento e sulle sue
tecniche;
   3) quando sarà completata la formazione, strutturare un' agenda di azioni
nonviolente locali concordate e contemporanee su tutto il territorio
nazionale, in base alle nostre priorità, di tempi e di temi (per esempio per
raggiungere un obbiettivo più avanzato in una campagna di boicottaggio, o
per fare un'azione di comunicazione efficace su un tema particolarmente
importante, per fare una contestazione capillare e diffusa ecc.).
    Questa strategia lillipuziana e nonviolenta può consentire - se attuata
con persuasione, preparazione e organizzazione - di portare efficacemente le
nostre tematiche sui nostri territori, di comunicare a viso aperto con i
nostri concittadini che spesso ci conoscono - conoscono il nostro impegno e
lavoro quotidiano - e sanno che non siamo vandali calati da chissà dove, di
impedire - visti i numeri ridotti e non trattandosi di manifestazioni ma di
azioni dirette condotte da chi le organizza - le infiltrazioni di
provocatori (e comunque ci si prepara, eventalmente, per isolarli,
escluderli, consegnarli alla polizia o sospendere l'azione), di rendere
inutilizzabile l'apparato repressivo del potere sia nella forma violenta che
in quella disinformativa, perchè senza alcun alibi e perchè tutto si svolge
sotto gli occhi della nostra gente e della stampa dei nostri paesi e città.

   Conclusioni
   Questa è la strada che avevamo provato ad indicare già ai tempi di Marina
di Massa. Allora fu minoritaria. Oggi rinnoviamo l'appello: che almeno la
Rete di Lilliput cambi la propria strategia, subito, e indichi una via di
azione ai tanti ragazzi che oggi la cercano e sono delusi e frastornati per
quanto vissuto o visto a Genova.
   Ma già sentiamo i proclami per andare tutti a Roma il 10 novembre.
   Devo ricordare che alla Prima assemblea nazionale della Rete di Lilliput
era stato formato un gruppo di lavoro per preparare il controvertice e le
contestazioni di Genova. Il G8 è finito. Per la Rete di Lilliput non è
automatico partecipare ad un Social Forum stabile, non è automatico
partecipare alle mobilitazioni che altri hanno posto in agenda. Si tratta di
scelte politiche e strategiche che vanno fatte - o non fatte - tutti
assieme.
   E' tempo di mettere in agenda, prima di ogni decisione, la Seconda
assemblea nazionale della Rete di Lilliput.
   Presto, per favore.

4) ROBERTO MAZZINI
Carissimi e carissime,
ero a Genova da giovedì 19 a oggi, ho partecipato alle iniziative varie
(corteo migranti il 19, corteo Piazza Manin il 20, assembla del 20 sera,
corteo del 21...).
Mi porto a casa, come molti credo, una grande angoscia nel cuore.
Vorrei che potessimo avere momenti di scambio per capire cos'è  successo ed
evitare gli errori che credo ci siano stati e grossi.

Scrivo a caldo e quindi non perfettamente lucido. Scrivo sapendo che porto
solo una visione parziale perchè non ero
dappertutto, ma vorrei che mettendo assieme le parzialità si scavasse nei
fatti accaduti e si uscisse con più consapevolezza; sarebbe già un bel
risultato.
Da ciò che ho visto "direttamente" traggo delle considerazioni di  questo
tipo che sintetizzo perchè nel mare di e-mail ho paura che poi nessuno
riesca a leggere e ascoltare gli altri:
1) In P.zza Manin venerdì stavamo fronteggiando un gruppo di Black Blok
quando sono partiti decine di lacrimogeni, inutili a sloggiare i B.B. ma che
han destato panico e fuggi fuggi; nel fumo i BB imperturbabili rovesciavano
e incendiavano; altri piccoli episodi cui ho assistito sono simili nella
logica.
ERGO, la polizia ha agito per alzare la tensione e coinvolgere tutti i
manifestanti negli scontri, in modo da impaurire i più, sollecitare la ns
violenza, confermare ai media che siamo un movimento pericoloso, far parlare
di violenza e non dei ns contenuti, ecc.

2) La presenza di provocatori e gruppi che avrebbero agito violentemente su
cose e persone era prevedibile anche se non si immaginava una capacità
organizzativa siffatta.
ERGO andava studiata una strategia di contromosse efficaci e varie
alternative possibili e una struttura informativa, decisionale e logistica
adeguata, oppure fatto un passo indietro (se non si è preparati allo scontro
insegnano tutti i manuali di guerra e guerriglia, è meglio non farlo).

3) In P.zza Manin a fronteggiare i BB non c'erano gruppi di affinità
organizzati ma decine di giovani impreparati che hanno alzato le braccia (e
non fatto per esempio un cordone sottobraccio) per impedire di avanzare ai
BB o per respingerli.
Quando sono ripassati i poliziotti dopo la carica e ci hanno fronteggiato,
una parte si è seduta per terra in sit-in, nell'incomprensione degli altri
che non capivano perchè doevamo impedire alla PS di passare di lì.
ERGO non esisteva un sufficiente servizio d'ordine né una capacità o rete
informativa puntuale e diffusa che avvisasse dell'arrivo dei BB o della
polizia, che desse indicazioni coerenti di movimento o di azione, che
coordinasse i vari gruppi e singoli impreparati o meno, che facesse tesoro
delle passate esperienze di piazza (parlo del '68).
L'improvvisazione, l'incoerenza e l'indecisione regnavano sovrani.
4) I Mass-Media di ogni tendenza parlano delle violenze e del morto mentre
prima degli eventi si era ideato di assaltare la zona rossa per denunciare
la violenza e arroganza dei potenti.
ERGO le azioni delle tute bianche e dei gruppi di azione diretta NV sono
state letetralmente "oscurate" dalla lucida capacità devastante dei Black
Blok o come diavolo si chiamano.I vari gruppi non sono stati capaci di
cambiare strategia e capire che le azioni primarie andavano rivolte ai BB
per neutralizzarli, piuttosto che verso la zona rossa.
Il GSF, essendo il gruppo organizzatore di tutto ciò ha, tra le molte
capacità dimostrate, avuto una grave lacuna nel non prevedere le mosse sullo
scenario in modo tale da organizzare un'autodifesa del corteo, una lucidità
tattica e strategica che permettesse di cambiare i comportamenti in atto,
senza accettare un terreno di scontro favorevole all'avversario sul piano
materiale e simbolico.
La sensazione che ho avuto nel sentire "il GSF non può garantire un servizio
d'ordine, ognuno faccia per sé" (durante l'assemblea del 20) è che non ci
fosse una linea sul "campo di battaglia", come c'era verso i "media", non ci
fosse capacità di governare la piazza o almeno provarci e si fosse ormai
alla mercè degli eventi.
Ovviamente non so cosa si è discusso in quei giorni al vs interno e quindi
spero di sbagliarmi.

Ultimo e più delicato e sicuramente controverso:
6) Nelle assemblee e nei cortei ho sentito ripetere "polizia assassina" e
cose simili e si è fatto un eroe del giovane morto. Le prime notizie davano
come scontato che il giovane fosse stato  ucciso a freddo, in realtà si è
poi saputo e visto che faceva parte di un gruppo che stava frantumando una
camionetta e i suoi occupanti e la reazione del carabiniere giovane e
inesperto è stata di sparare.
Da qui trarre la conclusione che lui o i suoi colleghi sono "assassini" mi
pare assurdo.
Capisco la rabbia, la rabbia per vedere ucciso un ns amico e compagno, la
rabbia per le ingiustizie e per il trattamento che riceviamo per i ns
ideali, e rispetto pure il dolore e la morte.Ma i ns ideali contemplano lo
spaccare la testa a un carabiniere?
Spaccare la testa a un carabiniere ieri era un atto rivoluzionario? Un passo
verso il cambiamento di questo mondo?
Il fatto che siamo arrabbiati, che siamo nel giusto, ecc. ci autorizza a
spaccare la testa a un carabiniere?
E' questo il mondo migliore che vogliamo?

A mio avviso va criticato a fondo il comportamento della polizia per
incapacità "voluta" di contenere i BB prima durante e dopo e di difendere un
corteo pacifico.Va criticata per aver alzato il tiro e la repressione, va
criticata per aver lasciato usare pistole a giovani inesperti, per aver
caricato e manganellato anche chi non c'entrava nulla, per aver usato
lacrimogeni non per disperdere i BB ma per creare caos nel corteo, ecc.
ecc.e su questo le responsabilità ci sono e sono chiare, e sono
responsabilità politiche.

Vorrei che si avviasse un confronto vero e non a metà, sincero e
approfondito, sulle strategie adottate, le logiche, gli errori fatti,
uscendo da preconcetti e stereotipi e parlando col cuore.